La domenica del Papa – “Che nessuno vada perduto!”
È in prigione a motivo della sua predicazione Giovanni il Battista e, sentendo parlare delle opere di Cristo dubita e si interroga: “sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Domanda drammatica che Matteo pone in evidenza nel suo Vangelo; come dire, Giovanni non riconosce o, meglio, si chiede se il Cristo è il Messia che lui ha predicato. Ma sottintesa c’è un’altra domanda, ovvero il Messia che si attende Giovanni è il giudice inflessibile che punisce con la spada potenti e prepotenti, oppure è colui che sorprende perché pranza con i peccatori, entra nella casa del pubblicano, chiama alla conversione e perdona l’adultera: “partiti gli accusatori, sono state lasciate […] la misera e la misericordia”, ricorda papa Leone citando Sant’Agostino.
Nella giornata in cui si celebra il Giubileo dei detenuti – che ha visto la presenza, da venerdì a domenica, di circa 6 mila persone da una novantina di paesi, detenuti ma anche agenti di polizia e dell’amministrazione penitenziaria, e operatori delle carceri – il Vangelo di Matteo ci fa conoscere le parole del Battista, costretto in prigione, ma che, comunque, “non perde la speranza, diventando per noi, diventando per noi segno che la profezia, anche se in catene, resta una voce libera in cerca di verità e di giustizia”, dice il Papa. Nel commentare questa pagina Leone XIV afferma, all’angelus, che “chi cerca verità e giustizia, chi attende libertà e pace interroga Gesù. È proprio lui il Messia, cioè il Salvatore”.
La risposta alla domanda di Giovanni è nei gesti, nelle parole di Gesù: “sono loro: gli ultimi, i poveri, i malati a parlare per Lui. Il Cristo annuncia chi è attraverso quello che fa. E quello che fa è per tutti noi segno di salvezza”. È colui che annuncia la buona notizia ai poveri e dalla prigione dello “sconforto e della sofferenza ci libera la parola di Gesù”. Cristo “dà parola agli oppressi, ai quali violenza e odio hanno tolto la voce; egli vince l’ideologia, che rende sordi alla verità; egli guarisce dalle apparenze che deformano il corpo”.
In San Pietro celebra messa in questo ultimo grande evento del calendario dell’Anno santo. Ricorda il suo precessore che, nel carcere romano di Rebibbia, ha aperto la Porta Santa, e dice: “che nessuno vada perduto! Che tutti siano salvati! Questo vuole il nostro Dio, questo è il suo Regno, a questo mira il suo agire nel mondo”. Papa Francesco invitava “a credere sempre nella possibilità di un futuro migliore” afferma Leone XIV, e chiamava a essere “con cuore generoso, operatori di giustizia e di carità negli ambienti in cui viviamo”.
Ma non nasconde, il vescovo di Roma, le difficolta che ancora ci sono: “dobbiamo riconoscere che, nonostante l’impegno di molti, anche nel mondo carcerario c’è ancora tanto da fare in questa direzione”. E aggiunge: “il carcere è un ambiente difficile e anche i migliori propositi vi possono incontrare tanti ostacoli. Proprio per questo, però, non bisogna stancarsi, scoraggiarsi”. Per questo, afferma, è bene comprendere “che da ogni caduta ci si deve poter rialzare, che nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto e che la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione”.
Il Giubileo, nella tradizione biblica, era un anno destinato a ristabilire il corretto rapporto nei confronti di Dio, tra le persone e con la creazione, e Francesco aveva auspicato, nella Bolla Spes non confundit, un gesto di clemenza verso i detenuti, ovvero “forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società”.
Papa Leone, mentre auspica che il desiderio del suo predecessore possa trovare ascolto, afferma nell’omelia che “il compito che il Signore vi affida – a tutti, detenuti e responsabili del mondo carcerario – non è facile. I problemi da affrontare sono tanti. Pensiamo al sovraffollamento, all’impegno ancora insufficiente di garantire programmi educativi stabili di recupero e opportunità di lavoro. E non dimentichiamo, a livello più personale, il peso del passato, le ferite da medicare nel corpo e nel cuore, le delusioni, la pazienza infinita che ci vuole, con sé stessi e con gli altri, quando si intraprendono cammini di conversione, e la tentazione di arrendersi o di non perdonare più”.
Infine, nel dopo angelus, il pensiero va alla Repubblica democratica del Congo dove sono ripresi sconti e violenze. Dal Papa l’invito a “cessare ogni forma di violenza e a ricercare un dialogo costruttivo, nel rispetto dei processi di pace in corso”.
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