Cnel: i giovani scappano dall’Italia, inseguendo il lavoro e una vita migliore
Secondo l’ultimo rapporto del Cnel, tra il 2011 e il 2024, 630.000 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese: il 7% dell’intera popolazione giovanile. Il Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che in molti vorrebbero abolire perché, a fronte di un costo enorme di mantenimento della struttura, non mostra un suo chiaro contributo allo sviluppo del Paese, in questa occasione, fornisce elementi di lettura della realtà che dovrebbero fondare una strategia politica economica specifica. Solo nel 2024 gli espatri sono stati 155.000, mentre circa 50.000 sono rientrati. La perdita di capitale umano accumulata in quattordici anni è valutata in 159,5 miliardi di euro, pari al 7,5% del Pil.
Cosa cercano i giovani all’estero? Un lavoro stabile e molto meglio pagato, ma soprattutto una migliore qualità della vita. Qualcuno osserva che la tendenza in atto è quella di “rimescolarsi”, anche alla luce del fenomeno “Erasmus”, ma si tratta di un giudizio inesatto, perché a fronte della marea di giovani che espatriano sono pochissimi quelli che vengono a risiedere in Italia. Lo stesso Cnel, infatti, è costretto a riconoscere la scarsa attrattività del Paese.
E persino la quota di migranti che si stanzia nel nostro Paese è di gran lunga inferiore al numero di coloro che va via. Nel 2024, dicevamo, il numero degli espatri è salito a 155mila (+36.5%). Parallelamente, i rimpatri sono diminuiti (da 61mila a 52mila, -14,3%), ampliando così la perdita netta di cittadini italiani: il saldo è passato da -53mila a -103mila in soli dodici mesi. Il Mezzogiorno fa registrare un doppio esodo, infatti oltre alle perdite di giovani risorse dovute alle migrazioni internazionali, si aggiungono anche quelle relative alla mobilità verso il Centro-nord, accentuando ancora di più il dualismo territoriale tra le due aree del Paese. Il giovane capitale umano trasferito nel 2011-24 dal Mezzogiorno al Nord, corrisponde a un valore di 147 miliardi di euro, di cui 79 miliardi relativo al trasferimento dei giovani laureati, 55 a quello dei diplomati e 14 a quello dei non diplomati. E in una situazione del genere c’è chi insiste ancora su un’autonomia differenziata che aggravi ancora di più lo squilibrio
Venendo in particolare alla Puglia, si calcola che siano stati 130.000 i giovani che, negli ultimi 14 anni, si sono trasferiti all’estero.
Nel 2011-24 si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, 484mila giovani italiani. Al netto di quelli che sono arrivati, 240mila sono andati nel Nord-Ovest dal resto d’Italia, 163mila nel Nord-Est e 80mila nel Centro. L’afflusso top si è registrato in Lombardia con 192mila, seguito dall’Emilia-Romagna (106mila) e Piemonte (41mila).
E allora? Cosa fare? Ecco che lo stesso Cnel, presieduto notoriamente dall’ex ministro Brunetta, chiarisce che la situazione esige risposte concrete, rapide, efficienti ed efficaci, su tutti: l’aumento dei salari, il welfare, una politica industriale seria e di largo respiro, più servizi, investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, per collegare le diverse realtà del nostro Paese, semplificazione fiscale per stimolare l’imprenditorialità, un sistema universitario che non sia una corsa a ostacoli, ma basato su percorsi di studio ben definiti e stabili nel tempo, così da favorire un più regolare ingresso nel mondo del lavoro e tornare un paese attrattivo per i giovani e non solo.
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