Amazon alla conquista del Fantasy

06 Dic 2021

di Sergio Perugini

Che “Il Trono di Spade” (“Game of Thrones”) abbia segnato il panorama televisivo nel decennio 2010-20 è innegabile; la serie tv ha di fatto cambiato le logiche del racconto seriale, del genere fantasy ma non solo. Prodotta da HBO la saga targata David Benioff e D.B. Weiss, uscita dalla penna di George R.R. Martin, conta ben 8 stagioni e 73 seguitissimi episodi che hanno polverizzato record su record. Ormai da alcuni anni i colossi dello streaming stanno cercando in maniera insistente un titolo capace di raccoglierne l’eredità narrativo-spettatoriale. Netflix ad esempio ci sta provando con “The Witcher” (dal 2019, la seconda stagione è in arrivo a dicembre 2021) e con “Tenebre e Ossa” (“Shadow and Bone”, la seconda in preparazione per il 2022), mentre Amazon con la piattaforma Prime Video sta puntando tanto sul rifacimento del “Signore degli Anelli” quanto sulla nuova serie “La ruota del tempo” (“The Wheel of Time”), adattamento dell’omonima saga fantasy nata negli anni ’90 dalla penna di Robert Jordan (vero nome James Oliver Rigney) e proseguita alla sua morte da Brandon Sanderson, per un totale di 14 volumi.

Sulle tracce del Drago. In un mondo che si gioca in una continua e aspra battaglia tra luce e tenebre, la vita dell’uomo oscilla in base ai movimenti della Ruota del Tempo. Figura chiave nell’impedire l’avanzata dell’oscurità è il Drago, la sua reincarnazione in un giovane uomo. Moiraine, donna dai poteri magici appartenente all’organizzazione millenaria delle Aes Sedai, rintraccia i segni del Drago rinato in quattro giovani.

L’impegno produttivo è di certo evidente nonché oneroso. Parliamo della prima stagione della “Ruota del Tempo” (8 episodi), ideata da Rafe Lee Judkins. Lo sfondo narrativo è quello comune al “Trono di Spade”, una sorta di Medioevo fantasy dove l’esistenza dell’uomo è segnata dalla presenza della magia e da una vertigine vibrante che attira verso il male, verso la corruzione. Se l’ambientazione e in generale la messa in scena risultano accurate e sontuose, non sempre gli effetti speciali tengono il passo. Da un punto di vista narrativo, poi, i primi episodi risultano di certo avvincenti, forse un po’ appesantiti da inserti didascalici, da un eccesso di spiegazioni funzionali comunque alla comprensione di una storia particolarmente articolata. Tra gli interpreti capofila c’è la britannica Rosamund Pike, che si sta distinguendo sempre di più per interpretazioni versatili: suoi sono “L’amore bugiardo” (2014), “Hostiles” (2017), “A Private War” (2018) e “Radioactive” (2019). Nel cast figura anche lo spagnolo Álvaro Morte, popolarissimo interprete della “Casa di Carta” nel ruolo del Professore. Nel complesso la serie “La Ruota del Tempo” parte con le migliori intenzioni, anche se la dimensione stilistica-narrativa non vanta ancora una chiara originalità, una piena riuscita. Dal punto di vista pastorale “La Ruota del Tempo” è complessa, problematica e per dibattiti.

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La Prisma al giro di boa: è il momento di osare di più

06 Dic 2021

di Paolo Arrivo

Dagli attacchi in diagonale di Giulio Sabbi a quelli in primo tempo di Aimone Alletti, ai muri di Gabriele Di Martino, alle schiacciate del brasiliano Joao Rafael passando per i salvataggi in ricezione: di azioni spettacolari ne abbiamo viste, a firma del gruppo diretto da Vincenzo Di Pinto. Azioni sospinte dalla tecnica e dalla grinta. Qualità che non mancano alla Prisma. Ma è tutt’altro che una passeggiata l’avventura in Superlega: quando mancano tre turni alla chiusura del girone d’andata (3 per Taranto, che ha già giocato la decima giornata nell’anticipo del 18 novembre) gli ionici si ritrovano, con 7 punti, al terz’ultimo posto in classifica, in coabitazione col Vibo Valentia. La Prisma è stata chiamata a gettare il cuore oltre l’ostacolo nel confronto con le big. I ragazzi lo hanno fatto combattendo contro l’Itas, dopo aver perso nettamente sul campo dei campioni del mondo della Lube Civitanova, che attualmente è capolista, con ben 6 punti di vantaggio su Perugia e Trentino. In entrambi gli incontri sono stati artefici di ottime partenze. Ovvero, nei primi due set, hanno retto il confronto. Laddove si poteva fare punti, contro formazioni meno quotate, dirette concorrenti alla salvezza (Padova, Ravenna), non hanno tradito le attese vincendo e giocando anche un’ottima pallavolo. Domenica scorsa poi è arrivata la resa. Ma la netta sconfitta inflitta dalla Gas Sales Piacenza per 3-0 (25-18, 28-26, 25-15) va ridimensionata, almeno nella seconda frazione di gioco, tenuta sempre sul filo dell’equilibrio dagli ionici. La Prisma comunque sta crescendo di condizione nella prima parte di stagione. Anche il pubblico del PalaMazzola ha fatto il salto di qualità riempiendo sempre più, e civilmente, gli spalti dell’ex tempio della pallacanestro rosa. Il contributo degli spettatori sarà importante ancora: dopo un weekend libero da impegni, la Prisma tornerà in campo il giorno dell’Immacolata ospitando in casa la Top Volley Cisterna. I laziali hanno una straordinaria tempra. Si pensi che nella sfida col Milano, vinta ai tie-break, hanno portato la partita a una durata di quasi tre ore! Due e 55 minuti per l’esattezza: per la pallavolo maschile si tratta del nuovo record.

Si preannuncia un’altra sfida delicata, insidiosa, contro chi è reduce da una sconfitta dignitosa: la Lube ha vinto per 3-0 ma, nei primi due set, di misura (25-23, 25-23). Ad ogni modo, non può essere proibitiva. La sensazione è che agli ottimi atleti della società presieduta da Tonio Bongiovanni, personaggio vulcanico e trascinatore, a livello mentale manchi qualcosa. Non in termini di combattività, che abbiamo anzi esaltato, quanto nella capacità di mantenere il ritmo nei momenti topici della gara, per portarsela a casa. Il gruppo deve ricompattarsi e ripetere la prestazione impeccabile realizzata nel match contro la Kione. Il morale, adesso, non può essere a mille, dopo tre sconfitte rimediate nel giro di 7 giorni: sta al “mago di Turi” trovare la cura. L’auspicio è che si possa svoltare già questa domenica. Ma per sconfiggere formazioni più attrezzate, e più esperte nella massima serie nazionale di pallavolo, occorre dare di più. Imparare a divertirsi sul campo di gioco. Ce lo ha insegnato anche la nazionale di calcio guidata da Roberto Mancini, prima che si materializzasse l’incubo playoff… Niente è impossibile quando si fa gruppo. Quando ci si ricorda che lo sport è gioia, libertà di muoversi. Lo è particolarmente in questo momento storico.

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Amici della musica, per il centenario apertura alla grande con Ughi e Canino

Coi loro 163 anni in due, Uto Ughi (77) e Bruno Canino (86) hanno portato un’ondata di freschezza al pubblico che ha gremito (finalmente) il Teatro Fusco in ogni ordine di posti, per il concerto d’apertura della stagione n.78.

06 Dic 2021

di Silvano Trevisani

Coi loro 163 anni in due, Uto Ughi (77) e Bruno Canino (86) hanno portato un’ondata di freschezza al pubblico che ha gremito (finalmente) il Teatro Fusco in ogni ordine di posti, per il concerto d’apertura della stagione n.78. Un inizio che più azzeccato non poteva essere per un anno da record, per l’Associazione Amici della musica “Arcangelo Speranza” che celebra il centenario dalla nascita, avvenuta nel 1922. L’attività concertistica si avviò, in quell’anno, con un recital del pianista e compositore Amilcare Zanella e dell’allora quindicenne violinista martinese Gioconda De Vito, destinata a diventare una delle più grandi interpreti dell’archetto di tutto il Novecento.

Un evento che è stato sottolineato, in una piccola cerimonia che ha preceduto il concerto, dal presidente dell’associazione musicale, Paolo Ruta che, chiamati tutti i soci, ha voluto sottolineare l’importanza dell’evento che fa degli Amici della musica una delle compagini associative di cultura musicale più antiche d’Italia. Ha quindi ricordato come, a partire dal dopoguerra, l’attività organizzativa dell’”Arcangelo Speranza”, interrotta negli anni precedenti per gli eventi bellici, non si é più interrotta, ma come si è andata invece arricchendo di altri eventi, come il Concorso pianistico internazionale Arcangelo Speranza, divenuto dei dei più importanti d’Italia, o il Festival Giovanni Paisiello, che precede la stagione concertistica che, nel corso degli anni, è andata modificandosi. Per rispondere al gusto del pubblico e al progresso della musica, infatti, si è andata arricchendo di concerti dedicati alla musica “leggera”, pur sempre d’autore, o al jazz.

Ruta ha ricordato alcuni dei nomi più importanti che si sono succeduti, nel corso degli anni, sui palcoscenici tarantini, tra i quali figurano un po’ tutti i maggiori artisti del XX e XXI secolo.

Accolti da un lungo applauso, Uto Ughi, uno dei più grandi e più noti musicisti italiani, che Taranto conosce benissimo per le sue numerose presenze in città, anche in occasione di vari eventi, e Bruno Canino, che oltre ad essere un grande esecutore e compositore, è considerato forse il maggiore tra gi accompagnatori al piano, avendo collaborato con Severino Gazzelloni, Salvatore Accardo, Victoria Mullova (che tra l’altro terrà un concerto a marzo proprio nell’ambito della stagione degli Amici della musica), Oleksandr Semchuk e tanti altri.

 

Facendo cantare il suo Stradivari con una voce acuta e irripetibile, Ughi ha incantato il pubblico, con un virtuosismo che non concede mai nulla all’istrionismo ed è un piacere, oltre che per gli orecchi anche per gli occhi, che seguono anche la passione sobria con la quale insegue le dita danzare sullo strumento. Il repertorio presentato dal “duo”, con qualche variazione sul programma della serata era composto da Mozart e Beethoven, la cui Sonata n.7 è stata più volte interrotta dagli applausi di un pubblico non sempre avvezzo al repertorio classico, ma senza che i due artisti ne facessero alcun conto. Nella seconda parte, Ughi e Canino hanno presentato la Suite popolare spagnola di Manuel de Falla, rielaborazione del ciclo di sette canzoni con cui il compositore iberico utilizzò il folclore della sua terra, secondo un processo di reinvenzione del canto popolare. Quindi: la “Méditation” per pianoforte di Ciaikovskij e, invece della “Fantasia da concerto sulla Carmen” di Pablo de Sarasate, una fantasia delle aree della “Carmen” di Bizet, forse per andare incontro al “gusto” del pubblico, e che infatti ha manifestato un gradimento enorme.

Prossimo appuntamento per il concerto di Natale con il Gospel Brothers & The Voice of Worship (22 dicembre).

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Al Crac la presentazione del libro di Pietro Marino

06 Dic 2021

Un viaggio nelle vicende dell’arte e della società in Puglia dagli anni ‘60 alle soglie degli anni ‘80, ma con specifico riferimento all’area metropolitana di Bari, è quello che propone il libro Diari dell’Arte Levante-Bari 1960-1980, scritto dal critico e giornalista Pietro Marino, già docente di storia dell’arte nelle accademie pugliesi. Il libro, edito da Gangemi, sarà presentato venerdì 10 dicembre alle ore 18, negli spazi del CracPuglia (corso Vittorio Emanuele II n. 17).

Marino, testimone e protagonista di una stagione culturale che vide la stampa, in particolare “La Gazzetta del Mezzogiorno”, assumere un ruolo importante non solo nel racconto ma anche nello sviluppo della cultura artistica contemporanea in terra di Puglia, può considerarsi un po’ il regista di questa svolta, grazie anche ai diversi ruoli assunti, rievoca quell’avventura a mo’ di diario personale, al compimento del 90simo compleanno.

Testimone e protagonista di tante storie, Marino narra, con dovizia di particolari, di movimenti locali degli artisti, combattuti fra spinte all’innovazione e resistenze delle tradizioni, di iniziative ed accadimenti per un sistema dell’arte con i suoi premi e progetti incompiuti di strutture pubbliche per la cultura della visione e il proliferare di gallerie private, fra tensioni al cambiamento e rincorsa ai gusti presunti del pubblico.

“La città si fa luogo di riferimento delle tensioni crescenti – scrive Pietro Marino – verso il nuovo e delle resistenze di vecchi parametri. (…) Si concentrano a Bari i tentativi di più lunga durata e di maggiore consistenza strutturale, per connettere la cultura visiva di una periferia dell’impero alle dinamiche dei centri di potere e di indirizzo”. Una narrazione appassionante anche per immagini, tesa a ricostruire con vivezza di ricerca documentaria, storie esemplari di un’arte “levante”. La pubblicazione è stata voluta dall’Accademia di Belle Arti di Bari per celebrare, senza retorica, i 50 anni dell’istituzione accademica.

 

L’incontro sarà introdotto da Giulio De Mitri, artista e presidente del comitato scientifico del Crac Puglia e Giancarlo Chielli, docente di beni culturali e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bari.

Interverranno Antonio Basile, critico d’arte e già docente di antropologia culturale all’Accademia di Lecce,Aldo Perrone, scrittore e presidente del Gruppo Taranto, Vitantonio Russo, artista e già docente di economia dei beni culturali all’Università di Bari, Silvano Trevisani, scrittore e giornalista professionista.

Modererà Roberto Lacarbonara, direttore artistico del Crac Puglia.

L’incontro è promosso ed organizzato dal Crac della Fondazione Rocco Spani onlus, nell’ambito della mostra Opera nell’opera. Omaggio a Giovanni Paisiello. Progettualità ambientale per un monumento alla Musica,in corso sino al 30 gennaio 2022, ed è patrocinato dall’Accademia di Belle arti di Bari e dalla Regione Puglia, assessorato all’Industria turistica e culturale.

Pietro Marino ha scritto dal 1962 al 2021, per il quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” di cui è stato anche vicedirettore, condirettore, direttore editoriale. Titolare di cattedra di storia dell’arte nelle Accademie di Belle Arti di Lecce e Bari dal 1968 al 1980, è stato segretario della Mostra nazionale di Pittura – Biennale d’Arte del “Maggio di Bari” dal 1956 al 1966; segretario di ExpoArte (Fiera internazionale d’arte contemporanea di Bari) nei due primi anni di fondazione, 1976-1977.

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Utopia, la Mostra del cinema di Taranto per ripartire da dove ci eravamo lasciati

06 Dic 2021

Quest’edizione sarà totalmente digitale e gratuita. Quindici film in gara, provenienti da ogni parte del mondo. La kermesse, che è già in corso, si concluderà il 5 dicembre

 

Si riparte da dove si è stati costretti ad interrompere a causa del Covid19. Dopo un anno di stop, torna, recuperando il tema del 2020, Utopia, la Mostra del cinema di Taranto. Un’edizione in versione totalmente digitale e gratuita. Sono quindici i film in gara, provenienti da ogni parte del mondo. Queste le pellicole selezionate per vincere titolo e premio in denaro, visibili su www.mostracinemataranto.com e www.levantefilmfest.com: “Un voto all’italiana” di Paolo Sassanelli, “San Cipriano Road” di Lea Schlude, “A Vif” di Felicien Pinot, “Uva” di Roberto Moretto, “Il cammino di Taras” di Michele A.Tironi, “Mother Fortress” di Maria L. Forenza, “Kolossal” di Antonio Andrisani, “Il mio cinema” di Kazuya Ashizawa, “Tina Pica” di Daniele Ceccarini, “Aquarium” di Lorenzo Puntoni, “Memory, mask and machine in the theatre of Robert Lapage” di Annamaria Monteverdi, “Il regalo di Alice” di Gabriele Marino, “Le Petit” di Lorenzo Bianchi, “Il Natale di Greta” di Lorenzo Trane, “Six” di Anar Asimov. La kermesse è già in corso e si concluderà il 5 dicembre.

 

Oltre i film, tre workshop su produzione, recitazione e regia, una conferenza e una rassegna. L’organizzazione, a cura di Levante International Film Festival-Mostra del Cinema di Taranto, ha pensato di raccogliere il pubblico attraverso il web e renderlo protagonista diretto. Infatti gli utenti avranno la possibilità di votare i film in gara e la loro valutazione sarà sommata a quella della giuria di esperti, composta da Corrado Azzollini, giornalista e produttore, dagli attori Azzurra Martino e Ignazio Oliva, dallo scenografo Gaetano Russo e dal regista Habib Mestiri. «Ci rimettiamo in marcia- dice Mimmo Mongelli, direttore artistico della Mostra – anche se un overture di questa edizione c’era già stata la scorsa estate in presenza con “Medioevo Prossimo Venturo” che avevamo organizzato sul mar Piccolo. L’essere online non vuole essere una diminutio rispetto ad un festival in presenza, ma una modalità per arrivare a più gente possibile e rendere quanto più fruibili le opere. Ci saranno registi provenienti da Ucraina, Francia, Giappone ma pur guardando al mondo, la kermesse mantiene l’epicentro su Taranto, sul territorio. Ci tengo a dirlo perché il nostro interesse è anche la promozione del territorio attraverso il cinema». E la scelta del tema? «L’atto finale, la conclusione di un percorso che abbiamo fatto già dal 2016 con un’edizione in cui abbiamo parlato dell’identità e una della metamorfosi. Stavolta a guidarci è un filosofo, un noto studioso e docente universitario, Valerio Meattini, che ci chiamerà del significato e del senso da attribuire a questa parola». Durante l’ultima giornata si terrà la rassegna “Frammenti di Utopia da Alexsandr Sokurov” a cura di Roberto Gambacorta, responsabile per il Centro Sperimentale di Cinematografia della produzione di numerosi filmati didattici e di documentazione sul patrimonio culturale. Molto interessanti anche i workshop. Quello del 2 dicembre ha riguardato la produzione cinematografica, resa ancora più complessa in questo momento storico, a causa del Covid19. Corrado Azzolini ha spiegato come si crea, finanzia, realizza e distribuisce un film se si è produttori indipendenti. Habib Mestiri, regista, il prossimo 4 dicembre invece, in un altro approfondimento tematico, spiegherà come fare a girare cinema d’autore in emergenza, a basso costo e senza protagonisti. Venerdì 3 spazio agli attori: Ignazio Oliva racconterà come si prepara e costruisce un personaggio dalla fase teorica alla pratica fino all’atto finale, davanti alla macchina da presa.

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Il messaggio di mons. Maniago eletto arcivescovo Catanzaro-Squillace

06 Dic 2021

“Sono grato a papa Francesco per la fiducia che ripone nella mia persona e assicuro a lui come a voi tutti la mia disponibilità a spendermi con tutto il cuore per camminare insieme sulla via che il Signore apre davanti a noi in questo tempo di grandi prove, ma anche di grandi opportunità”. Lo ha scritto mons. Claudio Maniago, arcivescovo eletto di Catanzaro-Squillace, nel primo messaggio rivolto alla diocesi calabrese dopo l’annuncio ufficiale della nomina, avvenuto ieri.

“Il Santo Padre – ha evidenziato il presule – mi chiama a servire il popolo di Dio in questa terra calabrese così ricca di fede, di tradizione, di carità, testimoniata da numerosi santi e sante, beati e beate che arricchiscono la sua storia, anche recente”. Mons. Maniago ha scritto di voler “camminare insieme a voi presbiteri e diaconi, condividendo la passione di un ministero che vogliamo vivere come autentico servizio al popolo di Dio affidato alle nostre cure pastorali” e “insieme a voi, persone sofferenti nel corpo, ma anche nello spirito, assicurandovi fin d’ora un posto particolare nelle mie preghiere”. Considerando “le ricchezze storiche, culturali e naturali di questa nostra terra calabrese”, mons. Maniago ne ha evidenziato “anche la complessità di tante problematiche che la attraversano creando situazioni di povertà, di ingiustizia e di sofferenza”. Salutando gli altri vescovi calabresi, ha assicurato “uno spirito di autentica collegialità”, nonché “il servizio al Vangelo per l’edificazione del regno di Dio in questa meravigliosa regione”.

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Papa Francesco a Cipro – L’incoraggiamento di papa Francesco “a continuare a essere un laboratorio di dialogo e un ospedale da campo”

06 Dic 2021

L’attesa della Chiesa cipriota nelle parole del patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa: “Una Chiesa viva e multiculturale che attende conforto dal pontefice, per essere sostegno ai più bisognosi come i migranti in fuga da guerre e povertà”

 

 

“La Chiesa di Cipro è una realtà multiculturale, creativa e colorata. Il numero dei fedeli locali è più piccolo rispetto a quello dei migranti stabilitisi nell’isola. È una chiesa molto viva, grazie anche alla presenza di laici impegnati e di migranti, che saprà trarre un grande conforto e incoraggiamento dalla visita del Pontefice”: il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, è a Cipro per attendere l’arrivo di Papa Francesco. L’isola, che fa parte della diocesi patriarcale di Gerusalemme, torna così a ricevere un Papa per la seconda volta nell’arco di poco più di 10 anni: il primo fu Benedetto XVI nel giugno 2010. Ora papa Francesco. Ad accogliere il pontefice argentino sarà proprio il patriarca latino che al Sir racconta il clima di attesa nell’isola, ma soprattutto il messaggio che la comunità cattolica e cristiana cipriota intende lanciare alla Chiesa universale e, perché no, anche all’Europa. Cipro, dal 2004, è un Paese membro dell’Ue anche se diviso in due poiché la parte dell’isola sotto controllo turco dal 1974 (denominata Repubblica turca di Cipro del Nord) é riconosciuta solo dal governo di Ankara. “Cipro è una terra separata da un muro e per questo ferita – dice al Sir Pizzaballa -. Il Muro che l’attraversa ci ricorda che non dobbiamo farci illusioni, la strada della riunificazione è ancora lunga, le divisioni sono profonde e chiedono tempo. La riconciliazione è una visione di lungo respiro che invoca coraggio e una fede convinta”, che la presenza del Papa non potrà che rafforzare. Oltre alla “voglia di riunificazione” la Chiesa cipriota intende testimoniare anche la bontà del suo cammino ecumenico. Spiega il patriarca latino: “le relazioni tra la Chiesa cattolica locale e quella ortodossa sono ottime. Quest’ultima ha messo a disposizione dei cattolici diverse chiese per permettere le celebrazioni. Cipro, come detto, è un’isola dove non mancano ferite, tensioni e divisioni, un riflesso di situazioni presenti in Medio Oriente, ma qui non hanno provocato irrigidimenti o polarizzazioni”.

Laboratorio di convivenza.Una Chiesa laboratorio di convivenza e dialogo che si concretizzano anche in campo sociale e caritativo.

“Papa Francesco parla spesso di una Chiesa ‘ospedale da campo’ – afferma Pizzaballa – quella di Cipro è una Chiesa che si rimbocca le maniche e si dà da fare”.

Anche i numeri lo testimoniano: “A causa degli sviluppi regionali e della più ampia crisi migratoria iniziata nel 2015 – spiegano da Caritas Internationalis – Caritas Cipro ha visto un drammatico aumento delle richieste di assistenza da parte dei rifugiati e richiedenti asilo. Caritas Cipro è una delle poche organizzazioni umanitarie locali che forniscono assistenza diretta ai rifugiati e richiedenti asilo. Attualmente, circa il 99% delle persone servite da Caritas Cipro è di origine migrante. Nel 2019 e nel 2020 Caritas Cipro ha registrato circa 2.300 nuovi beneficiari, una cifra che ha continuato ad aumentare nella prima metà del 2021 raggiungendo quota 1.500. Nel 2020, il numero di famiglie servite è stato di 3.822 provenienti da 66 Paesi diversi”. Anche così si porta speranza a quanti sono poveri e vivono ai margini della società cipriota. “Spesso, nella Chiesa, pensiamo alle strutture, a cosa fare e costruire – aggiunge il patriarca latino -. C’è una parrocchia a Paphos che non ha nulla, non ha una chiesa, non ha una canonica, eppure funziona benissimo come parrocchia, grazie ai laici e all’aiuto della chiesa ortodossa. Qui i sacerdoti sono pochi e i laici sono in prima linea nel dare il loro contributo”. La presenza di tanti migranti, ribadisce Pizzaballa, “ci ricorda che quello delle migrazioni non è un fenomeno temporaneo o episodico, ma globale che ha bisogno di risposte globali anche da un punto di vista pastorale. Per questo dobbiamo pensare ai migranti come parte integrante e risorsa della vita della Chiesa. A Cipro questo è un dato di fatto”.

Messaggio all’Europa.“Quella che sta per cominciare a Cipro e in Grecia, due Paesi bagnati dal Mediterraneo – continua il patriarca latino – è una visita  che lancia un messaggio all’Europa. Tutto ciò che accade in questo Mare sarà determinante per il Vecchio Continente. Penso alla questione energetica, all’incontro tra Oriente e Occidente con tutte le sue implicazioni, ai migranti dal Medio Oriente e dall’Africa, tutte situazioni che qui si affacciano in maniera acuta e che arriveranno in Europa. Da sempre Cipro è una finestra per l’Oriente sull’Occidente, e viceversa. Da qui si vedono immediatamente sia le ferite sia i fenomeni che toccheranno le due sponde del Mare Nostrum. L’onda lunga di questa visita la vedremo a Firenze alla fine di Febbraio quando si ritroveranno – dopo l’evento di Bari – i vescovi del Mediterraneo e i sindaci della città più grandi che vi si affacciano”.

Pensiero a Betlemme.Da Gerusalemme il patriarca ha portato con se una icona di san Barnaba fatta a mano da artigiani cristiani di Betlemme: è il dono per Papa Francesco. “È molto bello – dice – che in un momento particolarmente duro per Betlemme, i cristiani locali abbiano avuto questo pensiero. Questa icona serve a ricordare che presto sarà Natale e non ci saranno pellegrini a festeggiare. Le ultime restrizioni adottate in Israele a causa della variante Omicron del Covid-19 stanno allontanando le residue speranze di ripresa dei pellegrinaggi, almeno per ora. A Cipro pregheremo anche per la Terra Santa”.

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Il messaggio di speranza della Giornata del volontariato

06 Dic 2021

di Marina Luzzi

L’arcivescovo Filippo Santoro: «La funzione del volontariato è importante anche per l’educazione delle persone, perché insegna ad interessarsi dell’altro e non aspettare che sia l’altro interessarsi di te»

«È un momento critico, in cui le persone sentono che devono entrare in campo, dare il proprio tempo a chi ha bisogno. Cresciamo se siamo attenti agli altri, ci doniamo e non quando ci chiudiamo in noi stessi. Il nostro volontariato qui a Taranto è riferimento importante nella vita della comunità. Ci sono tante realtà con cui collaborare. Il mio invito è a provarci: sembra di dare qualcosa invece riceviamo molto di più, cresciamo come umanità». Sono le parole dell’arcivescovo della diocesi di Taranto, mons. Filippo Santoro, ai tanti volontari che per tutto il giorno, mercoledì 1 dicembre, hanno animato la sede tarantina di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, in Città vecchia. Il primo ritrovo in presenza, in occasione della 36esima Giornata internazionale del Volontariato, promossa dalle Nazioni Unite, è stato segnato dallo slogan “Agire il presente per costruire il futuro!”. «Offriamo la speranza. La speranza è legata al volontariato, alla solidarietà, all’attenzione all’altro. Questo è crescere. Non si tratta solo di sostituire ciò che le istituzioni non riescono a fare ma di educare una società ad un mondo più giusto e ciascuno di noi a mettere al centro non solo se stesso» – ha concluso mons. Santoro. La mattinata è stata dedicata al racconto delle esperienze, alle testimonianze, ai laboratori con gli studenti per fare conoscere il variegato mondo del terzo settore ai più giovani. Abbiamo raccolto la testimonianza di un ospite in accoglienza a Paolo VI, in quella che fu uno storico convento di clausura e che oggi invece accoglie migranti e senza fissa dimora: casa madre Teresa, gestita dall’associazione Noi e Voi. «Ero emozionatissima di fronte ai ragazzi di alcune scuole – ha detto Anna (nome di fantasia a tutela della privacy, ndr) non sapevo cosa volesse dire essere volontaria, nessuno me ne aveva mai parlato, poi la mia vita è cambiata e ho conosciuto dei volontari che si prendono cura di me, e ne ho compreso il senso … Mettetevi alla prova, scoprite il senso di questa parola. È bellissimo».

La Giornata, promossa dal Centro Servizi Volontariato di Taranto, ha coniugato nelle tante attività una serie di temi: l’inclusione di chi spesso resta indietro, la lotta ai cambiamenti climatici, lo sviluppo sostenibile. Nel pomeriggio spazio anche ad un incontro per addetti ai lavori, sul tema del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, destinato a sostituire i registri delle associazioni di promozione sociale, delle organizzazioni di volontariato e l’anagrafe delle onlus. L’attivazione è partita pochi giorni fa, il 23 novembre scorso e sono tanti gli interrogativi che sono stati posti agli esperti del settore. «Dopo quattro anni – ha spiegato Francesco Riondino, presidente del CSV di Taranto – finalmente il Registro è andato in esercizio e c’è la possibilità della nuova iscrizione e intanto è iniziata la trasmigrazione dei dati dagli uffici regionali a quello centrale, del RUNS (l’acronimo del Registro, ndr). Così finalmente avremo la denominazione di ente del terzo settore, con tutti i benefici economici e fiscali che questo comporterà». Una rivoluzione che è prima di tutto culturale e riconosce al mondo del volontariato lo spazio che merita.

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I rischi, le paure, le aspettative di Taranto, città commissariata

06 Dic 2021

di Silvano Trevisani

Il commissario prefettizio Vincenzo Cardellicchio, insediatosi nei giorni scorsi, ha scatenato delle reazioni non volute dicendo che farà tutto quello che potrà per la città, ma non può essere considerato come un sindaco. Abbiamo provato a contattare gli ex consiglieri Stellato e Fornaro, rispettivamente di maggioranza e minoranza, per avere un commento in merito alle loro dimissioni, ma non ci hanno ricontattato così come promesso.

 

 

Il commissariamento del Comune di Taranto che, per ammissione dello stesso ex sindaco Rinaldo Melucci, non è stato certo un “fulmine a ciel sereno”, dal momento che i presupposti andavano da tempo maturando, è divenuto operativo di fatto con la nomina e l’insediamento, nel ruolo di commissario prefettizio, di Vincenzo Cardellicchio.

 

Quello del commissariamento per il Comune di Taranto non è un evento nuovo né insolito, avendone fatto più volte esperienza nel corso degli anni, l’ultima volta dopo lo scioglimento per dissesto della giunta Di Bello, quando venne nominato commissario il prefetto Tommaso Blonda, scomparso nel 2016.

Nato a Campobasso nel 1954, Cardellicchio ha svolto una lunga carriera prefettizia che lo ha portato, tra l’altro, a svolgere il ruolo di consigliere vicario per gli Affari interni al Quirinale, durante la presidenza Napolitano, di capo di gabinetto vicario dei ministri degli Interni Maroni e Cancellieri, quello di presidente della Commissione nazionale della legalità e presso il dipartimento delle Informazioni per la sicurezzadella presidenza del Consiglio dei ministri con il sottosegretario Minniti e i presidenti Monti, Gentiloni, Renzi e Conte.

Nel corso di una breve conferenza stampa nel salone degli specchi di Palazzo di città, il nuovo commissario ha presentato innanzi tutto se stesso, come “semplice servitore dello Stato”, e poi le persone che lo assisteranno nell’incarico per i prossimi mesi, ovvero: Maria Luisa Ruocco, sinora capo di gabinetto della prefettura di Taranto, e Michele Albertini, sinora dirigente dell’area contabile e gestione finanziaria presso la prefettura di Brindisi. Mentre da collante operativo tra l’amministrazione sciolta e il commissario farà il segretario generale dell’ente, Eugenio De Carlo.

L’arrivo del commissario è stato preceduto, come era facile prevedere, da polemiche velenose tra gli amministratori decaduti dal loro incarico e i firmatari delle lettere di dimissioni che, con la loro iniziativa, hanno chiuso in anticipo il mandato del sindaco Rinaldo Melucci e della sua giunta, oltre che del consiglio. Al di là delle reciproche accuse su comportamenti e atteggiamenti, specifiche sottolineature riguardavano il blocco delle decisioni relative ai vari progetti portati avanti dall’amministrazione e il rischio di perdere i finanziamenti sui quali la città punta, soprattutto in attuazione del Pnrr.

Ebbene, il commissario Cardellicchio, probabilmente in maniera inconsapevole, è intervenuto in questa diatriba quando, pur sottolineando che la legge non prevede alcun limite specifico per l’azione del commissario, ha dichiarato che “Il migliore dei commissari non sarà mai bravo come un sindaco, perché non ha la carica emotiva che proviene dal consenso”. E ha poi aggiunto che “il consenso elettorale è una spinta, perché ogni giorno quando esci di casa devi poter guardare negli occhi coloro che ti hanno votato. Il commissario ha il privilegio di non essere eletto, ma sente il peso di prendere decisioni in solitudine”. Inoltre, il commissario ha detto chiaramente che non sarà certo lui a fare scelte che siano contrarie alle disposizioni dello Stato, lasciando immaginare che non ci si possono aspettare, ad esempio, sue iniziative sul fronte del caso Ilva.

Il commissario probabilmente non immaginava che le sue parole avrebbero buttato altra benzina sul fuoco, venendo variamente interpretate, alimentando soprattutto le rivendicazioni di coloro che si dicono certi che il commissariamento sarà un danno irrecuperabile per la città. Ma come stanne veramente le cose? Come si dovrebbe agire in questi mesi, in attesa della nova giunta che, diciamolo pure, non è certo alle porte, per evitare che la città venga realmente danneggiata? Ma il commissario, che non è certamente un sindaco eletto dal popolo, può “risolvere i problemi”? Cerchiamo di vederci più chiaro portando un contributo al dibattito con l’aiuto di alcuni addetti ai lavori e protagonisti della vita pubblica.

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Il principio di inclusione non può causare esclusione

La commissaria europea alla Parità, Helena Dalli, ha però deciso di ritirare il testo. “L’iniziativa di elaborare linee guida come documento interno per la comunicazione da parte del personale della Commissione nelle sue funzioni aveva lo scopo di raggiungere un obiettivo importante: illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei”.

06 Dic 2021

Continua a far discutere (soprattutto in Italia) il documento interno della Commissione europea, che tanto scalpore ha fatto, intitolato “#Unione dell’uguaglianza”.

La commissaria europea alla Parità, Helena Dalli, ha però deciso di ritirare il testo. “L’iniziativa di elaborare linee guida come documento interno per la comunicazione da parte del personale della Commissione nelle sue funzioni aveva lo scopo di raggiungere un obiettivo importante: illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei”. La commissaria intesta dunque a se stessa la volontà di stendere e diffondere il documento. “Tuttavia, la versione delle linee guida pubblicata non serve adeguatamente questo scopo. Non si tratta di un documento maturo” e, aggiunge, “non soddisfa tutti gli standard di qualità della Commissione”. All’interno dell’esecutivo – voci ben informate indicano direttamente la presidente Von der Leyen – sono cresciute nelle ultime ore le obiezioni e le contestazioni. Dalli afferma: “Le linee guida richiedono più lavoro. Ritiro quindi le linee guida e lavorerò ulteriormente su questo documento”.

Intanto la Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece) “accoglie con favore” il ritiro delle linee guida interne della Commissione europea sulla comunicazione inclusiva ma sulla parte relativa soprattutto al Natale, il presidente dei vescovi Ue, card. Jean-Claude Hollerich, avverte: “Il prezioso principio dell’inclusione non dovrebbe causare l’effetto opposto dell’esclusione”. È stata la commissaria europea alla Parità, Helena Dalli, ad annunciare proprio in queste ore il ritiro delle linee guida dopo che avevano innescato una polemica sull’uso soprattutto della parola Natale. La bozza di testo conteneva infatti diverse raccomandazioni terminologiche al personale della Commissione europea per una comunicazione interna ed esterna più inclusiva limitando i riferimenti di “genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale”. Tra i suggerimenti c’era per esempio anche quello di evitare ogni riferimento al Natale. “Pur rispettando il diritto della Commissione europea di modellare la propria comunicazione scritta e verbale, e apprezzando l’importanza dell’uguaglianza e della non discriminazione”, si legge nella nota dei vescovi Ue, “la Comece non può fare a meno di preoccuparsi dell’impressione che un pregiudizio antireligioso abbia caratterizzato alcuni passaggi della bozza di documento”. La nota della Comece sottolinea in particolare il punto in cui, ad esempio, la bozza delle linee guida scoraggia “i membri del personale della Commissione Ue dal fare riferimento nelle loro comunicazioni alle “vacanze di Natale” all’espressione “nomi cristiani” o a nomi tipici di una religione. “La neutralità non può significare relegare la religione nella sfera privata”, osserva il card. Hollerich. “Il Natale non fa solo parte delle tradizioni religiose europee ma anche della realtà europea. Il rispetto della diversità religiosa non può portare alla conseguenza paradossale di sopprimere l’elemento religioso dal discorso pubblico”. E aggiunge: “Sebbene la Chiesa cattolica in Ue sostenga pienamente l’uguaglianza e il contrasto alla discriminazione è anche chiaro che questi due obiettivi non possono portare a distorsioni o autocensura. Il prezioso principio dell’inclusione non dovrebbe causare l’effetto opposto dell’esclusione”. La Comece conclude la nota esprimendo preoccupazione “per i danni che questa circostanza può aver arrecato all’immagine delle istituzioni dell’Ue e al sostegno del progetto europeo negli Stati membri. C’è da sperare che una versione rivista del documento tenga conto di queste preoccupazioni”.

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La conoscenza confusa con l’informazione

06 Dic 2021

di Emanuele Carrieri

Le danze furono aperte da un valzer. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, all’incontro ‘“Economia” del Corriere della Sera su “Capitale umano. Come far crescere competenze e imprese”, tenutosi nell’aprile scorso, disse: “Che senso ha studiare tre volte le guerre puniche quando basterebbe studiarle una volta sola e dedicare quel tempo a qualcosa di più moderno?”

Dopo ci si è avventurati in un cha cha cha: il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, nei primi giorni di novembre, alla seconda edizione della 4 Weeks 4 Inclusion, evento interaziendale dedicato all’inclusione promosso da Tim, ha asserito: “La scuola non è un luogo per accumulare conoscenze, il mondo oggi è pieno di informazione, la scuola serve per tenere insieme la complessità del mondo digitale che permette di conquistare un orizzonte più ampio ma tutti devono essere messi in condizione di farlo”.

Infine, è stata la volta di una breakdance con salto acrobatico: mercoledì della settimana scorsa, il ministro Cingolani, nella trasmissione Tg2 Post, ha detto che “non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica. Serve formare i giovani per le professioni del futuro, quelle di digital manager per esempio”. Il salto acrobatico è che le volte segnalate da Cingolani ad aprile erano solo tre, una stima più corretta di quattro, dato che, fino ad alcuni anni fa, le guerre puniche erano nel programma di storia di elementari, medie e superiori. Ancora oggi, continuano a essere uno dei ritagli della storia antica di Roma su cui ci si concentra di più, ma non è garantito che siano fresche nella memoria di chi ha smesso di studiare da un po’. È un dilemma così antico che se ne discuteva già ai tempi delle guerre puniche: la scuola deve fornire conoscenze tecniche o gli strumenti mentali per acquisirle? È proprio vero che la scuola serve, in primo luogo, per tenere insieme la complessità del mondo digitale? Certamente, la diffusione sempre più penetrante, prevalente, dominante dell’informatica sta costituendo, in questi anni, una sorta di rivoluzione in corso. Una specie di lavori in corso, non cessati, non completati, non conclusi. Ma, anche di fronte a questa prevalenza dell’informatica, è necessario sempre saper sviluppare un pensiero critico in grado di cogliere gli aspetti fondamentali di questa stessa tendenza. Se no si rischia di cadere, più o meno inconsapevolmente, in equivoci. Come appare dalla dichiarazione del ministro Bianchi in cui afferma che la scuola “non è un luogo dove accumulare conoscenze”, perché “il mondo oggi è pieno di informazione”. Conoscenza e informazione coincidono? Se la scuola non fornisce conoscenze, chi le fornisce? Non è così, perché la conoscenza implica un sapere che sa esporre la prova del proprio essere “conoscenza”. Ogni conoscenza umana si basa su alcuni enunciati che bisogna essere in grado di dimostrare, dando prova di possederli. In caso contrario, si scambia la conoscenza per nozionismo, avversato dal movimento studentesco del ’68. D’altronde l’acquisizione della conoscenza può essere conseguita a scuola perché la scuola è, e sempre dovrebbe essere, uno spazio protetto e privilegiato in cui un giovane, cioè un adulto in via di formazione, può assimilare il patrimonio conoscitivo dell’umanità, interrogandosi criticamente sul suo fondamento. Se questo lavoro non si sviluppa nella scuola e all’interno dei processi formativi più avanzati, come nell’università, non c’è altro spazio per avviare questo studio disinteressato e critico della conoscenza. Fuori dello spazio protetto e privilegiato della scuola e dello studio – una passione ribelle, scrive Paola Mastrocola – esiste infatti il mondo del lavoro, governato da altre logiche che si riducono a una costante immutabile: il profitto, che segue finalità e strategie diverse da quelle della conoscenza. Se no, si confonde conoscenza e informazione e scaturisce lo spettacolo di chi suppone di conoscere un determinato argomento perché ha navigato su internet. Al contrario, la conoscenza sottintende lo studio e la assimilazione di una mentalità scientifica che costituisce il cuore della nostra cultura moderna. Il che vuol dire che la conoscenza si basa sul pensiero, un pensiero che è azzerato dall’informazione sul web che riduce la conoscenza solo a una procedura tecnico-operativa da realizzare secondo un preciso protocollo, stabilito e stabile, stabilizzato e stabilizzante. Contro tale dogmatismo opera il pensiero scientifico che aiuta lo studente, l’adulto in via di formazione, a saper ragionare dinanzi a tutto. Anche dinanzi a certe danze.

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