Suoneremo per la pace

28 Feb 2022

di Irene Argentiero

I solisti di Kiev è un’orchestra giovane. L’età media è sotto i 40 anni. Molti di loro a Kiev hanno lasciato dei bambini piccoli. “Come facciamo a fare musica in queste condizioni?”, si sono chiesti disperati per ore.

Negli anni in cui in tutta Italia “Viva la pappa col pomodoro” – colonna sonora dello sceneggiato televisivo “Il giornalino di Gianburrasca”, composta sul testo di Lina Wertmüller – ottiene un’incredibile successo commerciale, Nino Rota decide di dedicarsi anche alla composizione di musiche per orchestra. Famoso in tutto il mondo grazie alle colonne sonore di film come Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti, La dolce vita (1959-60) e Otto e mezzo (1963) di Federico Fellini, accetta la commissione del gruppo “I musici”, una delle orchestre cameristiche più rinomate dell’epoca e, tra il 1964-65, scrive il Concerto per archi. Dovette però aspettare quasi due anni, prima di venderlo eseguito, per la prima volta a Napoli, dall’orchestra Scarlatti, il 5 gennaio 1967.
La partitura, suddivisa in quattro movimenti, si apre con un “Preludio” che introduce con grazia e leggerezza nello spirito del Concerto, dove vengono messe in risalto le doti melodiche dell’intera famiglia degli strumenti ad arco.
23 febbraio 2022. Le note del “Preludio” del Concerto per archi di Nino Rota sono protagoniste del video pubblicato sulla pagina Fb dell’orchestra nazionale da camera “I solisti di Kiev” (Kyiv Soloists, National chamber ensemble). Poco più di un minuto e mezzo delle ultime prove prima di dare il via alla nuova tournée. “Subito dopo le prove – all’aeroporto. Italia arriviamo!”. Una faccina sorridente accompagna il testo del post.

Strumenti e valigie sono pronti. In agenda una vera e propria festa della musica, rimandata lo scorso anno a causa della pandemia. Una tournée di due settimane scandita da dieci date nelle Marche, in Abruzzo, Molise e Puglia, insieme a Francesco Di Rosa, primo oboe solista dell’orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma, uno dei migliori oboisti nel panorama internazionale.
Ad attenderli, all’aeroporto di Pescara, c’è Di Rosa. L’areo con a bordo i solisti di Kiev atterra giovedì 24 febbraio. E quella che doveva essere una festa si trasforma in un incubo. Poco prima delle 5 del mattino i telefonini iniziano a squillare. Mogli, genitori e amici raccontano di esplosioni e di un’invasione che nessuno immaginava. Da quel momento prende spazio un unico pensiero: tornare a Kiev. “Ma non è possibile – spiega Di Rosa in un’intervista a laprovinciadifermo.com – gli aeroporti sono chiusi e quindi bisognerebbe volare sulla Polonia e poi in qualche modo arrivare a Kiev. Un viaggio impossibile”. “I nostri familiari – spiega il violinista e manager dell’orchestra Anatolii Vasylkivskyi – ci hanno raccontato le esplosioni viste da casa e si spostavano perso occidente, verso la Polonia. Possiamo solo sperare. Fortunatamente internet e i collegamenti telefonici funzionano e l’ambasciata ucraina a Roma ci tiene informati”.
I solisti di Kiev è un’orchestra giovane. L’età media è sotto i 40 anni. Molti di loro a Kiev hanno lasciato dei bambini piccoli. “Come facciamo a fare musica in queste condizioni?”, si sono chiesti disperati per ore. “Non abbiamo alternative – spiega Vasylkivskyi – l’unica cosa che possiamo fare in questo momento, non potendo tornare indietro, è suonare. E quindi lo faremo fino al termine della tournée, il 9 marzo”.
“Suoneremo per la pace”, sottolineano Di Rosa e Vasylkivskyi.
Prima tappa a Montegranaro, nelle Marche, per la stagione concertistica degli “Amici della musica Montegranaro”.
“Oggi – hanno scritto venerdì i Solisti di Kiev su Fb – abbiamo il nostro primo concerto in Italia. E da ieri c’è la guerra nel nostro Paese. Siamo in ansia per le nostre famiglie e per il Paese, dobbiamo raccogliere tutte le nostre forze e suonare. Gloria all’Ucraina!”.
Venerdì 25 febbraio, poco dopo le 21, al teatro La Perla si alza il sipario.
In programma il Concerto per archi di Rota, musiche di Vivaldi, Albinoni e la prima mondiale del concerto n. 3 per oboe e orchestra del compositore contemporaneo Raffaele Bellafronte.

Ma prima della musica, trovano spazio le parole.
“Mi hanno chiesto di leggere due righe che esprimono il loro stato d’animo”, spiega Francesco Di Rosa, con la voce rotta dalla commozione. “Gentile pubblico, è molto difficile per noi essere qui oggi. Come sapete, da ieri il nostro Paese è in guerra. Siamo molto preoccupati per le nostre famiglie e per il nostro popolo. Quando siamo partiti la situazione era abbastanza tranquilla. Non potevamo immaginare che le forze russe avrebbero puntato Kiev e le città principali. E invece è successo. Fare musica in queste condizioni è molto difficile, ma al momento non abbiamo alternative”.
Il lungo applauso che si alza dalla sala si prolunga, poche ore più tardi, sulla pagina Fb degli Amici della musica Montegranaro.
“Vogliamo allora onorare questo impegno, raccogliendo tutte le nostre forze, mettendo tutto il nostro cuore in ogni nota di questo concerto. Suoneremo per i nostri familiari, per voi e per tutto il popolo ucraino che sta soffrendo. Vogliamo, attraverso la musica, lanciare un messaggio di pace e condividere la speranza e l’augurio che questa guerra si fermi immediatamente”.
La musica di pace dei solisti di Kiev e di Francesco Di Rosa prosegue in questi giorni a Barletta, Teramo, Bari, Fasano (Brindisi), Pescara, Campobasso, Sulmona (L’Aquila), Foggia e Vasto.

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Studiare e approfondire

28 Feb 2022

Può la scuola far finta di niente? La domanda è obbligata in questo tempo di tragedia europea nel quale una guerra si è affacciata improvvisamente e con tutta la sua violenza in quella che anche inconsciamente abbiamo da tanto tempo considerato una “comfort zone”: l’Europa.

Intendiamoci, la guerra è una presenza costante nell’orizzonte del mondo. Il fatto è che per noi italiani, europei, occidentali, resta un fenomeno lontano, anche se, in verità, non è lontana, ad esempio l’Africa, dove di guerre se ne succedono una all’altra. O il Medio Oriente, dove il sottofondo dei conflitti non si è mai spento.

Il fatto nuovo, inaspettato – anche se i media ne parlano da un po’ – è invece lo scoppio delle bombe, il tuono dei cannoni, il sibilo dei missili in Ucraina, a poche ore di volo da Milano, da Roma… La guerra è scoppiata in quell’Est Europa che ha già conosciuto, nel secolo scorso, tragedie immani.

Non solo: la guerra è scoppiata avendo per protagonista una delle due grandi potenze militari mondiali, la Russia di Putin, che sembra addirittura ventilare la minaccia nucleare.

Ora, la scuola può restare fuori da questo scenario? La scuola italiana, per intenderci. Le aule dove si riuniscono tutti i giorni i nostri figli, che non di rado hanno a che fare con baby sitter ucraine, o conoscono le badanti dei nonni che spesso vengono dall’Est.

No, la scuola non può fare a meno di caricarsi della responsabilità di affrontare con i suoi strumenti l’emergenza dettata da questo tempo. Forse non è ancora uscita dalla gravità e dai malanni della pandemia – anche se lo spiraglio di luce è evidente – e subito si trova di fronte a una nuova emergenza. E’ a scuola che si può parlare di guerra e di pace e soprattutto si possono costruire relazioni che contrastano la guerra e l’odio.

Approfondire i temi di attualità è possibile nelle scuole secondarie, soprattutto. Ma come evitare di creare occasioni di rassicurazione e di aiuto con le bambine e i bambini più piccoli? Non sanno, forse, che i carrarmati sono alle porte di Kiev, o che i bombardamenti fanno vittime civili e militari. Ma non c’è da illudersi sul fatto che possano avvertire l’insicurezza e la tensione di un mondo adulto intorno a loro.

Per questo la scuola non può far finta di niente. Non può ritenersi un’oasi di tranquillità in cui le cose procedono ogni giorno secondo un copione stabilito.

Il ministro Bianchi in questi giorni ha invitato espressamente le scuole – studentesse, studenti, docenti e tutto il personale – a riflettere sull’articolo 11 della nostra Costituzione che indica con chiarezza come “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, oltre a cercare e favorire “la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Ha ragione il ministro quando riconosce che le nostre scuole “da sempre mettono al centro del percorso educativo questi temi e, responsabilmente, educano le nostre ragazze e i nostri ragazzi a una cittadinanza consapevole e al rifiuto della guerra”. Oggi serve qualcosa di più. Un guizzo di responsabilità maggiore, da parte di tutti. Studiare e approfondire sono le “armi” della scuola. Insieme alla costruzione di buone relazioni. Su questo vale la pena di concentrarsi in modo speciale.

Alberto Campoleoni

 

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Democrazia fragile

Il tavolo dei lavori per i negoziati tra Kiev e Mosca nella sede a Gomel, al confine tra Ucraina e Bielorussia, nell'area del fiume Pripyat, in una foto pubblicata su Twitter dal ministero degli Esteri bielorusso, 28 febbraio 2022. TWITTER ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++
28 Feb 2022

di Stefano De Martis

La grande sfida per la democrazia è la partita che si sta giocando a livello mondiale e che l’aggressione di Putin ha reso evidente in termini drammatici, con il suo carico di violenze e di morti.

“Una tragedia che si è abbattuta con violenza, non su un solo Paese ma sull’intera Europa, mettendo in pericolo pace e libertà. Non riguarda un Paese lontano. Quanto è avvenuto riguarda direttamente ciascuno di noi”. Così Sergio Mattarella si è espresso sull’invasione russa dell’Ucraina, nel breve ma intenso discorso pronunciato a Norcia, luogo simbolo di distruzione e di ricostruzione, ma anche di appello alle radici profonde del continente, grazie alla figura gigantesca di san Benedetto. Sono tornate alla mente ancora una volta le parole del discorso del giuramento, autentica bussola politico-istituzionale per la stagione che stiamo vivendo: “La sfida a livello mondiale per la salvaguardia della democrazia riguarda tutti”, aveva detto in quell’occasione il capo dello Stato. Che il richiamo a quella sfida non fosse un’elucubrazione astratta o una trovata retorica, ma la visione lucida di una realtà tremendamente concreta lo ha dimostrato, purtroppo, la vicenda ucraina. La grande sfida per la democrazia è la partita che si sta giocando a livello mondiale e che l’aggressione di Putin ha reso evidente in termini drammatici, con il suo carico di violenze e di morti.
Le democrazie appaiono fragili sulla scena internazionale, dopo una fase in cui è stato possibile coltivare l’illusione che partecipazione popolare e Stato di diritto fossero destinati a diventare il modello prevalente. Oggi, invece, “i regimi autoritari o autocratici rischiano ingannevolmente di apparire, a occhi superficiali, più efficienti di quelli democratici”, ha ammonito il presidente Mattarella. Nelle analisi geopolitiche che si moltiplicano in questi giorni c’è un elemento che forse non viene sufficientemente messo in evidenza: un fattore decisivo di fragilità è dato dalla presenza all’interno degli stessi Paesi democratici di pulsioni populiste e sovraniste che non si esprimono più soltanto attraverso gruppi marginali ma condizionano gli stessi assetti parlamentari e di governo. Il caso più clamoroso è quello degli Usa, la cui democrazia è stata gravemente ferita dall’assalto a Capitol Hill e dal tentativo di sovvertire il risultato elettorale, tuttora misconosciuto da rilevanti settori dell’opinione pubblica, e in cui non a caso l’ex-presidente Trump ha avuto parole di elogio per Putin anche dopo l’aggressione militare a Kiev. Ma pure in casa nostra l’autocrate russo ha goduto del sostegno e della stima di importanti leader politici, circostanza da cui derivano molte delle incertezze e delle ambiguità che non sono mancate neppure dopo l’invasione. Come non si può fare a meno di notare l’inquietante sussistenza di ampie zone di sovrapposizione tra ambienti filo-putiniani e sostenitori di tesi anti-europeiste e persino no-vax. Si è arrivati addirittura a parlare di “dittatura sanitaria” per avversare la campagna contro il Covid e abbiamo poi avuto modo di vedere di che cosa siano capaci le vere dittature… L’autocritica e il chiarimento di posizioni sono sempre benvenuti e auspicabili, se reali e non strumentali. Ma bisogna fare presto, non è questo il tempo di manovre diversive o dilatorie.

 

 

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La Chiesa di Taranto per l’Ucraina

Il raduno a Napoli organizzato dalla Comunita' di Sant'Egidio contro il rischio di invasione russa in Ucraina. in piazza anche i ' Giovani per la Pace' e cittadini ucraini residenti a Napoli, 16 febbraio 2022 ANSA / CIRO FUSCO
28 Feb 2022

Caritas Diocesana e Migrantes diocesana di Taranto in collaborazione con la comunità Ucraina  e la parrocchia di San Pasquale, organizzano una raccolta di  viveri e medicinali per il sostegno al popolo ucraino.

Si potrà portare quanto richiesto in calce, nella
chiesa di San Pasquale, corso Umberto,
dalle h  9, 30 alle h 11,30 e dalle 17,30 alle ore 19,30, fino a mercoledì prossimo 2 marzo.

Materiali occorrenti:
Bende sterili
Bendaggi
Ketamina
Paracetamolo 500
Collare cervicale
Соperte termiche
Alimentari di lunga scadenza (cibo)
Zuppe pronte
Tonno in scatola
Legumi in scatola
Noodles istantanei ( tipo Saikebon)
Parmigiano, grana sottovuoti
Cioccolato fondente
Miele in monoporzioni
Latte condensato
Latte in polvere
Frutta secca
Noccioline ( diversi tipi )
Grissini
Taralli
Gallette di riso
Sapone mani ( liquido e saponetta)
Salviette umidificate
Ovatta
Spazzolini denti
Gel x le mani (tipo amuchina)
Dentifricio
Perossido di idrogeno
Te’
Caffè macinato
Bendaggi diversi
Bendaggi rigeneranti
Tamponi emostatici
Lacci emostatici
Polvere emostatica
Bende occlusive
Antinfiammatori
Antidolorifici
Siringhe
Flebi
Pomate  per ustioni
Teli porta feriti
Tubi nasotracheali
Tachipirina
Oki
Abbigliamento termico
Robe sportive uomo
Calzature uomo
Calze di cotone caldo

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Ucraina: conventi cattolici della Bulgaria aprono le porte ai profughi

28 Feb 2022

Fra’ Nikolov:“Pronti ad andare al confine per prenderli

(Sofia) Porte aperte per i fratelli dell’Ucraina: sotto questo slogan il convento dei frati francescani conventuali a Rakovski (Bulgaria) si rende disponibile per accogliere i profughi dell’Ucraina. “Abbiamo la possibilità di ospitare famiglie di profughi, donne con bambini, anziani anche feriti dalla guerra, finché dura il conflitto in Ucraina”, spiega al Sir fra Ventislav Nikolov, superiore per la comunità “San Massimiliano Kolbe” di Rakovski. “Siamo in contatto con l’Ambasciata ucraina a Sofia – aggiunge fra Nikolov –, e con diverse organizzazioni cattoliche tra cui la Caritas ma anche con grandi aziende della nostra regione. Ci sono tante persone disponibili ad aiutare”. Il religioso chiarisce che “il convento potrebbe ospitare fino a 28 persone, ma anche di più, ci sono stanze per ospiti con letti e servizi sanitari individuali”. “In caso di necessità possiamo disporre tende e brandine nel cortile”, continua. “Siamo pronti ad andare con i nostri volontari fino al confine ucraino con un nostro mezzo di trasporto e portare le persone in Bulgaria”, afferma Nikolov. Si offrono inoltre vitto e alloggio ai profughi ma anche assistenza medica, assistenza giuridica e “tutte le condizioni per un’esistenza dignitosa”. L’appello dei frati conventuali di Rakovski è di “non rimanere indifferenti di fronte a quello che succede e che pace sospirata possa arrivare alle porte di ciascuna delle nostre case”.
Un appello per aiuti economici lanciano invece i frati cappuccini di Sofia che raccolgono offerte per i loro confratelli che lavorano in sette località in Ucraina: Kiev, Dnipro, Kamianske, Krasiliv, Starokonstantinov, Viniza e Uzgorod. Secondo le autorità bulgare oltre 1.500 profughi dall’Ucraina hanno passato il confine bulgaro. In Ucraina vivono più di 200mila persone di origine bulgara.

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Ucraina: prima domenica sotto l’attacco russo

A Kiev messe celebrate nelle cantine e nei rifugi anti-aerei. Shevchuk, “abbiamo superato un’altra terribile notte”

28 Feb 2022

È la prima domenica in Ucraina sotto le bombe e gli attacchi militari russi e in un video messaggio diffuso da Kyiv questa mattina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, rivolgendosi ai fedeli, ha detto: “Abbiamo superato un’altra terribile notte. Ma dopo la notte viene il giorno, viene la mattina, dopo il buio arriva la luce. Allo stesso modo, dopo la morte arriva la resurrezione che noi tutti oggi festeggiamo con gioia. Questa domenica festeggeremo Cristo risorto presente tra noi, presente in Ucraina”. A Kyiv è scattato ieri il coprifuoco alle 17 e terminerà, salvo proroghe, alle 8 di lunedì 28 febbraio. Gli abitanti della città quindi non potranno andare in chiesa e l’arcivescovo maggiore chiede a tutte le persone di “rimanere a casa per non rischiare la vita”. “Sarà la Chiesa dunque a venire da loro. I nostri sacerdoti scenderanno nelle cantine, scenderanno nei rifugi antiaerei, e lì celebreranno le Divine Liturgie. La Chiesa è con il suo popolo. La Chiesa di Cristo porta con se il Salvatore eucaristico a quelli che vivono momenti critici della loro vita, che hanno bisogno di forza e di speranza nella Resurrezione”. In altre parti del paese dove la situazione è più tranquilla, i sacerdoti stanno celebrando le messe. L’arcivescovo maggiore di Kyiv chiede quindi a “quanti hanno la possibilità di venire in chiesa: andate e partecipate alla Divina Liturgia. Confessatevi oggi e comunicatevi tutti. Ricevete Cristo eucaristico e offritelo per quelli che questa domenica non possono partecipare alla Liturgia. Offrite la Santa Comunione per i nostri militari. La nostra vita oggi è nelle loro mani. Offritela oggi per quelli che sono feriti, emarginati, per quelli che sono diventati dei rifugiati da questa guerra sanguinosa in Ucraina”. Nel video-messaggio, Shevchuk rivolge un particolare ringraziamento a quanti in queste ore stanno difendendo l’Ucraina in tutti i modi possibili”, quanti stanno lavorando nei servizi pubblici, in particolare, a Kyiv, ma anche “gli operatori del Servizio nazionale per le emergenze dell’Ucraina che oggi liberano i feriti dalle macerie; i nostri medici che lungo questa notte hanno salvato centinaia di vittime; i nostri vigili del fuoco che hanno fatto spegnere centinaia di incendi in tutta l’Ucraina. Desidero ringraziare tutti quelli che oggi, ognuno a modo suo, si adoperano per la vittoria dell’Ucraina”.  “Ringrazio tutti quelli che oggi cercano di raccontare onestamente al mondo la verità sull’Ucraina, che raccolgono aiuti umanitari, fanno raccolta di medicinali, o semplicemente pregano per la vittoria dell’Ucraina. Crediamo – conclude l’arcivescovo – che, come dopo la notte viene il giorno, dopo la morte arriva la resurrezione, anche dopo questa terribile guerra ci sarà la vittoria dell’Ucraina. E questo nuovo giorno avvicina questa vittoria a noi tutti nel modo inesorabile e costante”.

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Un anniversario speciale, i 40 anni dal riconoscimento pontificio di Comunione e Liberazione e il centenario di don Luigi Giussani

28 Feb 2022

di Vito Piepoli

 

 

 

Abbiamo ascoltato la testimonianza di Sua Eccellenza mons. Filippo Santoro, da un’intervista di Padre Pio Tv, che si ritrova con una grande responsabilità internazionale, quella di essere delegato speciale del Papa per i Memores Domini di Comunione e Liberazione, oltre quella di essere già arcivescovo di Taranto.

Mons. Filippo Santoro ha conosciuto personalmente Giussani che è stato determinante nel suo cammino sacerdotale. Riportiamo le sue parole integralmente, evitando di sintetizzarle o commentarle, in modo che possano apparire di più nella loro cruda evidenza e ricca essenzialità.

“Iniziò tutto quando ero studente alla Cattolica di Milano, quando l’ho incontrato. La cosa che mi ha toccato subito, è che mi ha mostrato che la fede c’entra con le domande, le esigenze della vita, la curiosità della ragione, con gli affetti, con tutta la vita. (…) Era come scoprire che il Signore attraverso la sua testimonianza, dalla sua parola illuminava tutta la vita. Una delle cose più importanti è stata proprio la riscoperta del desiderio del cuore, come la nostra umanità, il nostro cuore, come desiderio di infinito, come rapporto con l’infinito. Un infinito che risponde alla domanda del cuore, cioè l’incarnazione del Verbo fatto carne, il Signore che ci raggiunge e si fa compagno della nostra vita, ci tocca e ci sostiene nel cammino”.

E non termina qui ma porta ad una fede che ci lancia in tutte le cose della vita e del mondo nessuna esclusa, con un gusto risvegliato del proprio umano, della propria umanità sopita.

“Poi questo ha anche una funzione pubblica, sociale, perché seguendo il Signore io cominciai ad interessarmi ancora di più alle materie che studiavo e poi anche a ciò che accadeva nella società, cioè la fede ti lancia nell’interesse sulla realtà, sulla vita, con una proposta positiva, attraverso un segno che è il segno dell’unità tra quelli che lo seguono, perché stare con il Signore, realizza un’unità diversa già tra di noi, quindi la comunione, che è fattore di liberazione del mondo, cioè annuncio di speranza per tutti. Quindi il cuore che si spalanca al Mistero e il Mistero che si può sperimentare, che diventa amico e poi un’apertura agli altri,  una attenzione ai poveri, ai bisognosi, alla società, una preoccupazione specifica nel campo educativo, proprio l’educazione, uno dei punti fondamentali e quindi l’impegno di una testimonianza cristiana in comunione con la Chiesa Cattolica e col Santo Padre, dando testimonianza che ci può essere una vita migliore, più degna per la persona, per la società e per i più bisognosi in particolare”- è sempre l’arcivescovo che parla.

Una fede, quindi, che si intreccia profondamente con gli affetti più concreti non essendo qualcosa che rimane lontano e distaccato da noi, e proprio questo era il carisma di don Giussani, un carisma che apre a tutto e non chiude, è un’apertura del cuore, non rinunciando all’affettività.

“Certamente è un’apertura del cuore e poi la cosa bellissima che a me ha toccato proprio quando stavo per diventare sacerdote, è quella di non rinunciare all’affettività, ma viverla come la viveva il Signore. Pensate, al rapporto con gli amici, ma poi anche a chi si sposa, al marito, alla moglie, ai figli, alla società tutta, con una affettività trasformata. Cinquantadue nuovi giovani Memores Domini a cui ho domandato il perché di questa scelta hanno risposto: perché seguendo il Signore è possibile la pienezza della mia umanità”, ha concluso l’arcivescovo.

E su come si realizza nella sua dinamica la pienezza dell’umanità nel seguire il carisma e di uno sguardo particolare pieno di fatti, ce ne ha parlato don Gino Romanazzi, responsabile della Comunità di CL Taranto e parroco della parrocchia di Santa Rita.

L’incontro con don Giussani gli ha cambiato la vita e tutto quello che è poi accaduto, riuscendo a costruire una grande comunità intorno al suo carisma.

“Mi ha cambiato la vita perché ho visto un uomo che mi interessava, un uomo che era tutto di Cristo. Una presenza che è totalizzante e che nello stesso tempo non ti annienta, ma ti fa essere quello che sei con pazienza. Attraverso l’incontro personale con Giussani, e la sequela a lui, al movimento che da lui è nato, mi sono accorto che la mia vocazione, il mio sacerdozio era dentro un ‘avvenimento’, che è come un innamoramento, non te lo spieghi ma te lo ritrovi addosso. Questo diventa il fuoco che riesce a contagiare nell’impatto con il territorio, l’incontro con le persone. (…) È stata un’esperienza proprio di contagio, di comunicazione che mi trovavo addosso e che io per primo dovevo seguire, non ero in possesso del carisma ma dovevo seguirlo”.

L’eredità del messaggio che lascia oggi don Luigi Giussani è questa ci ha detto don Gino: “Che è possibile vivere da uomini, è possibile vivere con l’esperienza che abbiamo, perché Cristo cammina con noi – e cita una frase di Sant’Agostino – ‘nelle nostre mani ci sono i codici, nei nostri occhi i fatti’. Noi abbiamo i vangeli, la Bibbia da leggere, ma non sapremmo come leggerli, senza avere negli occhi i fatti. La presenza di Gesù è mostrata dai vangeli e dalla Bibbia, ma è assicurata e si rende evidente tra noi, attraverso un fatto, ecco perché nei nostri occhi i fatti. E Giussani cosa ci dice? Con te c’è Cristo ma per riconoscere la Sua presenza devi lavorarci su, non è una frase, e lo riconosci attraverso un fatto che potrebbe disperdersi, pertanto hai bisogno di amici toccati da quell’avvenimento, da quell’innamoramento”.

 

 

 

 

 

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L’obiettivo è anche l’Unione Europea

Un post tratto dal profilo Twitter di Dobromir Vasilevich: Dobromir Vasilevich @DobromirVasile Kharvov/Kharkiv #RussiaUcraina #Guerra #RussiaUkraineConflict +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++
27 Feb 2022

di Emanuele Carrieri

 Tutti angosciati e smarriti per l’aggressione all’Ucraina. Provare a fare un discorso più complesso è difficile, molto difficile. Non vedere la distribuzione delle responsabilità storiche e politiche di ciò che sta accadendo è facile, è comodo. Certamente si avvantaggiano coloro che sanno parlare solo la lingua della guerra perché rimangono muti di fronte allo spessore che richiede la pace. Ma non sono i soli a ottenere qualche vantaggio. Pochi giorni fa, Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ha detto che “l’allargamento della Nato negli ultimi decenni è stato un grande successo e ha anche aperto la strada a un ulteriore allargamento della Ue”. Solo che l’allargamento della Nato parte dalla Jugoslavia, passa dall’inglobamento di tre paesi dell’ex Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), poi Estonia, Lettonia, Lituania (ex parti dell’Urss), poi Bulgaria, Romania, Slovacchia (ex membri del Patto di Varsavia), Slovenia (ex parte della Jugoslavia), fino ad Albania (ex Patto Varsavia), Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord (ex parti della Jugoslavia). Perché? Perché tante adesioni alla Nato? Perché non tante adesioni alla Ue? Fin dalla caduta del Muro di Berlino fu subito chiaro che per i paesi una volta gravitanti intorno alla ex Unione Sovietica la Nato era più importante dell’Ue. Avevano sperimentato sulla propria pelle la durezza di quei regimi non certo democratici, volevano tenere sopra di sé un ombrello protettivo, preferivano sottostare alla direzione di un grande Paese lontano piuttosto che a quella di alcuni paesi vicini. E se il crollo del Muro del Muro di Berlino aveva prodotto tanti effetti, se il 1° luglio 1991 fu dichiarato lo scioglimento del Patto di Varsavia, se il 26 dicembre dello stesso fu dichiarata la fine dell’Unione sovietica, perché la Nato continua a sopravvivere? La risposta è in un articolo di Sergio Romano, tutto fuorché antiamericano, sul Corriere della Sera del 31 maggio 2021: “La Nato sopravvive perché consente agli Stati Uniti di avere un posto a tavola anche quando si tratta di affari europei; e per giustificare la sua esistenza continua a conservare, soprattutto verso la Russia, la mentalità delle origini. Il risultato è una evidente discrasia fra l’Ue e la Nato. La prima è nata per creare una Europa federale indipendente, amica degli Stati Uniti ma capace di difendersi senza dipendere dalla loro forza. La Nato invece è nata per legare le nazioni europee agli Stati Uniti.” Allora Putin, tutto fuorché santo, ha deciso di avanzare. Ma non è la scelta migliore. Il riconoscimento, con la teatralità della diretta televisiva, dell’indipendenza di Lugansk e Donetsk, cancella, per il momento, ogni sforzo sul terreno del dialogo e della diplomazia. Il confronto, spostatosi interamente sul piano muscolare e militare, è in queste ore in continuo movimento ed è difficile perfino inseguire tutti i passi e le mosse. Ma la sua direzione è purtroppo chiara ed è tragica. Siccome nessuno Stato europeo ha intenzioni minacciose verso la Russia, perché Putin dovrebbe volere una zona cuscinetto fra sé e l’Europa, se non per coltivare le proprie minacce e tentazioni espansionistiche? Da queste considerazioni nasce il timore delle Repubbliche baltiche che fanno parte della Nato e dell’Ue e delle altre nazioni che aspirano a impostare una prospettiva europea e occidentale per il loro futuro. Quindi l’obiettivo siamo anche noi europei, cittadini degli Stati dell’Ue. Anche se in queste ore a farne direttamente le spese e a rischiare la vita sono le ucraine e gli ucraini, bisogna avere ben chiaro che nel mirino di Putin c’è anche la forza di attrazione dell’Ue e la capacità dell’Ue di svilupparsi sempre più come potenza politica ed economica. È come se Putin, magari per conto suo e anche per conto di Pechino, ci stesse urlando con i suoi cannoni: cari europei, non azzardatevi a diventare forti. A questo punto è ovvio quale debba essere la nostra risposta politica ed economica. L’Europa deve guardare alla stabilità dei suoi confini e tutelare le scelte che ha fatto nel sostenere il suo partenariato euroatlantico, ed è giusto che si faccia sentire. Mai come ora, sarebbe necessario che la “bussola strategica” europea inizi a essere declinata, con fatti concreti. Il che non significa necessariamente rispondere con la minaccia delle armi, perché sarebbe sufficiente ricordare alla Russia che, se si continua nel minacciare l’integrità dell’Ucraina, potrebbero essere posti in gioco i rapporti economici, inclusi quelli energetici, che al momento legano la Russia all’Ue, ma non incondizionatamente. Ed è il momento per l’Ue di parlare una lingua diversa da quella degli Usa. Il conflitto è scoppiato nel cuore dell’Europa, che non può solo fare dichiarazioni di biasimo contro la Russia e pensare alle sanzioni da infliggere a Putin e ai suoi alleati. L’Ue deve essere istituzione di mediazione fra le parti in conflitto, non deve entrare nel conflitto. Deve usare un linguaggio diverso da quello di Washington, perché i suoi interessi sono diversi da quelli di Biden e l’Europa non vuole una guerra nel cuore dell’Europa. Occorre prendere le distanze di chi deve risalire la scala dei consensi per le elezioni di midterm di novembre. Questa non è la nostra guerra – nessuna guerra è nostra – e non lo dovrà essere mai. Ma già sembra troppo tardi.

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Francesco: “Invito tutti a fare il prossimo 2 marzo una giornata di digiuno per la pace”

Vaticano, 16 febbraio 2022: udienza generale di Papa Francesco in Aula Paolo VI - Foto SIR/Marco Calvarese
24 Feb 2022

“Vorrei appellarmi a tutti, credenti e non credenti. Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio: con la preghiera e il digiuno. Invito tutti a fare il prossimo 2 marzo, mercoledì delle Ceneri, una giornata di digiuno per la pace”. È l’appello di papa Francesco, al termine dell’udienza generale per la drammatica situazione in Ucraina.

“Incoraggio in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera e al digiuno. La Regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra”, ha aggiunto il pontefice.

“Preoccupazione e dolore” per lo scenario in Ucraina e “vicinanza alle comunità cristiane del Paese” sono stati espressi anche dai vescovi del Mediterraneo, riuniti a Firenze per l’incontro “Mediterraneo frontiera di pace”. I prelati rilanciano con forza l’invito di papa Francesco a vivere il 2 marzo una Giornata di digiuno e preghiera per la pace e fanno “appello alla coscienza di quanti hanno responsabilità politiche perché tacciano le armi”. “Ogni conflitto porta con sé morte e distruzione, provoca sofferenza alle popolazioni, minaccia la convivenza tra le nazioni. Si fermi la follia della guerra!”, scrivono in una nota i vescovi del Mediterraneo che “conoscono bene questo flagello e per questo chiedono a una sola voce la pace”.

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Ucraina, vescovi del Mediterraneo: “Chiediamo a una sola voce la pace”

Un post tratto dal profilo Twitter di Dobromir Vasilevich: @DobromirVasile Il porto di O?akiv/O?akov sta bruciando. #RussiaUcraina #Guerra #RussiaUkraineConflict +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++
24 Feb 2022

“Preoccupazione e dolore” per lo scenario drammatico in Ucraina e “vicinanza alle comunità cristiane del Paese”. I vescovi del Mediterraneo, riuniti a Firenze per l’incontro “Mediterraneo frontiera di pace”, accolgono l’invito di papa Francesco a vivere il 2 marzo una Giornata di digiuno e preghiera per la pace e fanno “appello alla coscienza di quanti hanno responsabilità politiche perché tacciano le armi”. “Ogni conflitto porta con sé morte e distruzione, provoca sofferenza alle popolazioni, minaccia la convivenza tra le nazioni. Si fermi la follia della guerra!”, scrivono in una nota i vescovi del Mediterraneo che “conoscono bene questo flagello e per questo chiedono a una sola voce la pace”.

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Torna la ‘cena pane e acqua’ di Shalom

24 Feb 2022

di Lucia Parente De Cataldis

Mercoledì 2 marzo, nel giorno delle Sante Ceneri, il Movimento Shalom onlus – sezione Puglia invita soci, cittadini, associazioni, cristiani, laici ed appartenenti ad altre religioni ad unirsi insieme per la Pace nel Mondo nella consueta iniziativa quaresimale della cena pane e acqua che si terrà alle ore 19.30 nella parrocchia di San Pasquale in corso Umberto – Taranto, dopo la santa messa delle ore 18.30.

Alla cena, che riparte dopo la pausa dello scorso anno dovuta alla situazione pandemica da Covid19, parteciperà anche quest’anno l’arcivescovo metropolita di Taranto, mons. Filippo Santoro, che benedirà il pane e l’acqua condividendo con i presenti l’agape per pregare per la pace e in vicinanza ai poveri del Mondo.

Quest’anno in particolare il Movimento Shalom dedica la cena a pane e acqua alla pace, data la delicata situazione in Ucraina e le numerose guerre sconosciute presenti sul pianeta.

Il Movimento Shalom invita tutti ad unirsi per un appello alla pace ai potenti.

* responsabile legale Movimento Shalom onlus sezione Puglia

 

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Card. Bassetti: “La guerra è impossibile nell’era atomica”

Firenze 23–02-2022 CEI - Mediterraneo Frontiera di Pace incontro della Conferenza Episcopale Italiana Apertura dei lavori nel Convento di Santa Maria Novella. Servizio realizzato durante la pandemia Corona Virus/Covid-19 Ph: Cristian Gennari/Siciliani
24 Feb 2022

di M. Michela Nicolais

Si sono aperte le cinque giornate di Firenze con un forte “no” al conflitto: “Non c’è alternativa al negoziato globale”. Il premier Mario Draghi: “Gli eventi in Ucraina ci portano a ribadire che le prevaricazioni e i soprusi non devono essere tollerati”

 

“La guerra è impossibile nell’era atomica, occorre trovare altre soluzioni per dirimere le questioni che dividono i popoli: non c’è alternativa al negoziato globale”. A ribadirlo, seguendo il tracciato del “realismo” di Giorgio La Pira, è stato il card. Gualtiero Bassetti,

Firenze, 23 febbraio 2023
Mediterraneo Frontiera di Pace

arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, aprendo l’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo, promosso dalla Cei a Firenze. “In questo momento – ha denunciato il cardinale – mentre soffiano inquietanti venti di guerra dall’Ucraina, gli Stati non sembrano avere la forza, a fronte dell’eventuale buona volontà dei loro leader, di superare il meccanismo strutturato dai rapporti di forza”. “Mai come oggi risuona alle nostre orecchie la lezione di La Pira sul ruolo delle città nel mondo per raggiungere la pace mondiale”, ha fatto notare il presidente della Cei, secondo il quale “i nostri popoli, le nostre città e le nostre comunità religiose possono svolgere un ruolo straordinario: possono spingerli verso un orizzonte di pace e di fraternità”. “Gli eventi in Ucraina ci portano a ribadire che le prevaricazioni e i soprusi non devono essere tollerati”, ha affermato il presidente del Consiglio, Mario Draghi. “Le autorità religiose svolgono un ruolo fondamentale nel costruire una cultura di dialogo e di ascolto tra culture e fedi diverse”, l’omaggio del premier ai partecipanti all’incontro: “Oggi, come in passato, avvertiamo la necessità della vostra opera di bene, dell’educazione all’amore, che rappresenta l’essenza della fede. L’amore per sé stessi, senza cui viene meno il rispetto della dignità umana. L’amore per la propria cultura, che non ammette l’intolleranza, ma è stimolo alla curiosità. L’amore per la propria comunità, che si esprime nella solidarietà e la cura per gli altri”.

Firenze 23–02-2022
Mediterraneo Frontiera di Pace: Draghi, Bassetti, Nardella

“E’ realistico – si è chiesto Bassetti citando Salvatore Quasimodo, grande amico di La Pira – pensare che la pietra e la fionda possano essere ancora il metodo utilizzato per regolare la vita sul nostro pianeta, dopo che da circa 70 anni l’umanità intera è posta sotto la spada di Damocle di una potenziale ecatombe nucleare? è razionale pensare che le grandi sfide della pace e dell’integrazione siano gestite soltanto dagli Stati e non si sente il bisogno, invece, di ascoltare il grido di amore e carità espresso dalle diverse comunità religiose?”, si è chiesto ancora il cardinale, sottoponendo i suoi interrogativi sia ai vescovi che ai sindaci. E infine: “al di là degli egoismi e degli individualismi presenti nelle nostre società, non c’è un desiderio di carità, pace e giustizia nel respiro profondo dei nostri popoli?”.“Il fatto di abitare nello stesso spazio mediterraneo e attingere alle medesime risorse deve generare necessariamente competizione e violenza? No, non è una necessità: è vero il contrario”, ha osservato il cardinale, secondo il quale “l’accresciuta interdipendenza dei popoli se ben guidata è una grande opportunità di crescita dell’umanità”. “L’attuale sistema internazionale non sembra aiutare la crescita e lo sviluppo integrale dei popoli del Mediterraneo”, l’analisi del presidente della Cei: “La cornice geopolitica nei quali essi sono inseriti influenza notevolmente la loro vita interna, lo sviluppo economico e non sempre favorisce il rispetto dei diritti umani. Sono ormai molte le crisi che coinvolgono il Mediterraneo: penso, per esempio, ad alcune aree dei Balcani, del Medio Oriente, del Maghreb e, per ultimo, al Mar Nero che è storicamente, culturalmente, politicamente e anche spiritualmente parte integrante del Mediterraneo”.  “Le nostre Chiese mediterranee possono offrire energia spirituale e saggezza millenaria al contesto odierno del Mediterraneo”, ha assicurato Bassetti: “Questa la persuasione che deve animare i lavori di questi giorni”, in modo da “trasformare la nonviolenza in prassi politica”.“Restituire alle nostre Chiese e alle nostre società il respiro mediterraneo; riscoprire l’anima autentica che ci accomuna da secoli; promuovere la ricostruzione di un luogo di dialogo e di pace”. Così il presidente della Cei ha riassunto la “sfida” che i partecipanti alle cinque giornate fiorentine devono raccogliere. “Ciò che abbiamo avviato due anni fa a Bari – ha proseguito – è un’autentica missione di contemplazione e azione, come avrebbe detto Giorgio La Pira, che non deve essere blindata con progetti preconfezionati, perché il discernimento collegiale necessita di libertà e di fraternità. Bisogna capire – come diceva don Tonino Bello – che la speranza è parente stretta del realismo. È la tensione di chi, incamminandosi su una strada, ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, con amore e trepidazione, verso il traguardo non ancora raggiunto’. Quello che abbiamo avviato è, dunque, un processo. Che non sappiamo come proseguirà e neanche quando finirà”.

“I nostri fratelli schiacciati dalle guerre, dalla fame, dal cambiamento climatico, alcuni dei quali muoiono di freddo ai confini di Europa o annegano nel Mediterraneo, sono i primi e privilegiati destinatari dell’annuncio evangelico”, ha concluso Bassetti, esortando i presenti a  raccogliere l’invito di Papa Francesco a dar corpo ad una “teologia del Mediterraneo”. Punto di partenza: l’umanesimo, “che questa culla fiorentina ha fatto crescere proprio grazie alla presenza dei padri e dei loro seguiti in città. Noi cristiani siamo ancora divisi, ma possiamo e dobbiamo offrire al mondo una visione condivisa dell’uomo nella sua integralità e nella sua integrazione in un creato che ha bisogno della sua cura e della sua custodia”.

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