The Chosen: scelto, ma non in Italia

La gente ha sete di trascendenza: come dimostra The Chosen con il suo successo, l’uomo di oggi vuole assolutamente sentire parlare di Dio, di Cristo, di miracoli e di resurrezione, ed è stolto chi pensa il contrario; solo, vorrebbe sentirne parlare in modo interessante. Strano, eh?

23 Feb 2022

di Alessandro Di Medio

Mi chiedo se in effetti sarebbe potuta andare diversamente, ma rimane il fatto che pure essendo prete da quindici anni, e nonostante io mi ritenga da sempre “sulla cresta dell’onda” per quanto riguarda media e social, sono venuto a conoscenza di una serie cristiana che attualmente vanta oltre 361.000.000 di visualizzazioni tramite i ragazzi dei miei gruppi. Sono loro, i nostri impareggiabili giovani, che scorrazzando per il web e le app hanno incontrato per primi quel fenomeno mediatico assoluto che è The Chosen, mentre noi preti stiamo ancora fermi a Facebook, Instagram per i più esibizionisti (scherzo, è che parlo per invidia).The Chosen è, molto semplicemente, una serie su Gesù. Subito la mente corre ai filmetti insipidi che sembrano girati nel retro delle nostre sacrestie, a costumi improbabili e a rappresentazioni in fondo fondo brutte perché noiose – insomma, alla quasi totalità di quanto l’intelligentia cristiana odierna abitualmente produce quando si mette dietro una telecamera.Beh, non è proprio questo il caso: The Chosen è una serie che ti inchioda allo schermo, sviluppando in modo creativo, ma coerente con i testi evangelici, sottotrame, personaggi e interazioni, con una capacità di trasmettere contenuti senza fare moralismi. Rispetto a un The Passion, che a nostro avviso è stata l’ultima perla autentica di recente arte cinematografica esplicitamente cristiana, The Chosen sa tenere una forte tensione senza diventare psicologicamente sfidante: questo lo puoi vedere una sera con gli amici bevendoti una birra, il primo decisamente no.

Eppure non è solo uno spettacolo godibile: trapela in ogni episodio di The Chosen quel timbro, quella sostanziosità tipica della contemplazione delle scene del Vangelo secondo il modello ignaziano, che da un lato rivela la preghiera (e la competenza biblica) che c’è dietro ogni scelta rappresentativa della serie, dall’altro permette un’esperienza immersiva nel testo stesso quando, spento il monitor, si tornerà ad esso.

La commozione che alcune scene della serie procurano (l’incontro con il paralitico o con Nicodemo, la liberazione di Maria di Magdala o il riscatto di Matteo, ecc.) non ha nulla di sentimentalistico, ma fa tutt’uno con la consolazione spirituale che sgorga dalla Parola stessa.

Mentre la guardo, spontaneamente affiorano nella mia memoria le parole della preghiera a Cristo nostro modello che ai tempi redasse p. Arrupe: “Apprenda da te… il tuo modo di mangiare e bere, come prendevi parte ai banchetti, qual era il tuo comportamento quando avevi fame e sete, quando eri stanco dei viaggi… Insegnami il tuo modo di guardare…”.

Va detto che in questo aiuta tantissimo il modo con cui si è deciso di interpretare Gesù, abbastanza ordinario da risultare realistico, ma sufficientemente ieratico da segnalarne l’alterità radicale.

A livello di critica lo spettacolo ha ricevuto valutazioni a dir poco egregie: 100% critiche positive sul celebre sito di recensioni Rotten Tomatoes, con un punteggio tra 8.08 e 10. Si ricordi che spesso i film che escono al cinema devono il loro successo o fallimento proprio alle valutazioni di questo sito.

Ci sono però due cose che risultano a dir poco strabilianti, quando si pensa a questa serie, di cui attualmente è in fase di produzione la terza stagione.

La prima, è che l’intero progetto è finanziato con il crowdfunding: i donatori danno contributi, e la cosa carina è che chi vede gratuitamente le puntate può ringraziare cliccando un tasto chi ha contribuito. Tutto all’insegna della più totale gratuità: se non vuoi dare niente, non dai niente e te lo guardi comunque. Alla larga dai colossi dello streaming: gli ideatori hanno pensato bene di evitare industrie dello spettacolo come Netflix e compagnia, sapendo a quali inevitabili filtri e censure, a quali boicottaggi e ostacoli, il sistema di produzione hollywoodiano avrebbe sottoposto una simile idea. No, per The Chosen gli autori hanno creato il loro sistema, la loro app, dalla quale è possibile vedere la serie in varie lingue, sebbene l’italiano sia attualmente presente solo per la prima stagione. E qui veniamo alla seconda cosa strabiliante, per non dire sconvolgente.

Tu avevi sentito parlare di The Chosen?

Probabilmente no, o forse solo alla lontana.

Questo è il punto. Come è possibile che uno spettacolo bellissimo, coinvolgente, ispirato, brillante, nato dalla collaborazione di cattolici, protestanti, ebrei, gesuiti, rabbini, ecc. e che ad oggi sta per arrivare a quattrocento milioni di visualizzazioni in Italia sia pressoché ignorato?

I motivi sono molteplici, e la prima risposta che mi viene in mente passa per un’altra domanda: come mai non c’è genitore sedicente cattolico che non conosca The Squid Game, mentre nessuno ha mai sentito parlare di The Chosen?

Semplice: perché dalle nostre parti la “cultura cattolica” si è ormai cristallizzata, almeno nelle sue espressioni mediaticamente più diffuse, come “cultura contro” (no a questo o a quello), piuttosto che come “cultura pro”. Giustamente vogliamo combattere il male, ma dimentichiamo l’esortazione paolina a vincere “con il bene il male” (cfr. Rm 12, 21). Vogliamo che i nostri figli non guardino certe cose, ma non sappiamo offrirgli cose migliori da guardare.

Abbiamo preso ormai da troppo tempo un piglio pubblico allarmato, censorio, che inevitabilmente diventa incapace di produrre originalità e bellezza – alla faccia della spregiudicatezza delle generazioni cattoliche del passato, che potevano vantare al contempo affreschi di nudità nelle cattedrali e l’Inquisizione!

Si dice sempre che “chi critica non fa”: ecco, forse sarebbe ora che noi Cattolici italiani smettessimo di criticare e, prendendo esempio dai nostri fratelli oltre-oceanici, iniziassimo a fare, e a fare bene, con cura, investendo risorse e attenzione, senza pensare che siccome una cosa è “di Chiesa” la possiamo fare con la mano sinistra, “alla viva il parroco”, appunto.

Sia come Chiesa che come singoli cristiani dobbiamo tornare a farci carico dell’onere di studiare, di diventare competenti e provocatori, originali nell’espressione e ineguagliabili nella qualità… come siamo sempre stati, in fondo.

“Cattolico” un tempo era sinonimo di Divina Commedia, di gotico e di romanico, di cucina dei monasteri e di saghe epiche, di umorismo e di lirismo, e in tutto questo, va detto, un contributo non indifferente era dato dal tratto tipicamente italiano della nostra Chiesa.

Che ne è di tutto questo?

La gente ha sete di trascendenza: come dimostra The Chosen con il suo successo, l’uomo di oggi vuole assolutamente sentire parlare di Dio, di Cristo, di miracoli e di resurrezione, ed è stolto chi pensa il contrario; solo, vorrebbe sentirne parlare in modo interessante. Strano, eh? E invece noi spesso scarichiamo su un presunto inaridimento delle nuove generazioni la colpa della loro distanza dal Vangelo, quando la pura e semplice verità è che siamo noiosi, perché abbiamo paura di osare vie nuove, vie incarnate nell’oggi.

Speriamo che il consolante successo di questa serie, di cui volutamente non ho detto molto perché la devi vedere, ci rianimi e ci induca a riappropriarci del colorato ed entusiasmante mondo della cultura e della comunicazione. Ci aiuti in questo l’esempio di Uno che, per spiegare le cose di Dio al popolo di Dio, e introdurre la novità del Vangelo, osò analogie fino ad allora impensate con il lievito, le pecore, i passeri e i gigli, e che lasciò per questo a bocca aperta le folle da tempo annoiate dai “maestri”.

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SETTIMANA DELLA FEDE 2022

Ecco gli approfondimenti delle diverse serate.

22 Feb 2022

La Settimana della Fede, nel suo cinquantesimo anniversario, è l’occasione per tutti per vivere quanto indicato nel cammino sinodale:

“Comunione, Partecipazione, Missione”.

Invito tutti a partecipare come segno di comunione ecclesiale che, con la celebrazione del Sinodo del 2023, dovrà diventare sempre più solida e visibile.
Invoco su tutti voi la benedizione del Signore.

+ Filippo Santoro
Arcivescovo Metropolita di Taranto

 

  • PROGRAMMA DELLA SETTIMANA DELLA FEDE

PREMI QUI PER LA LOCANDINA DELL’EVENTO IN ALTA RISOLUZIONE

 

  • AGGIORNAMENTI DELLE SERATE

LUNEDÌ 14 MARZO ORE 19.00

“Il cammino sinodale nella Chiesa italiana”

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MARTEDÌ’ 15 MARZO ORE 19.00
“Il cammino sinodale in ascolto dei malati”

 

MERCOLEDÌ 16 MARZO ORE 19.00
“50 anni Annuncio nella bellezza della Concattedrale”

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GIOVEDÌ 17 MARZO ORE 19.00
“Il pianeta che speriamo”

È toccato al professor Leonardo Becchetti, ordinario di economia politica alla Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata” che, tra gli altri incarichi, oltre alle consulenze ministeriali, è presidente del comitato scientifico di Next (Nuova economia per tutti) e membro del comitato preparatorio delle Settimane sociali dei cattolici italiani, aprire l’incontro, in streaming, sottolineando come l’obiettivo per evitare la catastrofe climatica è chiaro e stabilito: azzerare entro il 2050 le emissioni nette di anidride carbonica sapendo che esse provengono da alcune grandi fonti (industria, agricoltura e allevamento, mobilità e trasporti, riscaldamento/raffreddamento degli edifici e fonti di produzione di energia).

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La lezione della pandemia

Il rovescio della medaglia di queste pretese è il fallimento, globale e unitario, delle politiche liberiste, populiste e sovraniste. In un tempo e in un mondo sempre più interconnesso la strada da intraprendere non è quella delle privatizzazioni, delle chiusure e dei nazionalismi, che non salveranno nessuno, neanche i più ricchi e più armati, ma della collaborazione e dell’integrazione globale, con la costruzione di organismi mondiali globali e pubblici, che siano in grado di garantire l’uguaglianza planetaria nel godimento del diritto alla salute per tutti gli uomini.

21 Feb 2022

di Emanuele Carrieri

Giambattista Vico, filosofo, storico e giurista napoletano, nella premessa all’edizione del 1730 di Principi di scienza nuova, scriveva “… sembravano traversie ed erano in fatti opportunità …”. Solamente ragionando si può capire una determinata realtà e volgerla, se possibile, a proprio vantaggio. Questa attitudine dell’uomo è ciò che lo distingue dagli animali: questi ultimi si adattano all’ambiente mentre l’uomo trasforma l’ambiente per migliorare la qualità della sua vita. Fine ultimo della scienza è l’esigenza di capire il mondo e la realtà e questa esigenza ha permesso all’uomo, durante i secoli, di modificare le sue condizioni di vita. Che insegna la pandemia globale? E perché è globale? Perché ha interessato tutto il pianeta e la sua globalità ha mostrato l’interconnessione, l’interdipendenza e l’integrazione del mondo attuale. In più, la pandemia ha evidenziato il suo essere un “effetto collaterale” dei cambiamenti climatici, delle deforestazioni, degli allevamenti e delle coltivazioni intensive. Alla luce di ciò, la pandemia ha svelato le fragilità dell’umanità e il fatto che abbiamo una sola Terra e che abbiamo un destino comune. Ora più che mai, siamo a un punto critico e decisivo. Papa Bergoglio ha espresso con chiarezza questo concetto evidenziando la folle pretesa di voler “vivere da sani in un pianeta malato”. È necessario uscire da tale follia, che nasce dal fatto che abbiamo inquinato terra, acqua e aria, supponendo di poter disporre di risorse naturali illimitate. Gli stravolgimenti operati dall’uomo fanno emergere una sorta di incompatibilità con le condizioni della vita sul pianeta. Non si può più inquinare come fatto finora, illudendosi di non pagarne il prezzo. In questa prospettiva, il bilancio della pandemia da covid, con il suo tragico carico di morti, costituisce un anticipo di ciò che si fronteggerà non modificando registro. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: da anni, gli scienziati segnalano i rischi irreversibili cui si sta andando incontro. Ma se questa previsione è stata fatta per tempo, tuttavia, a livello globale, non si è ancora fatto nulla per difendere le condizioni della vita sul pianeta. La pandemia ha evidenziato il ruolo strategico e fondamentale della sfera pubblica, dello Stato e della stessa sanità pubblica. In più la pandemia globale non ha trovato di fronte a sé strutture altrettanto globali in grado di adottare una comune strategia per combattere la diffusione del virus. Ogni paese è andato per la sua strada: perfino i paesi dell’Ue si sono mossi in ordine sparso, ignorando quanto previsto dai trattati costituenti, che sono rimasti lettera morta. È il carattere globale e unitario che esige delle risposte altrettanto globali e unitarie. Chi può dare delle risposte globali e unitarie? Solo una sanità pubblica, altrettanto globale e unitaria. Ciò è emerso specie se si considera come tutti, inclusi gli ultra anti-statalisti liberisti, hanno preteso dallo Stato di tutto e di più. Il rovescio della medaglia di queste pretese è il fallimento, globale e unitario, delle politiche liberiste, populiste e sovraniste. In un tempo e in un mondo sempre più interconnesso la strada da intraprendere non è quella delle privatizzazioni, delle chiusure e dei nazionalismi, che non salveranno nessuno, neanche i più ricchi e più armati, ma della collaborazione e dell’integrazione globale, con la costruzione di organismi mondiali globali e pubblici, che siano in grado di garantire l’uguaglianza planetaria nel godimento del diritto alla salute per tutti gli uomini. Sulla terra ci sono otto miliardi di persone e il pianeta non appartiene più a questo o a quello stato ma è di tutti gli uomini. “Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti”: è un principio del diritto romano. Tale principio va affermato a livello planetario, prendendo atto che gli organismi internazionali non sono stati all’altezza di questa sfida globale e planetaria. È una sfida che va colta e che va fatta propria, rivendicando la necessità di tutelare una sanità pubblica come la sola in grado di garantire a tutti l’uguaglianza nel godimento del diritto alla salute per tutti. Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti.

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Siena, i servizi per i poveri e l’esperienza di fede di suor Nevia

Siena, 4 febbraio 2022: mensa poveri, suora - foto SIR/Marco Calvarese
21 Feb 2022

In via dei Servi, 2 a Siena, in piena Contrada di Valdimontone a poche centinaia di metri da piazza del Campo e dalla piazza con la statua di Sallustio Bandini, diventata prima icona della ricchezza e poi degli imbrogli finanziari, c’è una porta dalla quale si accede ai servizi che le suore di San Vincenzo de Paoli ed i loro oltre 40 volontari, offrono quotidianamente ai poveri della città. Ogni giorno una cinquantina di persone si alternano per usufruire della mensa ad ora di pranzo, del servizio docce e della distribuzione di indumenti e di generi alimentari. Anche passando da quelle parti con Google street view, non si può fare a meno di notare davanti alla porta d’ingresso persone meno fortunate che attendono il loro turno per entrare, oltre che il furgone con il quale, assieme ai loro mezzi personali, i volontari raccolgono quotidianamente il materiale offerto da privati e negozi, lo portano al centro e lo ridistribuiscono anche nelle case dove abitano anziani e disabili che non possono muoversi.

Siena, 4 febbraio 2022: città, mensa poveri, suora – foto SIR/Marco Calvarese

“Riusciamo a farli sentire un po’ a casa. Non vivono questo posto come un ghetto ma come un luogo dove trovano attenzione, un sorriso e si aprono parlando, raccontando e confidandosi. Spesso non riesco a servire i pasti a tavola, perché in molti mi chiamano per parlarmi”. Sono queste le parole di suor Nevia delle Monache, da circa 3 anni alla guida della mensa per i poveri nel convento di San Girolamo a Siena, che quotidianamente incontra gli ospiti della mensa, molti migranti, in maggioranza pakistani, ma anche senesi, in questo periodo tutti regolati da ingresso contingentato, con controllo del greenpass e della temperatura corporea, sistemati a mangiare in tavoli singoli ben distanziati tra loro. “Per noi i poveri sono i primi. Riusciamo a fare tutto perché lo facciamo insieme”, dichiara suor Nevia che sottolinea l’importanza della collaborazione di tutta Siena ma, soprattutto, della provvidenza, “Prima di tutto c’è il Signore che provvede alle persone che vengono ad aiutare, a quelle che girano per le case, alla roba. Io sto facendo veramente un’esperienza di fede”. “Volevo provare questa esperienza, per mettermi in gioco per aiutare il prossimo”, le parole di Gabriele, 29 anni, volontario del servizio civile, distaccato nella mensa per i poveri dove presta servizio dal lunedì al venerdì, confrontandosi con quelli che definisce i problemi che accomunano tutte le città, compresa la sua Siena, “è una bella esperienza, perché ti accorgi del lavoro immenso che c’è dietro, anche se sembra tutto semplice guardando alla naturalezza con il quale viene effettuato da tutti”. “Pian piano ho istaurato un rapporto con alcuni ospiti ai quali piace parlare ed aprirsi”, aggiunge il volontario, concludendo, “possiamo imparare molto da loro, a partire dal loro modo di affrontare con il sorriso la fatica che devono sopportare per restare a galla. Una lezione di vita”. “Dal campo a piazza del campo”, scherza un ospite della mensa che dalle Marche è arrivato in Toscana per lavorare nelle vigne, girando anche in Russia ed in Spagna dove lavorava nelle raccolta della frutta, “mi trovo in un periodo messo male e quindi sono dovuto venire a mangiare qui”.

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L’agricoltura biologica in cammino

14 Feb 2022

di Andrea Zaghi

Regole chiare e moderne, indicazioni da rispettare per quanto riguarda la coltivazione che deve essere svolta sulla base di quanto la tecnica migliore e la scienza indicano da tempo

 

Agroalimentare sempre più “biologico”. E sempre più, quindi, bisognoso di regole aggiornate per fare meglio. La necessità è condivisa pressoché da tutti gli attori del comparto, che si dividono, in parte, sulle modalità per soddisfarla. Intanto il mercato ha assunto dimensioni miliardarie, si è fatto complesso e variegato, sono comparse produzioni pseudobiologiche e qualche situazione al limite tra la truffa e l’ignoranza. Occorre fare ordine, quindi. Ed è quello che il parlamento sta tentando di fare. Per questo, il passaggio del disegno di legge sull’agricoltura biologica dalla Camera al Senato ha destato molti applausi, ma anche la richiesta – unanime – di fare in fretta.

Per capire la situazione occorre prima di tutto guardare alla realtà dei fatti, e quindi al mercato. Coldiretti dice: “Con gli acquisiti di prodotti bio Made in Italy che nel 2021 hanno sfiorato il record di 7,5 miliardi di euro di valore, tra consumi interni ed export, mai come in questo momento storico abbiamo bisogno della legge sul biologico e per questo occorre ora accelerare l’iter al Senato”. Miliardi in gioco, come si è detto. Ma anche il buon nome della produzione agricola e agroalimentare nazionale. Per questo, tra l’altro, la futura legge contiene anche l’introduzione di un marchio per il bio italiano per contrassegnare come 100% Made in Italy solo i prodotti ottenuti da materia prima nazionale. Mentre Confagricoltura ricorda: “La superficie biologica in Italia ha raggiunto 2.095.380 ettari e l’incidenza della superficie coltivata a bio è passata in 10 anni dall’ 8,7% al 16,6%. Notevole anche l’incremento dell’export, che in 1 anno è aumentato dell’11%, raggiungendo quota 2,9 miliardi di euro, con una crescita negli ultimi dieci anni del 156%”. Quella del biologico, in altre parole, non è più un’attività cosiddetta di nicchia, per pochi eletti e appassionati. Anzi, come ha sottolineato la Cia-Agricoltori Italiani, l’agricoltura biologica con nuove regole potrà concretamente contribuire alla “transizione del sistema agroalimentare verso la sostenibilità”. Il traguardo europeo è da raggiungere entro il 2030: destinare il 25% dei terreni agricoli al bio.

Regole chiare e moderne quindi, indicazioni da rispettare per quanto riguarda la coltivazione che, tuttavia, deve essere svolta sulla base di quanto la tecnica migliore e la scienza indicano da tempo. Per questo, dopo un dibattito che ha coinvolto i migliori nomi della scienza italiana ma addirittura anche il capo dello Stato Sergio Mattarella, dal disegno di legge è stato eliminato ogni riferimento all’agricoltura biodinamica e cioè a quell’insieme di pratiche colturali senza particolari basi scientifiche ma fondate solo su elementi derivanti da credenze e tradizioni non dimostrate. Grande attenzione, invece, proprio a tutto ciò che può contribuire a controllare e a porre su basi scientifiche l’agricoltura biologica. Per questo, i coltivatori diretti hanno insistito molto, ad esempio, sull’impiego di piattaforme digitali per garantire una piena informazione circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti, ma anche sulla delega al governo per rivedere la normativa sui controlli e garantire l’autonomia degli enti di certificazione. Elementi importanti, che si affiancano ad altri comuni al resto del settore agroalimentare che Copagri, in un recente incontro, ha sintetizzato: occorre intervenire per ridurre costi e oneri burocratici che gravano sui produttori, agendo sulla leva fiscale ma anche con azioni per rilanciare i consumi anche rafforzando le relazioni con la grande distribuzione.

Scienza e attenzione all’ambiente, dunque, accanto a forti tutele dei consumatori. Elementi che nella buona agricoltura tradizionale ci sono sempre state e che, adesso, nella seria agricoltura biologica trovano espressioni importanti e affidabili. Bene quindi una legge, bene quindi l’attenzione degli agricoltori verso questo insieme particolare di pratiche colturali. E bene l’attenzione sempre importante della scienza agraria verso questo tipo di produzioni.

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Ucraina, appello per la pace dei vescovi italiani: “Non c’è più posto per le armi nella storia dell’umanità!”

epa09750001 Ukrainians attend the Unity March for Ukraine in downtown Kiev, Ukraine, 12 February 2021 amid tensions on the Ukraine-Russia border. EPA/SERGEY DOLZHENKO
14 Feb 2022

“È responsabilità di tutti, a cominciare dalle sedi politiche nazionali e internazionali, non solo scongiurare il ricorso alle armi, ma anche evitare ogni discorso di odio, ogni riferimento alla violenza, ogni forma di nazionalismo che porti al conflitto. Non c’è più posto per le armi nella storia dell’umanità!”. È l’appello per la pace in Ucraina lanciato questa mattina dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana che subito aggiunge: “È la convinzione che ci muove alla vigilia dell’Incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio. I popoli sono chiamati a convivere in pace. La cooperazione e il dialogo, accompagnati dalla diplomazia, siano regola e stile delle relazioni internazionali”. “Quanto sta accadendo al confine tra Ucraina e Russia – si legge nell’appello – preoccupa il mondo intero. Il rischio concreto di una guerra – o anche solo l’ipotesi che si possa scatenare un conflitto – turba gli animi, scuote le coscienze, aggiunge preoccupazioni alle tante che l’umanità sta già vivendo per la pandemia e per le altre ‘pandemie’ che attraversano il pianeta: povertà, malattie, mancanza di istruzione, conflitti locali e regionali”. “Nel giorno in cui ricordiamo i santi Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa – scrivono i vescovi italiani –, facciamo appello alle comuni radici nella fede cristiana, che è messaggio di pace, affinché nel Vecchio Continente ci sia sempre convivenza rispettosa, collaborazione sul piano economico, rispetto e dialogo duraturi. La pace è un bene prezioso al quale l’umanità non può e non deve mai rinunciare. Invochiamo il Signore nostro Gesù Cristo, principe della pace, e la Vergine Santissima, particolarmente venerata in Ucraina nella Basilica della Madre di Dio di Zarvanytsia, perché sia risparmiato un terribile flagello. Invitiamo tutte le Chiese d’Italia ad unirsi a questa intenzione di preghiera”.

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Monica Vitti, addio al sorriso di un’“attrice immensa”

03 Feb 2022

di Sergio Perugini

Ci ha lasciato un pilastro del cinema italiano sulle scene dalla fine degli anni ’50. Nata Maria Luisa Ceciarelli, romana classe 1931 (aveva compiuto 90 anni lo scorso novembre), si è spenta nella Capitale mercoledì 2 febbraio 2022 dopo una lunga malattia invalidante

Come una scia luminosa di “polvere di stelle” ci ha lasciato Monica Vitti, attrice pilastro del cinema italiano sulle scene dalla fine degli anni ’50. Nata Maria Luisa Ceciarelli, romana classe 1931 (aveva compiuto 90 anni lo scorso novembre), si è spenta nella Capitale mercoledì 2 febbraio 2022 dopo una lunga malattia invalidante. Le sue ultime apparizioni risalgono all’inizio degli anni Duemila, poi si è ritirata a vita privata protetta dall’amore del marito Roberto Russo.

Raccontare in poche righe Monica Vitti risulta difficile, quasi stridente. Nel corso della sua quarantennale carriera tra cinema, teatro e televisione, la Vitti ha unito l’alto e il basso, il colto e il popolare, apprezzata dalla critica e amata, anzi amatissima, dagli spettatori.Nella sua carriera ha vinto tutto, o quasi: tra i principali riconoscimenti si ricordano cinque David di Donatello, tre Nastri d’argento e ben dodici Globi d’oro, un Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino e un Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia nel 1995. Il suo più grande riconoscimento, però, è stato il costante sostegno popolare, quel diffuso amore della gente comune, attraversando più generazioni nei decenni.Lei, che si è imposta nell’orizzonte cinematografico nazionale ed europeo con gli innovativi sguardi intimisti, dolenti, di Michelangelo Antonioni – “L’avventura” (1960), “La notte” (1961), “L’eclisse” (1962) e “Deserto rosso” (1964) –, è entrata come un uragano nell’immaginario popolare tra gli anni ’60 e ’70 come la regina della risata dolceamara attraverso pellicole quali “La ragazza con la pistola” (1968) di Mario Monicelli, “Amore mio aiutami” (1969) di e con Alberto Sordi, “Dramma della gelosia” (1970) di Ettore Scola e “Polvere di stelle” (1973) di nuovo con Sordi.

Come ricorda il critico Massimo Giraldi, presidente della Commissione nazionale valutazione film della Cei (Cnfv): “Il tratto predominante della carriera della Vitti è stato quello di saper alternare con intelligenza e disinvoltura il cinema considerato d’autore con il fiorente filone della commedia all’italiana,stringendo riusciti sodalizi con Mario Monicelli, Dino Risi, Steno, Ettore Scola e Luigi Magni. La via della risata non ha tolto però alla Vitti quel senso della ricerca nel cinema sperimentale, tornando così a lavorare con Antonioni nel 1980 con ‘Il mistero Oberwald’. E ancora prima, nel 1974, l’esperienza con Luis Buñuel nel film ‘Il fantasma della libertà’”.


Monica Vitti ha sorpreso tutti. È passata dall’esplorare i tormenti esistenziali disegnati da Antonioni, tra silenzi ingombranti e sguardi rumorosi, al fragore liberatorio della sua risata, una risata non perfetta, persino roca, ma coinvolgente e di grande intensità. E nel panorama del cinema italiano si è imposta assolutamente in una posizione di primo piano insieme alle altrettanto divine Anna Magnani, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Giulietta Masina e Claudia Cardinale. A ben vedere, la Vitti è stata una delle pioniere sullo schermo della risata al femminile insieme a Franca Valeri e Mariangela Melato. Un talento eccellente, se non unico, nel fondere registro drammatico e comico, nel percorrere quell’ironia colta e scanzonata, anche fortemente autoironica.E poi come non ricordare i suoi duetti artistici, in primis con Alberto Sordi: dai citati “Amore mio aiutami” e “Polvere di stelle” agli altrettanto noti “Le coppie” (1970) di Mario Monicelli, Vittorio De Sica e dello stesso Sordi come pure “Io so che tu sai che io so” (1982) sempre firmato e interpretato da Sordi. Insieme i due erano davvero “polvere di stelle”, scintille in scena, capaci di stupire, ammaliare e intenerire grazie alla partitura di sentimenti che mettevano in campo.
Ancora, è da richiamare la sintonia recitativa con Carlo Giuffré e Stefano Satta Flores nel film rivelazione “La ragazza con la pistola”, dove Monicelli per primo le ha schiuso ufficialmente le porte della commedia, come pure le affinità comiche con Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini sul set di “Dramma della gelosia” firmato Scola. Senza dimenticare, infine, le risate copiose con Nino Manfredi (“Basta che non si sappia in giro”, 1970) e soprattutto con Ugo Tognazzi (“L’anatra all’arancia”, 1975; “Scusa se è poco”, 1982).
Diva sì, ma anche solidale. Come sottolinea nuovamente Giraldi: “Monica Vitti ha saputo costruire in scena vive e vivaci intese anche con altre note protagoniste del cinema italiano, tra cui Claudia Cardinale nel film ‘Qui comincia l’avventura’ di Carlo Di Palma del 1975. La Vitti non ha mai avuto paura di confronti eccellenti, di essere adombrata o di adombrare. È sempre stata un’interprete risolta e solidale, come dimostrano i duetti con Edwige Fenech (‘Amori miei’, 1978) e Catherine Spaak o Milena Vukotic (‘Per vivere meglio, divertitevi con noi’, 1978)”.

Monica Vitti va ricordata come un’artista, una donna, profondamente libera, solida e acuta, (auto)ironica che ha scelto consapevolmente i propri passi professionali e personali. Si è messa in gioco, senza pensare alla perfezione della sua immagine da diva. Senza paura.Una donna che ha lasciato e continua a lasciare un segno nella nostra industria culturale, artefice di un racconto sociale attento e sagace, che ha contribuito inoltre a liberare l’immagine femminile dai troppi stereotipi dello schermo. Monica Vitti è stata un astro, e la sua “polvere di stelle” è destinata a brillare nel tempo, nella nostra comune memoria culturale e sociale.

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