Uniti nel dono

Don Marco, un mago, la pandemia e il cuore grande di una parrocchia

10 Mar 2022

di Mimmo Laghezza

Abbiamo dato voce a chi non sapeva quanto fosse bello e importante dare sostegno ai sacerdoti attraverso la campagna #donarevalequantofare

 

Ci chiamano maghi, ma non facciamo mica magie: solo illusioni ottiche.

Sono mago Stefan e qui in Italia sono stato adottato, perché sono nato in Ungheria. Per la verità, sino a ottobre, posso dire di essere stato ‘solo’ accolto con gentilezza da tutti e io ho ricambiato facendo divertire di gusto i vostri figli. Non tutti hanno l’accortezza di vedere gli occhi dei bambini mentre faccio i miei illusionismi: sono loro, quegli occhi, il vero spettacolo e io mi prendo il privilegio di guardarlo… in prima fila!

A ottobre, sono stato chiamato da quello che per me era solo il parroco di una chiesa di periferia di Taranto, don Marco, per uno spettacolo dei miei. Qualche anima buona gli aveva parlato della mia bravura (mah! veramente dicevano???) e lui aveva pensato ‘bene’ di fidarsi di quelle parole e di me!

Mi chiamò e ci accordammo in fretta. Non ho mai fatto tante storie per il riconoscimento economico dei miei spettacoli, ma ora non avrei potuto comunque permettermi di perdere una delle poche occasioni che mi venivano concesse dacché il covid ha sconquassato famiglie e vite.

La mia unica preoccupazione era procurarmi da vivere, senza sapere quello che mi sarebbe successo di lì a poco.

Don Marco non ha tentato di contrattare al ribasso sebbene sapesse benissimo che avrei accettato qualsiasi somma propostami. Mi ha semplicemente guardato fisso e mi ha detto: “Ci vediamo sabato pomeriggio!”

La chiamano empatia, ma per me è fiducia spontanea e immediata: volevo dirgli di quello che stavo vivendo senza spettacoli e senza soldi per mangiare.

Finito lo spettacolo, don Marco era raggiante come i ‘miei’ bimbi e mi venne dietro mentre raccoglievo le ‘trozzele’ disseminate sul piccolo palco; fu allora che mi girai di scatto e gli dissi senza dargli possibilità di replicare: “Domani vengo a messa qui da te e poi ti devo parlare!” Non mi rispose con le parole ma con gli occhi.

Il giorno successivo ero nel suo minuscolo studio a parlare di me e di tutti coloro che vivono di spettacoli che non potevano essere realizzati per le norme anti-covid. Don Marco mi ascoltò senza perdere una sola parola del mio sfogo e mi disse che da quel momento non sarei stato più solo nell’affrontare quei problemi. Non chiesi nulla: mi alzai e ci abbracciammo forte.

E arriviamo all’adozione di cui parlavo all’inizio: durante la notte incominciai a sentire un dolore intenso alle gambe, insopportabile. Chiesi aiuto e mi portarono, senza perdere tempo, in ospedale.

La diagnosi fu abbastanza allarmante: trombosi a entrambe le gambe.

L’unica cosa a cui pensai furono gli occhi di don Marco e quelle parole ascoltate solo poche ore prima nel suo studio in miniatura: “Da oggi non sarai più solo!”

Da un’oss mi feci prendere il telefono dalla sacca che ero riuscito a portare con me prima del trasporto al Ss. Annunziata, lo chiamai e gli chiesi di raggiungermi perché stavo malissimo.

Sono stato preso in cura – e questa parola, ‘cura’, non riguarda solo il rapporto medico-paziente – dal dottor Mimmo Cito: il mio angelo custode con sembianze umane!

Intanto, fuori, è partita la gara di solidarietà nella comunità della parrocchia San Giuseppe Moscati e del quartiere Paolo VI tutto. So di persone che si preoccupano a mandarmi cibo pur avendo poco più di me! Mi fanno arrivare messaggi di incoraggiamento e quando la stanchezza prende il sopravvento, ci sono i bambini – i ‘miei’ bambini – a pensarmi e a spronare i genitori a fare qualcosa per me, come mi ha raccontato don Marco.

I ‘miei’ bambini mi scrivono che oramai sono di Paolo VI e che non ho più ragioni per andare altrove! Mi dicono che quando sarò famoso (così dicono loro!) e andrò in tv devo dire che sono stato adottato dal quartiere, non da Taranto tutta…

Nell’attesa che divento famoso (seeeeee), mi devo curare benissimo. Il dottor Cito mi ha fatto inserire nel sistema di cura per le trombosi, cosa fondamentale per chi assume il Cumadin.

Intanto quel gruppo di ‘pazzi’ – sì, solo chi ha il cuore grande può trasmettere un amore ‘pazzo’ a un estraneo! – mi ha fatto ottenere la cittadinanza italiana. Non posso dire che non siano di parola: ora sono anch’io veramente di ‘Paolosangeles’! (come dicono loro scherzando… e ora devo dire “come diciamo noi”!)

Praticamente mi manca solo di… guarire, diventare famoso e andare da Lorena Bianchetti a raccontare che sono di Paolo VI dove vivere fa rima con amore!

Mago Stefan

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