Editoriale

Sbandamenti sui tornanti del neutralismo

26 Apr 2022

di Emanuele Carrieri

Tutte le persone che si erano illuse che, con la pandemia, il vaso dei negazionisti fosse traboccato, si devono ricredere. Un rilevamento dell’istituto Demos ha rilevato che un italiano su quattro crede che le atrocità russe siano effetto della propaganda ucraina. Il dato, pur in sé drammatico, non sorprende affatto. Capita spesso di sentire in diretta o riportate da altri, frasi del tipo “Chissà cosa ci sarà sotto”, o “Zelensky, prima di fare il presidente, faceva l’attore”. È una spirale perversa senza interruzioni, traboccante di pilateschi distinguo e di letture, più o meno, a base di complotti, intrighi e macchinazioni. E poi, come se tutto ciò non fosse sufficiente, ci si aggiunge anche lo spettacolo deprimente dei programmi di approfondimento che, da quando è iniziata la guerra, hanno invaso tutto l’arco costituzionale televisivo, a qualunque ora, del giorno e della notte. Stupisce e non poco, il fatto che una donna reattiva come Bianca Berlinguer possa essere rimasta impassibile di fronte a uno che, fra un “signori miei” e un “il punto fondamentale è …”, qualche settimana fa sentenziava che “i bambini possono essere felici anche in dittatura”. Di recente, per rincarare la dose, nel medesimo studio televisivo, l’Illustrissimo ha detto: “Prima del ’45 in Italia non c’era una democrazia liberale, eppure mio nonno ha avuto comunque una vita felice … Io sono in contatto con famiglie a Mariupol che mi scrivono tutti i giorni e mi dicono professore, parli lei. Voi italiani siete impazziti a dare armi”. Saltiamo a piè pari sulle fan che, anche da una città rasa al suolo e in cui i superstiti vivono come topi da settimane, riescono a vedere le tv italiane e intrattenere una corrispondenza via internet. Se sui mezzi di comunicazione di massa ‘storici’, in aggiunta al sudiciume dilagante sui social media, il dibattito sulla tragedia immane che si sta consumando in Europa prende la medesima piega farsesca dei negazionisti a oltranza del Covid, non ci si deve meravigliare dello sbandamento totale diffuso in vasti strati di opinione pubblica. Uno sbandamento stavolta figlio e al tempo stesso specchio pure delle dichiarazioni del presidente dell’Anpi, effettivamente sbilanciate su un anomalo e singolare ‘neutralismo’. In compenso, basta leggere quanto detto dalla vicepresidente Albertina Soliani a Repubblica: “L’Anpi dovrebbe riconoscere decisamente la resistenza del popolo ucraino … Il dilemma di fornire armi attraversa la nostra coscienza: una difesa armata misurata è moralmente accettabile. Bisogna disarmare l’aggressore … L’aggressione all’Ucraina ha sconvolto il mondo e gli assetti post seconda guerra mondiale … La scelta di Putin è anche dettata dalla sua paura di fronte alle democrazie”. Ferma e risoluta Liliana Segre che, al Corriere della Sera, ha detto: “L’equidistanza non è possibile, il popolo ucraino è stato aggredito dai russi e la sua resistenza va sostenuta … È difficile in un anno come questo intonare Bella ciao senza volgere un pensiero agli ucraini che nelle scorse settimane si sono svegliati e hanno trovato l’invasore. Ciò non vuol dire ovviamente essere contro il popolo russo vittima delle decisioni disumane del suo leader”. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante il discorso in occasione dell’incontro con le associazioni combattentistiche e di arma per il 25 Aprile, ha detto: “L’attacco della Russia al popolo ucraino non ha giustificazioni … L’incendio appiccato alle regole della comunità internazionale appare devastante; destinato a propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermarlo subito, scongiurando il pericolo del moltiplicarsi, dalla stessa parte, di avventure belliche di cui sarebbe difficile contenere i confini. Per tutte queste ragioni la solidarietà, che va espressa e praticata nei confronti dell’Ucraina, deve essere ferma e coesa”. Non ci sarebbe altro da aggiungere, se non che a inchiodarci alle nostre responsabilità di persone tuttora libere sono le immagini che da due mesi ci arrivano da quella terra annientata dai bombardamenti. Sono i servizi terribili che gli inviati continuano a mandare dalle tante Srebrenica ucraine entrate nella lista dei peggiori crimini di guerra del nostro tempo. Sono le tante intercettazioni in cui gli stessi russi parlano di saccheggi e di stupri, mentre in altre si sentono i giovani di leva confessare singhiozzanti ai parenti di non poterne più di quegli orrori. Sono le fosse comuni che affiorano ogni giorno, piene di cadaveri buttati lì per occultare le prove dei massacri. Sono le lacrime di tutte quelle donne avvolte nei loro poveri abiti da contadine alle quali nessuno potrà restituire il marito o il figlio fucilati all’istante e senza motivo. Una era Vanda Semyonovna Obiedkova ed era una bimba quando i nazisti fecero irruzione nella sua casa portando via sua madre, mentre lei riuscì a salvarsi nascondendosi in cantina. È morta per la fame e il freddo, implorando acqua, lo scorso 4 aprile in uno scantinato di Mariupol. Aveva 91 anni, proprio come Liliana Segre, per la quale questo 25 aprile è difficile “intonare Bella ciao senza volgere un pensiero agli ucraini”. In quel pensiero può esserci posto pure per una preghiera, anche laica, per Vanda e per le vittime e per i martiri delle guerre di ogni tempo.

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