Francesco

Anche i giovani di Taranto all’incontro con papa Francesco

21 Apr 2022

di Marina Luzzi

C’era anche Taranto all’incontro che papa Francesco ha tenuto con gli adolescenti italiani per la prima volta dopo i due anni di stop causati dalla pandemia. Nel giorno del Lunedì dell’Angelo, 120 ragazzi della diocesi ionica, sotto la guida del direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale giovanile, don Francesco Maranò e di alcuni parroci delle singole comunità, hanno raggiunto Roma per ascoltare le parole del pontefice e per vivere una giornata di spensieratezza ed allegria con alcuni dei loro beniamini, tra cui Blanco, vincitore dell’ultimo festival di Sanremo insieme a Mahmood. “È stato un momento bellissimo – racconta don Francesco – perché c’era nei ragazzi non soltanto il desiderio di stare insieme tra loro dopo tanto tempo ma quello di fare Chiesa ed è bello vedere una Chiesa giovane. Dopo le varie testimonianze di alcuni ragazzi che hanno parlato della loro esperienza di buio, nonostante la loro giovane vita, il Papa ha esclamato: “il buio non ci faccia paura. Non bisogna vergognarsi di dire che ne abbiamo paura. Le paure vanno portate fuori, bisogna parlarne”. Io che ho la possibilità anche di insegnare in una scuola superiore mi sono accorto della fatica dei rapporti, delle difficoltà che i ragazzi hanno incontrato in questo lungo periodo di Dad.  Molti si sono chiusi in loro stessi, senza parlare con qualcuno e senza avere un punto di riferimento ed è proprio questo che il Papa ha voluto ricordare ai ragazzi: parlare, confidarsi e guardare con speranza al proprio futuro. “Voi avete il fiuto della verità, non perdetelo”- ha detto ai giovani. Il gruppo della diocesi tarantina ha sostato poi la notte a Roma, «così da poter ripartire con calma ieri e far sedimentare anche tutto quello che abbiamo vissuto, riflettere insieme e devo dire che i ragazzi sono contentissimi dell’esperienza. Ovviamente entusiasti di vedere i loro cantanti preferiti, ma ancora di più di poter ascoltare e vedere il Papa. Alcuni lo avevano solo visto in tv. La piazza è esplosa quando lo ha visto. I ragazzi cercano qualcosa di più profondo nella vita, è una bugia dire il contrario. D’altronde Francesco stesso ha detto, in preparazione al Sinodo, nel 2018, che tante volte noi adulti parliamo dei giovani ma non dialoghiamo con i giovani ed è su questo che come Chiesa ci sta chiedendo da tanto tempo di lavorare».

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Francesco

#Seguimi: Papa Francesco all’incontro degli adolescenti italiani

Bagno di folla per il papa, durante il primo incontro pubblico in piazza San Pietro dopo la pandemia, che ha ricevuto l’abbraccio dei giovanissimi, che hanno riempito piazza San Pietro

21 Apr 2022

di M. Michela Nicolais

“Oltre alla pandemia, l’Europa sta vivendo una guerra tremenda, mentre continuano in tante regioni della Terra ingiustizie e violenze che distruggono l’uomo e il pianeta”. Lo ha detto il papa, prendendo la parola durante l’incontro di preghiera degli adolescenti italiani con il Santo Padre, promosso dalla Cei. Nel primo incontro pubblico in piazza San Pietro dopo la pandemia, 80 mila ragazzi, accompagnati da 60 vescovi, dai loro genitori e dagli educatori, hanno riempito l’area abbracciata dal colonnato del Bernini fino a Via della Conciliazione: e Francesco ha ricambiato il loro caloroso abbraccio, spingendosi ben oltre i confini della piazza a bordo della papamobile. Subito prima, gli adolescenti hanno vissuto un momento di festa ascoltando le testimonianze dei loro coetanei e le canzoni di due dei loro beniamini: Blanco e Matteo Romano, l’uno vincitore e l’altro concorrente al Festival di Sanremo di quest’anno. “Spesso sono proprio i vostri coetanei a pagare il prezzo più alto: non solo la loro esistenza è compromessa e resa insicura, ma i loro sogni per il futuro sono calpestati”, il grido d’allarme del papa a proposito delle nubi non solo di guerra che si stagliano all’orizzonte: “Tanti fratelli e sorelle attendono ancora la luce della Pasqua”. “Grazie di essere qui!”, il saluto iniziale: “Questa piazza attendeva da tempo di riempirsi della vostra presenza, dei vostri volti e del vostro entusiasmo. Due anni fa, il 27 marzo, venni qui da solo per presentare al Signore la supplica del mondo colpito dalla pandemia. Forse quella sera eravate anche voi nelle vostre case davanti al televisore a pregare insieme alle vostre famiglie”.

“Sono passati due anni con la piazza vuota – ha proseguito a braccio – e alla piazza gli è successo come quando noi facciamo il digiuno: la piazza ha sofferto il digiuno, e ora è piena di voi!”.

“Ci sono momenti in cui la vita ci mette a dura prova, ci fa toccare con mano le nostre fragilità e ci fa sentire nudi, inermi, soli”, l’analisi di Francesco: “Quante volte in questo periodo vi siete sentiti soli, lontani dai vostri amici? Quante volte avete avuto paura? Non bisogna vergognarsi di dire: ho paura del buio! Tutti noi abbiamo paura del buio! Le paure vanno dette, bisogna esprimerle per mandarle via! Vanno messe alla luce, e quando vengono messe alla luce, scoppia la verità!” Il buio ci mette in crisi, è vero, ma durante le crisi si deve parlare: vanno illuminate, per vincerle!”. “Se oggi siamo qui, lo dobbiamo a questi ragazzi!”, il saluto del card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei: “Chissà che questi ragazzi, oggi, ci aiutino davvero a riprendere le fila del Vangelo, dentro questa storia, drammatica e appassionante, nella quale il Signore ci chiede di testimoniare la nostra fede”, l’auspicio del cardinale, che oltre agli adolescenti arrivati da tutta Italia ha ringraziato i loro accompagnatori, i loro vescovi e i loro educatori.

“Voi non avete l’esperienza dei grandi, ma avete il ‘fiuto’ per trovare il Signore: non perdetelo!”, la consegna a braccio del papa. “Il fiuto vi porti alla generosità”, ha proseguito lasciando da parte il discorso scritto: “Non abbiate paura della vita, la vita è bella, per darla agli altri, per condividerla con gli altri!”. “Nei momenti di difficoltà, i bambini chiamano la mamma”, il riferimento finale a Maria: “Lei aveva circa la vostra età quando accolse la sua vocazione straordinaria di essere la mamma di Gesù. Vi aiuti lei a rispondere con fiducia il proprio ‘Eccomi’ al Signore. Lei vi insegni a dire ‘Eccomi’ e a non avere paura. Coraggio e avanti!”.

Tra le testimonianze, la più toccante è stata quella di Mattia Piccoli, 12 anni, nominato Alfiere della Repubblica dal presidente Mattarella per aver aiutato il padre colpito a 40 anni da Alzheimer precoce. “All’inizio ero un normale bambino di sei anni, pensavo solo a giocare e tutto andava bene; ma già da un po’ di tempo avevo notato che il mio papà non sembrava più lui, mi pareva diverso e a volte si dimenticava di fare le cose più importanti come venire a prendermi a scuola o andare a fare la spesa. Ma come ho già detto non ci davo molto peso, però più passava il tempo più il papà mi pareva strano, pensate che non voleva più giocare con me e a volte, quando gli chiedevo di guardare la tv, non riusciva neanche ad accenderla. Io non capivo proprio cosa stava succedendo al mio papà ma il 19 dicembre 2016, ci venne data la notizia che avrebbe cambiato le vite della mia famiglia: a mio papà venne diagnosticato l’Alzheimer precoce. Non avevo capito che tipo di malattia fosse, così un giorno la mamma iniziò a raccontarmi la devastazione che porta questo tipo di malattia soprattutto nei casi così giovanili”. “Da quel giorno il mio compito non avendo aiuti esterni, è stato quello di dare aiuto a mio papà nelle cose quotidiane che non riusciva più a fare da solo, come farsi una doccia, legarsi le scarpe oppure dargli conforto quando non sapeva dove si trovava”, ha raccontato Mattia: “Non ho mai fatto nulla controvoglia o per obbligo, ho voluto aiutare mio papà come atto di amore, pensando a tutto quello che lui aveva fatto per me”.

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Francesco

#Seguimi – l’incontro dei 100.000 adolescenti dal papa: “La Chiesa è viva”

Così don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale di Pastorale giovanile (Snpg) della Cei traccia un bilancio del pellegrinaggio degli adolescenti italiani a Roma

Vaticano, 18 aprile 2022. L'incontro degli Adolescenti con Papa Francesco.
21 Apr 2022

di Daniele Rocchi

“La Chiesa è ancora viva, i 100 mila adolescenti accorsi il giorno di Pasquetta in piazza san Pietro per incontrare papa Francesco lo dimostra. Questi ragazzi ci hanno sorpreso anche per la loro voglia di incontrarsi, di ritrovarsi, superando in maniera straripante qualunque attesa”: così don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale di Pastorale giovanile (Snpg) della Cei traccia un bilancio di “#Seguimi”, il pellegrinaggio degli adolescenti italiani a Roma “per condividere un momento di ascolto e di preghiera” insieme a papa Francesco. La festa che ha preceduto l’incontro con il papa è stata presentata da Andrea Delogu, insieme a Gabriele Vagnato, con gli interventi di Giovanni Scifoni, Michele La Ginestra e Matteo Romano.

(Foto Siciliani-Gennari/Sir)

Don Falabretti, cosa l’ha colpita di più dell’incontro con questa marea di adolescenti?
Quello che mi ha sorpreso molto, e non solo me è stata la rilettura del Vangelo, il brano della pesca miracolosa narrata da Giovanni, fatta dai ragazzi. Hanno portato la loro testimonianza parlando a braccio, con il cuore, dimostrando che hanno dentro molto di più di quel che pensiamo, che sanno esprimerlo e che, quando sono liberi di farlo, generano una disposizione all’ascolto da parte degli adulti che è sorprendente. Ci sono stati dei vescovi che ascoltandoli si sono commossi. Mi hanno colpito la loro profondità e la loro compostezza davanti a certi temi risuonati in piazza san Pietro. Il silenzio della piazza in alcuni momenti significativi, come durante il messaggio del papa, ha fatto venire i brividi.

L’evento, il primo dopo la pandemia, intendeva ridare attenzione a questa generazione che ha sofferto molto in questi due anni. A tale riguardo, quale impegno lascia agli educatori, agli adulti questo incontro?
Per rispondere uso le parole di un pastoralista napoletano, mons. Luigi Pignatiello, che diceva che i ragazzi non sono solo i destinatari di un annuncio ma sono protagonisti attivi della vita dello Spirito, partecipano a questa vita insieme agli adulti.

Il Vangelo non può essere comunicato solo dall’alto verso il basso. Ascolto e accompagnamento sono due parole chiave sulle quali si è molto discusso nel Sinodo per i giovani di quattro anni fa. L’ascolto mette il maestro, cioè gli adulti, siano essi vescovi, sacerdoti, religiosi, educatori, nella condizione di offrire una testimonianza più credibile proprio perché colpiti da quella dei ragazzi. È a questo punto che arriva la ‘conferma’ nella fede dei giovani da parte del maestro, come Gesù con Pietro, nella consapevolezza che confermare non significa escludere.

Prima di parlare con loro occorre saperli ascoltare?
Non si può pensare di parlare con loro, di convincerli con le parole, se prima non si è disposti ad ascoltarli, senza la pretesa di giudicare il loro mondo. In questo senso Blanco è un regalo ricevuto e ridonato ai ragazzi.

Da più parti, durante la pandemia, è risuonato una sorta di ‘De profundis’ per la Chiesa. Il pellegrinaggio degli adolescenti sembra aver detto tutt’altro, è proprio così?
Questo pellegrinaggio ci ha mostrato che la Chiesa non è finita. La pandemia è stata una prova dura per tutti. La sospensione della liturgia, avere i nostri luoghi ecclesiali, come parrocchie e oratori, vuoti ci ha trasmesso la paura che tutto era finito, che nulla sarebbe tornato come prima. Quante volte abbiamo udito cose simili in questi due anni? In realtà non si è dimostrato vero. Nel momento in cui le nostre chiese locali, i territori, hanno offerto a questi ragazzi ancora una volta un’esperienza di incontro, i ragazzi hanno risposto. È un segno che il radicamento storico, secolare, della Chiesa italiana genera ancora delle attese e rappresenta un punto di riferimento.

La prima cosa che questo evento ci ha donato è che le fila del Vangelo vanno riprese, la vita della Chiesa non è morta.

Ora che ‘il grande evento’ è terminato, bisogna riprendere il cammino…
Riprendiamo il cammino sapendo che, una volta spente tutte le luci del grande evento, si ritorna nella quotidianità, e che non si spegne il compito che ci è affidato: vivere il Vangelo a casa nostra. Davanti alla sorpresa donataci da questi ragazzi, a noi spetta interrogarci sul nostro modo di restare in contatto con loro, di continuare ad accompagnarli e di volergli bene. I ragazzi, per dirla con le parole di papa Francesco, hanno il fiuto non solo delle cose che amano ma anche e soprattutto del bene che vogliamo loro. Dobbiamo cercare di comprenderli, far capire loro che non siamo giudici ma che gli vogliamo bene per quel che sono, per la loro vita. Gesù non ha smesso di volere bene agli apostoli quando, al momento della Passione, sono andati via tutti. Questo è il motivo per cui il Vangelo ha attraversato 2000 e più anni di storia.

(Foto Vatican Media/Sir)

Questi ragazzi avranno ancora bisogno di noi. Bisogna capire e aspettare i loro tempi, avere pazienza. Andiamo a riprendere questi giovani mostrando il bene che nutriamo per loro. Volergli bene nella consapevolezza che noi non siamo perfetti. Anche noi adulti siamo fragili. I ragazzi ci aiutano a tenere i piedi per terra, a non sentirci migliori di loro, a non salire sulla cattedra degli infallibili. Questo atteggiamento con i ragazzi non paga.

 

 

foto in evidenza di Siciliani-Gennari/Sir

 

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L'argomento

Raccolta differenziata a Taranto: il 22 e 23 aprile, info-point in piazza Medaglie d’Oro

In occasione della Giornata mondiale della Terra, sarà allestito un punto informativo a cui i cittadini possono rivolgersi per chiedere notizie e chiarimenti sulla recente installazione di nuove isole ingegnerizzate

21 Apr 2022

Il consumo sostenibile, la lotta allo spreco, l’importanza del riciclo e la trasformazione del rifiuto in risorsa. E soprattutto promuovere e informare sulla raccolta differenziata a Taranto. Ispirata ai principi della Giornata mondiale della Terra, fondati su ecosostenibilità e cultura «green», arriva un’iniziativa di Kyma Ambiente prevista per venerdì 22 e sabato 23 aprile dalle ore 10 alle 12 in piazza Medaglie d’Oro a Taranto.

In queste due giornate sarà allestito un info-point a cui i cittadini possono rivolgersi per chiedere notizie e chiarimenti sulla raccolta differenziata. Vista la recente installazione di nuove isole ingegnerizzate in altre zone della città, tra cui proprio questa piazza, il presidente Giampiero Mancarelli e il personale di Kyma Ambiente saranno a disposizione per illustrare le novità, spiegare il corretto conferimento dei rifiuti e fornire materiale informativo agli utenti. A supportare l’iniziativa, una sorta di sportello all’aperto sulla raccolta differenziata, le «sentinelle dell’ambiente». Si tratta dei percettori di reddito di cittadinanza coinvolti nel progetto di Kyma Ambiente e Comune di Taranto che da quasi un mese sono impegnati sul territorio in azioni di informazione e sensibilizzazione sulla corretta gestione dei rifiuti. Un’attività di notevole rilevanza, specialmente in queste zone di Taranto che stanno affrontando per la prima volta il cambiamento da raccolta indifferenziata a differenziata.

Tra le indicazioni principali, rispettare gli orari di conferimento (fino a fine mese dalle ore 17:00 e dal 1 maggio dalle 19:00), utilizzare solo buste trasparenti che consentano di vedere il tipo di rifiuto conferito e seguire i colori dei cassonetti della differenziata a Taranto: giallo per il multimateriale (carta, cartone, plastica, metallo), verde per il vetro, marrone per l’organico (scarti di cibo) e grigio per il secco residuo-indifferenziato (tutto ciò che non si può differenziare).

«Scendiamo in piazza sulla scia della Giornata mondiale della Terra e, per tutelare il nostro pezzetto di mondo, è fondamentale fare correttamente la raccolta differenziata» commenta il presidente di Kyma Ambiente Giampiero Mancarelli. «Abbiamo aumentato la copertura con nuove isole ingegnerizzate e per questo saremo tra la gente per spiegare come comportarsi. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, per questo servirà tempo, ma siamo sicuri che la gente risponderà in maniera adeguata. Noi, come sempre, siamo disponibili a raccogliere commenti e suggerimenti. Il fine ultimo è allineare Taranto al passo con i tempi in tema ambientale e possiamo farlo solo con la collaborazione dei cittadini».

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Scienza

L’ultima frontiera nella gestione della Sla

20 Apr 2022

di Maurizio Calipari

Tra le patologie neurodegenerative ancora inguaribili figura anche la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Tale patologia attacca i neuroni motori causando l’insorgenza di una progressiva atrofia dei muscoli volontari, che conduce il paziente – in tempi variabili da soggetto a soggetto – alla completa paralisi motoria, pur conservando la piena coscienza. Così, la persona affetta da sla progressivamente perde la capacità di camminare, parlare, deglutire e respirare autonomamente. In queste condizioni, l’unico mezzo di comunicazione con l’esterno rimane la possibilità di sfruttare l’eventuale residuo movimento degli occhi per inquadrare le lettere di una tastiera a video computerizzata, che un software dedicato traduce in parole sonore. Si tratta, in questo caso, di interfacce cervello-computer (Bci, brain-computer interfaces) non invasive, che non prevedono cioè l’impianto di elettrodi nel cervello.

Ma se il paziente perde anche questa capacità muscolare residua, inevitabilmente finisce per ritrovarsi nello stato neurologico-funzionale definito “locked-in” (“chiuso dentro”), ovvero totalmente paralizzato ma cosciente.

A questo punto, l’unica possibile arma clinica è il ricorso all’impiego di Baci più invasive, che sfruttano l’attività elettrica del cervello per controllare un dispositivo esterno (come un braccio robotico o il cursore del mouse), permettendo così ai pazienti con SLA nello stato locked-in di comunicare senza muovere un muscolo, o quasi.

E’ quanto hanno sperimentato con successo Niels Birbaumer, dell’Istituto di psicologia medica e neurobiologia comportamentale dell’Università di Tubinga, in Germania, e il suo team di ricerca (descritto in un articolo recentemente pubblicato su “Nature communications”), applicando la metodica su un loro paziente di 36 anni affetto da Sla. Anch’egli, tre anni dopo la diagnosi di Sla (2018), aveva imparato a muovere gli occhi per dire “sì” e a tenerli immobili per dire “no”. Ma presto, anche questa residua capacità cominciò a spegnersi, conducendo il paziente nello stato “locked-in”. A questo punto, col suo consenso informato, Birbaumer e colleghi hanno deciso di procedere con una Bci invasiva. Così, a marzo 2019, hanno impiantato 64 microelettrodi direttamente nella corteccia cerebrale del paziente: metà nell’area motoria e l’altra metà nell’area motoria supplementare. Il giorno successivo all’impianto hanno iniziato i tentativi per capire se fosse possibile avviare una qualche forma di comunicazione.

Nei due mesi successivi è stato chiesto al paziente di provare a comunicare come aveva fatto per l’ultima volta, cioè muovendo gli occhi per rispondere “sì” e “no”, ma la totale assenza di segnali neurali ha suggerito ai ricercatori l’opportunità di cambiare metodo, adottando il paradigma sperimentale del neurofeedback uditivo. In parole semplici, i ricercatori generavano un suono che riproduceva in tempo reale l’attività elettrica del cervello registrata mentre il paziente immaginava di muovere gli occhi. Ascoltando il suono derivante dall’attività della propria corteccia cerebrale, presto il paziente ha imparato a modificarne la frequenza (aumentandola o diminuendola) semplicemente immaginando di muovere gli occhi. In questo modo, il paziente riusciva a selezionare le lettere pronunciate dall’altoparlante (un suono acuto per dire “sì”, un suono grave per dire “no”). La prima applicazione pratica gli è servita per ringraziare Niels Birbaumer e il suo gruppo; subito dopo, però, il paziente ha voluto comunicare le proprie preferenze alimentari (“Adesso vorrei una birra”) e, infine, ha potuto interagire direttamente con la moglie e il figlio (“Vuoi vedere il film Robin Hood con me?”).

“Abbiamo dimostrato – spiega Birbaumer – che un paziente paralizzato, nello stato ‘completely locked-in’ è in grado di formare intenzionalmente parole e frasi usando un sistema a neurofeedback uditivo che è indipendente dalla visione”.

Questo primo esperimento coronato da successo apre ora la strada ad ulteriori passi. La nuova Bci, infatti, mostra ancora alcuni limiti (per esempio deve essere usata sotto la supervisione di personale specializzato), tanto che i ricercatori sono già all’opera per migliorarne le prestazioni e per renderla in futuro alla portata di tutti.

 

foto Sir/Marco Calvarese

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L'argomento

Al via ‘Scintilla’, una rete di centri per bambini (0-6 anni) che vivono in contesti di fragilità

20 Apr 2022

“Come una stella, ogni bambino brilla di luce propria perché ha in sé una potenzialità che va curata e sviluppata: per questo nasce ‘Scintilla’, una rete di nidi e scuole dell’infanzia che, proprio in contesti caratterizzati da forte povertà educativa ed economica, unendosi danno vita a una costellazione di aiuti che illumina il futuro dei bambini, sostenendo e coinvolgendo le famiglie e creando un sistema di supporto nella comunità in cui vivono”: con queste parole, Sara Modena, direttore generale di Mission Bambini, dà il via a “Scintilla”, il nuovo progetto della Fondazione: una rete di centri educativi – le “Stelle” – dedicati a oltre 200 bambini della fascia di età 0-6 anni e alle loro famiglie che vivono in contesti di povertà educativa e fragilità socio-economica caratterizzati dalla scarsa presenza di servizi di qualità per la prima infanzia.
La Fondazione, che lavora nel campo dell’infanzia in difficoltà da oltre 20 anni, avvia questo progetto in collaborazione con quattro centri educativi gestiti da organizzazioni con cui collabora da anni a Bari (Hub educativo Nest di Aps Mama Happy, quartiere Libertà), Catania (Spazio Gioco dell’associazione Talità Kum, quartiere Librino), Napoli (Centro infanzia Pizzicalaluna di Solidee cooperativa sociale Ets) e Sesto San Giovanni, Milano (La Porta Magica de La Grande Casa scs).
Le Stelle accolgono, insieme agli altri, bambini che vivono in situazioni socio-economiche difficili e, per quelli provenienti dalle famiglie più indigenti, viene garantito l’accesso ai servizi con tariffe agevolate o, in casi particolari, gratuitamente. Ciascuna Stella offre un progetto educativo costruito sulle reali necessità e bisogni di ogni bambino che frequenta il centro: laboratori manuali ed espressivi, percorsi esperienziali e giochi educativi. Ogni centro ha le sue specificità basate sul contesto in cui opera e viene incontro alle esigenze dei bambini e delle famiglie, come ad esempio l’estensione degli orari di apertura o la flessibilità nell’accesso ai servizi.
Particolare attenzione è dedicata alle famiglie: ogni Stella ha la possibilità di istituire un Fondo per supportare quelle che vivono in condizioni di povertà assoluta, aggravata dalla pandemia e dalla crisi energetica in atto. L’accesso al Fondo è regolato dalla presenza di parametri oggettivi sulla situazione socio-economica delle famiglie, ma si basa sulla loro disponibilità a partecipare attivamente a percorsi psico-pedagogici di supporto alla genitorialità. L’obiettivo principale è rafforzare il ruolo educativo delle famiglie, portandole a diventare parte integrante delle “comunità educanti” che Mission Bambini costruisce sui territori di intervento. La Stella si fa carico di alcune necessità primarie (ad esempio con buoni spesa, consegna di prodotti di prima necessità o supporto nelle cure mediche) e la famiglia si impegna a diventare protagonista del processo educativo del proprio figlio.

 

foto di Mission Bambini

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Teatro

Al teatro Koreja di Lecce, Un canto per la vita e le opere di Alessandro Leogrande

20 Apr 2022

Si svolgerà al Teatro Koreja di Lecce un appuntamento speciale per ricordare Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista tarantino impegnato nella difesa dei diritti dei migranti e nelle battaglie a favore degli ultimi della Terra.

È grazie al suo lavoro attento e potente, che Leogrande continua a vivere nel ricordo di tanti amici, dei suoi lettori e di tutti quelli che lo hanno conosciuto. Ecco perché, a quasi cinque anni dalla sua scomparsa, Koreja ha voluto dedicare uno spettacolo che fosse un omaggio all’intellettuale, all’uomo e soprattutto all’amico con cui ha condiviso progetti, idee e battaglie. Leogrande, infatti, è stato l’autore de Il naufragio, il romanzo in cui raccontò la tragedia della Katër i Radës e da cui è stato tratto proprio Katër i Radës, l’opera/spettacolo di Koreja commissionata dalla Biennale Musica di Venezia nel 2014.

Giovedì 21 aprile alle ore 20.45  in scena l’anteprima di Alessandro. Un canto per la vita e le opere di Alessandro Leogrande, uno spettacolo di Koreja, con la drammaturgia di Fabrizio Saccomanno e Gianluigi Gherzi. Sul palco lo stesso Saccomanno insieme ad Elisa Morciano, Emanuela Pisicchio, Mariarosaria Ponzetta e Andjelka Vulic. Coproduzione Ura Teatro.

Lo spettacolo, con la regia di Fabrizio Saccomanno e la consulenza artistica di Salvatore Tramacere, debutterà il 20 maggio nella Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino, nell’ambito del programma Salone OFF, del Salone Internazionale del Libro.

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Festival

Mysterium, l’atto finale nel duomo di San Cataldo con l’”Inno alla pace”

Cinquecento coristi, duecentocinquanta musicisti per trentotto eventi in ventiquattro luoghi diversi: numeri di un Festival che ha riabbracciato la città nel periodo della Quaresima

20 Apr 2022

«Trentotto eventi in ventiquattro luoghi diversi in un anno particolare, in cui celebriamo fra l’altro i cinquant’anni dell’adozione da parte della Comunità europea dell’Inno alla gioia di Beethoven, un inno anche di fratellanza e di pace; volevamo dare un segnale così forte, con la presenza di duecento artisti su un palcoscenico mai allestito fino ad ora all’interno della Cattedrale di San Cataldo e offerto gratuitamente alla città di Taranto». Così il direttore artistico Piero Romano, ha introdotto l’ultimo evento del Mysterium Festival. Con il Concerto di Pasqua, la Nona sinfonia di Beethoven, eseguito nella Cattedrale di San Cataldo in Città vecchia, infatti, si è conclusa la rassegna di fede, arte, storia, tradizione e cultura della quale è presidente Giovanni Ammirati.

«Il Mysterium si è concluso con uno spettacolo di musica, bellezza – ha detto l’arcivescovo di Taranto, Monsignor Filippo Santoro – con l’“Inno alla gioia”, un invito alla pace: siamo fratelli in quanto riconosciamo un unico Padre; il Signore nel giorno di Pasqua ci prende per mano per non lasciarci un solo istante nei momenti di difficoltà; con il cuore pieno di sofferenza a causa della guerra in Ucraina, ci sostiene dandoci speranza perché si possa cambiare con un contributo di serenità e fratellanza ponendo massima attenzione ai veri bisogni della gente».

A fine concerto, la consegna dell’ambito Premio Mysterium Festival, assegnato all’unanimità dal Comitato scientifico della rassegna al dott. Gianluca Bilancioni (nella foto in basso), direttore del personale di Teleperformance. «Conseguire un premio così prestigioso mi responsabilizza ancora di più nel percorso svolto insieme con il personale di Teleperformance – ha dichiarato Bilancioni – lo scopo è quello di cercare di creare un insieme di persone sempre più intersecate fra loro, quasi a creare un unico soggetto impegnato ad aiutare chi ha bisogno; questo riconoscimento avvalora il mio sentirmi profondamente tarantino, onorato di essere ospite di una città così bella e accogliente: un amore sbocciato ai tempi del mio servizio militare svolto nell’allora Saram, tanto che ogni volta che torno mi si illumina il cuore».

Questo il Comitato scientifico del Mysterium Festival: dott. Donato Fusillo, presidente; prof.ssa Adriana Chirico; Maestro Piero Romano (Orchestra della Magna Grecia); dott.ssa Eva Degl’Innocenti (MArTA), Maestro Pierfranco Semeraro (ARCoPU), don Emanuele Ferro (portavoce Arcidiocesi, parroco della Cattedrale di San Cataldo), prof. Riccardo Pagano (Dipartimento Jonico – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, sede di Taranto).

«Il Mysterium Festival è stato un percorso straordinario – ha ripreso il Maestro Piero Romano – fatto di musica, installazioni, di valorizzazione di luoghi: sono fiero di un gruppo che ha lavorato in maniera incessante, coordinando l’impegno di cinquecento coristi, duecentocinquanta musicisti per trentotto eventi in ventiquattro luoghi diversi, numeri di una rassegna che ha riabbracciato la città nel periodo della Quaresima concludendo il suo percorso nel luogo in cui il Mysterium è nato».

«Da oltre duecentocinquanta anni la nostra città – ha dichiarato nel suo intervento don Emanuele Ferro, parroco della Cattedrale di San Cataldo – insieme con le Confraternite del Carmine e dell’Addolorata, oltre ad essere testimonianza di fede è diventata nel tempo anche grande attrattore di turismo religioso al centro delle celebrazioni di Passione, Pasqua e Resurrezione. Il profumo di fede e tradizione è sempre vivo. Taranto mette insieme aspetti della cultura, del turismo e dello spettacolo che coincidono con la sacralità di questi giorni».

La rassegna di eventi di fede, arte, storia, tradizione e cultura è stata promossa dall’Arcidiocesi di Taranto, insieme con l’Orchestra della Magna Grecia, il L.A. Chorus, il Comune di Taranto, la Regione Puglia, il Ministero della Cultura e Le Corti di Taras, con la collaborazione con “Fondazione Puglia”, “Programma Sviluppo”, “BCC San Marzano di San Giuseppe”, “Comes”, “Chemipul”, “Fondazione Taranto e la Magna Grecia”.

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Francesco

Il papa: “Scartare i vecchi è un peccato grave; avvicinate i bambini agli anziani, custoditeli e non lasciateli soli”

Francesco ha concluso la catechesi dedicata agli anziani e in particolare al quarto comandamento

20 Apr 2022

“Mi permetto di consigliare ai genitori: per favore, avvicinare i figli, i bambini agli anziani, avvicinarli sempre! Quando l’anziano è ammalato, un po’ fuori di testa, avvicinarli sempre, che sappiano che quello è la nostra carne”. Lo ha detto il papa, che ha concluso la catechesi dell’udienza del mercoledì, dedicata alla vecchiaia, e in particolare al quarto comandamento, con un’ampia parentesi a braccio. “Per favore, non allontanare gli anziani, e dove non c’è un’altra possibilità che una casa di riposo andarli a trovare e portare i bambini a trovarli”, l’appello di Francesco: “Sono l’onore della nostra civiltà, i vecchi, che hanno aperto le porte, e tante volte i figli si dimenticano di questo”. “A me piaceva a Buenos Aires – ha raccontato ancora una volta il papa – andare a visitare le case di riposo. E una volta ho chiesto a una signora: ‘Quanti figli ha?’. ‘Ne ho quattro, tutti sposati, con i nipotini’. ‘Loro vengono?’. ‘Sì, vengono sempre’. Quando sono uscito dalla camera l’infermiera mi ha detto che aveva detto una bugia per coprire i figli: ‘Non vengono da sei mesi’”. “Questo è scartare i vecchi e pensare che sono materiale di scarto”, il monito di Francesco: “Per favore, è un peccato grave! Il quarto comandamento è l’unico che dice il premio: ‘Onora il padre e la madre e avrai lunga vita sulla terra’. Questo comandamento di onorare i vecchi ci dà una benedizione”. “Per favore, custodire i vecchi, e se perdono la testa custodire i vecchi, perché sono la presenza della storia, la presenza della mia famiglia, e grazie a loro io sono qui”, l’altro appello del papa: “Per favore, non lasciarli da soli!”. “Non è una questione di cosmetici e di chirurgia plastica”, ha puntualizzato Francesco: “Piuttosto, è una questione di onore, che deve trasformare l’educazione dei giovani riguardo alla vita e alle sue fasi. L’amore per l’umano che ci è comune, inclusivo dell’onore per la vita vissuta, non è una faccenda per vecchi. Piuttosto è un’ambizione che renderà splendente la giovinezza che ne eredita le qualità migliori. La sapienza dello Spirito di Dio ci conceda di aprire l’orizzonte di questa vera e propria rivoluzione culturale con l’energia necessaria”.

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Libri

In un libro di don Andrea Casarano i profili di oltre 700 preti diocesani

20 Apr 2022

di Silvano Trevisani

Si intitola “Venite, benedetti del Padre mio” il voluminoso volume dato alle stampe da don Andrea Casarano, direttore dell’Archivio storico diocesano “in memoria dei sacerdoti dell’arcidiocesi di Taranto, che ora contemplano il volto del Signore, dopo averlo servito nella sua Chiesa qui in terra”. Il libro sarà presentato giovedì 21 aprile alle 19,30, nell’auditorium dell’Arcivescovado, nel corso di un incontro che sarà moderato da monsignor Emanuele Ferro direttore dell’Ufficio diocesano per la comunicazioni sociali, con gli interventi di Vittorio De Marco, direttore della Biblioteca arcivescovile e di monsignor Alessandro Greco, vicario generale. Concluderà l’arcivescovo Filippo Santoro.

All’autore, don Andrea Casarano, abbiamo posto alcune domande.

A chi è rivolto questo libro?

Innanzi tutto a noi preti perché, come dico nell’introduzione, l’effetto che ha fatto su di me dovrebbe sortirlo sugli altri. È un senso di gratitudine verso chi ci ha preceduti nel servizio di questa Chiesa. La diocesi, infatti, non nasce con noi ma noi ci poniamo nel solco tracciato da altri e che, a nostra volta, affideremo a quanti, dopo di noi, continueranno il lavoro di servizio alla diocesi a Dio, alla Chiesa e ai fratelli. Ma è rivolto anche ai fedeli perché, conoscendo la vita dei sacerdoti si conosce la vita della nostra comunità.

Come è sviluppato il volume?

Abbraccia un arco temporale di quasi due secoli, a partire dai sacerdoti che hanno ricevuto l’ordinazione nel 1835. Di ogni sacerdote, laddove è stato possibile in modo analitico, si è cercato di scrivere con precisione gli incarichi ricoperti. Di conseguenza, la vita del ministro di Dio è intrecciata con la vita delle comunità che servono, quindi: conoscendo la vita dei sacerdoti si conosce la vita dei paesi, delle parrocchie, per questo la conoscenza è preziosa anche per i laici. Il volume si compone di ben 645 schede, più 3 seminaristi: tre ragazzi morti durante il percorse, e in nota ci sono altri 104 preti ai quali ho accennato appena.

I sociologi affermano che oggi la società vive immersa nel presente e non si occupa più del passato, della sua storia. Per questo c’è una scarsa propensione a ricordare.

Un uomo che non ha passato non ha neanche futuro. Se uno pensa di poter vivere l’oggi sganciato da quello che è stato ieri, non va da nessuna parte. Solo Cristo fa nuove tutte le cose. Noi non possiamo recidere il rapporto col passato dal quale dipende ciò che noi siamo oggi, anche come presbiterio, come Chiesa locale.

È possibile desumere dalla lettura del libro situazioni specifiche, problemi che i sacerdoti si trovavano a vivere nelle loro epoche?

In questi due secoli ci sono state tante trasformazioni, sia nel mondo civile che nella Chiesa, perché la Chiesa è fatta di uomini, sebbene guidata dallo Spirito Santo. Ma una cosa è essere stati preti nel primo Ottocento, prima dell’Unità d’Italia, un’altra durante la Rivoluzione industriale o durante le grandi guerre e altra ancora è essere stati preti nel dopo Concilio. Sicuramente ci sono difficoltà comuni sempre nella vita del prete. L’importanza della vita in comune tra preti, ad esempio, veniva già sentita nell’Ottocento anche se non affrontata, da qui il problema della solitudine. Ma alcuni problemi presenti nell’Ottocento fortunatamente oggi non ci sono più, difficoltà anche di puro e semplice sostentamento, perché nell’Ottocento molto spesso i sacerdoti vivevano al limite della miseria, non essendoci le possibilità di oggi, tra le altre cose non c’era l’insegnamento scolastico… Ma oggi ci sono tante altre difficoltà che un tempo non c’erano.

Ma c’è stato anche un tempo in cui i sacerdoti tramandavano la cultura, la storia o facevano anche politica.

Sì abbiamo tanti esempi. Per quanto riguarda la storia abbiamo il nostro grande storiografo monsignor Blandamura, ma per Martina Franca abbiamo il canonico Grassi, così come per l’impegno politico il grande arciprete di Grottaglie Giuseppe Petraroli, una grande mente, un uomo illuminato forse: l’uomo giusto nel momento sbagliato, anche per vari problemi, che nel volume non sono affrontati… anche perché, come dico nell’introduzione, ho voluto tracciare un solco storicamente preciso su ogni sacerdote. Non potevo essere esauriente su tutti perché altrimenti sarebbe venuta fuori un’enciclopedia. Il mio libro è una sintesi di fonti. Ho raccolto le fonti a nostra disposizione, dati che si trovano in diversi fondi dell’Archivio storico e a corredo di questa sorta di scheda c’è, ove possibile, il necrologio ufficiale. Che manca per i sacerdoti prima del 1885, perché proprio in quell’anno lo si è cominciato a scrivere. Fu una felice intuizione dell’arcivescovo Iorio, anche se il necrologio in sé non è esaustivo. Insomma: questo libro è un solco storicamente certo su cui si possono ricercare le fonti cui attingere per eventuali approfondimenti, sapendo dove trovarle.

C’è una figura che ti ha colpito particolarmente nel ricostruirne il profilo?

Ci sono tante figure a dire la verità. A seconda del periodo o, se vogliamo, dell’episcopato. Ripensando ai tempi dei nostri ultimissimi, in primis direi soprattutto il mio parroco monsignor Antonio Piccinni ma non si può pensare all’episcopato di monsignor Papa senza pensare a monsignor Zappimbulso, ma anche a tanti altri sacerdoti che ho conosciuto direttamente, deceduti durante l’episcopato di monsignor Papa e che hanno collaborato tanto con monsignor Motolese. Pensiamo a don Traversa, don Grottoli, don Liuzzi, don Saverio Greco, sono numerosi… Nel passato non tanto remoto ci sono delle figure bellissime delle quali la gente conserva ancora un grande ricordo nelle loro comunità, i loro nomi sono in benedizione nei loro paesi anche se magari non sono stati conosciuti direttamente; di loro Motolese parlava sempre con grande piacere. Pensiamo agli agli arcipreti Olindo Ruggeri di Martina Franca, Bonaventura Enriquez di Montemesola, Giuseppe Caforio di Crispiano e un quarto nome potremmo indicarlo in monsignor Importuno di San Marzano, storici arcipreti che hanno condotto una vita santa incarnando veramente nei loro paesi la figura del Buon Pastore.

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Mondo

Un progetto internazionale per guardare oltre le macerie

La democrazia non si può esportare, si deve costruire. Fa bene alle persone e ai gruppi sociali, ma è un equilibrio molto delicato, che non gode oggi di splendida salute, ma può e deve essere sviluppata

20 Apr 2022

di Francesco Bonini

Una delle poche, pochissime evidenze che sembrano profilarsi in questa guerra (non dichiarata), ovvero in questo pezzo terza guerra mondiale appunto a pezzi, che tanto più ci colpisce perché la sentiamo particolarmente vicina, è che forze potenti mirano a farla durare. Sembra ci sia un concorrere di gesti e parole che tende a dispiegare un centro di ostilità, a media intensità, di durata indefinita. La prospettiva è quella di generare un conflitto, questa volta più largo di quello che dura da otto anni nel Donbass, dispiegato nel centro dell’Europa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’Europa si estende dall’Atlantico agli Urali, e tra Lituania, Ucraina e Bielorussia, ha il suo centro geografico.

In questo caso, con la guerra, la geografia necessariamente richiama e interroga la storia, la politica e la forza armata, e formula un interrogativo angoscioso: cosa fare di questa terra al centro dell’Europa? Una palude dove impantanare condivisione e solidarietà, un muro per separare uomini e idee, una fossa comune dove seppellire sogni e speranze? Tutto questo o cos’altro?

Articolare una risposta univoca oggi non è possibile: troppo difficile spiegare questa anacronistica guerra, se non attraverso la visione di una logica della forza bruta e dell’aggressione, che per fortuna, fino ad ora, non ha vinto. Ma se vogliamo dare un senso alla parola “pace” occorre che qualcuno sappia guardare oltre, oltre le macerie, la cui visione oggi, richiama quelle della seconda guerra mondiale, da Stalingrado a Berlino. Urge articolare, senza indugi e in ogni modo, una risposta positiva per far sì che questa terra, posta al centro geografico dell’Europa, da teatro di un conflitto violento e senza scrupoli, si trasformi un ponte per unire, in un luogo di libertà e di democrazia. Questo implica necessariamente fantasia istituzionale e l’indispensabile riavvicinamento tra le due parti di questa Europa, l’Oriente e l’Occidente, oggi invece sempre più a rischio di allontanamento se non separazione. Una vera “Unione europea” di cui la Russia era e resta parte fondamentale. Un riavvicinamento che necessita anche la collaborazione di altri “partners”, altri attori collegati, come i componenti dell’Alleanza Atlantica, Stati Uniti e Canada, ma anche Turchia, membro della Nato che però non si adegua alla linea della politica delle sanzioni, per non dire delle altre potenze mondiali, come la Cina, che non possono disinteressarsi o partecipare solo a tutela del proprio interesse.
In questo scenario e in questa direzione occorre dare gambe, braccia, intelligenze e operosità alla prospettiva che, unico tra gli attori mondiali, Papa Francesco non si stanca di indicare. Si rilegga a questo proposito il suo primo discorso a Malta, con l’immagine della rosa dei venti. Che vale per il più piccolo degli Stati dell’Unione, ma anche per l’Italia e tutta l’Unione. Si riascoltino le sue parole pronunciate al mondo in occasione della Pasqua.

Da anni ormai assistiamo a una regressione continua, nel mondo, del valore della democrazia, regredisce nel mondo, proprio quando si era pensato o tentato di “esportarla”, magari attraverso l’intervento militare, come in Afghanistan oppure alimentando il famoso “regime change”, come nelle cosiddette “primavere arabe”.

La democrazia non si può esportare, si deve costruire. Fa bene alle persone e ai gruppi sociali, ma è un equilibrio molto delicato, che non gode oggi di splendida salute, ma può e deve essere sviluppata. A ricordarlo in maniera efficace, la fondazione vaticana, la Gravissiumum Educationis, che ha prodotto materiali utilissimi. Le macerie si possono ricostruire solo se c’è un progetto. Sennò richiamano solo altre macerie.​

 

foto Ansa/Sir

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Francesco

Abbiamo bisogno del Risorto “per sperare nella riconciliazione”

Roma 15–4-2022 Colosseo Papa Francesco celebra la Via Crucis al Colosseo Servizio realizzato durante la pandemia Corona Virus/Covid-19 Ph: Cristian Gennari/Siciliani
19 Apr 2022

di Fabio Zavattaro

L’immagine simbolo di questa Pasqua, le quattro mani che sorreggono la croce al Colosseo, prima Via crucis dopo la pandemia; e i volti di Irina, dell’Ucraina, e Albina, della Russia, gli occhi lucidi che si specchiano gli uni negli altri. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”: tredicesima stazione. “La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi”, si legge nella riflessione preparata per questa penultima sosta della Via crucis. Dove sei Signore, scrivono Irina e Albinia: “quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?”. Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione”. Il papa lascia al silenzio il commento il passo che fa memoria della morte di Gesù, alle tre del pomeriggio. Scriveva don Tonino Bello dopo aver letto un cartello – collocazione provvisoria – su un crocifisso in una: “da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio”.

Quello sguardo silenzioso, dolce, di Irina e Albinia sono anche il commento più bello a quelle tre ore sul Golgota: c’è la sofferenza, la morte, ma c’è la certezza che la pietra del sepolcro sarà rotolata via. E sarà una donna, Maria di Magdala – “si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio” leggiamo in Giovanni – la prima a testimoniare la resurrezione del Signore. Sono le donne, la tenerezza delle madri la vera alternativa alla logica scellerata del potere e della guerra, diceva papa Francesco.

Celebra in piazza san Pietro la messa di Pasqua, il sagrato abbellito da fiori, la folla arriva fino a metà via della Conciliazione. Subito l’Ucraina: “troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza”. I discepoli sono chiusi in casa, pieni di paura, leggiamo nel Vangelo; così i nostri cuori “riempiti di paura e di angoscia, mentre tanti nostri fratelli e sorelle si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe”, dice Francesco. Ma Cristo è veramente risorto, “non è un’illusione”; oggi “abbiamo bisogno di lui” in questa “Quaresima che sembra non voler finire”. Dopo la pandemia ecco “lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo”. Abbiamo bisogno del Risorto allora “per credere nella vittoria dell’amore, per sperare nella riconciliazione”.

Ai discepoli chiusi nel cenacolo, Gesù dice pace a voi. E pace chiede Francesco; Cristo porta “le nostre piaghe” procurate a lui “dai nostri peccati, dalla nostra durezza di cuore, dall’odio fratricida”; sono il segno “della lotta che lui ha combattuto e vinto per noi, con le armi dell’amore, perché noi possiamo avere pace, essere in pace, vivere in pace”. Pace allora per l’Ucraina “duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata. Si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace […] si ascolti il grido di pace della gente”. Per due volte cita le parole di Albert Einstein e Bertrand Russell nel loro manifesto contro la guerra nucleare: “Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”.

Nel cuore del papa le numerose vittime ucraine, i milioni di rifugiati e di sfollati interni, le famiglie divise, gli anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città rase al suolo; ancora lo sguardo dei bambini rimasti orfani e che fuggono dalla guerra. Guardandoli non possiamo non avvertire il loro grido di dolore, insieme a quello dei tanti altri bambini che soffrono in tutto il mondo”. In questa terza guerra mondiale a pezzi, Francesco ricorda guerre dimenticate e chiede pace in Libano, Siria, Iraq, Yemen, in tutto il Medio Oriente; in Myanmar, Africa, Sahel, Congo, America Latina.

 

foto Vatican Media/Sir

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