Al termine del Regina Caeli della Solennità dell’Ascensione – a sorpresa e rivolgendosi direttamente ai fedeli, come ormai ci ha abituato in quasi dieci anni di pontificato – Papa Francesco ha annunciato per il 27 agosto prossimo il suo ottavo Concistoro, durante il quale nominerà 21 nuovi cardinali, di cui 16 elettori, cioè con diritto di voto in un eventuale Conclave. Fedele al suo motto per cui il cardinalato “non è un premio alla carriera”, ma un servizio alla Chiesa universale in comunione con il successore di Pietro, Bergoglio ha scelto le nuove porpore da ogni parte del mondo, privilegiando la logica delle periferie e trascurando ancora una volta le tradizionali sedi cardinalizie. Dal 27 agosto, il Collegio cardinalizio sarà composto di 229 cardinali, dei quali 132 sono elettori. Guardando agli ultimi tre pontificati, il collegio sarà costituito da 52 cardinali creati da Giovanni Paolo II (11 dei quali elettori); 64 creati da Benedetto XVI (38 dei quali elettori) e 113 creati da Francesco (83 dei quali elettori). Per quanto riguarda la scomposizione per continenti, infatti, a partire dal prossimo Concistoro, i cardinali saranno così distribuiti: Europa, 107 cardinali, di cui 54 elettori; le Americhe, 60 cardinali, di cui 38 elettori; l’Asia, 30 cardinali, di cui 20 elettori; l’Africa, 27 cardinali, di cui 17 elettori; l’Oceania, 5 cardinali di cui 3 elettori.
Tra i 16 nuovi cardinali elettori annunciati da Bergoglio, sono due i cardinali italiani:
Oscar Cantoni – unico cardinale residenziale – e Giorgio Marengo. Il primo, 71 anni, originario di Lenno, è stato per anni padre spirituale del Seminario di Como: nominato vescovo nel 2005, ha preso possesso della diocesi di Crema il 19 marzo 2005, mentre dal 5 ottobre 2016 è vescovo di Como. Attualmente è assistente del Delegato per i Semininari d’Italia. Mons. Giorgio Marengo, con i suoi 48 anni diventerà il più giovane del Collegio cardinalizio. Nato a Cuneo il 7 giugno del 1974, è stato missionario in Mongolia e, fino alla nomina episcopale, consigliere regionale dell’Asia e superiore dell’ordine per la Mongolia. Nell’aprile del 2020 papa Francesco lo ha nominato prefetto apostolico di Ulan Bator e vescovo titolare di Castra Severiana. Tre su cinque i prelati italiani non elettori, che per raggiunti limiti di età non possono essere presenti in Conclave. Mons. Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, nato in Piemonte, a San Giorgio Canavese, il 18 luglio 1942, da vescovo di Iglesias, a partire dal 1993, era stato particolarmente vicino ai minatori. Dal 1999 vescovo a Ivrea e presidente del comitato scientifico e organizzatore delle settimane sociali dei cattolici italiani, era poi stato nominato arcivescovo di Cagliari da Benedetto XVI nel 2012. Il 22 settembre 2013 aveva accolto papa Francesco per la sua visita a Bonaria. Dopo le dimissioni per limiti di età del 2017, il Papa lo aveva conferma per altri due anni. Il gesuita Gianfranco Ghirlanda, invece, nato a Roma il 5 luglio 1942, è stato rettore della Pontificia Università Gregoriana di Roma dal 2004 al 2010. Attualmente è assistente pontificio per le questioni canoniche relative all’associazione dei Memores Domini e sta seguendo la riforma della Carta Costituzionale del Sovrano Militare Ordine di Malta. Mons. Fortunato Frezza, classe 1942, viterbese, è stato sottosegretario del Sinodo dei Vescovi, assistente Ecclesiastico dei Medici e Farmacisti della Città del Vaticano e cappellano della società della Roma Calcio. Attualmente è canonico di San Pietro. Competano l’elenco Jorge Enrique Jiménez Carvajal, arcivescovo emerito di Cartagena (Colombia); Lucas Van Looy, arcivescovo emerito di Gent (Belgio).
Tre i nuovi porporati elettori della Curia romana:
Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti; Lazzaro You Heung sik, prefetto della Congregazione per il clero; e Fernando Vérgez Alzaga, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. La terza porpora europea dei cardinali elettori spetta a mons. Jean Marc Aveline, arcivescovo metropolita di Marsiglia. Due i rappresentanti dell’India: mons. Filipe Neri Antonio Sebastião di Rosario Ferrão, arcivescovo di Goa e Damao, e mons. Anthony Poola, arcivescovo di Huyderabad. L’Asia è presente anche con mons. William Goh Seng Chye, arcivescovo di Singapore, e con mons. Virgilio Do Carmo Da Silva, arcivescovo di Dili, a Timor Orientale.
Nigeria e Ghana sono, rispettivamente, i Paesi di provenienza dei due nuovi cardinali africani: mons. Peter Okpaleke, vescovo di Ekwulobia e mons. Richard Huuia Baawobr. Dall’America del Nord proviene mons. Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego, mentre tre sono i vescovi latinoamericani: il brasiliani Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo metropolita di Manaus, e Paulo Cesar Costa, arcivescovo metropolita di Brasilia, e il paraguaiano Adalberto Martinez Flores, arcivescovo metropolita di Asuncion.
(Foto Vatican Media/SIR)




Don Antonio nacque a San Ferdinando di Puglia (Foggia) il 23 marzo del 1927. “È il paese di mia madre – ci raccontò in un’intervista di qualche tempo fa –, che vi tornò dopo che mio padre, di Lizzano, emigrò in America a causa della grande crisi. Quando ritornò in Italia, ci trasferimmo daccapo a Lizzano (avevo appena due anni). Frequentai la parrocchia di San Nicola, guidata da don Giovanni Pulito, cui espressi il desiderio di diventare sacerdote. Essendo la mia famiglia impossibilitata a sostenere la retta al seminario di Taranto, optai per quello serafico di Manduria, più alla nostra portata. Ma essendoci lì pure mio cugino, il rettore pensò che frequentassimo solo per studiare… a buon mercato. E dopo un po’ rimandò entrambi a casa”.
Primo incarico fu al Carmine di Taranto, ritrovando come parroco l’ex rettore, con il quale in seminario si era instaurato un rapporto di grande stima. Vi rimase fino al ’53, destinato poi alla guida della parrocchia dell’Immacolata di San Giorgio Jonico. Dal ’58, la grande avventura a Gesù Divin Lavoratore, ai Tamburi. Lo attendeva un lavoro durissimo, con la costruzione della nuova chiesa e la cura pastorale di una popolazione che in breve tempo si sarebbe raddoppiata. Ci raccontò don Antonio: “M’impegnai negli incontri con le famiglie, casa per casa, cui consegnavo il Crocifisso e con la realizzazione dell’asilo parrocchiale, affidato alle suore Pastorelle”. La parrocchia fu poi affidata ai Giuseppini del Murialdo e così dal primo ottobre del ’79 don Antonio fu trasferito alla Madonna della Fiducia, nel quartiere Italia-Montegranaro. Di quel periodo don Antonio rammenta la proficua collaborazione con il suo vicario, don Marcello Acquaviva: “L’ho amato come un figlio, mi ha edificato per la preghiera e la grande cura nella guida dei giovani”. Anche nella nuova parrocchia, tanto lavoro con i neocatecumenali (nove comunità da seguire). Tutto ciò, fino al 2004, quando dovette lasciare la guida della parrocchia per il raggiungimento dei limiti di età.
L’esperienza incancellabile di questo fecondo sacerdozio? gli chiedemmo: “Senz’altro l’incidente a Gesù Divin Lavoratore, da cui si salvò miracolosamente e del quale si occupò la stampa. “Fu il 30 luglio del ’74 – ci ricordò – e a causa delle polveri siderurgiche, decisi con i giovani di pulire e rinfrescare la chiesa. Quel giorno volli pitturare la volta, salendo su una scala a sua volta poggiata su un’impalcatura. Ma dimenticai di inserire il blocco delle rotelle. Neanche il tempo di dare la prima pennellata che iniziai a precipitare al suolo, da 17 metri. Guardai al grande Crocifisso e gli gridai di salvarmi. Mi ritrovai a terra seduto, incolume, tant’è che fui ricoverato per appena tre giorni. Andai in crisi. Cosa voleva da me il Signore? Trovai la risposta nella preghiera: dovevo impegnarmi nel diffondere la sua parola. Cosa che ho fatto e che continuerò a fare fino all’ultimo respiro”. Come appunto ha fatto sino agli ultimi giorni di vita.
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