Diocesi

Il discorso dell’arcivescovo Filippo Santoro per la tradizionale consegna della statua del patrono San Cataldo alle autorità cittadine

08 Mag 2022

di † Filippo Santoro

Stimate autorità, Capitolo Metropolitano e amati tarantini,

dopo due anni, in cui l’immagine di San Cataldo è rimasta al chiuso della nostra basilica millenaria, finalmente oggi ho la gioia di consegnarla al commissario straordinario del Comune di Taranto, il prefetto Vincenzo Cardellicchio e quindi a ciascuno di voi. 

Consegno San Cataldo alla città, con le sue reliquie e i suoi ori, segno di una devozione inveterata e di un amore resistente al tempo e alle prove. Consegno san Cataldo a Taranto perché Taranto si affidi alla sua intercessione. La mia esortazione è quella di vivere la festa nel segno della santità, dirigendo lo sguardo verso questa sacra effige ognuno possa sentirsi parte di una comunità, di una famiglia. I santi sono di tutti. I santi non ci lasciano mai da soli. I santi ci insegnano il bello della vita. I santi ci mostrano la croce del Signore in filigrana alle nostre croci perché possiamo sperare e praticare l’amore di Cristo che tutto vince. 

Eccellenza Signor Commissario, nella partecipazione ai Riti della Settimana Santa, mi è parso di scorgere e credo di non sbagliarmi, il suo stupore e la sua ammirazione. La fede dei tarantini, rimane l’attrattore, mi si passi l’espressione, più bello di questa città. Dal racconto che purtroppo da anni si fa del capoluogo ionico, non ci si aspetta una tale bellezza e i forestieri ne rimangono sempre catturati. Anche oggi Lei vedrà qualcosa di meraviglioso, che allarga il cuore. Quando l’imbarcazione Cheradi della Marina Militare, solcherà il canale navigabile in mezzo alle imbarcazioni e alle ali di folla che caratterizzeranno gli affacci al ponte, sono sicuro che anche lei con me gioirà di questo popolo e della sua devozione.

Le avranno già detto che con fare colorito che San Cataldo è amante dei forestieri, quasi a dire che san Cataldo si occupa poco di questa città. La definizione dei tarantini le assicuro è ingenerosa.

San Cataldo è stato accolto dai nostri avi in questa terra, ha voluto qui consumare la sua esistenza, si è lasciato trattenere da una Taranto che aveva bisogno di lui. Egli è il segno dell’accoglienza ospitale di questa antica terra cristiana. Cataldo conosce le ferite di queste sponde, perché tali ferite sono conosciute dal Signore, sono patite dallo stesso Cristo! Per cosa siamo chiamati a festeggiare? Ci sono i motivi della festa? Le nostre processioni significhino sempre il pellegrinaggio, siamo nomadi, uomini e donne di fede che hanno la loro meta in Dio, che conoscono l’insufficienza del mondo e sono certi del bene che viene dal cielo. 

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci parla di una notte di pesca infruttuosa ma dopo aver ascoltato l’invito di Gesù avviene il miracolo di una pesca abbondante. La grande pesca avviene perche i discepoli hanno obbedito alla parola del Maestro, per questo il primo compito che rinnoviamo nella festa del nostro Patrono è quello della fede, del riconoscimento del Maestro dell’obbedienza a Lui che è nostro Signore, l’unico necessario, colui del quale il nostro cuore ha bisogno per vivere. Facciamo la festa patronale perché cresca la nostra fede nel Signore risorto e nel potere di cambiare la nostra vita.

Allo stesso tempo non vogliamo evadere dal dolore della pandemia, dalla minaccia della guerra e dalla visione di coloro che sono da essa oppressi, e nemmeno ci prendiamo una pausa dalla crisi ambientale e lavorativa di Taranto, né tantomeno cadono dal nostro cuore i poveri e gli esclusi. Facciamo festa perché nel Signore, attraverso la testimonianza di Cataldo riconosciamo in ogni volto il nostro fratello e la nostra sorella. L’invito alla festa non è l’invito all’evasione ma alla speranza certa!

Nello scorso autunno ho voluto riporre le reliquie del patrono in un nuovo reliquiario d’argento: la teca è una nave d’argento sostenuta dai delfini che solcano un mare ormai quieto per la presenza del santo. Vi si notano subito al suo interno la lingua incorrotta e il femore. Ecco quindi che san Cataldo ci chiede una cosa sola, ovvero camminare e annunciare. 

Signor Commissario, è mia consuetudine in questo atto che firmano congiuntamente Lei e il Capitolo metropolitano, palesare un patto fra la Chiesa e le autorità cittadine, un patto di amicizia, di collaborazione, di lealtà e di mutuo bisogno per continuare a compiere il bene. Questo gesto che parla di correttezza istituzionale, di rispetto e corresponsabilità, possa istillare in coloro che intendono amministrare questa città il discernimento per una vera e propria vocazione ad amministrare la cosa pubblica.

La parola abusata di bene comune torni a riempirsi della sua naturale ricchezza e verità, a cominciare dalla correttezza nella campagna elettorale, perché si abbandonino i toni della delazione, perché la competizione venga fatta su realistici programmi, che i cittadini possano riconoscersi in rappresentanti che abbiano una specchiata condotta di vita, che sul serio servano questa città senza servirsene! 

Si diffidi dagli insulti e si pensi ai fatti. Solo partecipando si dimostra il bene per Taranto. Non c’è altra via. 

Bisogna far emergere il meglio dell’anima di questa terra, infatti I tarantini hanno dato sempre il meglio di sé nei momenti di necessità, a partire dai tanti volontari impegnati nelle Caritas diocesane che ogni giorno si prendono cura degli ultimi, degli esclusi, lo hanno dimostrato nell’accoglienza ai migranti che fuggono dall’Africa per causa della fame e delle guerre. Sino all’accoglienza dei profughi che vengono dall’Ucraina. Ho voluto che il centro notturno San Cataldo vescovo mettesse a disposizione degli alloggi per le donne e i bambini arrivati a Taranto e tutte le parrocchie sono impegnate nella raccolta di beni di prima necessità: come sempre la città ha risposto con grande partecipazione.

Impariamo dal nostro Patrono l’ardore della fede che riconosce la presenza viva del Signore risorto; impariamo la sua carità con i poveri e gli ammalati e la sua solidarietà con la terra e i lavoratori. In una tela del vestibolo della cattedrale è rappresentato San Cataldo mentre ridona la vita un muratore morto sul lavoro; le morti sul lavoro sono una piaga antica che tutt’ora continua ad affliggerci. L’intercessione del nostro santo aiuti la nostra città in un’opera di profondo rinnovamento in cui al centro ci sia la dignità della persona e la cura della casa comune. Che l’auspicata crescita economica non avvenga a scapito della sostenibilità ambientale.

Con la benedizione del Signore sotto lo sguardo della Vergine Madre le affido Eccellenza San Cataldo, lo custodisca, offerto alla venerazione perché Taranto abbia sempre il coraggio di ripartire in un cammino. Insieme.

Auguri a tutti! 

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Società

Coldiretti: “Un’azienda agricola su 10 a rischio chiusura perché lievitano i costi di produzione”

07 Mag 2022

“Più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretto in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione”. È quanto emerge dall’indagine Coldiretti “La guerra nel piatto” sugli effetti del conflitto sulla filiera agroalimentare presentato, a Parma, all’apertura del Cibus nello stand della Coldiretti al Padiglione 8-Stand J024-I024 con la presenza del presidente nazionale, Ettore Prandini.
Uno tsunami che si è abbattuto sulle aziende agricole con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci. “Nelle campagne – continua la Coldiretti – si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi e al +129% per il gasolio, con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media, ma con punte di oltre 47mila euro per le stalle da latte e picchi fino a 99mila euro per gli allevamenti di polli, secondo lo studio del Crea”. L’impatto dell’impennata dei costi per l’insieme delle aziende agricole, precisa la Coldiretti, “supera i 9 miliardi di euro”.
“In difficoltà è però l’intera filiera che si è trovata a fronteggiare aumenti unilaterali da parte dei fornitori di imballaggi come il vetro, che costa oltre il 30% in più rispetto allo scorso anno, ma si registra anche un incremento del 15% per il tetra pack, del 35% per le etichette, del 45% per il cartone, del 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica”, secondo l’analisi Coldiretti. Ma “i prezzi degli ordini cambiano – aggiunge Coldiretti – ormai di settimana in settimana, rendendo peraltro impossibile una normale programmazione economica nei costi aziendali”.
Rincarato anche “il trasporto su gomma del 25% al quale si aggiunge – aggiunge la Coldiretti – la preoccupante situazione dei costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1.000%”.
“I rincari dell’energia – sottolinea la Coldiretti – hanno dunque un impatto devastante sulla filiera, dal campo alla tavola”.
“Serve responsabilità da parte dell’intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore anche combattendo le pratiche sleali nel rispetto della legge che vieta di acquistare il cibo sotto i costi di produzione”, afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, sottolineando “la necessità di risorse per sostenere il settore in un momento in cui si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare”.

 

foto Coldiretti

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Società

Save the Children: “Il 42,6% delle madri tra i 25 e i 54 anni risulta non occupata”

07 Mag 2022

Scelgono la maternità sempre più tardi (in Italia l’età media al parto delle donne raggiunge i 32,4 anni) e fanno sempre meno figli (1,25 il numero medio di figli per donna). Devono spesso rinunciare a lavorare a causa degli impegni familiari (il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni con figli, risulta non occupata), con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali, oppure laddove il lavoro sia stato conservato, molte volte si tratta di un contratto part-time (per il 39,2% delle donne con 2 o più figli minorenni). Solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10 tra quelli attivati nel primo semestre 2021, è a favore delle donne. Nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari anche perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi, come gli asili nido (nell’anno educativo 2019-2020 solo il 14,7% del totale dei bambini 0-2 anni ha avuto accesso al servizio finanziato dai Comuni). Questi i dati diffusi oggi da Save the Children, nel 7° Rapporto di Save the Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022”, alla vigilia della Festa della mamma.
Un quadro critico quello che emerge dal Rapporto, ad iniziare dal tasso di natalità che nel 2021, nel nostro Paese, segna l’ennesimo minimo storico dall’Unità d’Italia. I nuovi nati, infatti, calano al di sotto della soglia dei 400mila (399.431), in diminuzione dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008.
Uno scenario del nostro Paese molto complesso, quindi, nel quale le mamme sono alla continua ricerca di un equilibrio tra vita familiare e lavorativa, spesso senza supporto e con un carico di cura importante, aggravato negli ultimi anni a causa della pandemia.
Lo studio include l’“Indice delle Madri”, elaborato dall’Istat per Save the Children, che identifica le Regioni in cui la condizione delle madri è peggiore o migliore sulla base di 11 indicatori rispetto a tre diverse dimensioni: la cura, il lavoro ed i servizi. Inoltre, anche quest’anno, l’indice evidenzia i principali mutamenti che hanno interessato la condizione delle madri nei diversi territori.

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Serie tv

Da Succession a Canary Wharf, va in onda il morso della finanza

07 Mag 2022

di Sergio Perugini

“Succession”. È una delle serie statunitensi più interessanti e sofisticate in circolazione, lanciata da HBO nel 2018. Firmata da Jesse Armstrong, “Succession” ci parla di conflitti di classe secondo la declinazione monicelliana “Parenti serpenti”, sullo sfondo grandi manovre tra finanza e compagnie media-news globali. Un po’ sul tracciato di “Succession”, ma soprattutto su quello della più rodata “Billions” (dal 2016) e forse anche un po’ debitrice del cult “Homeland” (2011-20), è ora disponibile la seconda stagione di “Diavoli” (dal 2020). Prodotta da Sky, Lux Vide e Big Light Production, la serie prende le mosse dall’omonimo romanzo di Guido Maria Brera. Dietro alla camera due registi in ascesa: il britannico Nick Hurran (“Sherlock”, “Doctor Who”) e l’italiano Jan Maria Michelini (“DOC”, “Blanca”).

Canary Wharf. Nel distretto dei big player della finanza a Londra ritroviamo il trader Massimo Ruggero (Alessandro Borghi), nuovo Ceo della NY-London Investment Bank, succeduto al suo scaltro mentore Dominic Morgan (Patrick Dempsey). Siamo nel periodo delle tensioni per il referendum sulla Brexit, che nel giugno del 2016 ha portato all’uscita dall’Unione europea. Oltre a gestire gli scossoni della finanza, Massimo deve fare luce sulla morte del collega Kalim.

Pros&Cons. Sono stati rilasciati già 4 degli 8 episodi della seconda stagione di “Diavoli” (dal 22 aprile). La serie torna con una trama accattivante, mettendo sempre al centro luci e soprattutto ombre della finanza globale che altera o sconquassa la stabilità dei Paesi. Se questo è il filo rosso, sul binario principale di tale thriller trovano posto alcuni tasselli di peso dell’ultimo decennio: il divorzio del Regno Unito dall’Europa, l’espansione della Cina sul mercato globale e le strategie di contenimento dell’Occidente; ancora, Oltreoceano Donald Trump sta conquistando la Casa Bianca con una campagna elettorale particolarmente aggressiva. Infine, salto temporale, l’esplosione del Covid, uno tsunami senza precedenti, in primis a livello economico. Su questo tracciato corrono rivalità, conflitti e gelosie tra trader secondo una logica quasi shakespeariana, tra il mentore Dominic e il brillante allievo Massimo. Al centro un braccio di ferro bene-male, giustizia-illegalità, economia corretta (Economy of Francesco) o spregiudicata, al limite dello sciacallaggio.

Nonostante la prima stagione di “Diavoli” si fosse chiusa non in maniera del tutto incisiva e riuscita, al punto da non lasciar intendere possibili sviluppi, il team creativo della serie – capofila sono Frank Spotnitz e James Dormer, con lo stesso Brera – ha messo a punto in verità un plot intricato e accattivante, dove macro-piste narrative thriller si fondono con gli irrisolti e i chiaroscuri dell’animo dei protagonisti, in particolare dell’enigmatico Massimo. Come sempre ottima è la performance di Borghi, apprezzato in lingua inglese, abile nel rendere il suo personaggio ermetico, sfumato e al contempo fragile e permeabile alle emozioni. “Diavoli” è consigliabile, problematica e per dibattiti.

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L'argomento

Putin e i suoi giannizzeri: un’altra brutta storia

07 Mag 2022

di Emanuele Carrieri

Quando l’Ucraina chiama in causa l’Onu, mette il dito nella piaga. Un giudice c’è all’Onu: è lì per garantire la pace, fermare le guerre e può aprire processi, istruirli, ma non può chiuderli, come nel caso di questa guerra, perché le toghe permanenti sono cinque e una è di Putin, che ha il diritto di veto, il diritto di invalidare sentenze a lui ostili, anzi di soffocarle sul nascere. Così vollero i padri del Consiglio di sicurezza, formato dai vincitori della Seconda guerra mondiale: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina. Furono proprio Stalin, Roosevelt e Churchill a imporre il potere di veto: non supponevano che uno di loro avrebbe aggredito un popolo fratello. Anche nella vita delle nazioni, la verità è quella del momento e allora a Yalta si pensava al minore dei mali, non ai deliri imperiali di uno che crede che, prima o poi, siederà sul trono dell’Altissimo. Di questo conflitto ciascuno spiega ogni giorno che cosa ha capito nei salotti televisivi. Una certezza è che le istituzioni si ritrovano di colpo invecchiate e disgregate se nella geopolitica cambia pure il cambiamento, come è accaduto negli ultimi anni. Che senso ha un Consiglio di sicurezza senza i paesi emergenti? E una delegazione europea con il Regno Unito che ha voluto la Brexit? Che cosa dire dell’Africa, due miliardi di abitanti, fabbrica di diseguaglianze spaventose e di sfruttamento aggravato? Non c’è da stupirsi se gli stati africani amici di Putin poi abbiano preso posizioni filo-russe. Si può supporre che, allo stesso modo la pensino in molti paesi dell’Asia e del Medio Oriente. Atroce domanda: è davvero così isolato Putin? Sperando di non dover fare mai i conti perché vorrebbe dire terza guerra mondiale, anzi guerra nucleare, quanti sono con lui e quanti contro di lui? Cosa abbiamo saputo delle guerre dimenticate, dei cadaveri gettati nel Nilo, dalle forze paramilitari schierate a Khartoum, in Sudan, nel tentativo di nascondere il numero di vittime inflitte durante un attacco all’alba sui manifestanti pro-democrazia il 3 giugno del 2019? Anche allora la crudeltà colpiva donne e bambini: in Occidente arrivò, smorzato, soltanto il grido di dolore di missionari e suore. Venerdì Santo Papa Francesco ha dichiarato: “Si suddividono i rifugiati. Di prima classe, seconda classe, colore della pelle, se viene da un paese sviluppato o da uno che non è sviluppato. Noi siamo razzisti, siamo dei razzisti. E questo è brutto.” Quella dei giannizzeri di Putin, delle loro barbarie e della loro impunità fra le urla del silenzio è un’altra brutta storia.

 

(Foto da vaticannew.va)

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Scienza

Il riscaldamento globale e il ‘rallentamento’ degli oceani

Salento, 21-29 agosto 2021: Sannicola, Porto Cesareo, Castro, Lecce, mare, chiesa - foto Marco Calvarese
07 Mag 2022

di Maurizio Calipari

Gli oceani non sono soltanto culla di vita biologica e maggiore riserva d’acqua. Essi svolgono anche una insostituibile funzione di regolazione meteorologica per il nostro pianeta, mediante molteplici meccanismi. Tra questi, svolgono un ruolo essenziale le correnti oceaniche (in proporzione alla loro estensione), che svolgono il ruolo di “mezzo di trasporto” del calore, in funzione della velocità e costanza del loro flusso. Ebbene, un recente studio (pubblicato su “Nature Climate Change”) ha rilevato un significativo rallentamento del Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Atlantic Meridional Overturning Circulation – Amoc), una delle maggiori correnti oceaniche, che aiuta a regolare i fenomeni meteorologici in tutto il Nord Atlantico. Essa, infatti, trasferisce il calore tra l’Equatore e l’Artide come un gigantesco nastro trasportatore liquido. Di conseguenza, è in gran parte responsabile delle condizioni climatiche miti di cui gode gran parte della regione del Nord Atlantico, compresi Europa e Stati Uniti orientali.

Ebbene, i dati registrati hanno evidenziato che, negli ultimi 1000 anni, Amoc non è mai stata così debole. Secondo alcune precedenti ricerche, essa avrebbe iniziato il suo affievolimento almeno a partire da 150 anni fa.

Ma quale è la causa di tale rallentamento? Si tratta soltanto di una fluttuazione naturale o di un’ulteriore conseguenza del cambiamento climatico in atto?

Gli autori della ricerca, coordinati da Mojib Latif, che lavora presso il Centro GEOMAR Helmholtz per la ricerca oceanica di Kiel (Germania), per ora ritengono che si tratti della combinazione di entrambi i fattori.

In altre parole, finora, gli effetti del cambiamento climatico non hanno spinto la corrente fuori dai limiti del suo comportamento storico “normale”. Il segnale della variabilità naturale, infatti, è ancora dominante rispetto al segnale dal riscaldamento causato dagli esseri umani. Ma, con ogni probabilità, questa situazione in futuro cambierà. Le previsioni effettuate sulla base dei modelli climatici indicano che il riscaldamento globale causato dalle attività umane contribuirà ulteriormente al rallentamento di Amoc, fino al punto in cui il suo comportamento uscirà dai limiti della variabilità naturale, inoltrandosi in un territorio inesplorato. Gli studiosi dibattono ancora sui tempi necessari a tale mutamento.

Fatto sta che, se la corrente continua a rallentare, potrebbe sconvolgere i fenomeni meteorologici a tutte le medie latitudini: parti del Nord Atlantico potrebbero raffreddarsi, mentre le aree più a sud lungo la costa orientale degli Stati Uniti potrebbero riscaldarsi. E, in effetti, alcuni dati suggeriscono che questi processi stanno già iniziando. Tuttavia, il fatto che le misurazioni migliori e più dirette del flusso dell’Amoc siano state rilevate negli ultimi 20 anni circa (dopo l’installazione di ampie reti di sensori oceanici speciali in tutta la regione), rende difficile confrontare l’Amoc di oggi con il suo comportamento passato, per determinare se gli attuali rallentamenti siano parte di un processo naturale.

Per affrontare il problema, gli scienziati hanno elaborato varie metodiche. Alcuni studi hanno usato campioni di sedimenti sepolti da molto tempo e prelevati dal fondo dell’oceano; essi contengono informazioni chimiche sulle condizioni presenti nell’oceano centinaia di anni fa. Altre ricerche si sono concentrate sulle registrazioni storiche delle temperature della superficie del mare in tutto l’Atlantico fino all’anno 1900. Dato che i cambiamenti nel flusso dell’Amoc possono influenzare le temperature oceaniche in modi diversi in tutta la regione, queste registrazioni possono giovare a comprendere in che modo la corrente sia cambiata nel tempo.

Latif e colleghi, invece, combinando le loro analisi storiche con le simulazioni dei modelli climatici, hanno rilevato che in effetti c’è un segnale dovuto al riscaldamento globale causato dalle attività umane. Il cambiamento climatico, dunque, sta giocando almeno un ruolo nel comportamento dell’Amoc e la sua influenza è in crescita.

“Poiché i gas serra continuano ad accumularsi nell’atmosfera, – spiega Latif – tutti i modelli prevedono un forte rallentamento della circolazione. È solo una questione di quando questo segnale diventerà la forza dominante che agisce sulla corrente. Se non oggi, lo sarà in qualche momento nel futuro, finché il pianeta continuerà a riscaldarsi”.

Lo studio evidenzia anche l’importanza di un continuo monitoraggio diretto dell’Atlantico. Purtroppo, i sensori oceanici non sono economici da installare né da mantenere, e hanno bisogno di finanziamenti continui. Ma sono il modo migliore per gli scienziati di tenere sotto controllo ciò che sta realmente accadendo all’Amoc nel corso del tempo.

 

foto Sir/Marco Calvarese

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Società

Le carceri italiane sono ancora più dimenticate

Il carcere mette alla prova una città nella sua capacità di condividere fatiche e sofferenze, di distinguere l’errore dall’errante

06 Mag 2022

di Paolo Bustaffa

Nelle carceri italiane nel 2021 ci sono stati 57 suicidi e sono 21 quelli registrati nei primi mesi 2022. L’associazione Antigone nei giorni scorsi ha presentato questi dati nel suo XVIII rapporto redatto dopo cento visite in diversi penitenziari del nostro Paese. “Importante notare – osserva Antigone – come l’Italia sia tra i Paesi europei quello con il più alto tasso di suicidi nella popolazione detenuta mentre è tra i Paesi con i tassi di suicidio più bassi nella popolazione libera”.

C’è un altro dato che colpisce: al 31 marzo 2022 erano 19 i bambini di età inferiore ai tre anni che vivevano insieme alle loro 16 mamme dentro un istituto penitenziario. Riferendosi a una frase che recita “La storia di una società è scritta sui muri delle prigioni” così commenta Luigi Manconi, attento conoscitore e sensibile portavoce di questa realtà: “Se sulle pareti di una cella oltre alle tracce di un odio o di una passione dovremo ancora trovare disegni di mani infantili è indubbio che quella delle prigioni continuerà a essere una storia di persistente barbarie”.

A preoccupare e a chiedere attenzione ci sono numerosi altri dati nel rapporto di Antigone: sono 54.609 i detenuti a fine marzo 2022, il tasso di affollamento medio è del 107% mentre in Lombardia sale al 129,9% e in Puglia al 134,5%. Il 25% delle carceri hanno celle più piccole di tre metri quadri per ogni persona.

Oltre i numeri e le percentuali l’associazione torna a denunciare la non adeguata gestione degli istituti penitenziari. La frammentarietà del lavoro interno ed esterno e le non facili iniziative per il reinserimento sociale motivano il boom dei ritorni in cella che è documentato dal 38% di persone alla prima detenzione. In cima alle urgenze Antigone segnala il ripensamento dell’intero sistema delle pene e richiama la responsabilità del legislatore.

I riflettori dei media si accendono quando l’esasperazione scoppia come nel caso della pandemia. Ciò che accade viene compresso nella cronaca nera e non scuote più di tanto un’opinione pubblica inquieta e spaventata.

E così i già dimenticati diventano ancor più dimenticati.

Ogni città ha il suo carcere, vorrebbe scrollarselo di dosso, vorrebbe toglierlo dal “curriculum vitae”, vorrebbe lasciarlo tutto ed esclusivamente ai competenti organismi nazionali.

Ma c’è qualcosa che la riguarda direttamente, il carcere mette alla prova una città nella sua capacità di condividere fatiche e sofferenze, di distinguere l’errore dall’errante.

Una città è bella non solo per le piazze, i palazzi, i giardini e la gente che passeggia ma anche per lo sguardo di umanità che rivolge al carcere e a quella cintura di affetti familiari e amicali che lo circonda.

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Editoriale

95 milioni del pnrr per la transizione digitale della scuola

20080209 - ORZINUOVI - BRESCIA - EDU - SCUOLA: NEL BRESCIANO CLASSE LICEO CON TUTTI 10 IN CONDOTTA. La classe I D dell'Istituto di istruzione superiore " Grazio Cossali " con la professoressa Giovanna Notte, questa mattina ad Orzinuovi (Brescia). Nella classe tutti gli studenti hanno dieci in condotta. Oggi, dopo la notizia apparsa sul 'Giornale di Brescia', nell'aula della I D sono entrate anche le telecamere ma gli alunni hanno continuato a svolgere la verifica di latino, senza emozionarsi e limitandosi a rispondere brevemente a qualche domanda, per tornare poi a capo chino sul foglio. ANSA/FILIPPO VENEZIA/DRN
06 Mag 2022

Il ministero dell’Istruzione è impegnato per la “transizione digitale”. Una nota di viale Trastevere, infatti, informa l’avvio di “nuovi avvisi per la transizione digitale di oltre 8mila istituti scolastici italiani previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”. In sostanza gli istituti possono candidarsi su una apposita piattaforma e richiedere contributi per migrare i propri servizi sul cloud e aggiornare o dotarsi di nuovi siti web.

A disposizione, grazie al “famigerato” Pnrr ci sono complessivamente 95 milioni di euro: 50 milioni per la migrazione sul cloud, altri 45 milioni per i siti web.

L’obiettivo – dichiara il ministero – “è di sostenere, da una parte, la migrazione di un numero minimo di servizi verso infrastrutture e soluzioni cloud qualificate per garantire servizi affidabili e sicuri, in coerenza con quanto definito all’interno della Strategia Cloud Italia, e dall’altra realizzare o aggiornare il proprio sito web grazie all’uso di un modello standard che migliorerà le esperienze digitali di genitori, studenti e dell’intera comunità scolastica”.

Benissimo. Come afferma il ministro Bianchi “Con i fondi del Pnrr sosteniamo la costruzione di una scuola più innovativa sia nelle competenze che nelle infrastrutture” Evidentemente siamo di fronte a “una grande opportunità. Studenti, dirigenti, docenti, personale scolastico, famiglie: tutti partecipano al cambiamento della scuola”. E Vittorio Colao, ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale spiega: “Queste risorse permetteranno agli istituti di offrire servizi sempre più sicuri ed efficienti grazie al cloud e di fornire informazioni più veloci e chiare attraverso siti web accessibili ed efficaci. Un importante passo avanti per portare la transizione digitale anche nel mondo della scuola, con benefici per personale scolastico, studenti e genitori”.

C’è da augurarsi che insieme ai fondi per cloud e siti web ci sia un impegno concreto a rendere accessibili a tutti le infrastrutture informatiche necessarie. Perché non tutte le scuole italiane (ed è un eufemismo, basti riflettere sul gap radicato esistente in diverse regioni del Paese) hanno reti e collegamenti efficaci, che permettano la “transizione digitale”. L’esperienza recentissima della Dad dovrebbe aver insegnato qualcosa.

E a questo proposito fa riflettere leggere l’appassionata lettera di una docente su un quotidiano nella quale lamenta il “taglio” di spesa per i libri di testo cartacei a favore del digitale. “Nelle segrete stanze del miur qualche burocrate che non ha mai messo piede in un’aula scolastica, sulla base di argomentazioni non esplicitate, presume a) che tutti gli studenti e le studentesse delle scuole pubbliche italiane abbiano a disposizione almeno un tablet e una connessione a internet (sia a scuola che a casa); b) che ai fini dell’efficacia didattica l’utilizzo di un testo digitale e di un testo cartaceo siano perfettamente equivalenti”.

Qui si introducono riflessioni che andrebbero fatte in maniera più ampia di quello che lo spazio permette. Certamente l’obiezione è forte. La scommessa sul digitale è decisiva, ma deve andare ben oltre le infatuazioni del momento e tenere ben presenti sia le situazioni concrete (e abbiamo detto delle strutture), sia i risultati delle ricerche pedagogiche sul tema della scuola (e della lettura/utilizzo dei libri, nel caso citato) 4.0.

Scuola digitale non vuol dire trasformare tutto in un impalpabile cloud. E i “nativi digitali” non è detto che non abbiano più bisogno della carta.

Su questo la scuola italiana ha ancora diversi passi da fare.

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Editoriale

Crisi e convergenze “di sistema”

Gli esperti parlano di stagflazione per indicare lo scenario fosco in cui si sovrappongono ondate inflazionistiche e stagnazione economica e in questa fase si tratta di un rischio non teorico

06 Mag 2022

di Stefano De Martis

Nel comunicato relativo al mese di aprile, le stime provvisorie dell’Istat registrano un lieve rallentamento dell’inflazione, ma non c’è da trarne chissà quali conseguenze positive data la profonda incertezza del quadro internazionale. Tanto più che, nella stessa nota, l’Istituto di statistica sottolinea l’estensione dell’incremento dell’indice dei prezzi anche ai beni alimentari e a tutti quegli elementi che compongono il cosiddetto “carrello della spesa”. Come non ricordare ancora una volta che secondo Luigi Einaudi – un grande liberale, non un marxista-leninista – l’inflazione è la più iniqua delle tasse proprio perché riducendo il potere d’acquisto colpisce soprattutto i ceti medio-bassi?
Nonostante la modesta flessione, l’aumento dell’indice dei prezzi si colloca comunque su livelli molto elevati che almeno in Italia non si vedevano dagli anni novanta. Il suo andamento appare strettamente collegato alla crisi energetica che la guerra ha amplificato in modo parossistico e quindi fare previsioni affidabili è praticamente impossibile. Allo stesso tempo, lo strumento tradizionalmente utilizzato per arginare l’inflazione – l’innalzamento dei tassi d’interesse e quindi del costo del denaro – si pone in rotta di collisione con la necessità di non stroncare la ripresa post-pandemia e di evitare dunque una nuova recessione. Gli esperti parlano di stagflazione per indicare lo scenario fosco in cui si sovrappongono ondate inflazionistiche e stagnazione economica e in questa fase si tratta di un rischio non teorico. Occorre insomma un approccio innovativo al problema e ovviamente coordinato almeno su scala europea. L’insistenza del governo italiano sulla necessità di porre un tetto al prezzo del gas va in questa direzione. E forse nella situazione estrema in cui stiamo vivendo – tra covid e guerra – il controllo dei prezzi anche in chiave interna non è più un tabù. L’intervento sulle accise dei carburanti ha avuto effetti positivi e anche di fronte al sospetto di comportamenti speculativi (non solo nel comparto energetico) ci si domanda se la politica non possa fornire altre risposte mirate, senza semplificazioni populiste, ma anche senza dogmatismi economico-finanziari.
Peraltro in un momento del genere arrivano richieste di sostegno da ogni comparto e proprio l’inflazione elevata richiede di ponderare bene ogni mossa che comporti inevitabilmente nuovo deficit, misurando con attenzione il rapporto costi-benefici degli interventi e tutelando con particolare attenzione le fasce di popolazione più esposte all’impatto dell’aumento dei prezzi. La gravità della situazione fa emergere con forza l’esigenza di un nuovo patto sociale che rappresenterebbe il contesto più idoneo per una politica economica bilanciata, equa e nel contempo efficace. A parole questa prospettiva sembra condivisa quasi da tutti: dal governo, dai sindacati, dalle imprese, in una certa misura anche dai partiti. E’ tra questi ultimi che si colgono le maggiori resistenze. La maggioranza eccezionalmente larga che sostiene l’esecutivo dovrebbe costituire un presupposto favorevole per convergenze “di sistema”. Ma bisognerebbe saper resistere alle sirene elettorali che spingono senza sosta in direzione contraria.

 

foto Afp/Sir

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Pianeta verde

Per superare la crisi energetica, i biocarburanti agricoli sono soluzione possibile

Nel Pnrr sono previsti 1,92 miliardi di euro per lo sviluppo della produzione di biogas e il biometano, vista come una scelta strategica per il Paese

06 Mag 2022

di Andrea Zaghi

Costi dell’energia alle stelle, caro-carburanti contro il quale si tenta di porre un freno, imprese in affanno, famiglie in difficoltà. La guerra Russia-Ucraina porta anche questo effetto. Contro il quale, oltre alle misure già in atto, proprio l’agricoltura potrebbe fare molto. Anche tenendo conto dei molti problemi che, comunque, occorre ancora risolvere.

A rilanciare il tema della produzione agricola di carburanti, ci ha pensato Coldiretti in un incontro. E c’è in effetti un dato di fatto importante: nel Pnrr sono previsti 1,92 miliardi di euro per lo sviluppo della produzione di biogas e il biometano vista come una scelta strategica per il Paese. Stando a quanto affermato dai coltivatori diretti, “con lo sviluppo del biometano agricolo italiano è possibile arrivare ad immettere nella rete fino a 6,5 miliardi di metri cubi di gas ‘verde’ da qui al 2030” e cioè il 10% del fabbisogno della rete del gas nazionale, riducendo la dipendenza del Paese dall’estero. Gli ostacoli per arrivare a questo traguardo non sono tecnici, ma burocratici. Per questo proprio Coldiretti ha chiesto di semplificare tutte le procedure e tagliare la burocrazia, puntando su bio economia circolare e chimica verde leggera anche per diminuire la dipendenza dalle importazioni di fertilizzanti spesso provenienti da Paesi terzi rispetto all’Ue. La produzione di combustibili da scarti della produzione agroalimentare, tra l’altro, metterebbe a disposizione, come sottoprodotti, anche materiali fertilizzanti, il cosiddetto digestato che contiene elementi quali azoto, fosforo e potassio ideali per i terreni grazie all’apporto di sostanza organica e di elementi nutritivi.

Oltre al biogas, l’agricoltura potrebbe anche fornire altre fonti di energia. Basta pensare alle potenzialità nella produzione di energia termica dalle foreste. L’Italia è ai vertici a livello mondiale per consumo di pellet per il riscaldamento, con circa 3 milioni di tonnellate annue, fa notare ancora Coldiretti. E sul territorio nazionale sono diverse le aziende agricole che si sono organizzate per la produzione di energia (dai residui della molitura delle olive agli scarti di lavorazione del luppolo oppure dalla canapa).

Il tema di fondo, comunque, non sono le tecnologie ma i costi. Già da tempo, per esempio, il sistema della cooperazione rappresentato da Alleanza cooperative agroalimentari aveva avvertito quanto fosse importante garantire a chi investe nel biogas di operare nel contempo senza perdere di vista la sostenibilità economica. E anche la ricerca più avveduta ha da tempo messo le mani avanti sottolineando quanto la produzione di biocarburanti sia oggi ancora poco efficiente se si utilizzano alcuni materiali di partenza piuttosto che altri. Su tutto, però, valgono la realtà dei fatti che cambia precipitosamente e la constatazione che, con adeguati incentivi tecnici ed economici, le energie rinnovabili possono vantaggi economici a famiglie e imprese. E hanno certamente ragione gli agricoltori ad affermare che “davanti all’emergenza energetica che stiamo vivendo abbiamo la necessità di dare continuità agli impianti di biogas indipendentemente da quando sono stati realizzati visto che non possiamo abbandonare un numero rilevante di strutture che sono perfettamente funzionanti e ai quali basta dare un giusto incentivo per continuare a svolgere la loro attività”.

Insomma, anche questa partita deve essere giocata con il contributo di tutti, senza badare a soluzioni di parte ma solo all’obiettivo finale.

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Europa

Conferenza sul futuro dell’Europa: a Strasburgo, il 9 maggio, l’evento conclusivo

Strasburgo, 9 novembre 2021: Forum della democrazia - foto SIR/Marco Calvarese
06 Mag 2022

Il 9 maggio prossimo, festa dell’Europa, la relazione sui risultati finali della Conferenza sul futuro dell’Europa sarà presentata ai presidenti delle istituzioni europee nel corso di una cerimonia conclusiva che si svolgerà tra le 12 e le 14 al Parlamento europeo di Strasburgo. Secondo una nota diffusa dal Parlamento, all’evento sono previsti gli interventi della presidente Roberta Metsola e della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, oltre a quelli di alcuni cittadini dei panel europei e nazionali. Prenderanno la parola anche i copresidenti della Conferenza (Guy Verhofstadt per il Parlamento, la commissaria Dubravka Šuica e il ministro francese per gli Affari europei Clément Beaune, per la presidenza francese del Consiglio). Sono stati invitati per l’occasione i 449 membri della plenaria, di cui 108 cittadini, 120 cittadini dei panel europei nonché 200 studenti di scuole locali ed Erasmus, i ministri degli Affari europei e altre personalità. Sono previsti anche la performance di Danse l’Europe, il progetto partecipativo creato dal coreografo Angelin Preljocaj sulla musica di Jeanne Added, lanciato in occasione della presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea, e brani suonati dall’orchestra giovanile Demos. Rispetto al destino dei risultati della Conferenza, precisa la nota del Parlamento, sarà compito dei presidenti delle tre istituzioni europee valutare “rapidamente come dare un seguito efficace alla relazione, ciascuno in base alla propria sfera di competenza”.

 

foto Sir/Marco Calvarese

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Hic et Nunc

Anche l’AC di Taranto alla beatificazione di Armida Barelli

05 Mag 2022

di Marina Luzzi

Armida Barelli è beata. La fondatrice della Gioventù femminile di AC e dell’Università Cattolica sabato scorso è stata proclamata beata nel duomo di Milano, lì dove si consacrò a Dio il 31 maggio del 1913. Nelle navate, tra i 1800 che hanno atteso la fine della lettura della formula di beatificazione, pronunciata dal cardinale Marcello Semeraro, c’era anche una delegazione dell’Azione Cattolica di Taranto: la presidentessa diocesana Letizia Cristiano, Elia Lonoce, vicepresidente diocesano per il settore giovani, Simone Elio, segretario diocesano del MSAC. “Un fine settimana ricco di emozioni e spiritualità, iniziato la sera del 29 aprile con la veglia di preghiera nella basilica di sant’Ambrogio – racconta Letizia Cristiano – e proseguito il giorno dopo con la Messa di beatificazione di Armida e di don Mario Ciceri, anche lui grande figura di Ac.  Armida, Ida per gli amici, era una brava ragazza di famiglia distinta, vissuta in un contesto in cui le donne dovevano restare in casa. Nei grandi cambiamenti che apportò fu sostenuta da una viva fede nel Sacro Cuore di Gesù, e divenne fondatrice e animatrice delle donne di Ac. Ecco queste due figure ci hanno aperto una strada da percorrere, ci hanno indicato una possibilità di vita, diventare santi. Oggi più che mai risuona un pensiero nella mente: ecco che cosa si potrebbe fare, in tempo di guerra e in tempo di pace, cioè diventare santi, veramente l’Ac è scuola di santità”. Armida Barelli non veniva da una famiglia cattolica: il padre aveva partecipato alla Breccia di Porta Pia, la madre amava la poesia ed era stata allieva di Giosuè Carducci. Due persone che le avevano saputo trasmettere valori civili, sociali, patriottismo ma non la fede, perché lontane da percorsi ecclesiali, anzi convinte che la Chiesa intralciasse il cammino dell’Italia verso una vera unità, non solo formale. Il primo incontro diretto con Dio lo ebbe a scuola nel collegio in Svizzera in cui venne mandata a studiare perché si formasse per essere madre e moglie, nonché donna all’altezza del suo rango, una volta di ritorno a Milano. Quel collegio, considerato tra i migliori, era gestito dalle suore di santa Croce, terziarie francescane. Qui imparò la preghiera e la meditazione e arrivò in lei la prima consapevolezza: il desiderio di una vocazione grande. “Diventerò missionaria in Cina- diceva- già facendo intravedere l’interesse per la realtà, l’attualità, che travalicava il suo piccolo mondo di collegiale – oppure moglie e madre di dodici figli ma zitella mai”, intendendo per zitella quella disposizione d’animo chiusa, una vita non realizzata, vissuta nel rimpianto di cose che potevano essere e non sono state.  E il Signore l’accontentò, forgiandola artefice di grandi cambiamenti, primo fra tutti, un cambiamento che segnò la storia della Chiesa: la nascita della consacrazione laicale. Non più solo preti, non più solo suore nei conventi. Inserendosi in un solco che si stava tracciando in quegli anni, anche guardando alla storia di altri movimenti, nel 1919 Armida fondò insieme a padre Gemelli, direttore spirituale e grande amico che l’accompagnò per tutta la vita, l’Istituto secolare delle missionarie della regalità di Cristo, un sodalizio di laiche, che vivevano il mondo ma al contempo sentivano forte la dimensione contemplativa. Un importante passo che consolidò la loro amicizia, tassello fondamentale perché in seguito prendesse forma il sogno dell’Università cattolica.

 

 

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