L'argomento

30 anni fa la strage di via D’Amelio: “Uno Stato distratto non ha protetto Paolo Borsellino”

Paolo Borsellino con la sua famiglia
19 Lug 2022

di Filippo Passantino
Ricorda i giorni condivisi in procura, a Marsala; un lavoro divenuto sempre più condivisione e una conoscenza che lo ha fatto diventare parte della famiglia Borsellino. Diego Cavaliero, magistrato – autore della prefazione del libro “Paolo Borsellino 1992… La verità negata” (ed. San Paolo), scritto da Umberto Lucentini e Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino – era al suo primo incarico a Marsala, come sostituto di Paolo, allora procuratore della Repubblica, tra il 1986 e il 1992. Da lì il primo contatto e un’amicizia che sarebbe durata tutta la vita.
Tra ricordi, aneddoti e sorrisi, per i bei momenti vissuti assieme, Diego ripercorre il ricordo del collega ucciso trent’anni fa in via d’Amelio, a Palermo. “Una volta eravamo su un vespino vicino all’aeroporto di Punta Raisi – racconta -. A un certo punto Paolo si sente chiamato da un venditore di pane, che lo vendeva nella sua macchina parcheggiata vicino. Lui era uno che non accettava niente da nessuno. Questo signore offre a Paolo un pezzo di pane. Lui lo ringrazia e ce ne andiamo. A quel punto io gli ho chiesto perché lo aveva accettato. E lui mi raccontò che aveva fatto condannare all’ergastolo il fratello di questo signore. ‘Se gli avessi rifiutato il pane, che in quel momento era la cosa più preziosa che aveva, gli avrei arrecato un’offesa gravissima’, mi disse. Questo era Paolo”.

Come conobbe Paolo Borsellino? 
Il mio ricordo mi rimanda all’inizio di un rapporto anomalo, nel senso che io mi presentai nello studio di Paolo. Lui era ancora giudice istruttore, a Palermo. Ma era stato appena nominato procuratore della Repubblica a Marsala. Entrai nel bunker, dopo aver superato innumerevoli controlli. Gli chiesi: ‘Procuratore, permesso. Sono Diego Cavaliero’. E lui mi rispose: ‘Paolo sono!’. A quel punto andammo a prendere un caffè. Per me Marsala era la prima sede come sostituto. Dopo un paio d’ore, mi ritrovai a casa sua. Perché mi invitò a pranzo e lì fui accolto da una folla festante costituita dalla signora Agnese, che cercava di moderare le intemperanze dei figli, che allora erano veramente ragazzini.

Quando Paolo tornava a casa era una festa. E io sono stato accolto come uno di loro. Posso dire di essere stato il quarto figlio di Paolo Borsellino.

Dal punto di vista personale, qual è il suo ricordo?
Io ho perso un amico, un fratello e un padre. Quando sono arrivato in Sicilia, mi ha preso per mano e mi ha portato a imparare un lavoro ma soprattutto ad affezionarmi a un lavoro. Quando lui lavorava – e lui più di me -, eravamo in due nella procura di Marsala, trascorrevamo 12 ore insieme. A pranzo andavo da lui, la sera a volte lo andavo a prendere di nascosto dalla scorta e andavamo a Mazara del Vallo a mangiare qualcosa da qualche parte. Lui non andava solo il sabato e la domenica a casa. Ma spesso faceva delle improvvisate. Allora lo andavo a prendere e il pomeriggio andavamo a Palermo.

E dal punto di vista professionale?
Era un mezzo blindato. Io arrivai a Marsala e lui mi diede tre faldoni di carte relative a un’inchiesta su una finanziaria che prosperava tanto. Mi disse di leggerle e fargli sapere cosa ne pensassi. Io andai in cartoleria. Spesi tanti soldi di materiale. La mattina dopo andai in ufficio e Paolo mi diede un foglio di carta in bianco. Mi chiese di firmare. Io gli dissi: ‘Ma cosa firmo?’. E lui mi rispose: ‘Non ti fidi del tuo procuratore?’. Nella notte aveva redatto un provvedimento di custodia cautelare di oltre duecento pagine per gran parte dei componenti di questa struttura. Io mi permisi di dirgli: ‘Guarda, Paolo, qui sopra c’è scritto mandato di cattura’. Parliamo del vecchio codice di procedura penale. Lui si arrabbiò. Gli dissi che da procuratore della Repubblica lui faceva ordini di cattura, non mandati di cattura. Dopo mezz’ora, cancellò mandato e scrisse ordine. E mi disse: ‘Mi hai convinto’. Lui era così.

Avevamo sempre le nostre stanze aperte l’uno per l’altro. Chiedeva consigli. Si arrabbiava quando veniva contraddetto, perché non accettava di essere messo in discussione. Se ne andava quasi sbattendo la porta. Però, dopo mezz’ora massimo, tornava e diceva di andarci a prendere il caffè. Questo era il suo modo di fare pace. Non c’è mai stata un’occasione di litigio.

Lei parla di Paolo Borsellino come di una “coperta di Linus” per i colleghi. In che senso?
Una volta dispose una perquisizione domiciliare nei confronti di un soggetto che non sapevo chi fosse. Il giorno dopo uscì un articolo: “Perquisita l’abitazione di un deputato siciliano”. Io lessi quel giornale senza accorgermi che era un provvedimento mio. Paolo la prima cosa che fece fu quella di convocare una conferenza stampa e disse che ‘se avete qualcosa da dire la dovete dire a me, perché il collega ha agito su mia delega’. Paolo proteggeva i colleghi, faceva da parafulmine.  A patto che non ci fosse un errore doloso da parte di chi operava.

Quale sicurezza dava a chi lavorava con lui?
Totale. Nel senso che ricordo che una volta tentarono di rubarmi la macchina sotto casa. Trovai un vetro rotto ma non mancava nulla. Quando raccontai la cosa a Paolo, gli dissi che avevo trovato due cavi elettrici che scendevano dallo sterzo. In quel momento, mi disse: ‘Adesso te ne devi andare, perché la prossima volta i fili elettrici non li vedi’. Voleva dire che sarei saltato per aria. Lui era molto attento a tutti i segnali possibili e immaginabili che venivano dall’esterno.

Paolo a Marsala era un giudice scomodo.

I suoi rapporti con i colleghi erano cordiali ma la cosa finiva lì. Gli altri colleghi evitavano un suo coinvolgimento anche con una pizza, perché nessuno voleva avere problemi. L’arrivo di Paolo a Marsala ebbe un effetto dirompente. E lui viveva in un appartamento a spese sue, all’interno del commissariato. Aveva un’Alfetta blindata. Lui e Giovanni Falcone erano gli unici giudici in Italia che potevano guidare la blindata senza l’autista perché non c’era la possibilità di coprire il turno di otto ore con due autisti. E Paolo ci pagava la benzina di tasca sua.

A trent’anni di distanza dal giorno della strage di via d’Amelio, quale considerazione si può fare?
Ho il timore che Paolo, come Giovanni, e tanti altri – Cassarà, Montana, Chinnici, Basile – siano morti invano. Hanno lasciato degli orfani. I figli di Paolo sono diventati uomini e donne. È stato tolto loro il padre. Però così come lo Stato, quando c’è stata la notizia di Radio Carcere secondo cui era stato organizzato un attentato per lui e per Giovanni Falcone, quando si trattava di scrivere l’ordinanza del maxiprocesso, li ha mandati all’Asinara e ha fatto pagare loro 750mila lire di vino, con fattura che ho visto, perché non ha portato Paolo chissà dove, dopo la morte di Falcone? Perché non è stato protetto così?

Non so se sarebbe vivo, però credo che lo Stato sia stato un po’ ‘distratto’, per usare un eufemismo.

Qual è l’eredità morale lasciata da Paolo Borsellino?
La sua eredità rivoluzionaria nasce dal fatto di essere stato un grande padre, un grande magistrato, un fervente credente. Era una persona che aveva la consapevolezza di quello cui andava incontro. Tant’è vero che lui sapeva. Io gli chiedevo: ‘Ma tu hai paura?’ E lui diceva: ‘Sì, ma ci vuole anche il coraggio e l’importante è che la paura non diventi panico’. Non so quanti magistrati oggi farebbero quello che ha fatto lui. Credo veramente pochi.Paolo Borsellino”

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Società

Pnrr: accordo Cnel-Asvis per monitorare gli obiettivi dell’Agenda 2030

19 Lug 2022

Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) hanno sottoscritto un accordo quadro di collaborazione riguardante il monitoraggio del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in relazione ai 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Come emerge dal testo firmato dai presidenti di Cnel e Asvis, rispettivamente Tiziano Treu e Pierluigi Stefanini, “lavoriamo su un terreno comune, quello dell’Agenda 2030, in considerazione degli impegni presi dal Governo italiano rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza nel perseguimento dei principi di sviluppo sostenibile, alla luce dell’obiettivo condiviso di contribuire all’affermazione di un modello di benessere fondato sull’equità e la sostenibilità”.
Treu ha sottolineato che “l’accordo nasce dall’esigenza del Cnel, che fu, insieme all’Istat, artefice della costruzione degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (Bes), di potenziare l’efficacia della propria attività di monitoraggio nella direzione di uno sviluppo sempre più sostenibile e multidimensionale”. “Asvis – ha evidenziato Stefanini – condivide il supporto tecnico necessario a realizzare metodologie quantitative capaci di misurare e analizzare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in relazione all’attuazione del Pnrr, in particolare rispetto alle tre clausole sociali traversali dell’occupazione giovanile, delle pari opportunità e degli investimenti nel Mezzogiorno”.
L’esecuzione dell’intesa è affidata a un gruppo di lavoro congiunto, incaricato di predisporre un programma di attività, seguirne lo sviluppo e monitorarne i risultati, composto da Andrea Battistoni, Gian Paolo Gualaccini e Larissa Venturi per il Cnel e da Manlio Calzaroni, Alessandro Ciancio e Federico Olivieri per l’Asvis.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Sport

Aspettando i Giochi del Mediterraneo: l’accordo tra Fondazione Taranto25 e Lega navale

19 Lug 2022

di Paolo Arrivo

Promuovere la tutela del mare e la pratica delle attività nautiche. Sviluppare iniziative culturali, naturalistiche, sportive e didattiche. È l’obiettivo del protocollo d’intesa siglato nei giorni scorsi tra Fondazione Taranto25 e Sezione di Taranto della Lega Navale. Una collaborazione utile a creare un network virtuale che metta in rete le società sportive da far dialogare, guardando ai Giochi del Mediterraneo: lo ha dichiarato Fabio Tagarelli. Che rappresentando Fondazione Taranto25, realtà della quale fanno parte imprenditori, professionisti e operatori dell’associazionismo locale, è stato tra i protagonisti dell’incontro tenutosi al Salone degli Specchi Palazzo di Città. Il documento è stato inoltre firmato dal presidente della Lega navale, Flavio Musolino.

LA TARANTO CHE CI PIACE. Insieme ai due presidenti c’erano Giovanni Patronelli, promotore di FT25 del protocollo d’intesa; il delegato provinciale del Coni, Michelangelo Giusti; Alessandro D’Elia, delegato del Comitato regionale Puglia e Basilicata della Federazione italiana canottaggio; il vicesindaco di Taranto, Fabrizio Manzulli, e Gianni Azzaro. Quest’ultimo ha sottolineato lo spirito positivo e propositivo mostrato dalla città dei due mari. “Oggi vedo due importanti realtà che uniscono le loro energie per costruire una Taranto migliore – rileva l’assessore allo Sport e al Patrimonio – in particolare nel settore dello sport, per contribuire a far trovare pronta la nostra città ad accogliere nel migliore dei modi i Giochi del Mediterraneo 2026”. Evento da interpretare come occasione di rilancio dello stesso capoluogo ionico a livello internazionale. È questa, nel pensiero di GA, la nuova  Taranto che sta costruendo l’amministrazione guidata dal sindaco rieletto, Rinaldo Melucci. Il lavoro prosegue quindi all’insegna della piena collaborazione e della promozione di eventi collaterali nel cammino di avvicinamento ai Giochi del Mediterraneo, come “Dominate the Water”, di cui abbiamo parlato qui.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Emergenze sociali

Carcere, Bambinisenzasbarre: Una partita con papà per mantenere e rafforzare il legame tra figli e genitori detenuti

A giugno 2022, con quattro match disputati negli istituti penitenziari italiani, è tornata l’iniziativa che quest’anno – in un caso – è stata anche “La partita con mamma”

foto: Bambinisenzasbarre
19 Lug 2022

di Gigliola Alfaro

“Mantenere e rafforzare il legame tra figli e genitori detenuti”: a giugno 2022, con quattro match disputati a luglio, negli istituti penitenziari italiani, è tornata “La partita con papà”, che quest’anno in un caso è stata anche “La partita con mamma”, l’atteso incontro tra papà o mamme detenuti e i loro figli, dopo due anni di sospensione a causa della pandemia. L’iniziativa è organizzata da Bambinisenzasbarre onlus, in collaborazione con il Ministero della Giustizia – dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Quest’anno complessivamente sono state 82 le partite organizzate, con l’adesione di 77 istituti distribuiti da Varese a Ragusa. La Lombardia è risultata la regione con il maggior numero di adesioni con 13 istituti: Bergamo, Brescia, Busto Arsizio, Lodi, Mantova, Milano Bollate, Milano Opera, Milano San Vittore, Monza, Pavia (dove si sono giocate 2 partite), Varese, Vigevano e Voghera. A seguire la Sicilia con 11 istituti, la Campania con 10 e la Calabria con 7. Per la prima volta c’è stata l’adesione di una casa circondariale femminile, la “Germana Stefanini” di Roma.

foto: Ci ridiamo su, per Bambinisenzasbarre

“Quest’anno la partita con papà ha superato le nostre aspettative, abbiamo deciso di riproporla dopo questi due anni così difficili di chiusura del carcere, per la pandemia, e siamo stati premiati perché questa esigenza di apertura, di recuperare le relazioni e anche la fisicità che una partita può regalare, si è tradotta in tantissime partite promosse con tanto entusiasmo”, ci racconta Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre. “La partita con papà – chiarisce – è una partita ‘affettiva’ più che sportiva, lo sport in questo caso è al servizio della relazione, il tema è sempre quello: il rapporto genitori-figli e il sostegno alla genitorialità. Bambinisenzasbarre in questi anni ha avuto uno sviluppo della sua attività e stiamo realizzando un progetto nazionale di applicazione della Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti con i partner istituzionali, il Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, la Garante nazionale dell’infanzia e adolescenza. La partita con papà è un momento che ci consente di veicolare la questione dei bambini che hanno il papà in carcere e metterlo all’attenzione di tutti, perché la cultura dell’inclusione sia sempre più forte”. La “Carta”, prima nel suo genere in Italia e in Europa, riconosce il diritto dei minorenni alla continuità del legame affettivo con i genitori detenuti e mira a sostenerne il diritto alla genitorialità. Il protocollo prevede che le autorità giudiziarie siano sensibilizzate e invitate ad una serie di azioni a tutela dei diritti dei figli minorenni di persone detenute.

“La possibilità di giocare con il proprio papà o mamma e di condividere questo momento ludico, normale per tutti gli altri bambini, risulta eccezionale per questi bambini e le loro famiglie e rimane a lungo nella loro memoria”, spiega la onlus.“Queste sono giornate bellissime perché sembra che papà è a casa e posso restare ancora un po’ con lui”, ha detto la figlia di un detenuto. “Stare con i propri figli è la cosa più bella che esiste. Tutto diventa importante anche solo uno sguardo, un sorriso, una carezza. Quando sono vicino alla mia famiglia mi sento libero”, ha commentato un papà detenuto. Un altro ha ammesso: “Purtroppo non vedevo i miei figli da 28 mesi. E non c’è niente di più bello che giocare con i miei figli. La lontananza dei figli fa male fa molto male e non nascondo che in cella si piange anche”. “È stata una giornata splendida e da quando sono in carcere è la prima volta che vivo un’esperienza del genere. C’è una grande armonia e avere qui i miei figli e mia moglie è importantissimo”, ha affermato un altro detenuto. “Al papà è legatissima e le manca molto. La lontananza è quella che pesa di più. Però ci facciamo forza l’una con l’altra. Oggi siamo stati benissimo”, ha dichiarato una mamma, moglie di un detenuto.

La partita con papà, precisa Sacerdote, si iscrive nell’ambito dell’annuale campagna “Carceri aperte”, declinazione della campagna europea “Non un mio crimine ma una mia condanna” promossa da Cope (Children of Prisoners Europe), rete che riunisce venti associazioni in diciotto Paesi. La campagna vuole sensibilizzare sul tema dell’inclusione sociale e delle pari opportunità per tutti i bambini e ha l’obiettivo di portare in primo piano il tema dei pregiudizi di cui spesso sono vittime i 100mila bambini in Italia (2,2 milioni in Europa) che hanno il papà o la mamma in carcere e sono emarginati. Questi bambini vivono in silenzio il loro segreto del papà recluso per non essere stigmatizzati ed esclusi.

Bambinisenzasbarre è attiva in rete sul territorio nazionale con il Sistema Spazio Giallo. Opera direttamente in Lombardia (Milano, Voghera, Vigevano, Pavia e Bergamo), in Toscana, Campania e Calabria e supervisiona le attività dei partner in rete a Brescia, Varese e Lodi e in Piemonte, Marche, Puglia e Sicilia. Il Sistema Spazio Giallo comprende fra le varie attività la creazione e la gestione, nelle carceri, dello Spazio Giallo, ideato da Bambinisenzasbarre. È uno spazio relazionale di ascolto e sostegno psicologico alle famiglie e in particolare ai bambini che entrano in carcere quotidianamente per incontrare il genitore, un’interfaccia con funzione di mediazione tra il mondo esterno e il carcere.

“In carcere c’è un grande impegno, una grande volontà di recuperare normalità – osserva la presidente di Bambinisenzasbarre -. Il Covid ha cambiato la nostra vita. In carcere c’è stato il blocco dei colloqui in presenza, sostituiti dalle videotelefonate Skype, ora il ritorno alla normalità ha bisogno di tempo, anche se sta avvenendo con una certa accelerazione. Per i bambini è fondamentale l’incontro con il genitore detenuto per prendere considerazione la realtà e fare delle scelte diverse.

Per noi protezione dell’infanzia non significa non far entrare in carcere i bambini perché non è un luogo adatto. Con la Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti, firmata la prima volta nel 2014 e rinnovata nel dicembre 2021, vogliamo dare visibilità a questi ragazzi. La genitorialità in carcere vuol dire anche lavorare con il genitore detenuto, con la sua responsabilità di raccontare la verità al proprio figlio, di recuperare una fiducia, coinvolge in un accompagnamento sia il genitore detenuto, sia l’altro genitore che sta fuori e ha il peso di portare avanti la famiglia, il lavoro, sia il figlio, è un intervento complesso, sistemico. Ora, è come se dopo la pandemia l’impatto con il carcere riprenda la sua gravità per questi bambini, è una fase da accompagnare”.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Diocesi

Nel giorno in cui riabbracciò il suo Signore, ricordiamo Mario Romandini nel centenario della nascita

Il 19 luglio ricorre il 23° anniversario della dipartita di una delle figure di rilievo del cattolicesimo tarantino

19 Lug 2022

di Mimmo Laghezza

Il 19 luglio, ricorre il 23° anniversario dell’incontro con il suo Signore di Mario Romandini, figura di rilievo del cattolicesimo tarantino e uomo di spiccate qualità morali.

Ricoprì, durante il periodo bellico, l’incarico di presidente della Gioventù cattolica e per il suo impegno e abnegazione fu nominato consulente centrale juniores per la Puglia dal presidente Luigi Gedda, sin nel primo dopoguerra.

In Azione Cattolica restò a lavorare e a rappresentare un ammirevole esempio per le giovani generazioni sino al 1954, passando poi all’impegno politico: fu tra i fondatori, a Taranto, della Democrazia cristiana e ricoprì incarichi provinciali e regionali.

Nell’anno del centenario della sua nascita – avvenuta a Lecce il 22 settembre 1922 – lo ricordiamo attraverso le parole che mons. Guglielmo Motolese gli rivolse:

“Fu un cristiano autentico, generoso, leale, orgoglioso della sua lunga militanza nelle file di Azione Cattolica.

Dedicò molte delle sue energie ai problemi assistenziali ed educativi degli alunni meno abbienti, venendo nominato presidente del Patronato scolastico di Taranto dal 1963 al 1978.

Gli scrivevo nel gennaio 1966: “Mi congratulo dell’attività svolta dal Patronato da te presieduto. Quando nelle opere si porta fede e onestà, si è benedetti da Dio! Continua a lavorare così!

Ti seguo con la preghiera”.

“Romandini – concludeva l’arcivescovo emerito di Taranto nel libro ‘Pietre vive’ – è stata una delle figure più rappresentative del cattolicesimo tarantino, ma anche italiano, del dopoguerra”.

In tanti lo ricordano con immutato affetto e i familiari hanno voluto celebrare il ventitreesimo battesimo in cielo con le parole di sant’Agostino:

“Non piangete! Sarò l’angelo invisibile della famiglia. Dio non saprà negarmi niente quando io pregherò per voi!”

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Sport

Tutta la Puglia che c’è nei trionfi del volley

18 Lug 2022

di Paolo Arrivo

“Una cosa è certa nel nuovo ciclo del presidente Manfredi: qualcosa è cambiato. Si avverte uno spirito e una mentalità diversa”. Così Vincenzo Di Pinto commenta il risveglio della pallavolo italiana. Che nelle ultime ore ha fatto incetta di vittorie: alla Volleyball Nations League femminile e all’Europeo U21; all’Europeo U18 e U22 maschile. Un momento d’oro vissuto dal nostro volley. Un messaggio rivolto a tutti gli altri sport: quando si investe sui giovani, i risultati arrivano, eccome! E che dire della nazionale maggiore… Come sempre, sono le donne a regalarci le più grandi soddisfazioni: oltre ogni previsione più rosea, nel torneo a cui prendono parte le squadre più forti del mondo, il gruppo capitanato da Paola Egonu, non si è limitato a sconfiggere il Brasile vicecampione a Tokyo: lo ha travolto. Con un secco 3-0. La nazionale azzurra, che ha messo le mani sulla Nations League di volley per la prima volta, non può essere di certo essere considerata una sorpresa o rivelazione, avendo vinto l’Europeo l’estate scorsa. Ma riconfermarsi non è scontato né semplice – l’Italia del calcio docet, ahinoi.

IL CALORE DELLA PUGLIA. Se le ragazze dell’under 21, guidate da Luca Peragnoli, hanno trionfato a Cerignola, il merito è anche degli spettatori, che hanno dato il loro contributo prezioso – il PalaTatarella era tutto esaurito e rumoroso. Un successo entusiasmante anche perché arrivato in rimonta al tiebreak contro la Serbia. La Puglia è stata inoltre protagonista del torneo U22 degli uomini. È pugliese infatti (originario di Francavilla) il tecnico Vincenzo Fanizza, che in Polonia è riuscito nell’impresa di sconfiggere i padroni di casa al termine di una battaglia vera e propria, per poi superare la Francia in finale per 3-1. Pagine importanti sono state scritte a suggellare il legame con il territorio. Altre potrebbero portare la firma della Prisma Taranto Volley che, per il secondo anno consecutivo, disputerà la Superlega: questi trionfi non possono che caricare ulteriormente coach Di Pinto e i suoi uomini.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Solidarietà

“Note sospese”, il concerto di Mister Sorriso per gli ospiti della rsa ‘L’Ulivo’ della Cittadella della Carità

Il concerto del violinista m° Francesco Greco e di alcuni giovani artisti si terrà mercoledì 20 luglio alle ore 18.30 nell’auditorium della Cittadella della carità

locandina della Fondazione Cittadella della carità
18 Lug 2022

Un atto d’amore musicale autentico e un percorso di ascolto, una musica condivisa e un ambiente sonoro arricchito: è il progetto “Note sospese” di Mister Sorriso – Volontari della Gioia Odv-Ets, che dona il concerto del violinista m° Francesco Greco e di alcuni giovani artisti agli ospiti della rsa L’Ulivo della Fondazione Cittadella della Carità ed ai parenti degli stessi.

Il concerto si terrà mercoledì 20 luglio alle ore 18.30 nell’auditorium della struttura. L’obiettivo è quello di portare una serie di performance musicali e teatrali di diversi artisti negli ambienti ospedalieri e nelle rsa, in particolare nelle sale d’attesa e nei reparti in cui è maggiormente presente la necessità di portare sollievo ai pazienti, al fine di migliorare la qualità dell’accoglienza e della vita durante il loro ricovero.

“Questa volta – afferma il presidente di Mister Sorriso, Claudio Papa – facciamo tappa nell’auditorium della Cittadella della Carità con un vero e proprio concerto. Ringrazio il maestro Francesco Greco, famosissimo violinista, e i giovani Antonio Salvato e Alessandro Murciano che si esibiranno alle tastiere. Continua il nostro impegno volto a migliorare lo stato di benessere di tutti coloro che sono affetti da patologie degenerative attraverso attività che risvegliano, o tentano di risvegliare, ricordi sopiti ed emozioni”.

“Siamo grati all’associazione Mister Sorriso – Volontari della Gioia Odv – Ets – afferma il presidente della Fondazione, Salvatore Sibilla. Il loro supporto si inserisce in un percorso mirato, che comprende la realizzazione di progetti importanti, ricordo ad esempio i laboratori didattici di pet relationship, in corso, e la treno terapia che partirà a breve, per aiutare i nostri ospiti a sentirsi meglio. Non poco in un periodo di criticità che ancora non passa del tutto”.

“Ringrazio l’associazione Mister Sorriso per la proficua collaborazione – afferma Gaetano Moraglia, responsabile rsa – il mº Greco per la disponibilità ed i giovani artisti per il contributo musicale; ringrazio tutto il Personale osa della rosa che si è reso disponibile per la realizzazione dell’evento ed il presidente Sibilla che è sempre sensibile nel supportare queste iniziative. La Musica è l’Arte dei suoni che modulati insieme creano armonia e melodia ed allo stesso modo i nostri ospiti, insieme a noi operatori, possono ricreare l’armonia nella quotidianità e la melodia del vivere nella grande Famiglia della Cittadella della Carità!”.

La Fondazione ringrazia i ragazzi che si esibiranno ed il maestro Greco, che ogni anno, come gesto di amicizia ed affetto nei confronti della struttura ed in particolare del suo fondatore mons. Motolese, dona la sua musica ai pazienti della rsa. Questa volta è tutto più ampio, considerata anche la presenza dei parenti.

Presenterà la serata Gabriella Ressa. Evento realizzato con la collaborazione di Fondazione Taranto25, che sostiene l’associazione in alcune sue attività.

 

Si accede solo con ffp2

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Politica italiana

Crisi di Governo, card. Zuppi (Cei): “Grande preoccupazione: ci auguriamo uno scatto di responsabilità”

Questa crisi rischia di sovrapporsi ad una fase critica più generale che sta già incidendo in modo pesante sulla vita delle persone e delle famiglie

foto Siciliani-Gennari/Sir
18 Lug 2022

“Guardiamo con grande preoccupazione alla situazione politica che si sta determinando e che rischia di sovrapporsi ad una fase di crisi più generale che sta già incidendo in modo pesante sulla vita delle persone e delle famiglie”. Lo dichiara il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, commentando gli ultimi sviluppi politici. “La guerra in Ucraina e le sue temibili conseguenze; l’inflazione a livelli eccezionali che richiede continuità e tempestività di interventi urgenti; le pandemie che non smettono di colpire; il lavoro mortificato dalla precarietà e dalla generale incertezza sono elementi che impongono chiarezza di decisioni e una forte concertazione con le parti sociali e con l’Europa. Il confronto dialettico e il pluralismo – ricorda il cardinale – sono una ricchezza irrinunciabile della democrazia ancora di più in vista delle prossime naturali scadenze elettorali, ma in un momento come questo conviene avvenga nel massimo della convergenza e della stabilità per terminare l’avvio di interventi decisivi sui quali da mesi si sta discutendo e che condizioneranno i prossimi anni. Per questo ci auguriamo che vi sia uno scatto di responsabilità in nome dell’interesse generale del Paese che deve prevalere sulle pur legittime posizioni di parte per identificare quello che è necessario e possibile per il bene di tutti”.

 

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Cinema

Nel segno dell’action-thriller con “The Gray Man” e “Secret Team 355”

The Gray Man (2022) Ryan Gosling as Six. Cr. Stanislav Honzik/Netflix © 2022
18 Lug 2022

di Sergio Perugini

Tornano i fratelli da record Anthony e Joe Russo dopo il successo di “Avengers: Endgame” (2019) e “Avengers: Infinity War” (2018). Con “The Gray Man”, ambizioso e costosissimo thriller dalle striature black comedy, entrano nell’universo Netflix; cast hollywoodiano di grande richiamo con capofila Ryan Gosling e Chris EvansSempre sullo stesso binario è il thriller-action tutto al femminile “Secret Team 355” di Simon Kinberg con una sfilata di attrici Premio Oscar tra cui Jessica Chastain

Tornano i fratelli da record Anthony e Joe Russo dopo il successo di “Avengers: Endgame” (2019) e “Avengers: Infinity War” (2018). Con “The Gray Man”, ambizioso e costosissimo thriller dalle striature black comedy, entrano nell’universo Netflix; cast hollywoodiano di grande richiamo con capofila Ryan Gosling e Chris Evans. Sempre sullo stesso binario è il thriller-action tutto al femminile “Secret Team 355” di Simon Kinberg con una sfilata di attrici Premio Oscar tra cui Jessica Chastain. Come una granita estiva, su Netflix c’è la commedia “Sotto il sole di Amalfi” dell’esordiente Martina Pastori, sequel di “Sotto il sole di Riccione” (2020) dalla penna di Enrico Vanzina. Punto Cnvf-Sir.

“The Gray Man” (al cinema dal 13 luglio)
All’origine c’è un romanzo, anzi una serie letteraria, firmata dallo scrittore statunitense Mark Greaney, autore già cult perché accanto a Tom Clancy nel ciclo su Jack Ryan. Ora finalmente “The Gray Man” arriva sullo schermo grazie a Netflix e al coinvolgimento dei fratelli Anthony e Joe Russo, che curano oltre alla regia la produzione e la sceneggiatura (Joe insieme a Christopher Markus e Stephen McFeely).

I “Russo Brothers” sono reduci dal successo planetario dei capitoli finali degli “Avengers” (basta ricordare che “Endgame” ha incassato quasi 3miliari di dollari, fermandosi a un passo dal record di “Avatar”) ma anche dal ciclo dedicato a “Captain America” (“Winter Soldier” del 2014 e “Civil War” del 2016). Insomma un atteso ritorno e al contempo un banco di prova perché lontani dal Marvel Cinematic Universe. A ben vedere, però, in casa Netflix con “The Gray Man” non si sono discostati molto dal quel sentiero:è vero, siamo fuori dal fantastico, ma la carica di azione, combattimenti, adrenalina e scene spettacolari viaggia nella medesima direzione.

La storia. Sierra Six (Ryan Gosling) è un mercenario al servizio della Cia, recuperato da un penitenziario con un progetto di commutazione di pena e addestrato dall’agente Donald Fitzroy (Billy Bob Thornton). In una missione in Thailandia scopre dei segreti sui vertici della Cia, in particolare su Carmichael (Regé-Jean Page), il quale non perde tempo a metterlo nel mirino dello spietato e folle killer Lloyd Hansen (Chris Evans). Accanto a Sierra Six si schiera l’agente Dani Miranda (Ana de Armas).

The Gray Man (2022). (L to R) Ana de Armas as Dani Miranda, Ryan Gosling as Six. Cr. Paul Abell/Netflix © 2022

Un set imponente che ha abbracciato ben 7 città e Paesi, da Los Angeles alla Thailandia, da Vienna a Praga, passando poi per Croazia e Azerbaijan, fino al cuore della Francia. Una caccia all’uomo spettacolare, adrenalinica, vigorosa e fracassona. I fratelli Russo incassano il via libera da Netflix per un progetto ad altissimo budget, non badando a spese a favore della spettacolarizzazione.Insomma gli ingredienti sembrano esserci tutti, dalla regia collaudata alla messa in scena mozzafiato, senza dimenticare il cast all star che riporta accanto ai Russo l’amico di vecchia data Chris Evans (Mr. Captain America), il consolidato divo Ryan Gosling e la star di “Bridgerton” in cerca di nuove sfide Regé-Jean Page.

Buone, dunque, anzi ottime le intenzioni, meno il risultato: il film è indubbiamente riuscito sotto il profilo del ritmo e dell’azione, che tengono agganciati lo spettatore per oltre 120’, ma il racconto appare forzato, confuso e soprattutto appesantito da un esibizionismo produttivo esasperante (si veda l’inutile e insistito combattimento a Praga!). “The Gray Man” sconta il peso dell’ambizione, e pertanto appare uno spettacolo fuori controllo, mettendosi al seguito del modello di James Bond di matrice Daniel Craig… Ma si sa, di Bond ne esiste solo uno. Il resto non tiene il passo.Peccato. Complesso, problematico e indicato per un pubblico adulto o adolescenti accompagnati

“Secret Team 355” (ancora al cinema)
Sempre nel segno del thriller-action troviamo ancora in classifica nel box office nazionale “Secret Team 355” di Simon Kinberg, che ne firma anche la sceneggiatura insieme a Theresa Rebeck. Il film mette a tema lo scenario investigativo alla James Bond ma virato totalmente al femminile. Il team di agenti segreti proviene dalle fila dei principali servizi internazionali, dalla Cia statunitense all’MIS britannica fino al servizio di sicurezza tedesco. Un’opera, come quella menzionata dei fratelli Russo, il cui punto forte sono inseguimenti, depistaggi e scontri a fuoco spettacolari. Punto di forza in una trama scontata e deboluccia è di certo il cast, composto da dive hollywoodiane ma non solo: Jessica Chastain, Penélope Cruz, Lupita Nyong’o, Diane Kruger e Fan Bingbing. Accanto a loro, ma sempre un passo indietro, Sebastian Stan e Édgar Ramírez.

La storia. America Latina, una pericolosa arma segreta finisce nei giri del narcotraffico. Sulle sue tracce si mette l’agente della Cia Mace (J. Chastain), insieme alla collega tedesca (D. Kruger) e alla britannica Khadijah (L. Nyong’o). Le spie sono chiamate a spostarsi in più continenti, dall’America all’Europa (Londra e Parigi), passando per l’Africa (Marocco) fino allo scontro finale in Asia (Shangai).

(from left) Graciela (Penélope Cruz), Mason “Mace” Brown (Jessica Chastain), Marie (Diane Kruger) and Khadijah (Lupita Nyong’o) in The 355, co-written and directed by Simon Kinberg.

Il regista Simon Kinberg – sceneggiatore di successo, passato alla regia con “X-Men. Dark Phoenix” (2019) – rimane anche lui fedele al genere di riferimento, quello che coniuga azione, adrenalina e thriller. Dismessa la casacca del fantasy, l’orizzonte è lo spionaggio ad alto tasso di adrenalina. Quello che salva e dà dignità, o meglio originalità, a questo racconto rispetto alla proliferazione di contenuti simili è il fatto che qui capofila dell’operazione siano tutte donne, acute e addestrate al pari (o meglio) dei colleghi uomini. Spie che rubano la scena al classico modello dell’agente segreto maschile, sagomate da dive Premio Oscar che stanno di certo cambiando l’assetto narrativo di Hollywood. Segno dei tempi, ovviamente, come del resto ci ricorda anche l’ultimo “James Bond”, “No Time to Die”, dove il titolo di 007 passa per la prima volta a una donna.

Che dire nel complesso? Un racconto scorrevole, adrenalinico, ma senza troppe sorprese o sussulti. Come detto, se non fosse stato per il protagonismo femminile, forse non avrebbe lasciato traccia. La regia c’è, ma non sempre efficace e solida nel governare la caotica macchina. Complesso, problematico e indicato per un pubblico adulto o adolescenti accompagnati.

 

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Libri

Comunicazione – Mons. Viganò: “Essere connessi non significa ancora essere comunità”

Il vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze sociali ha pubblicato, per le Edizioni Dehoniane Bologna, il volume dal titolo “L’illusione di un mondo interconnesso”

foto Sir/Marco Calvarese
18 Lug 2022

di Filippo Passantino

Un intervento di papa Francesco all’Accademia della vita, la consapevolezza che non basta la semplice educazione all’uso corretto delle nuove tecnologie (che non sono infatti strumenti neutrali, poiché plasmano il mondo e impegnano le coscienze sul piano dei valori). Muove da qui “L’illusione di un mondo interconnesso. Relazioni sociali e nuove tecnologie” di mons. Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze sociali, per le Edizioni Dehoniane Bologna.
Dal libro emerge che i discorsi del pontefice esprimono la consapevolezza che i media non sono neutri e che il giudizio su di essi non dipende esclusivamente dall’uso che se ne fa; la loro stessa presenza nello scenario delle relazioni sociali modifica atteggiamenti, comportamenti, visioni e scelte. Con un riferimento all’enciclica Fratelli tutti, che richiama questi temi.

Perché un mondo interconnesso viene considerato un’“illusione”?
Non c’è dubbio che la globalizzazione abbia rimpicciolito il mondo e permesso una crescita esponenziale agli scambi culturali. La condivisione che i social rapidamente agevolano costruendo una percezione di prossimità può essere tanto solidale quanto cinica. Infatti i social sono il regno dell’illusione e della bulimia informativa in Rete, che solo un loro uso ragionato e razionale può trasformare in reali possibilità. Come ci ricorda J.D. Bolter, «la nostra cultura mediale è straordinariamente ricca e, nella sua plenitudine, del tutto acritica. Contiene un’infinità di spazzatura, ma anche una gran mole di cose interessanti».

Non dobbiamo dunque passare sotto silenzio la consapevolezza che la manipolazione del sapere, che avviene in Rete attraverso algoritmi, dissimula la mediazione favorendo e alimentando continuamente l’idea del contatto diretto. In questo senso si può parlare di un mondo fatto di illusioni.

ph Sir

Se per anni abbiamo affermato, come Chiesa, che il giudizio sui media dipendeva dall’uso che di essi se ne faceva, oggi, come ricorda la Turkle, «gli studi dimostrano che la semplice presenza di un telefono sul tavolo (anche un telefono spento) muta qualitativamente l’argomento di cui le persone stanno parlando. Se pensiamo di poter essere interrotti in qualsiasi momento, tendiamo a mantenere la conversazione su argomenti banali o su tematiche che non suscitano polemiche né hanno particolare rilievo. Queste conversazioni con i telefoni sullo sfondo bloccano ogni legame empatico. […] Perfino un telefono silenzioso riesce a separarci».
Pertanto, è necessario tornare a scoprire il fascino e la forza del dialogo, della comunicazione tra persone che sanno anzitutto ascoltare, fare spazio all’altro, disporsi all’accoglienza. Papa Francesco ricorda che «il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia. Tuttavia, “il mondo di oggi è in maggioranza un mondo sordo […]. A volte la velocità del mondo moderno, la frenesia ci impedisce di ascoltare bene quello che dice l’altra persona. E quando è a metà del suo discorso, già la interrompiamo e vogliamo risponderle mentre ancora non ha finito di parlare. Non bisogna perdere la capacità di ascolto”. San Francesco d’Assisi «ha ascoltato la voce di Dio, ha ascoltato la voce del povero, ha ascoltato la voce del malato, ha ascoltato la voce della natura. E tutto questo lo trasforma in uno stile di vita. Spero che il seme di San Francesco cresca in tanti cuori”».

Nel testo evidenzia come ci stiamo allontanando dal ritmo del dialogo umano, sotto scacco degli automatismi tecnologici. Quali sono le conseguenze?
Nell’attuale cultura digitale sta avvenendo una sorta di capovolgimento rispetto a un passato neppure troppo lontano: mentre alcuni decenni fa l’atteggiamento che guidava i nostri comportamenti era la discrezione e la riservatezza, e il timore di essere osservati diveniva una sorta di incubo, oggi facciamo di tutto per essere guardati, osservati, perché temiamo di essere abbandonati, ignorati, negati, esclusi. Basti pensare alla logica e alle dinamiche che presiedono la costruzione dei profili degli influencer.
Lo ricorda molto bene papa Francesco nella sua Enciclica Fratelli tutti quando afferma che «mentre crescono atteggiamenti chiusi e intolleranti che ci isolano rispetto agli altri, si riducono o spariscono le distanze fino al punto che viene meno il diritto all’intimità. Tutto diventa una specie di spettacolo che può essere spiato, vigilato, e la vita viene esposta a un controllo costante. Nella comunicazione digitale si vuole mostrare tutto ed ogni individuo diventa oggetto di sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera anonima. Il rispetto verso l’altro si sgretola e in tal modo, nello stesso tempo in cui lo sposto, lo ignoro e lo tengo a distanza, senza alcun pudore posso invadere la sua vita fino all’estremo».

È chiaro, dunque, che essere connessi non significa ancora essere comunità. Siamo pertanto tutti chiamati a riappropriarci della relazionalità personale in presenza, perché «la conversazione diretta, faccia a faccia, – ricorda la Turkle – porta ad una maggiore autostima e migliora la capacità di trattare con gli altri. Ancora una volta, la conversazione è la cura».
Inoltre, non va dimenticato come ricorda il papa, che «il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale». Oggi Lipovetsky ricorda che «più il capitalismo diventa “immateriale” e più si confonde con il capitalismo incantatore. Il che significa che il capitalismo immateriale non designa soltanto un “capitalismo cognitivo” centrato sugli algoritmi, i dati digitali, i saperi astratti e matematizzati, ma anche un sistema che si adopera per stimolare i desideri, le emozioni, i sogni e il cui obiettivo è creare e rinnovare prodotti e servizi che piacciano al consumatore e li colpiscano (racconti, musiche, svaghi, divertimenti, stili, ecc.). Di conseguenza, il capitalismo immateriale è anche, paradossalmente, un capitalismo artistico ed emotivo». Senza cedere ad una sorta di visione apocalittica, non dobbiamo però essere ingenui: i muovi modelli di business sfruttano l’esperienza umana sotto forma di dati, ovvero come come materia prima per pratiche commerciali. Dunque si tratta di un movimento di potere, ricorda la Zuboff, «che impone il proprio dominio sulla società sfidando la democrazia e mettendo a rischio la nostra stessa libertà».

Come la pandemia ha cambiato la comunicazione?
Basterebbe ricordare le parole della semiologa Isabella Pezzini quando nel 2020 scriveva: “Il corpo in situazione parla tanto quanto l’intelletto: lo spazio è il luogo di questo discorso e struttura la sua grammatica, mentre la messa a distanza impatta sulla comunicazione e sulla mutua comprensione. La prossimità è il luogo della comunicazione delle conoscenze tacite, intersoggettive e non codificate. Stare insieme e a stretto contatto può produrre effetti di clan e di solidarietà, generare anche innovazione”.

Ecco, dunque, come è cambiata la comunicazione: è divenuta fredda privandosi della manifestazione degli elementi non verbali che orientano anche la percezione del senso della comunicazione verbale propriamente detta. Infatti, la dimensione sociale è costituita anche da uno scambio di elementi corporei come l’odore e il contatto fisico che una comunicazione mediale o, come si dice “a distanza” non possono offrire. Questo è stato evidente in quella che ormai viene definita “dad”, ovvero la didattica a distanza. In questo caso dobbiamo ricordare come l’insegnamento non è solo una questione cognitiva, ma anche di contatto e di contagio – intellettuale e emozionale – reciproco. Attraverso questa dimensione di scambio di umori, da cui derivano anche l’umorismo e l’allegria, si generano i “corpi sociali”: la classe, la squadra, il team, ecc., come pure il movimento, il partito, la nazione. Ecco perché, come dice papa Francesco, è necessario «trovare il linguaggio giusto…. Il contatto è il vero linguaggio comunicativo, lo stesso linguaggio affettivo che ha trasmesso al lebbroso la guarigione. Quante guarigioni possiamo compiere e trasmettere imparando questo linguaggio del contatto!».

Perché, a suo avviso, ci siamo ridotti ossessionati dai social?
Siamo ossessionati oggi dai social, quanto ieri dalla tv. I social oggi ci gratificano perché, idealmente almeno, pensiamo di poter essere interlocutori del mondo intero, immaginiamo di avere accesso alle personalità più importanti e ai circoli più esclusivi. Se però non ci facciamo anestetizzare dalla gratificazione, scopriamo anche la forte carica illusoria del mondo dei social.
Umberto Eco, nel 2015, in occasione della laurea honoris causa che l’Università di Torino gli ha conferito, disse che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Naturalmente il sarcasmo di tale affermazione, peraltro già espressa in altre occasioni, non ci autorizza a fare del semiologo Eco un anziano nostalgico e meno ancora un ingenuo contro il mondo neo-mediale. Al di là del sarcasmo la forza di quella che è divenuta un mantra, sta ad indicare come il web abbia scoperto gli imbecilli ma non li ha creati.
Infatti il web ha dato agli imbecilli un pubblico identico a quello che è il pubblico a cui solitamente si rivolgono i premi Nobel. Del resto, sono i media che funzionano così. È sempre lo stesso Umberto Eco, infatti, a ricordare come, prima dei social, proprio la tv avesse promosso la figura dello “scemo del villaggio” consolando lo spettatore che in cuor suo pensava: beh se uno come Mike Buongiorno può condurre un quiz, allora – è il pensiero dello spettatore medio -io sono un genio! Si tratta, in sostanza, di un processo di gratificazione che i media coltivano. E la differenza tra ieri e oggi è che ieri gli imbecilli non potevano danneggiare la società o, meglio, avevano meno forza nel farlo perché i giornalisti e gli editori rappresentavano una forte cortina di sorveglianza. Oggi questo non è più così.

Quale visione scaturisce rispetto alla comunicazione dall’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco?
Il papa nella lettera enciclica Fratelli tutti invita tutti e ciascuno di noi a esercitarci «a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati. Ciò che chiamiamo “verità” non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo. È anzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono universali, perché da essa derivano». Si ribadisce dunque la forza e la necessità di una intelligenza onesta e libera da padroni, che sappia distinguere nella plenitudine della cultura mediale, per usare le parole di Bolter, cosa sia spazzatura e cosa invece siano le cose interessanti.

In altre parole, essere connessi non significa essere necessariamente e maggiormente performanti. Anzi!

L’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco ci offre una riflessione e un insegnamento a partire dalla consapevolezza che la Storia «sta dando segni di un ritorno all’indietro» e che ora serve un plus di intelligenza e coraggio perché «abbiamo bisogno di costituirci in un ‘noi’ che abita la ‘casa comune’».

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Festival

Tutto pronto per il Taranto Jazz Festival

18 Lug 2022

Dal Sud di Avitabile al mondo latino di Bosso e Girotto, passando per l’eleganza di Cammariere. Sonorità e culture si fondono nella città dei due mari

La rassegna musicale che mira a diventare punto di riferimento internazionale del jazz si terrà dal 22 al 24 luglio nell’ex Mercato Coperto

Un weekend all’insegna del jazz. Tutto pronto per la terza edizione del Taranto Jazz Festival, che andrà di scena a Taranto dal 22 al 24 luglio. Tre appuntamenti d’eccezione che vedranno esibirsi nella città dei due marii artisti dello spessore di Enzo Avitabile, Fabrizio Bosso, Javier Girotto e Sergio Cammariere.

Un palco dal sapore urban street quello scelto dal direttore artistico Antonio Oliveti in collaborazione con il Comune di Taranto, per l’edizione 2022. «Vogliamo riannodare il filo del sentimento con la città, è per questo che l’ex mercato coperto (ingresso di via Acclavio), luogo underground in pieno centro, si trasformerà per tre giorni nel tempio del jazz».

Ad aprire la tre giorni sarà venerdì 22 luglio, alle ore 21.30, l’esibizione di Enzo Avitabile in Tammurriata nova quartet. Il maestro, che vanta una carriera costellata di successi, nonché di collaborazioni con artisti del calibro di Pino Daniele, Franco Battiato e Tina Turner, porterà sul palco il suo bagaglio artistico continuamente aperto alle innovazioni, pieno di un Sud che non è solo una concezione geografica ma uno stato dell’animo e della condizione umana. Pop, ritmo afroamericano e canto sacro si mescoleranno grazie alle sonorità dell’artista napoletano. Con lui saranno protagonisti Gianluigi Di Fenza, chitarra ed elettronica, Emidio Ausiello alle percussioni, e Marco Pescosolido al violoncello.

Sabato 23 luglio, alle 21.30, sarà la volta dei Latin Mood, il sestetto guidato dal trombettista Fabrizio Bosso e dal sassofonista Javier Girotto, che fa dell’incontro tra diverse culture ed estrazioni musicali il proprio tratto distintivo. Fianco a fianco con i due totem mondiali dell’ottone ci saranno Natalio Mangalavite, che suonerà sia il piano che il sax, Luca Bulgarelli al basso elettrico, Lorenzo Tucci alla batteria e Bruno Marcozzi alle percussioni. La loro musica ci farà viaggiare idealmente fra gli angoli più reconditi del Sudamerica, spaziando tra ritmiche uruguaiane e peruviane, e generi come lo joropo venezuelano, il frevo brasiliano e il mambo.

Sergio Cammariere

Domenica 24 luglio, alle 21.30, gran finale con il Sergio Cammariere quintet: l’artista crotonese, da ormai trent’anni nel gotha del jazz italiano e non solo, tramite la sua musica d’autore, un pianismo ricercato e una voce calda e suadente, porterà con sé il pubblico in un cammino fatto di raffinatezza e ritmo, che convergono sia nei suoi brani più amati che nel suo ultimo lavoro discografico, “La fine di tutti i guai”. Torneranno con lui sul palco Luca Bulgarelli e Bruno Marcozzi, insieme a Daniele Tittarelli al sassofono e ad Amedeo Ariano, batterista e percussionista.

I cancelli, per tutte e tre le serate, saranno aperti sin dalle ore 19.00. Durante i concerti saranno presenti stand gastronomici e dei nostri partner commerciali.

Il Taranto Jazz Festival si avvale del patrocinio del Comune di Taranto, di Kyma Mobilità e del supporto di Movidabilia, organizzazione che, come ogni anno, renderà accessibili alla manifestazione anche le persone con disabilità. Media partner è Radio Cittadella.

Per le prime due serate è previsto un ticket di 20€, l’evento finale invece sarà disponibile al costo di 24,99€. Chi volesse sottoscrivere un abbonamento per godersi tutti e tre gli eventi potrà farlo al prezzo di 55€.

Possibilità d’acquisto sul circuito DICE o in alternativa tramite prenotazione telefonica e pagamento via paypal all’indirizzo www.paypal.me/tarantojazzfestival oppure via bonifico bancario intestato a Taranto Jazz Festival (iban IT10Z0708715801000000002416).

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Editoriale

Se il fine non giustifica i mezzi

foto presidenza del Consiglio dei ministri
18 Lug 2022

di Emanuele Carrieri

Il primo fu Salvini. L’8 agosto del 2019 sbraitò: “Andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza e restituiamo velocemente la parola agli elettori”. E cadde il governo Conte 1. Poi il 13 gennaio del 2021 si fece sotto Renzi, annunciando le dimissioni degli esponenti di Italia Viva dal governo Conte 2. Ora, è la volta proprio di Conte e il governo è quello di Draghi. Lo stesso che il 14 settembre del 2019 a Bari, alla cerimonia di inaugurazione della Fiera del Levante, affermò: “La grande stagione della crescita economica e sociale del nostro Paese ha visto in azione l’intervento di straordinari tessitori, strenui difensori dell’interesse nazionale, che hanno compreso il valore dell’interdipendenza. Forse nessuno ha fatto di più per il Sud quanto tre costruttori della democrazia economica italiana. Dov’erano nati? A Morbegno, in Lombardia: Sergio Paronetto, Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno. È uno spirito che dobbiamo recuperare, riprendendo a tessere il filo comune dell’interesse non del Nord, del Sud, dell’interesse nazionale.” Si sa, la politica funziona in modo differente, talvolta opposto, rispetto al buon senso. In politica, è certamente meglio curare che prevenire. Perché la cura va dritta all’attenzione degli elettori, che, può darsi, se ne ricorderanno al momento del voto. In politica ciò che conta è l’essere eletti, e, ancora peggio, sforzarsi di essere riconfermati per il mandato successivo. Prevenire non attrae voti, fa parte dell’azione normale di un governo, come obbligo di ordinaria manutenzione del sistema. La manutenzione ordinaria non appare sui quotidiani, non attrae l’attenzione degli elettori, è molto improbabile che porti voti in più. Come un giornale che pubblicasse solo notizie buone, le copie vendute precipiterebbero pesantemente. Perché nessuno è interessato alla normalità. Curare e non prevenire è il contrario del buonsenso. Il buonsenso aiuta a vivere perché suggerisce modi di agire ragionevoli, che minimizzano i rischi, di giusta cooperazione con gli altri, indirizzati a una vita buona nel lungo termine. Lo ha evidenziato recentemente, dal Mozambico, il presidente Mattarella in merito al crollo della Marmolada, un dramma rappresentativo di un’emergenza climatica non governata. “Senza collaborazione non c’è speranza”, ha affermato con forza Mattarella. E la collaborazione ha proprio come finalità fondamentale l’azione di prevenzione. La politica dovrebbe abbracciare la logica del buonsenso. Ma, troppo spesso, non è così. Perché, come è già stato asserito, la politica non viene misurata in termini di risultati in una ottica di lungo periodo, ma trova una sua valutazione puntuale in termini di voti elettorali raccolti. Va detto che gli investimenti in prevenzione andranno a vantaggio degli elettori futuri – nel caso del cambiamento climatico delle future generazioni – e di conseguenza incontrano poco favore negli elettori di oggi. La politica così finisce per previlegiare sempre gli investimenti con risultati visibili immediati. Un esempio di questi giorni è la siccità che sta distruggendo una porzione considerevole del nostro raccolto agricolo. Non accumuliamo l’acqua e quella che abbiamo disponibile la disperdiamo per trascurata manutenzione. Lo dimostra l’inquietudine di diversi partiti in questi giorni. Il nostro paese ha davanti a sé questioni drammatiche, dalla crisi energetica, all’inflazione, alla siccità, agli effetti collaterali della guerra. Tuttavia l’interesse è monopolizzato dalla scadenza elettorale dei prossimi mesi. Di conseguenza, per qualcuno che sente in pericolo la propria rielezione è importante fissare delle bandierine da sventolare poi al momento del voto. La politica continua a muoversi per vie distorte. Continua a interpretare il pensiero di Niccolò Macchiavelli in modo profondamente scorretto. Ha sì scritto che la politica deve essere autonoma dalla morale del suo tempo, di matrice religiosa, ma non ha mai detto che “il fine giustifica i mezzi”. Questa affermazione gli è stata attribuita da chi forse voleva screditare la radicalità del suo pensiero, ma prima di tutto voleva giustificare le proprie malefatte. Al contrario, proprio perché la politica è autonoma dalla morale, il Machiavelli, nei suoi scritti civili, ha sostenuto che, per praticare la politica, è indispensabile possedere una solidità etica e personale molto robusta. Vale a dire essere dotati di una profonda moralità laica, che identifichi nel perseguimento del bene comune la finalità ultima della politica. In democrazia, le scadenze elettorali sono il momento fondamentale nel processo di delega dei poteri da parte dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti. Aggiudicarsi le elezioni è il passaggio fondamentale per delineare il profilo futuro dell’azione di governo. Ma è proprio per la loro estrema importanza, che rivaleggiare per vincere le elezioni non è un fine che giustifica tutti i mezzi.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO