Politica italiana

Il nuovo Governo metta al centro la natalità

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)
26 Set 2022

di Gigi De Palo, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari e della Fondazione per la natalità
Ci sono temi che vanno al di là delle ideologie. Ci sono argomenti che nonostante l’avvicendarsi dei partiti al Governo hanno una loro forza intrinseca perché riguardano non solo una parte, ma tutto il Paese. Temi oserei dire istituzionali che seguono un’inerzia politica indipendentemente dal presidente del Consiglio. Mi riferisco alla politica estera, alla difesa, alla valorizzazione del made in Italy nel mondo. Credo che di diritto debba entrare nel novero di queste questioni anche la natalità. La nuova questione sociale che, per troppo tempo, abbiamo considerato un affare secondario.Così come c’è una notizia che non troverete mai sulle prime pagine dei giornali. Tra le elezioni, la guerra, la pandemia, l’inflazione, l’inquinamento e la cronaca nera, nel 2021, abbiamo perso circa trecentomila italiani. Trecentonovemilaseicentrotrentacinque per la precisione. Sì, proprio così: perché lo scorso anno sono morte 709.035 persone, ma ne sono nate appena 399.431. Scherzando e ridendo abbiamo perso una città come Bari. L’anno prima, in un silenzio ancora più assordante, complice il Covid, il saldo morti/nati era stato di circa -350mila persone. Una città come Firenze.
Nei giorni scorsi sono usciti alcuni dati Istat ancora più sconfortanti per quanto riguarda questo 2022. Si prevede, infatti, che avremo appena 385.000 nuovi nati. Un crollo ulteriore. E faccio una previsione, la metto anche per iscritto (“scripta manent”): se non si fa nulla per interrompere questa spirale nel 2023 avremo ancora meno nascite.I vari demografi, anche se nelle chiacchierate che facciamo sono molto espliciti, molte cose non le possono dire pubblicamente. Giustamente loro si attengono ai numeri e fanno parlare i numeri. Raramente si avventurano in previsioni politiche. E allora proviamo a farle: sapete cosa accadrà se proseguiremo in questo modo? Sapete cosa succederà se non cambia il trend demografico?
1. Crollerà il Pil. Sì, il tanto sbandierato Pil rischierà di diminuire ancora di più: demografia ed economia sono collegate tra di loro.
2. Crollerà il welfare. Prendendo in considerazione il welfare state nel suo complesso, nel 2018 la spesa sociale italiana ha mobilitato risorse pari a 493,5 miliardi. Nel 2021 questo fabbisogno ha raggiunto 632 miliardi. “La questione demografica è la prima urgenza da affrontare per la sostenibilità del debito pubblico”. Non lo dico io, lo dice il Cnel. Quindi avremo un Paese dove i fragili saranno meno tutelati.
3. Crollerà il sistema pensionistico. Avremo una popolazione sempre più anziana e sempre meno lavoratori. Quindi avremo un Paese dove le giovani generazioni potrebbero non avere alcuna pensione o, comunque, le pensioni saranno talmente basse da non permettere una vita dignitosa dopo anni e anni di lavoro.
4. Crollerà il Sistema sanitario nazionale. O meglio diventerà a pagamento. Oggi il Sistema sanitario nazionale si sostiene attraverso i cittadini che pagano le tasse (in proporzione al proprio reddito) e con il pagamento dei ticket relativi alle prestazioni sanitarie da parte di chi non ha diritto all’esenzione.
Ma domani? Se diminuiscono i lavoratori (se non riparte la natalità, ci saranno meno persone che lavorano e, quindi, meno persone pagheranno le tasse) riusciremo a rendere sostenibile il meccanismo? Aggiungiamo al tutto anche un altro fattore: secondo le stime attuali il numero di anziani non autosufficienti raddoppierà fino a quasi 5 milioni entro il 2030.
5. Crollerà il valore delle nostre case pagate – o che stiamo pagando – faticosamente con mutui trentennali. Il loro valore dopo tanti sacrifici si dimezzerà. Perché se non nascono più bambini le città si spopolano e la presenza di una quantità maggiore di immobili ne depaupera il valore.
E si potrebbe continuare… Purtroppo non è terrorismo. È solo constatazione della realtà, quello che tutti sanno, ma che in pochi hanno il coraggio di dire perché in fondo ci si aspetta che tanto qualcosa alla fine cambi. Tanto poi, alla fine la situazione si sistema.
E invece no, la situazione non si sistema più. Occorre che il nuovo Governo metta al centro la natalità perché, come abbiamo visto, tocca numerosi e importanti aspetti della vita delle persone e del futuro del nostro Paese.Non si tratta di un tema “cattolico”, ma di un tema economico, sociale, culturale, ambientale, che riguarda tutti.
Urge un commissario per la natalità che abbia un grande peso politico e che lavori gomito a gomito con il prossimo ministro dell’Economia per fronteggiare e vincere questo inverno demografico investendo risorse sulle giovani coppie e sulle famiglie con figli.
Catone, il celebre senatore romano, ripeteva come un mantra “Carthago delenda est”. Anche noi abbiamo la nostra sfida da vincere. Anche noi abbiamo il nostro nemico. Si chiama inverno demografico. E non è solo una partita da giocare, ma anche da vincere. Non ci sono altre possibilità. Ne va del futuro del nostro Paese. Ne va della possibilità di vivere una vita dignitosa per i nostri figli.

 

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Editoriale

La mossa disperata di un uomo disperato

(Foto ANSA/SIR)
26 Set 2022

di Emanuele Carrieri

Tanto tuonò che piovve: si dice quando un evento, un avvenimento, in linea di massima pregiudizievole o dannoso, avviene dopo che è stato preannunziato da ripetute avvisaglie. Non un evento inatteso, non una notizia inaspettata, non un fulmine a ciel sereno, visto che le voci si rincorrevano da parecchio tempo e la tanto attesa mossa di Putin era annunciata come imminente già da qualche giorno. E, d’altra parte, la disastrosa situazione sul campo delle truppe russe, in qualche maniera la rendevano indispensabile, sempre che non si volesse cambiare strategia e abbandonare le mire espansionistiche sull’Ucraina che hanno, al di là dei camuffamenti retorici, provocato l’invasione di febbraio. Ma non per questo il fulmine ha fatto meno rumore e causato meno danni, quantomeno alle speranze di pace. In prospettiva, ha aperto la porta a scenari terrificanti. In effetti, se si spoglia il discorso con cui è stata comunicata la nuova mossa, dalla solita retorica patriottarda – che ripesca i vecchi resti della “grande guerra patriottica”, il “regime nazista di Kiev”, e via dicendo – e dalle solite lamentazioni passivo-aggressive proprie del vittimismo che è ancora più profondo dell’anima russa, i punti salienti del discorso di Putin sono due, tutti e due molto preoccupanti. Il primo riguarda la decisione di cominciare la “mobilitazione parziale”, cioè richiamare in servizio di leva 300 mila riservisti. Non è ancora la mobilitazione totale sollecitata dai “falchi” che contano sempre di più al Cremlino, ma è una decisa escalation del conflitto. Avere più soldati al fronte è necessario per mantenere le conquiste territoriali in Ucraina fatte nei primi tempi dell’invasione. In effetti, si è visto sul terreno come l’offensiva degli ucraini sul fronte sud – e il logico riposizionamento dei russi per proteggere la costa dell’Ucraina occupata – abbia reso scoperto il fronte est, causando la disfatta della regione di Kharkiv con l’umiliante ritirata dei soldati del Cremlino. Ciò perlomeno sulla carta, perché l’esercito russo, come si è visto molte volte nei mesi di guerra, non è un mostro di efficienza e più soldati – pure non molto motivati – non è detto che lo rendano più solido. In ogni modo, ora sarà molto più difficile per gli ucraini cercare di far sbilanciare i russi approfittando della insufficienza di truppe di questi ultimi. Zelensky ci coglie quando dice che “Putin vorrebbe che l’Ucraina annegasse nel sangue, ma anche nel sangue dei suoi stessi soldati”. Osservata la strategia militare russa che prevede ardue battaglie di artiglieria, infatti, il bagno di sangue è assicurato, con, in più, le troppe vittime civili e innocenti che questo tipo di guerra comporta. Comunque, al di là dell’adeguatezza dell’aumento dell’impegno russo sul campo, la conclusione del Cremlino è chiara: non ha intenzione di cedere il territorio che ha conquistato, costi quel che costi. Questo conduce al secondo punto del discorso di Putin con cui è stata ufficializzata la nuova strategia, il più preoccupante. Con l’appoggio esplicito ai referendum “pilotati”, illegittimi per il diritto internazionale e per le persone capaci di intendere e di volere, che si stanno attuando nei territori occupati, Putin si sta tagliando qualsiasi ponte alle spalle, o meglio, così come nei cartoni animati sta segando il ramo su cui ha i piedi. Conquistato il prevedibile sì all’annessione, i territori ucraini occupati saranno per il Cremlino parte integrante della Russia, con tre conseguenze, tutte molto pericolose. La prima è la creazione di un nuovo, ulteriore impressionante ostacolo alle trattative di pace. Su quali basi intavolare il negoziato quando le due parti ritengono i territori contesi frammento integrante delle loro rispettive nazioni? Non c’è più mediazione possibile. Questo peserà come un macigno su un negoziato che non è mai davvero iniziato e, forse, mai lo sarà. Ma senza dialogo l’unica fine possibile della guerra è la sconfitta di una delle due parti, con incalcolabili sofferenze per i due popoli. La seconda conseguenza, nemmeno taciuta, è che, con l’annessione, diventa legittimo, per la dottrina militare russa, l’utilizzazione delle armi nucleari tattiche che servono a difendere l’integrità territoriale della Federazione. Una nuova formidabile minaccia a cui le diverse capitali del mondo, compresa la Cina di Xi Jinping, che, non a caso, chiede una tregua immediata, stanno già reagendo. L’utilizzazione di un ordigno nucleare da parte dei russi potrebbe condurre a una reazione di ugual tipo da parte della Nato. Questo avvicina molto la prospettiva, che si sperava fosse ormai scomparsa dall’orizzonte, di un conflitto nucleare nel cuore dell’Europa. Forse c’è ancora spazio, si spera, per la ragionevolezza, ma l’escalation è in ogni caso molto poco rassicurante. L’ultima conseguenza è psicologica: con questa mossa Putin ha rilanciato ancora la sua sfida. Ormai gli resta solo la carta della mobilitazione totale e quella delle armi nucleari. Ma si è messo con le spalle al muro da solo. Come si sa chi è con le spalle al muro non ascolta la voce della ragione. Ci sono buone probabilità che diventi ancora più violento. Ma ci sono ottime probabilità che, come un animale ferito e agonizzante, stia tentando di dare il suo ultimo colpo di coda, prima di trovare il luogo della quiete, il luogo in cui andare a spirare.

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Editoriale

Il nostro futuro si costruisce con i migranti e i rifugiati

(Foto: SIR)
26 Set 2022

di Gian Carlo Perego,arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente Fondazione Migrantes

Il nostro futuro si costruisce con i migranti e i rifugiati – ci ha ricordato Papa Francesco in un passaggio dell’enciclica Fratelli tutti: “Le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo” (F.T. 40); e lo ripete nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato di quest’anno.

Ma chi sono i migranti e i rifugiati oggi?

Sono 280 milioni di persone che nel mondo si sono messe in cammino. Tra questi saranno ormai 90 milioni i richiedenti asilo e rifugiati al termine di questo anno, anche in seguito alla tragica, irrazionale e inutile guerra in Ucraina, che ha costretto sei milioni di persone a mettersi in fuga. Sono le vittime, spesso dimenticate, di oltre 30 guerre dimenticate, dei disastri ambientali, dei popoli alla fame. Sono le vittime della tratta, della violenza e di ogni forma di sfruttamento. Con loro siamo chiamati a rigenerare le città, l’Italia, l’Europa, sempre più stanche, abitate da anziani, spopolate, coniugando i quattro verbi che caratterizzano le tappe del cammino delle persone e le soste: accogliere, tutelare, promuovere, integrare.

Le nostre città non sono aperte e accoglienti.

Talora anche le nostre chiese e comunità cristiane, nonostante segni positivi, alzano i muri: dentro e fuori. Non sappiamo leggere la storia con gli occhi della fede. Non sappiamo anche capire che “l’arrivo di migranti e rifugiati cattolici offre energia nuova alla vita ecclesiale delle comunità che li accolgono”, come ci ricorda il Papa. E il messaggio ci ricorda che “nessuno dev’essere escluso”, perché il progetto di Dio “è essenzialmente inclusivo e mette al centro gli abitanti delle periferie esistenziali”. Siamo invitati a cogliere nelle storie e nell’arrivo “una fonte di arricchimento” culturale, sociale, religioso, seguendo la profezia di Isaia (60,5): “Le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli”. Grazie ai migranti e ai rifugiati l’identità si arricchisce nell’incontro con le diversità culturali e religiose e costruisce “un noi più grande”. Con i migranti e i rifugiati Papa Francesco ci invita non solo a costruire la città, la Chiesa, ma anche a camminare insieme verso la città celeste, l’incontro con il Signore, in una nuova Pentecoste che ci fa scoprire la fraternità come stile e il cammino come missione.

 

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Francesco

Francesco a Matera: “Vergogniamoci per la lotta tra ricchi e poveri”

Il Papa ha messo in guardia dall'”asfissia del nostro piccolo io” e dalla “religione dell’avere e dell’apparire”

foto Siciliani-Gennari/Sir
26 Set 2022

di Maria Michela Nicolais

È con un fuori programma il viaggio del papa a Matera, a conclusione del Congresso eucaristico nazionale. Subito dopo la messa allo stadio, papa Francesco si è recato in auto alla mensa dei poveri ‘Casa della Fraternità’ don Giovanni Mele, una delle opere-segno del Congresso eucaristico nazionale, che nella prima versione del programma ufficiale del viaggio apostolico, poi ridotto nei tempi, avrebbe dovuto inaugurare proprio oggi. E la benedizione è comunque avvenuta: il papa è entrato nella mensa dei poveri in carrozzella, accompagnato dall’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo. Poi la breve visita in forma privata, al riparo dalle telecamere, alla mensa voluta dalla Fondazione Giuseppe Tamburrino e presieduta da Maria Teresa Di Muro, che aveva espresso il desiderio del passaggio del pontefice: “Anche se il papa non viene, stiamo facendo tutto come sa venisse”. E il suo desiderio è stato accontentato, subito prima della partenza di Francesco per Roma. Bagno di folla, oltre 12mila persone, nello stadio di Matera per la celebrazione eucaristica concelebrata dal Papa insieme a 80 vescovi e accompagnata dal suono del coro e dell’orchestra sinfonica di Matera, diretta dal maestro Carmine Antonio Catenazzo. 360 i volontari, a cui si sono uniti 200 uomini e donne della Protezione civile. “Adorare Dio e non sé stessi”: è questa, per il papa, “la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: “Mettere lui al centro e non la vanità del proprio io. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto”. Durante l’Angelus, anche un pensiero per il nostro Paese: “Io oserei oggi chiedere per l’Italia più nascite, più figli”.

Lazzaro coperto di piaghe e il ricco che banchetta lautamente: due modi di vivere in stridente contrasto ancora oggi. Il ricco, racconta Francesco a proposito della parabola, “pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. Nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso”. Non a caso, di lui non si dice il nome. “Com’è triste anche oggi, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano”, il monito del papa: “È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote, sempre”.

Perché “io non sono le cose che possiedo e i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno”. Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli:

“Il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”.  “Le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti”. L’Eucaristia, osserva Francesco, “è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: dall’indifferenza alla compassione, dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo alla fraternità”.

“Sogniamo una Chiesa così: eucaristica”, l’identikit di una Chiesa sinodale: “Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti Lazzaro che anche oggi ci camminano accanto”.

“Ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia”, conclude il papa da Matera, città del pane: “Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza e di misericordia per tutti”.

“Pensiamo oggi sul serio sul ricco e su Lazzaro”, aggiunge il papa a braccio: “Succede ogni giorno e tante volte anche a noi. Vergogniamoci! Succede in noi, questa lotta, e fra noi, nella comunità”.

“Grazie di essere venuto, grazie di questa fatica che volentieri, e sempre con il sorriso, ha intrapreso per stare con noi. Lei è un esempio per tutti, anche per tanti musoni”, le parole di ringraziamento del card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, che ha fatto eco alle parole del papa mettendo in guardia dal “virus” dell’individualismo. “La guerra brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici”, il riferimento all’attualità. “In un mondo così abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo”, il bilancio delle giornate nella città dei Sassi.

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Congresso eucaristico nazionale

La domenica del Papa – Il Pane eucaristico

Il sogno di Francesco: “una Chiesa eucaristica” capace di essere accanto ai tanti Lazzaro che troviamo lungo le nostre strade, “asciugando le lacrime di chi soffre”

foto Siciliani-Gennari/Sir
26 Set 2022

di Fabio Zavattaro

Una porta, quasi semplice velo li separa. Fuori, sulla strada, c’è un uomo che tende la mano per fame, per miseria; che si accontenta di raccogliere le briciole che cadono dal tavolo dell’altro uomo “vestito di porpora e di bisso”. Fuori c’è Lazzaro è un mendicante “coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi … perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe”, leggiamo il Luca. Nella casa abita un ricco mercante che l’evangelista indica solo con un aggettivo – “ricco” – perché, afferma il papa, “ha perduto il suo nome e la sua identità è data solo dai beni che possiede. Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote”.
È a Matera, la città del pane, papa Francesco, chiude il 27° Congresso eucaristico nazionale, e la sua riflessione sul brano di Luca, prende spunto dal Pane eucaristico, che “crea condivisione, rafforza i legami, ha gusto di comunione”. Il ricco della parabola pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni e godersi la vita: “soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso”. Non così Lazzaro, il nome significa “Dio aiuta”, il quale “pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio” che è “la speranza incrollabile della sua vita”.
Francesco mette in guardia dall’adorare noi stessi, moriremmo “nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto”. Mentre quando adoriamo il Signore Gesù “riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita”.
Il ricco del Vangelo non ascolta il grido silenzioso del povero alla sua porta. Solo alla fine della vita, all’inferno, leggiamo in Luca, vede Lazzaro accanto a Abramo al quale chiede di mandarlo “a intingere nell’acqua la punta del dito per bagnarmi la lingua”. Una goccia d’acqua come le briciole della ricca mensa. Abramo risponde: “tra noi e voi è stato fissato un grande abisso”, un muro invalicabile come la porta che li divideva nella vita.
Viene alla mente la notissima poesia di Totò – “a livella” – in cui il nobile marchese di Belluno e Treviso si lamenta perché vicino a lui è stato sepolto l’umile e povero netturbino; Totò fa rispondere il netturbino che dice: le pagliacciate delle differenze, delle distanze le fanno solo i vivi “nuje simmo serie… appartenimmo à morte”.
Una parabola – Lazzaro e il ricco epulone – che è ancora storia dei nostri giorni, afferma il vescovo di Roma: “le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti”. L’Eucaristia “è profezia di un mondo nuovo”, e la presenza di Gesù impegno “perché accada un’effettiva conversione”: dall’indifferenza alla compassione; dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo alla fraternità”.
Il sogno di Francesco: “una Chiesa eucaristica” capace di essere accanto ai tanti Lazzaro che troviamo lungo le nostre strade, “asciugando le lacrime di chi soffre”. Una chiesa comunità che chiede pace in Ucraina, in Myanmar, da dove è giunto il grido di dolore dei bambini morti in una scuola bombardata – “si vede che è di moda bombardare le scuole oggi”. La guerra, dice il cardinale Matteo Zuppi salutando il papa, “brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici. Quelli che hanno la tavola imbandita e mandano a fare la guerra i poveri”. Una chiesa, afferma ancora papa Francesco, capace di guardare ai migranti che “vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati”. Una chiesa, quella in Italia, alla quale osa chiede “più nascite, più figli”.

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Don Mimino, il Pastore grande ti accoglie con il sorriso

25 Set 2022

Nel corso di queste ore è giunta a tutti la notizia della scomparsa di mons. Cosimo Quaranta, ritrovato stamane senza vita nella parrocchia “Santa Lucia” in Taranto, lì dove attualmente svolgeva il ministero di parroco.

Numerose sono le testimonianze di cordoglio che circolano in rete, anche perché la sua persona è indubbiamente legata al ricordo di moltissimi. Questo non può che essere un chiaro segno di come il ministero da lui svolto sia stato al servizio del popolo di Dio, sempre vissuto con animo semplice e cordiale. Sono questi i tratti che più ricorrono nei vari messaggi apparsi in rete, dal suo sorriso inconfondibile fino al nome affabile, don Mimino, con cui tutti lo ricordano.

Caro don Mimino, il Pastore grande delle pecore ti accoglie con il sorriso e confida nel buon Dio che la comunione dei santi dove non si perde nulla ma tutto si ritrova conservi vivo il legame in attesa di rincontrarci in Paradiso.

Don Emanuele Ferro

 

La liturgia delle esequie,
presieduta da Mons. Filippo Santoro
avrà luogo nella
Chiesa parrocchiale “Santa Lucia” in Taranto
lunedì 26 settembre 2022 alle ore 11.00.

Al termine la salma sarà traslata a Carosino
dove alle ore 17.00 sarà celebrata la Santa Messa, prima della tumulazione.  

 

A cura dell’Archivio Storico Diocesano


MONS. COSIMO QUARANTA

Canonico Cantore del Capitolo Metropolitano
Cerimoniere Arcivescovile
Parroco della Parrocchia “S. Lucia” in Taranto

NASCITA: S. Giorgio J., 27 Marzo 1961
di Antonio e Angela Dragone

 

Fu alunno del Seminario di Taranto e poi di quello di Molfetta.

Ammissione agli Ordini: Carosino, 19 Aprile 1983 dall’Arcivescovo Guglielmo Motolese

Lettorato: Molfetta, 22 Dicembre 1983 dall’Arcivescovo Mario Miglietta

Accolitato: Molfetta, 1 Aprile 1984 dall’Arcivescovo Guglielmo Motolese

Diaconato: Carosino, 28 Dicembre 1985 dall’Arcivescovo Guglielmo Motolese

PRESBITERATO: Carosino, 26 Giugno 1986 dall’Arcivescovo Guglielmo Motolese

INCARICHI RICOPERTI:
Vicario Parrocchiale della Concattedrale (1 Agosto 1986)
Vicario Parrocchiale Parrocchia “S. Francesco de Geronimo” in Taranto (1 Novembre 1989)
Cerimoniere Arcivescovile (27 Sett. 1991)
Vice Cancelliere della Curia Metropolitana (1 Luglio 1993)
Parroco della Parrocchia “SS. Croce” in Taranto (1 Settembre 1993)
Segretario del Capitolo Metropolitano (2 Febbraio 1995)
Canonico Onorario del Capitolo Metropolitano (22 Febbraio 1999)
Rettore della Chiesa “S. Domenico” in Taranto (22 Ottobre 2002)
Padre Spirituale della Confraternita dell’Addolorata in Taranto (22 Ottobre 2002)
Delegato Arcivescovile per le Confraternite
Canonico del Capitolo Metropolitano
Parroco della Parrocchia “S. Lucia” in Taranto (3 Ottobre 2015)
Canonico Cantore del Capitolo Metropolitano (1 Gennaio 2016)

MORTE: Taranto, 25 Settembre 2022

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Cei

Caro bollette: dalla Cei un fondo di solidarietà di 10 milioni di euro alle diocesi

foto Sir/Marco Calvarese
23 Set 2022

“Un Fondo di solidarietà a favore delle diocesi per contrastare l’aumento dei costi dell’energia”. È una delle iniziative del Consiglio episcopale permanente, che si è svolto in questi giorni a Matera, dove è in corso il Congresso eucaristico nazionale. A sostegno delle diocesi In questo particolare frangente storico e sempre nella prospettiva sinodale, è stata approvata la creazione di un Fondo di solidarietà a sostegno delle diocesi per contrastare l’aumento dei costi dell’energia. La somma – 10 milioni di euro – sarà assegnata alle singole diocesi secondo il metodo di ripartizione dell’8×1000 e, dunque, attraverso una quota fissa per ciascuna diocesi e una variabile in base alla popolazione. Il contributo sarà finalizzato a mettere in atto una riduzione dei consumi e a realizzare progetti di efficientamento energetico. L’attenzione alle sfide che il Paese si trova ad affrontare, in un momento storico delicato e complesso a livello mondiale, ha caratterizzato la sessione autunnale del Cep. Secondo quanto si legge in un comunicato diffuso dall’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, sotto la guida del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. I lavori si sono aperti con il ricordo delle vittime dell’alluvione che ha colpito le Marche, delle loro famiglie e di quanti soffrono a causa di questo evento drammatico. Il pensiero è andato poi a suor Maria De Coppi, missionaria comboniana di 83 anni, uccisa il 7 settembre scorso in Mozambico: “Nella sua umiltà – ha sottolineato il cardinale – è una figlia grande delle nostre Chiese in Italia, che non ha rinunciato a servire l’umanità del mondo e il Vangelo nella vita di un popolo lontano. Piccola sorella universale! È segno ella ricchezza dell’esistenza di una donna, di un’anziana e di una missionaria. Un’anziana può dare molto; una donna può dire molto; una missionaria è andata oltre, più avanti, di noi”.

Il presidente della Cei ha quindi offerto una riflessione sui tanti “inverni” che si affacciano sull’Italia: quello “ambientale”, con “l’incertezza sulla disponibilità di gas ed energia, lo spettro del razionamento energetico, il ritorno ad una austerity di cui solo alcuni di noi hanno un lontano ricordo”; quello “sociale”, con “alti livelli di povertà assoluta che persistono nel tempo” e con “il rischio di esclusione sociale superiore alla media europea”; quello “dei divari territoriali”, come quello “ormai atavico tra Nord e Sud” e come quello “delle aree interne, sparse in tutto il Paese, il cui spopolamento e la cui progressiva emarginazione non accennano ad arrestarsi, frammentando il Paese e rendendo ancora più disuguali i cittadini e le opportunità di cui possono fruire”. Il cardinale si è soffermato sul “pesante inverno della denatalità” e su quello “educativo” che concerne “non solo gli scarsi investimenti sull’edilizia scolastica, ma soprattutto la serpeggiante sfiducia nei confronti della ricerca e in generale della cultura, di quella competenza per interpretare i segni della storia e preparare quel nuovo umanesimo di cui non solo l’Italia ha bisogno”. Infine, ha citato “l’inverno delle comunità ecclesiali”, che “pur con belle eccezioni” sono “affaticate dalla pandemia e faticano a recuperare vitalità e vivacità”. Nelle parole del cardinale che hanno avviato il confronto assembleare, non è mancato infine un riferimento all’Ucraina e alla necessità di “non abituarci alla guerra”: “C’è il rischio – ha ammonito – di un’assuefazione alle notizie, che continuamente ci arrivano dai media e che ci inducono a considerarla ineluttabile. La guerra non porta alla pace. Abbiamo bisogno di tenere alto l’interesse e la speranza per la pace”. Le preoccupazioni espresse da Zuppi sono risuonate negli interventi dei vescovi che hanno messo in luce l’urgenza di una partecipazione attiva alla vita democratica del Paese e di un impegno, a vari livelli e da parte dei diversi soggetti sociali, per uscire dalle crisi e avviare un rinnovamento profondo. Le istanze emerse sono confluite nell’Appello alle donne e agli uomini del Paese, dal titolo “Osare la speranza”, approvato e diffuso il 21 settembre.

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Congresso eucaristico nazionale

Mons. Zuppi: “Riscoprire il gusto del pane per saziare ed essere saziati”

Il presidente della Cei ha aperto il Congresso eucaristico nazionale con un forte appello alla pace, in una Europa lacerata da una guerra “che toglie il pane”

foto Siciliani-Gennari/Sir
23 Set 2022

di Maria Michela Nicolais

“Il mondo coltiva la divisione, l’odio, il pregiudizio, quello raffinato e quello tragicamente violento dell’odio etnico, quello della parola e quello delle armi nucleari. Questo Pane ci aiuta a dare sapore alla vita e a lavorare nel grande campo di questo nostro mondo perché le armi siano trasformate in falci, per farci costruire un mondo finalmente di ‘Fratelli tutti’”. Il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha concluso la sua omelia dal palco di piazza Vittorio Veneto, luogo scelto per la celebrazione inaugurale del Congresso eucaristico nazionale di Matera, con un forte appello alla pace. “Torniamo al gusto del pane”, l’invito sulla scorta del tema del Cen: “Nella pandemia ne siamo stati privati. Riscopriamolo e viviamolo in maniera più familiare. Oggi viviamo una guerra in Europa che brucia i campi, che toglie il pane, creando fame”.

“Da Matera, tornando al gusto del pane eucaristico, intendiamo tornare al gusto della vita”, il saluto del “padrone di casa” del Cen, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, agli 800 delegati, provenienti da 116 diocesi e accompagnati da 80 vescovi: “Da Matera, spezzando il pane eucaristico e adorando la presenza reale di Gesù Cristo, vogliamo dire a tutti che il contrario dello scontro è esattamente l’incontro, la mano tesa nell’atto, non solo di accogliere, ma anche di sostenere e appoggiarsi”. Dalla città dei Sassi, dopo la processione eucaristica in cui le varie componenti del popolo di Dio – compresi “i nostri fratelli e sorelle ucraini, che voi avete accolto e che hanno portato la loro sofferenza” – Zuppi ha esortato a riscoprire un gesto antico: quello dei capifamiglia che, qui a Matera prendevano il pane e lo offrivano ai diversi componenti della famiglia. Perché il pane genera una famiglia, che è la Chiesa, e rappresenta allo stesso tempo la famiglia.

“Chi si ferma davanti a Gesù, si ferma anche davanti ai suoi fratelli più piccoli”, il monito del cardinale: “Più mettiamo al centro Gesù, nella nostra vita personale e nella vita della nostra casa comune, più saremo una cosa sola tra di noi”. L’immagine scelta per spiegare la sinodalità della Chiesa è squisitamente eucaristica: “L’ostensorio è tradizionalmente un sole dal quale partono tanti raggi, così diventiamo noi luminosi, perché illuminati dalla Sua luce, specchio di questa perché pieni del suo amore. E poi penso anche che, al contrario, questo Corpo raccoglie e rende uniti quei tanti raggi che siamo noi: Gesù ci attrae a sé, ci raccoglie e ci permette così di capire che non siamo isolati, che non possiamo vivere da isole, ma che raccolti diventiamo una cosa sola, come il grano sparso sui colli”. “Ecco dove si capisce la Chiesa sinodale”, ha rivelato Zuppi: “mettendo al centro Gesù e dando da mangiare, cioè preoccupandoci degli altri nutrendoci di lui e nutrendo del suo amore, ricevendo e donando. Se viviamo questo e se cambiamo per vivere questo, troveremo le risposte necessarie per una Chiesa madre di tutti”.

C’è la Chiesa madre, al centro delle parole del presidente della Cei: una madre che vuole raggiungere tutti i suoi figli, con la compassione di Gesù. A partire dagli ultimi: “È una madre e vuole proteggerli dalla solitudine, dalla povertà, dall’insignificanza, dalla violenza, dallo sfruttamento, qualunque esso sia”. Il segreto è l’amore: Se non amiamo tutto diventa impossibile, pesante, come nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Se amiamo, forti dell’amore di Cristo, dare da mangiare ci fa essere sazi! Dare da bere ci fa scoprire che abbiamo una sorgente nel cuore, vestire un nudo ci fa indossare l’abito del cielo che è quello dell’amore”.

“Per questo non possiamo restare fermi a spolverare il museo di antichità preziose ma senza vita”, ha attualizzato il cardinale: “L’eucaristia è pane vivo, lo mediteremo in questi giorni, e l’altare ci insegna ad apparecchiare la carità”. “Riscoprire il gusto del pane per saziare ed essere saziati”, l’invito finale.

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Formazione

‘Ripartiamo insieme’ con un orto urbano

foto Ciofs Puglia
22 Set 2022

Nella mattinata del 19 settembre 2022 gli allievi del progetto “Ripartiamo insieme”, finanziato dalla Cassa delle Ammende ed attuato dal Ciofs/fp-Puglia, vincitore del bando posto in essere dalla Regione Puglia, si sono recati per la prima volta nel grande giardino della sede operativa delle suore missionarie del Sacro Costato di Taranto in viale Magna Grecia 402. Accolti dalla madre superiora, suor Teresina, affiancata da suor Donatella, in questa location grazie alla collaborazione fra gli enti e la straordinaria mediazione di don Emanuele Ferro (anch’egli presente all’accoglienza), gli allievi del corso potranno svolgere le ore di pratica previste dal progetto. Inoltre la sperimentazione in corso darà origine ad una collaborazione di lungo termine nella manutenzione degli spazi e nella creazione di un orto urbano dall’altissimo valore sociale per il nostro territorio, nell’ottica di una rinascita green che sempre più ci vede tutti coinvolti. Il percorso formativo in oggetto, della durata di 900 ore come “operatore/operatrice per la realizzazione e manutenzione dei giardini”, mira a formare coloro che stanno affrontando un percorso di esecuzione penale esterna, selezionati dall’Uepe di Taranto, al fine di offrire una qualifica professionale riconosciuta dalla Regione Puglia, per migliorare le loro chances di reinserimento nel mondo del lavoro. La struttura in questione rappresenta un prezioso polmone verde nel cuore del centro cittadino, ben due ettari di terreno con un bellissimo giardino, alberi da frutto e un piccolo uliveto che però, a causa della pandemia degli ultimi due anni, versano in un grave stato di sofferenza. Gli allievi del corso, guidati in questo primo sopralluogo operativo dall’illustre agronomo prof. Gianmichele Divella hanno iniziato a sfoltire alcune siepi e tagliare via erbacce infestanti, oltre che potare alcune piante che erano cresciute in modo irregolare compromettendo anche la fruibilità degli spazi. Al termine di questa esperienza, che li vedrà impegnati ancora alcune settimane, con il supporto dell’arch. Fiorella Occhinegro, professionista esperta nel settore e docente del corso, gli allievi redigeranno anche un progetto di riqualificazione di quest’area verde che ne comprenda il restauro, la conservazione e manutenzione nel tempo. Sarà certamente bellissimo osservare il divenire nel tempo di questi ampi giardini e terreni coltivati, curandoli e sviluppandone le potenzialità nel migliore modo possibile.

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Musica

Notti Sacre 2022, per ascoltarsi e udire: l’arpa di Claudia Lamanna alla Vallisa

22 Set 2022

di Paolo Arrivo

Se io fossi sordo o cieco, come farei a farmi raggiungere dall’arpista più brava del mondo? Se lo chiedeva lo scrittore. Dandosi una risposta di questo tipo: basterebbe fare memoria delle sue esibizioni, del rapporto simbiotico che ha con lo strumento, un tutt’uno con la sua elegante figura, e sapere che lei suona ancora contribuendo alla missione salvifica della musica. In parte è vero… Sebbene non possa mai svanire, la magia di cui la dea dell’arpa Claudia Lucia Lamanna è ispiratrice, va rinnovata, rinvigorita: come nutrimento quotidiano, l’uomo necessita dell’incontro con la Bellezza. Di interagire con la stessa, in forma attiva o contemplativa. La prossima occasione, per il pubblico della 26enne nata a Noci, sarà il concerto in programma a Bari il ventisette settembre, all’Auditorium Vallisa. La vincitrice dell’International Harp Contest in Israel 2022, che volerà a Pasadena e a Hong Kong a fine tour, sarà la protagonista insieme al pianoforte di Annarosa Partipilo, giovane autrice e pianista barese. Start alle ore 19. Info e biglietti su Vallisa Cultura.

 

Il programma

S. Bach Ciaccona (solo arpa) trascrizione di Dewey Owens e Claudia Lamanna

Schubert improvvisi op. 90 n2 e 3 (solo pianoforte)

Reinhold Glière concerto per arpa e orchestra (riduzione per arpa e pianoforte)

 

Notti Sacre 2022

Il concerto rientra in un percorso musicale che intende far conoscere al pubblico i giovani e affermati esecutori protagonisti dei diversi generi della musica. Senza temere le contaminazioni. “Notti Sacre” inoltre ha sempre avuto un’attenzione particolare verso i cori giovanili, fa sapere il direttore artistico, don Antonio Parisi. Il tema della 22esima edizione è ascoltarsi. “Ascoltare vuol dire: udire con attenzione, stare a sentire, prestare ascolto, dare retta, quindi percepire, comprendere, partecipare”, ha scritto l’arcivescovo Giuseppe Satriano nel suo messaggio di saluto. La rassegna di musica arte preghiera, curata dalla Diocesi di Bari-Bitonto, prenderà il via questa sera (giovedì 22 settembre), per concludersi domenica 2 ottobre. Gli spettacoli hanno luogo nelle chiese del centro storico della città capoluogo della Puglia.

 

 

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Diocesi

Don Adriano Arcadio: “I miei riferimenti? San Francesco d’Assisi e san Filippo Neri”

Sabato 24 settembre, alle ore 17 in Concattedrale, diverranno presbiteri Adriano Arcadio, Francesco Mànisi, Maurizio Donzella e Simone De Benedittis. Abbiamo intervistato don Adriano Arcadio

22 Set 2022

di Marina Luzzi

L’anno pastorale si inaugura all’insegna della speranza nel futuro, con l’ordinazione di quattro nuovi sacerdoti diocesani. Don Adriano Arcadio è uno di loro. Una storia vocazionale, la sua, che parte da lontano, dalla parrocchia di origine, il Carmine di Grottaglie. “La stessa di don Francesco Manisi, con cui siamo cresciuti insieme – ci racconta – ed anche questo è stato bellissimo: condividere insieme il percorso che ci sta conducendo al sacerdozio. La parrocchia è stata il mio alveo vocazionale. È in parrocchia che ho imparare a stare in compagnia degli altri e del Signore. Io non mi sono mai allontanato. Mi ha aiutato anche frequentare i giovani del gruppo ‘I giullari di Dio’, in cui al cammino di catechesi si univa il lavorare insieme alla preparazione di un musical. I ragazzi del gruppo sono stati il collante tra la mia storia e questa vocazione. In questo contesto sono cresciuto come persona e nella scelta di iniziare un percorso lungo ma che mi sta portando al desiderio più grande: diventare sacerdote. Una strada in cui mi ha accompagnato il parroco don Pasquale Laporta, che ringrazio. Il quinto superiore è stato l’anno della scelta: mi sono fatto tante domande ma tra le strade che mi si proponevano, quella che mi dava davvero gioia era pensarmi consacrato al Signore, dando forma alla mia vita. Studiavo al liceo classico di Grottaglie, ai tempi. Don Pasquale mi ha seguito nei primi passi, poi il cammino vocazionale è proseguito in diocesi, infine il propedeutico e il seminario a Molfetta. Avevo un grande entusiasmo che mi sono portato lì e che ha caratterizzato la mia strada fin qui. Non ho mai vissuto questo desiderio in preda a troppi dubbi o con difficoltà”. Tra le esperienze che hanno segnato questi anni una in particolare ha lasciato il segno: il servizio dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, a Roma. “Sono state due settimane intense, in cui ho davvero compreso come la carità e la contemplazione non possano che andare insieme – ci spiega don Adriano – e quanto mi renda felice lo stare in mezzo alla gente ma anche in relazione con il Signore”. Due sono i riferimenti a cui don Adriano si ispira: san Francesco d’Assisi e san Filippo Neri “soprattutto per la dimensione della gioia”. La stessa che ha avuto la sua famiglia, accogliendo la notizia della sua scelta di diventare sacerdote. “Io ho la grazia di vivere in una famiglia cattolica. Mia madre mi ha sempre detto che l’importante fosse essere felice delle mie scelte. All’inizio hanno avuto qualche piccola preoccupazione ma il clima è stato da subito sereno, senza grosse difficoltà”. Il suo servizio attualmente don Adriano lo svolge nella parrocchia del santo Rosario, sempre a Grottaglie e lì rimarrà nei prossimi mesi, i primi da sacerdote. “Mi trovo molto bene in questa comunità. Nonostante sia il mio paese d’origine, trattandosi di una zona più periferica, sto facendo incontri nuovi e assaporando la bellezza e la freschezza della novità delle relazioni. Finora, da diacono, ho collaborato con la Caritas. Don Luca Lorusso mi ha tirato subito in ballo. Non ho un incarico particolare, collaboro alla gestione e fare il prete è anche meglio di come lo avevo immaginato. Talvolta nei pensieri siamo un po’ piccoli e il Signore invece ci sorprende sempre. La cosa in cui vorrei crescere sempre di più è la vicinanza alla gente, alle situazioni. L’immagine – prosegue don Adriano – è sempre quella del buon Samaritano. Un sacerdote come uomo capace di farsi prossimo alle difficoltà ma anche alle gioie. Quest’anno ci proverò anche a scuola. Mi hanno affidato i bambini delle elementari degli istituti comprensivi don Bosco e De Amicis. Sono i primissimi giorni. Non posso dire molto, se non che i bambini sono bellissimi e che sono contento di questa nuova avventura”.

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Diocesi

Don Maurizio Donzella: “Ascoltare senza giudicare sarà il mio identikit di sacerdote”

Sabato 24 settembre, alle ore 17 in Concattedrale, diverranno presbiteri Maurizio Donzella, Francesco Mànisi, Adriano Arcadio e Simone De Benedittis. Abbiamo intervistato don Maurizio Donzella

22 Set 2022

di Marina Luzzi

Fin da bambino ha sognato di essere un prete. “Tutti si ricordano che giocavo a dire la messa”- ci racconta don Maurizio Donzella – “poi questo desiderio l’ho messo da parte e ho iniziato a studiare il pianoforte. A 7 anni, quando ho cominciato, i piedi – seduto allo sgabello – non arrivavano ancora a terra. Quella per la musica è una grande passione. È una parte di me. Ho completato il percorso di studi musicali ma mi mancava qualcosa. Don Michele Colucci, nella mia parrocchia di origine, Madonna di Fatima a Talsano, mi propose di iniziare il seminario minore. Io mi rifiutai. Non ero pronto, forse. O non era il momento. Ognuno d’altronde ha il suo percorso. Ho continuato la vita della parrocchia, suonavo l’organo, dirigevo il coro e ho completato gli studi in Scienze religiose, che avevo iniziato per dare un sostegno alla mia fede. Al termine del quinto anno, a tutti viene fatta fare l’esperienza di affiancamento ad un docente di religione a scuola e le ultime lezioni le facciamo noi, insieme all’insegnante. Ho fatto questa esperienza in una scuola materna e in una scuola superiore ma ancora non mi sentivo in pace. La domanda sulla strada da percorrere era sempre lì. Avevo 25 anni. Don Emanuele Ferro, allora parroco a Talsano, mi propose di mettermi in gioco, prendere in mano la mia vita. Stavolta accettai. Ho fatto un anno di discernimento vocazionale in diocesi. Quando ero lì per lì per fare questo passo decisivo di entrare in seminario, sono tornati i dubbi. Un aspetto che ha molto a che fare con il mio carattere. Ma la sicurezza di fare la scelta giusta al 100% non c’è per nessuno e per nulla. Bisogna buttarsi ma io cercavo un segno forte”. E quel segno è arrivato in un 22 settembre, giorno a cui don Maurizio è particolarmente legato, perché nel paesino lucano di sua nonna, si festeggia il santo di cui lui stesso porta il nome. “In quell’occasione – spiega – pregai con una novena in suo nome, chiedendomi di indirizzarmi verso la scelta più giusta. Al termine della messa, quel giorno, mi si avvicinò una donna anziana sconosciuta e che non ho più rivisto e mi disse di aver sentito forte durante la celebrazione di doversi avvicinare per dirmi che dentro di lei aveva sentito che io avrei dovuto fare il prete e se mai ci avessi pensato. Ecco la risposta alla mia domanda. Nel momento in cui avevo più necessità, mi sono sentito accompagnato. Uscito dalla chiesa, inviai subito un’email al seminario di Molfetta. Peraltro era il giorno in cui scadeva la possibilità di iscriversi. Quel periodo di settembre è sempre importante per me, d’altronde verrò ordinato sacerdote a due giorni dalla festa di san Maurizio, mio onomastico”.  A questo giovane uomo alle prese con la più grande scelta della vita non è mancato il sostegno dei genitori. “I miei in qualche modo se lo aspettavano. Io sono orfano di padre, mia madre poi si è risposata e suo marito lo considero come un padre a tutti gli effetti. Ho avuto sempre grande libertà, mi hanno dato la possibilità di fare altri studi, prima di musica poi a Scienze religiose. Hanno accolto con grande gioia questa scelta. Certo qualche titubanza c’era anche in loro, perché le scelte per la vita fanno paura a ciascuno di noi ma anche alle persone che ci vogliono bene. È stato un cammino particolare, in un contesto nuovo. Il primo grande distacco da casa. Devi convivere con persone che non ti sei scelto ma devi accogliere come fratelli. Uscire dal proprio paese, dalla comunità di origine però aiuta, puoi porti le domande sulla tua vita in modo libero, senza il peso delle aspettative di chi hai di solito intorno.  Io sono stato assegnato durante il biennio alla parrocchia di santa Maria di Passavia, a Bisceglie, e nel triennio alla chiesa matrice di Mola di Bari. Vivere un’esperienza parrocchiale diversa dalla tua, sicuramente fa tanto. Il parroco vede nel seminarista un ragazzo in cammino quindi mette in comune la sua vita personale non solo pastorale. Di entrambe le realtà parrocchiali mi porto la testimonianza dei parroci. Avendo poi studi già pregressi, il mio iter formativo è stato diverso. Ho preso la licenza in teologia patristico-ecumenica e data la mia attitudine per la musica, sono stato responsabile del coro per tutti gli anni del seminario”. Dopo tanta fatica è tempo di raccogliere ma anche di guardare al futuro. Dopo la consacrazione, don Maurizio avrà l’incarico di vicario parrocchiale nella sua parrocchia di origine, la Madonna di Fatima di Talsano. E le idee su come intende svolgere questo ministero gli sono chiare.  “Vorrei rimanere la persona che sono, perché spesso se si parte con l’immaginazione e il ‘voglio’, si corre il rischio di non essere più preti ma vestire il ruolo di un prete. Il Signore si serve dei nostri limiti e delle nostre cose belle. Io amo molto ascoltare, non sono di grandi parole. Amo lasciare spazio alla riflessione e all’ascolto. Non voglio dare risposte preconfezionate. La risposta la si trova insieme nella provvidenza di Dio, che si manifesta nel silenzio o in un evento. Non voglio essere un prete giudicante. Ascoltare senza giudicare sarà la mia stella polare, il mio identikit di sacerdote».

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