Ricordo

La memoria di mons. Giovanni Caroli è sempre viva

Una nutrita presenza di fedeli nella basilica di San Martino per ricordare l’amato arciprete. Ora il comitato lavora per allestire una mostra fotografica e pubblicare un libro

10 Ott 2022

di Ottavio Cristofaro

La santa messa in suffragio di mons. Giovanni Caroli è stato il primo passo spontaneo di un cammino sinodale di persone.

Ce ne saranno altri di momenti e di eventi per ricordare l’amato ‘arciprete’, ma soprattutto ciascuno potrà dare il suo contributo in base alle proprie possibilità e alle specifiche competenze. Per questo Mario Motolese tra gli attivisti del neo costituito Comitato per mons. Giovanni Caroli, continua a sostenere che è importante restare in una posizione di apertura, ovvero pronti ad accogliere chiunque volesse manifestare, con un impegno anche minimo, quello che don Giovanni ha “seminato” con il suo stile e la sua cristallina testimonianza.

Il Comitato per mons. Giovanni Caroli è nato in queste settimane per arginare l’oblio, onorare la memoria, promuovere lo studio della figura dell’uomo e del sacerdote, e tramandare il ricordo di chi è giusto non dimenticare, attraverso una serie di iniziative che, da qui in avanti, si intendono organizzare.

Ha colpito tutti la nutrita partecipazione alla liturgia eucaristica, così come l’intensità con cui tanti fedeli laici hanno voluto tributare con raccoglimento e concentrazione il giusto riconoscimento a un uomo, a un sacerdote e a un vero pastore che, ogni giorno, ha posto al centro della sua missione la ricerca e l’amore verso Dio e la cura premurosa del suo gregge. A queste persone si aggiungono i tanti che, per i motivi più vari (tanti vivono lontani), hanno voluto farsi sentire per manifestare sentimenti di gratitudine e di plauso al proficuo operato di don Giovanni.

Quei tanti visi avanti negli anni e coinvolti in esperienze anche lontane dai territori della credenza religiosa, hanno riportato alla memoria un saggio di Benedetto Croce dal titolo “Perché non possiamo non dirci cristiani”, nel quale egli sostiene che il cristianesimo abbia compiuto una grande rivoluzione, quella cioè che opera al centro dell’anima, nella coscienza morale. Il cristianesimo inteso cioè come elemento centrale della civiltà occidentale contrapposto a chi si impegnava (e continua ancora oggi a farlo) alla distruzione di quella stessa civiltà. Idea forte questa che don Giovanni condivideva soprattutto nella “visione” di carattere sociale e politico per la quale egli era intellettualmente e culturalmente proteso. Proprio un amico di don Giovanni, il card. Angelo Comastri, in uno dei suoi seguitissimi rosari, ha citato la frase di Croce secondo cui “l’unica vera novità della storia è stato Gesù Cristo”.

È importante evidenziare la disponibilità di don Peppino Montanaro, il quale ha risposto subito alle iniziative proposte dal comitato e che, attraverso i suoi interventi, ha dato un’idea concreta di quello che è stato l’impegno di don Giovanni e dei suoi tanti più stretti collaboratori.

Al termine della celebrazione un gruppo di fedeli si è ritrovato negli ambienti di gioco e di formazione a latere del ‘cappellone’.

Pier Giorgio Farina ha sintetizzato il senso dell’impegno del comitato nel rilanciare la memoria di don Giovanni nel presente (“perché la Chiesa deve guardare avanti” – come amava lui spesso ripetere ai giovani), insieme a lui lo ha fatto anche Martino Cannarile nel suo intervento, quest’ultimo assieme a Teresa Gentile hanno documentato l’intera iniziativa. È doveroso inoltre segnalare i preziosi interventi di Angelo Fumarola, un ex allievo che da sua madre fu consegnato alle cure di Porziella all’età di due anni e mezzo; e della signora Lucrezia Gnisci, che si recò con un nutrito gruppo di parrocchiane di San Martino allo storico Congresso eucaristico nazionale tenutosi a Lecce nel lontanissimo 1956 nel vano di carico di un camion. Assieme a queste testimonianze anche quella della signora Magli, che ha ricordato il lungo e proficuo impegno di don Giovanni nel gruppo delle Vincenziane, sempre a favore dei più bisognosi.

Un ringraziamento va anche a don Michele Castellana e al vice-parroco della basilica, don Alessandro Fontò. Il ricordo di don Michele tra gli ex giovani di Azione cattolica della seconda metà degli anni sessanta è sempre molto vivo. La sua disponibilità e la sua generosità è nota nel contesto ecclesiale e sociale della vicaria martinese, la sua presenza è stata di grande conforto e di incoraggiamento per “illuminare” il presente con la luce del Vangelo, secondo gli insegnamenti ereditati da mons. Caroli.

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Giovanni XXIII

Quando papa Giovanni XXIII fermò la minaccia del conflitto nucleare

foto Ansa/Sir
10 Ott 2022

di Marcello Mancini

Quando nel 1989 cadde il muro di Berlino, il mondo pensò che la contrapposizione fra le due grandi potenze – Unione Sovietica e Stati Uniti – che aveva tenuto sotto la minaccia di una guerra nucleare i popoli liberi fosse finita e che la pace sarebbe diventata più reale di un proposito. O di uno slogan scandito nei cortei. Nessuno avrebbe immaginato che ci saremmo dovuti confrontare ancora, all’improvviso, con il rischio di un conflitto atomico. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha bruscamente rianimato il mostro. E ancora ci svegliamo ogni giorno con la paura che qualcosa a est sia drammaticamente cambiato nelle ultime ore, ingoiando il mondo in un precipizio senza ritorno. Probabilmente è lo stesso risveglio che, all’alba degli anni Sessanta, vissero le donne e gli uomini del pianeta che pure si apprestavano a entrare nella stagione, che oggi evochiamo spesso, della ricchezza e del benessere.

Il brusco risveglio ha una data: il 22 ottobre 1962. Quando il presidente Usa John Kennedy parlò al popolo americano attraverso radio e televisione, per spiegare che Mosca aveva installato missili nucleari a Cuba, volgendo le testate verso gli Stati Uniti. Missili balistici a media portata – dettagliò Kennedy – capaci di trasportare una spoletta nucleare per oltre 1.600 chilometri, potendo raggiungere così Washington, il canale di Panama e altre zone dei Caraibi. Aveva le prove. Foto scattate da un aereo spia U2 documentavano la presenza dei missili. L’ambasciatore Usa all’Onu informò il mondo, nell’imbarazzo del collega russo, che negò e poi si arrese di fronte all’evidenza davanti alla costernata assemblea generale delle Nazioni unite.

Kennedy non si limitò alla denuncia e rispose con un blocco navale dell’isola di Cuba, definendolo, ante litteram, quarantena, anche se non si trattava di un problema sanitario. Le sue parole furono chiare: “Tutte le navi, da qualsiasi nazione provengano, verranno fatte tornare indietro, qualora abbiano a bordo carichi di armi offensive. Qualunque attacco missilistico, lanciato da Cuba contro un Paese dell’Occidente, sarà considerato come un attacco agli Stati Uniti e comporterà un’azione di rappresaglia contro l’Unione sovietica”.

Il messaggio era diretto a Kruscev, capo del Cremlino, che forse aveva sperato di trovare nel giovane presidente americano, così innamorato della pace, un avversario più debole. Ora Kruscev si trovava di fronte alla richiesta di smantellare le strutture di lancio, sotto gli occhi del pianeta.

Fra gli Stati Uniti e Fidel Castro del resto non correva buon sangue, specialmente dopo quello che era successo un anno prima alla Baia dei porci: un blitz di esuli cubani organizzato dalla Cia, durante l’amministrazione Eisenhower per rovesciare il regime castrista, fallì miseramente e fu respinto dalle forze armate cubane equipaggiate e addestrate da alcune nazioni filo sovietiche.

Fu probabilmente quest’operazione protetta dagli Usa (e subita da Kennedy, che non ebbe la forza di fermarla) a muovere Kruscev, irritato anche dalla presenza di missili balistici americani Jupiter nelle basi in Italia e in Turchia.

La crisi dei missili cubani fu il momento più drammatico della cosiddetta guerra fredda fra Stati Uniti e Unione sovietica:durò due settimane, dal 16 al 28 ottobre, da quando Kennedy fu informato dalla Cia della scoperta dell’aereo spia americano a quando venne raggiunto l’accordo con Mosca. Il mondo in quei lunghi giorni ebbe una reazione comune per la pace.

Si ritiene determinante l’intervento di papa Giovanni XXIII, proprio mentre si stava aprendo in San Pietro il Concilio Vaticano II. Dal pontefice, sollecitato dallo stesso presidente cattolico Kennedy, salì la preghiera per il “bene supremo della pace”, accompagnata da un appello a coloro che hanno la responsabilità del potere: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!”.

L’ateo Kruscev ascoltò e ringraziò il papa. Eppure è strano che per anni il ruolo vaticano sia stato praticamente ignorato dalla storiografia. Almeno finché, nel 2000, furono aperti gli archivi sovietici. Dai quali si dimostrava come il passo di papa Giovanni avesse ammorbidito l’atteggiamento del Cremlino, anche verso la Chiesa, tanto che successivamente Kruscev inviò gli auguri per l’ottantesimo compleanno del Pontefice e, per la prima volta, il 27 dicembre 1962 la Pravda, il giornale di regime, pubblicò ampi stralci del suo messaggio natalizio, con un commento positivo.

L’efficacia dell’appello papale sulle coscienze dei protagonisti è quindi indubbia.Ovvio che la crisi si risolse per via diplomatica ed ebbe altre componenti, da valutare, per poter dare un giudizio completo e poter sostenere chi abbia ceduto fra Usa e Urss.

Kruscev, con le spalle al muro, fece due proposte di accordo a Kennedy, una delle quali richiedeva, in cambio del disarmo dei missili sovietici a Cuba, lo smantellamento delle basi americane in Turchia e in Italia. Mossa che avrebbe messo la posizione americana in condizioni di debolezza. Se ne uscì, dunque, per una via di mezzo.

Protagonista dell’intesa, il fratello del presidente, Robert Kennedy, che in quelle due settimane si incontrò più volte con l’ambasciatore sovietico. Il compromesso, che John Kennedy portò a casa e poté esibire al mondo che si era trovato sull’orlo dell’apocalisse, fu siglato il 28 ottobre 1962: l’Unione sovietica accettò pubblicamente di smantellare le basi a Cuba e gli Stati Uniti accettarono, in segreto però, di eliminare i loro missili nucleari in Italia e Turchia.

Da quella volta sono state sfiorate altre crisi internazionali, ma le relazioni dirette fra le due grandi potenze furono semplificate, perché è proprio dopo quel pericolo scampato che venne istituito il famoso “telefono rosso”, che metteva in collegamento il Cremlino e la Casa bianca, attraverso il quale i due leader avrebbero potuto comunicare più facilmente.

Da allora, in sessant’anni, il pericolo di conflitto nucleare non è mai stato evocato come in questi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina. I sistemi sono più sofisticati, gli effetti della guerra sono più violenti, qui ci sono morti e un raffronto non si può fare. Ma il dialogo – quello che, nonostante fossero avversari, infine mise d’accordo Kruscev e Kennedy – che fece uscire la crisi dei missili da un impasse che sembrava insormontabile, non dovrebbe tramontare mai. In ogni circostanza e a ogni latitudine, anche nelle situazioni più complicate.

precedentemente pubblicato su “Toscana Oggi”

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Angelus

La domenica del Papa – La guarigione, anche dal peccato, è un cammino

foto Vatican media/Sir
10 Ott 2022

di Fabio Zavattaro

“Gesù, maestro, abbi pietà di noi”. Dieci lebbrosi, dieci morti viventi. Uomini colpiti da una malattia che per la Bibbia e la cultura dell’epoca equivaleva alla morte. Lo chiamano per nome chiedendo il suo aiuto. Solo in due altre occasioni viene invocato con il suo nome nel Vangelo di Luca: dal cieco di Gerico e dal buon ladrone sulla croce. Tutto avviene ai margini del villaggio, “lungo il cammino verso Gerusalemme”. È la terza volta che l’evangelista ci ricorda che Gesù è in cammino verso la città santa, la sua, e la nostra, meta ultima. La strada lo porta a attraversare la Galilea e la Samaria.

Nei pressi del villaggio i dieci uomini con le ferite della lebbra, cioè segnati dal peccato e per questo allontanati, emarginati, si avvicinano e lo chiamano “Gesù, maestro” e chiedono misericordia. Lui, non avvicinandosi, ordina loro di fare ciò che la legge comandava di fare ai lebbrosi, cioè di recarsi dai sacerdoti perché giudicassero lo stato della loro malattia. Non li guarisce subito, come ha fatto in altri casi, non li tocca nemmeno, ma li invia da coloro che devono attestarne la guarigione. I dieci, obbedendo, entrano nel villaggio e si rendono conto, camminando, di essere guariti: “e mentre essi andavano, furono purificati”. La guarigione, anche dal peccato, è un cammino.

Proprio la dimensione del camminare insieme e del ringraziare, sono il cuore della riflessione di papa Francesco, nell’omelia per la canonizzazione del vescovo Giovanni Battista Scalabrini e di Artemide Zatti. All’inizio del brano, Luca ci dice che “non c’è nessuna distinzione tra il samaritano e gli altri nove. Semplicemente si parla di dieci lebbrosi, che fanno gruppo tra di loro e, senza divisione, vanno incontro a Gesù”. Sottolinea il papa: “il samaritano, anche se ritenuto eretico, straniero, fa gruppo con gli altri. Fratelli e sorelle, la malattia e la fragilità comuni fanno cadere le barriere e superare ogni esclusione”. Il numero dieci sta a significare l’intera umanità. Questo vuol dire che siamo tutti malati, peccatori, bisognosi di misericordia, dice Francesco, allora “smettiamo di dividerci in base ai meriti, ai ruoli che ricopriamo o a qualche altro aspetto esteriore della vita, e cadono così i muri interiori, cadono i pregiudizi. Così, finalmente, ci riscopriamo fratelli”. Dobbiamo essere capaci di camminare insieme agli altri, “di ascoltare, di superare la tentazione di barricarci nella nostra autoreferenzialità e di pensare solo ai nostri bisogni. Ma camminare insieme – cioè essere ‘sinodali’ – è anche la vocazione della Chiesa”.

L’invito di Francesco è di essere comunità “aperte e inclusive verso tutti”. Di più, dice di avere paura “quando vedo comunità cristiane che dividono il mondo in buoni e cattivi, in santi e peccatori: così si finisce per sentirsi migliori degli altri e tenere fuori tanti che Dio vuole abbracciare”. Di qui la richiesta di “includere sempre, nella Chiesa come nella società, ancora segnata da tante disuguaglianze ed emarginazioni”.

Ricordando la figura e l’opera di Scalabrini, Francesco parla di “scandalosa esclusione dei migranti”; parla del Mediterraneo come “cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale”.

L’altro aspetto toccato dal papa, la capacità di ringraziare: dei lebbrosi guariti, ci dice Luca, nove vanno per la loro strada, torna solo il samaritano, cioè l’eretico per il giudaismo del tempo. È una brutta “malattia spirituale dare tutto per scontato, anche la fede”. Dice “no” il papa a “cristiani che non si sanno più stupire, che non sanno più dire grazie”: sono “cristiani all’acqua di rose”. L’altro santo, Artemide Zatti, guarito dalla tubercolosi “dedicò tutta la vita a gratificare gli altri, a curare gli infermi con amore e tenerezza”. È una “grande lezione anche per noi che beneficiamo ogni giorno dei doni di Dio, ma spesso ce ne andiamo per la nostra strada dimenticandoci di coltivare una relazione viva, reale con lui”.

Nel dopo Angelus, papa Francesco ricorda i 60 anni dall’apertura del Concilio: anche allora, dice pensando al conflitto nel cuore dell’Europa, vi era il pericolo di una guerra nucleare che minacciava il mondo, “c’erano conflitti e grandi tensioni, ma si scelse la via pacifica”: perché non imparare dalla storia?

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Emergenze sociali

Gang giovanili: in tutto il Paese ma con prevalenza al centro-nord. Si ispirano a gruppi criminali

foto Ansa/Sir
07 Ott 2022

Sono quattro le principali tipologie di gang giovanili presenti su tutto il territorio italiano, ma con una leggera prevalenza del Centro-Nord rispetto al Sud del Paese. Lo rivela il primo report esplorativo “Le gang giovanili in Italia”, realizzato da Transcrime, il centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e dell’Università degli studi di Perugia, in collaborazione con il Servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno e il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del ministero della Giustizia.
La prima categoria comprende gruppi privi di una struttura definita, prevalentemente dediti ad attività occasionali violente (es. risse, percosse e lesioni) o devianti: presenti in tutte le macroaree del Paese, sono il tipo maggiormente rilevato e più consistente numericamente. Questi gruppi sono caratterizzati da legami deboli, una natura più fluida, l’assenza di una gerarchia chiara o una organizzazione definita e spesso anche di fini criminali specifici. Quindi gruppi che si ispirano o hanno legami con organizzazioni criminali italiane: presenti specialmente nel Sud del Paese in contesti urbani in cui vi è storicamente una presenza mafiosa. Sono composti quasi totalmente da italiani con un elevato coinvolgimento di minorenni. Questi gruppi sono spesso legati alla volontà di accrescere il proprio status criminale con l’auspicio di entrare a fare parte delle sopracitate organizzazioni criminali. A questi si aggiungono gruppi che si ispirano a organizzazioni criminali o gang estere: presenti prevalentemente in aree urbane del Nord e Centro del Paese e composti in prevalenza da stranieri di prima o seconda generazione. Fra le attività criminali più spesso associate a questo tipo di gang emergono risse percosse e lesioni, atti vandalici e disturbo della quiete pubblica. Infine gruppi con una struttura definita ma senza riferimenti ad altre organizzazioni e dediti ad attività criminali specifiche: presenti in tutte le macroaree del Paese e composti in prevalenza da italiani. Compiono spesso reati appropriativi, come furti o rapine, ma anche reati violenti. Queste gang non sono solitamente dotate di simbologie particolari né hanno interesse a pubblicizzare le proprie azioni, rivela ancora il report.

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Ecclesia

Papa Francesco: “Il popolo di Dio ha fiuto per riconoscere i modelli di santità”

foto Vatican media/Sir
07 Ott 2022

“È importante che ogni Chiesa particolare sia attenta a cogliere e valorizzare gli esempi di vita cristiana maturati all’interno del popolo di Dio, che da sempre ha un particolare ‘fiuto’ per riconoscere questi modelli di santità, testimoni straordinari del Vangelo”. Lo ha raccomandato il papa, al termine del discorso rivolto ai partecipanti al Convegno “La santità oggi”, promosso dal dicastero delle Cause dei santi, ricevuti in udienza. “Occorre tenere in giusta considerazione il consenso della gente attorno a queste figure cristianamente esemplari”, l’appello di Francesco, secondo il quale “i fedeli sono dotati dalla grazia divina di un’innegabile percezione spirituale per individuare e riconoscere nell’esistenza concreta di alcuni battezzati l’esercizio eroico delle virtù cristiane”. “La fama sanctitatis non proviene primariamente dalla gerarchia ma dai fedeli”, ha precisato Francesco: “È il popolo di Dio, nelle sue diverse componenti, il protagonista della fama sanctitatis, cioè dell’opinione comune e diffusa tra i fedeli circa l’integrità di vita di una persona, percepita come testimone di Cristo e delle beatitudini evangeliche”. Tuttavia, “è necessario verificare che tale fama di santità sia spontanea, stabile, perdurante e diffusa in una parte significativa della comunità cristiana”: “Essa infatti è genuina quando resiste ai cambiamenti del tempo, alle mode del momento, e genera sempre effetti salutari per tutti, come possiamo constatare nella pietà popolare”.

 

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Ecclesia

Ad Assisi, sabato 8 incontro nazionale “Con papa Francesco, contro la guerra per costruire la pace”

foto Siciliani-Gennari/Sir
07 Ott 2022

“Con papa Francesco, contro la guerra per costruire la pace”. Questo il tema dell’incontro nazionale che si svolgerà sabato 8 ottobre ad Assisi. L’iniziativa, organizzata dal Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi, si terrà dalle 10 alle 17 nella sala stampa del Sacro Convento di San Francesco.
“Il drammatico appello che papa Francesco ha lanciato domenica scorsa per fermare l’escalation della follia in Ucraina non deve cadere nel vuoto”, si legge in una nota di presentazione dell’evento: “Cosa possiamo fare? Come possiamo fronteggiare le enormi sfide che incombono? Come possiamo ricostruire un serio impegno di cittadini e istituzioni per la pace?”. “Dopo otto anni e otto mesi di guerra in Ucraina e nessuna seria iniziativa di pace, mentre il popolo ucraino continua a morire e a subire indicibili sofferenze, mentre la crisi economica e sociale si sta facendo sempre più drammatica, mentre la radicalizzazione dello scontro globale sta compromettendo la possibilità di fronteggiare tutte le grandi sfide poste dalle catastrofi climatiche, dalle pandemie, dalle migrazioni e dal continuo aumento delle disuguaglianze, appare sempre più necessario dare nuovo slancio all’impegno per costruire una coscienza, una cultura e una politica della pace”, proseguono i promotori, secondo cui “la via della pace che papa Francesco sta indicando ai credenti e non credenti di tutto il mondo, con magistrale fermezza e coerenza, è la dimostrazione che un’alternativa esiste, che c’è un’altra strada e che la dobbiamo percorrere assieme”.
All’incontro di Assisi intervengono tra gli altri: fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento di San Francesco d’Assisi; Stefania Proietti, sindaca di Assisi e presidente della Provincia di Perugia; Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; Andrea Tornielli, direttore editoriale del dicastero per la Comunicazione della Santa Sede; Flavio Lotti, coordinatore della Marcia PerugiAssisi.

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Crisi energetica

Cingolani (Mite) firma il decreto che stabilisce nuovi limiti e orari per i riscaldamenti

foto Sir/Marco Calvarese
07 Ott 2022

Il ministro della Transizione ecologica (Mite), Roberto Cingolani, ha firmato il decreto che definisce i nuovi limiti temporali di esercizio degli impianti termici di climatizzazione alimentati a gas naturale e la riduzione di un grado dei valori massimi delle temperature degli ambienti riscaldati, da applicare per la prossima stagione invernale come previsto dal Piano di riduzione dei consumi di gas naturale. Ne dà notizia il Mite spiegando che “il periodo di accensione degli impianti è ridotto di un’ora al giorno e il periodo di funzionamento della stagione invernale 2022-2023 è accorciato di 15 giorni, posticipando di 8 giorni la data di inizio e anticipando di 7 la data di fine esercizio. In presenza di situazioni climatiche particolarmente severe, le autorità comunali, con proprio provvedimento motivato, possono autorizzare l’accensione degli impianti termici alimentati a gas anche al di fuori dei periodi indicati al decreto, purché per una durata giornaliera ridotta. Inoltre, i valori di temperatura dell’aria sono ridotti di 1 °C”. Al fine di agevolare l’applicazione delle nuove disposizioni, viene spiegato in una nota, “Enea pubblicherà un vademecum con le indicazioni essenziali per impostare correttamente la temperatura di riscaldamento che gli amministratori di condominio potranno rendere disponibile ai condomini. Le riduzioni hanno delle esenzioni; in particolare non si applicano agli edifici adibiti a luoghi di cura, scuole materne e asili nido, piscine, saune e assimilabili e agli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e simili per i quali le autorità comunali abbiano già concesso deroghe ai limiti di temperatura dell’aria, oltre che agli edifici che sono dotati di impianti alimentati prevalentemente a energie rinnovabili”.

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L'argomento

Comunità energetiche, antidoto al caro bollette

06 Ott 2022

di Marina Luzzi

Un anno fa, dalla Settimana Sociale dei Cattolici italiani, partì la proposta di rendere le circa 26mila parrocchie presenti in Italia, comunità energetiche. Furono un migliaio i delegati diocesani arrivati a Taranto, di cui un terzo giovani che strinsero anche un’alleanza intergenerazionale sui temi della sostenibilità ambientale. Il tema, senza sapere cosa sarebbe accaduto di lì a qualche tempo, con la guerra della Russia all’Ucraina,  appariva già urgente. Ora diventa imprescindibile per provare a superare la grave crisi energetica che viviamo. Negli scorsi giorni in città si è tornato a parlarne con un convegno promosso da Cisl Taranto-Brindisi, insieme con Adiconsum nazionale, Cisl Puglia, con il Patrocinio della Camera di commercio ionica e dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio. Dal dibattito sono emersi spunti interessanti: primo fra tutti che serve una politica energetica chiara che non sia soggetta a cambiamenti a seconda del governo in carica, poi che occorre quanto prima approvare i decreti attuativi per rendere le comunità energetiche un antidoto reale, dal basso, al caro bollette. “C’è una modalità per tornare a rientrare nuovamente in armonia con la creazione – ha detto l’arcivescovo della diocesi ionica, mons. Filippo Santoro –  considerarla appunto come dono. C’è il collo della bottiglia di una transizione ecologica del nostro Paese che riguarda la capacità di auto promozione energetica, carbon free e caporalato free, che potrebbe costituire anche occasione di reddito per famiglie e comunità. I giovani hanno proposto una alleanza intergenerazionale in cui siano ascoltati. Economy of Francesco è al riguardo una bellissima esperienza di promozione e di sviluppo. (…) Noi ci muoviamo e ci diamo da fare per promuovere la vita, per offrire speranza, il dono di sé, il dialogo come metodo e la Cisl a tutti i livelli è in grado di interpretare tali principi nel quadro più generale della Dottrina sociale della Chiesa. Taranto può e deve tornare ad essere luogo di vita, di speranza e di confronto per traguardare finalmente un sistema produttivo ed uno sviluppo sostenibile”. “Pensiamo che le comunità energetiche possano costituire una opportunità eccezionale ed unificante, perché si tratta di un modello che prevede la partecipazione, l’inclusione, la coesione, la condivisione, per affrontare cambiamenti che, sulle prime, potrebbero suscitare perplessità ma nel tempo gioverebbero al sistema ambientale, produttivo, economico e sociale di ogni singola comunità”- ha detto, introducendo il tema Gianfranco Solazzo, padrone di casa in qualità di segretario generale della Cisl di Taranto e Brindisi. “Il PNRR di 209 miliardi prevede un intreccio tra investimenti e riforme strutturali ma ciò deve attuarsi tenendo conto di una idea di Paese, attivando partecipazione e condivisione sociale”– ha affermato il segretario confederale della Cisl  Angelo Colombini. “È una democrazia energetica ma i casi virtuosi nel Paese sono ancora pochi – ha spiegato il presidente di Adiconsum nazionale Carlo De Masi- nessuno conosce le comunità energetiche in Italia. Serve una collaborazione tra sindacato, imprese governo e partiti. Se i decreti attuativi fossero stati pubblicati, si sarebbero potuti già attutire di colpi della crisi energetica che stiamo vivendo. Ad oggi gli unici interventi previsti dal governo sono quelli economici (bonus, ndr) ma non è una soluzione”. “Le nuove norme che attendiamo – ha sottolineato Carlo Cascella, responsabile degli Affari Istituzionali e Sostenibilità della macroarea Sud presso Enel Italia -allargheranno questo strumento in termini di potenza e bacino a cui aggregare utenti, dando nuovo impulso allo strumento ma anche alla produzione di energia da fonti rinnovabili, che quella che serve disperatamente al nostro Paese. Nei prossimi 2- 3 anni, secondo uno studio del Politecnico di Miliano, ci saranno 20mila comunità energetiche in Italia, ora siamo a poche centinaia. Il fotovoltaico è lo strumento più facile e anche più efficace per il proliferare delle comunità energetiche. Poi il solare termico”.  “Dobbiamo scongiurare che l’energia diventi un sistema di potere concentrato nelle mani di pochi. Per l’Italia – ha raccontato il professor Leonardo Becchetti, dell’Università di Roma Tor Vergata – la scelta delle fonti rinnovabili diventa fondamentale. Altri Paesi, come Portogallo e Germania  stanno facendo meglio di noi. (…) L’energia autoprodotta può diventare fonte di reddito per famiglie e imprese. Dal caro-bollette ci si può uscire in maniera strutturale”. “Nel porto di Taranto – ha raccontato il presidente della locale Autorità di Sistema Portuale, Sergio Prete- abbiamo già individuato le aree che potrebbero essere interessate cui potrebbe essere aggiunta anche la superficie del Distripark. Uno dei progetti su cui il Ministero ha mostrato particolare interesse è quello del green port e per questo noi ci stiamo attrezzando così da rendere la nostra infrastruttura competitiva e attrattiva”. “La Puglia – ha voluto ribadire Davide Di Giuseppe, responsabile Autoconsumo e Comunità Energetiche GSE – finora non è stata a guardare ma è leader nella produzione da fonti rinnovabili, come il fotovoltaico o l’energia solare oltre ad aver previsto proprio per le Comunità energetiche risorse finanziarie specifiche ed aver attivato il reddito energetico. Il percorso è quello giusto ma la burocrazia frena non poco. Le Comunità energetiche sono un soggetto giuridico, regolato da statuti costitutivi che vanno depositati a costi ridotti presso l’Agenzia delle Entrate. Per i condomini è possibile produrre una semplice delibera per definire un fabbisogno energetico condiviso che può giungere fino a 220 KW. Per ripartire i benefici dell’investimento è possibile attivare rapporti con soggetti esterni, anche per la condivisione della stessa energia. (…) Circa 10 euro a MGW, cui si aggiunge il valore dell’energia eventualmente messa in rete – sono il contributo riconosciuto per 20 anni. Il GSE si interfaccia con il referente del condominio o con il proprietario di un edificio, anche rendendosi disponibile per simulazioni di carattere tecnico ed economico. L’UE prevederà agevolazioni per la costituzione di Comunità Energetiche nei comuni con oltre 10 mila abitanti”. Il 5 maggio scorso in Puglia è stata costituita la prima comunità energetica. Si trova a Brindisi e coinvolge circa 350 famiglie che dovrebbero andare a risparmiare, producendo energia attraverso l’installazione di pannelli solari, circa il 30-40 % di costi di energia. Anche Taranto si sta muovendo in tal senso. Negli scorsi giorni, durante Rethink, la manifestazione nazionale promossa dalle associazioni Tondo I circular economy ed Eurota, dedicata alle varie declinazioni dell’economia circolare, il sindaco Rinaldo Melucci ha firmato una lettera di intenti per la creazione della prima comunità energetica del nostro territorio. L’obiettivo è utilizzare spazi pubblici per l’installazione di pannelli fotovoltaici da cui ricavare energia prodotta dal basso.

 

 

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Società

Caricabatteria universale: ok dal Parlamento Ue

foto Sir/European Parliament
06 Ott 2022

(Strasburgo) Il Parlamento europeo ha approvato oggi in via definitiva la legislazione comunitaria che permetterà ai consumatori di utilizzare un unico caricatore per i loro dispositivi elettronici. Il tema è in discussione da anni nelle istituzioni di Strasburgo e Bruxelles. Entro la fine del 2024, tutti i telefoni cellulari, i tablet e le fotocamere nell’Unione europea dovranno essere dotati – stando alla nuova normativa – di una porta di ricarica Usb-C. Dalla primavera 2026, l’obbligo si estenderà ai computer portatili. “La nuova legge fa parte di un più ampio sforzo dell’Unione volto a ridurre i rifiuti elettronici e a consentire ai consumatori di compiere scelte più sostenibili”, si legge in una nota che accompagna il voto dell’emiciclo di Strasburgo. Il testo legislativo è stato approvato con 602 voti favorevoli, 13 contrari e 8 astensioni.

foto Sir/European Parliament

Secondo le nuove regole, i consumatori “non avranno più bisogno di un caricabatteria ogni volta che acquistano un nuovo dispositivo, poiché uno stesso caricabatteria potrà essere utilizzato su tutta una serie di dispositivi elettronici portatili di piccole e medie dimensioni”. Indipendentemente dal produttore, “tutti i nuovi telefoni cellulari, tablet, fotocamere digitali, auricolari e cuffie, console per videogiochi portatili e altoparlanti portatili, e-reader, tastiere, mouse, sistemi di navigazione portatili, cuffiette e laptop ricaricabili via cavo, che operano con una potenza fino a 100 Watt, dovranno essere dotati di una porta Usb-C. Inoltre tutti i dispositivi che supportano la ricarica rapida avranno la stessa velocità di ricarica, “il che consentirà agli utenti di ricaricare i propri dispositivi alla stessa velocità con qualsiasi caricabatterie compatibile”.
Grazie ad apposite etichette, i consumatori saranno informati sulle caratteristiche di ricarica dei nuovi dispositivi “e potranno facilmente capire se i loro caricabatterie sono compatibili. I consumatori potranno così compiere scelte consapevoli e acquistare o meno un nuovo dispositivo di ricarica con un nuovo prodotto”.
Questi nuovi obblighi porteranno, secondo il Parlamento Ue, a un maggiore riutilizzo dei caricabatterie e “aiuteranno i consumatori a risparmiare fino a 250 milioni di euro l’anno sull’acquisto di caricabatterie inutili”.
Il relatore del Parlamento, il maltese Alex Agius Saliba, ha dichiarato: “il caricabatteria comune sarà finalmente realtà in Europa. Abbiamo aspettato più di dieci anni per queste regole, finalmente possiamo lasciare al passato l’attuale pletora di caricabatterie. Questa legge a prova di futuro consente lo sviluppo di soluzioni di ricarica innovative e andrà a vantaggio di tutti, dai consumatori al nostro vulnerabile ambiente”.
Ora il Consiglio dovrà approvare formalmente la direttiva, che entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. I Paesi Ue disporranno di 12 mesi di tempo per recepire le norme e di 12 mesi dalla scadenza del periodo di recepimento per la loro applicazione. Ovviamente le nuove norme riguarderanno esclusivamente i prodotti immessi sul mercato dopo la data di applicazione.

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Emergenze sociali

Casini (Mpv) sul neonato abbandonato: “Ancora poche informazioni sul parto in anonimato”

ph Siciliani Gennari-Sir
06 Ott 2022

È stato trovato e salvato da qualche ora il neonato abbandonato in una busta di plastica, in una stradina sterrata nella campagna di Paceco, nel trapanese. Trasportato subito in ospedale, è ora fuori pericolo di vita, ed è stato chiamato Francesco Alberto, in onore del santo del giorno e del patrono di Trapani, oltre che del carabiniere che per primo lo ha preso in braccio. A trovare il piccolo, è stato un contadino che andava a lavorare la sua terra, nelle vicinanze.
“Della vicenda, colpisce quello che si percepisce chiaramente essere un disagio sociale, probabilmente non solo economico, della mamma del piccolo Francesco. Il nostro volontariato ci insegna che dietro queste vicende ci sono spesso povertà umane, affettive, spirituali che conducono alla svalutazione della vita umana in un impasto di solitudine e disperazione. D’altra parte, altrettanto grave, è la carenza di informazioni sulla possibilità di partorire in anonimato e sull’esistenza delle culle per la vita”, ha commentato la presidente del Movimento per la vita italiano, Marina Casini. La Casini ha poi continuato: “Se, nel dramma del rifiuto, il neonato di Trapani è stato molto fortunato grazie a chi si è fermato ad ascoltare il flebile lamento, dobbiamo riflettere sul non raro rifiuto dei bambini buttati via appena nati, meno fortunati di Francesco Alberto perché nessuno li ha visti o sentiti, ma soprattutto dobbiamo riflettere su quella moltitudine di bimbi cui viene impedito di nascere in nome della ‘libertà’ degli adulti, in nome dei ‘diritti’ e della ‘civiltà’. Conosciuto deve essere anche il volontariato per la vita: I nostri Cav si trovano in ogni regione, isole comprese; della rete del MpV Italiano fanno parte anche le case di accoglienza e i servizi SOS Gemma e SOS Vita”.
L’attenzione della presidente del Mpv si è poi spostata all’analisi del contesto della vicenda: “Una strada poco trafficata, una via privata, un ritrovamento del tutto casuale, un miracolo per molti. Possiamo davvero, in coscienza, lasciare alla casualità la salvezza di una vita o, almeno con vicende di questo tipo, ci sentiremo finalmente chiamati a vivere questa società con la giusta responsabilità verso i più deboli e indifesi?”.

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Politica italiana

La nuova legislatura ai blocchi di partenza. Tutte le tappe per arrivare alla formazione del Governo

foto Ansa/Sir
06 Ott 2022

di Stefano De Martis

La XIX legislatura repubblicana sarà la prima a recepire gli effetti della legge costituzionale 1/2020: i deputati saranno 400 (e non 630) e i senatori elettivi 200 (rispetto ai 315 precedenti), a cui sono da aggiungere i senatori a vita che attualmente sono 6: 5 di nomina presidenziale e 1 di diritto (in quanto ex capo dello Stato). Palazzo Madama ha già provveduto prima della pausa estiva ad aggiornare il proprio regolamento in relazione al numero ridotto di senatori (per esempio portando da 14 a 10 le commissioni permanenti), Montecitorio ancora no. La Camera dovrà quindi revisionare il regolamento a nuova legislatura iniziata e dovrà farlo molto rapidamente per evitare problemi nella gestione dei lavori.
I due rami del Parlamento dovranno eleggere subito i rispettivi presidenti e così pure i gruppi parlamentari che si saranno costituiti a strettissimo giro in base alle dichiarazioni di deputati e senatori neo-eletti.
Questi adempimenti consentiranno di avviare le procedure per la formazione del nuovo governo. La Costituzione è estremamente concisa in proposito: nell’articolo 92 si legge che “il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Secondo una prassi ormai consolidata, il capo dello Stato consulta una serie di soggetti (certamente i suoi predecessori, i presidenti dei due rami del Parlamento, i presidenti e le delegazioni dei gruppi parlamentari) per individuare la personalità capace di assicurare in Parlamento una maggioranza di governo (“Il governo deve avere la fiducia delle due Camere”, art.94 della Carta). Dato il responso univoco delle urne e soprattutto la sua proiezione nelle aule parlamentari, i diversi passaggi (dall’incarico alla lista dei ministri) dovrebbero essere relativamente spediti, tanto più che la situazione interna e internazionale richiede un governo nella pienezza delle sue funzioni. Ma bisogna comunque partire con il piede giusto.
Il nuovo esecutivo entrerà in carica con il giuramento ed entro dieci giorni dovrà presentarsi alle Camere per avere da entrambe il voto di fiducia.Oltre ai provvedimenti d’urgenza (tra l’altro c’è da convertire in legge il decreto aiuti-ter ereditato dalla XVIII legislatura) Governo e Parlamento si troveranno immediatamente davanti il capitolo gravoso della manovra economica. Il documento programmatico di bilancio (uno schema di sintesi da presentare alla Commissione Ue) e il disegno di legge di bilancio vero e proprio (da presentare alle Camere) hanno scadenze ravvicinatissime: rispettivamente il 15 e il 20 ottobre. Non sono termini tassativi e in ogni caso si terrà realisticamente conto, come avviene per tutti i Paesi, dell’inevitabile fase di transizione conseguente alla tornata elettorale. Entro il 31 dicembre, però, la legge di bilancio dovrà essere approvata e questa è una data assolutamente da rispettare.

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Europa

Von der Leyen scrive ai leader dei 27: “Sulla crisi energetica abbiamo bisogno di una risposta europea comune”

06 Ott 2022

“Siamo di nuovo in un momento critico. La crisi energetica è grave ed è entrata in una nuova fase. Solo una risposta europea comune può ridurre i costi energetici per le famiglie e le imprese e fornire sicurezza energetica per questo e per gli inverni futuri”. Comincia così la lettera spedita da Ursula von der Leyen ai capi di Stato e di governo Ue, che si ritrovano domani e dopo a Praga. “La guerra d’aggressione non provocata della Russia contro l’Ucraina e la sua arma dell’approvvigionamento energetico hanno messo in luce la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi, testato i nostri strumenti per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e portato i prezzi dell’energia a livelli senza precedenti. Le condizioni di fornitura ristrette e l’elevata incertezza nei mercati energetici globali hanno aumentato i tentativi della Russia di ricattare interrompendo arbitrariamente le forniture di gas degli oleodotti”. Invece di onorare i suoi contratti a lungo termine, la Russia “sta tagliando unilateralmente le consegne di gas, aumentando i prezzi sul mercato”.
“Abbiamo reagito con unità, determinazione e solidarietà. La nostra capacità di stoccaggio del gas – scrive la presidente della Commissione – è già vicina al 90%. Abbiamo compensato la riduzione delle forniture di gas dei gasdotti russi con importazioni più diversificate da partner fidati e affidabili. E grazie al forte impegno dei nostri Stati membri, abbiamo raggiunto rapidi accordi sugli interventi di risparmio gas e di emergenza elettrica”.
“Sebbene i prezzi del gas siano scesi nelle ultime settimane, rimangono molto alti e stanno gravando pesantemente sulle persone e sulla nostra economia. Dobbiamo proteggere il nostro mercato unico, che ha ripetutamente fornito resilienza di fronte alla crisi. Inoltre, dobbiamo preservare la nostra ambizione climatica concordata, che rafforzerà anche la nostra sovranità. Per evitare una grave frammentazione, abbiamo bisogno di una risposta europea unita e comune. Dobbiamo preservare condizioni di parità, senza distorsioni del mercato unico e agire insieme in uno spirito di rafforzata solidarietà tra gli Stati membri e con i nostri vicini”.

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