Editoriale

20 dicembre: “pensieri sparsi sul Natale”

20 Dic 2022

di Emanuele Ferro
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20 dicembre

Pensieri sparsi
Per le raccolte natalizie abbiamo sempre chiesto di confezionare dei regali per i bambini in difficoltà che contenessero un giocattolo, dei dolciumi, qualche prodotto per l’igiene o della cancelleria. Ne sono arrivati a bizzeffe. Ma non ci siamo fidati della sorpresa. Li abbiamo aperti, e abbiamo fatto bene. Non c’è cosa più diseducativa di dire al proprio figlio di pensare ai bambini poveri donando un proprio giocattolo vecchio e forse anche rotto invece che sceglierne uno meno costoso per sé e condividerne uno nuovo con quelli che con superficialità chiamiamo “bambini meno fortunati”. Ma la sorpresa – come dire? – è stata proprio la “fortuna”. In diversi pacchetti oltre alle solite cianfrusaglie abbiamo trovato dei gratta e vinci. A distanza di mesi non so ancora come interpretare questo gesto. Non riesco a trovare la chiave di questa concezione della carità. A Natale siamo colpiti travolti da un’ideale così romantico di carità e povertà che ci dimentichiamo che i poveri sono poveri anche per colpa loro (li abbandoniamo?) e che la povertà è un fenomeno complesso di accompagnamento e di condivisione. I poveri li vorremmo in ginocchio con la mano tesa verso di noi, come in certe statue di sant’Antonio con il mendicante supplice e grato a fianco. Come ci sentiamo felici quando siamo generosi! Come ci sentiamo superiori e disgustati quando sappiamo che i poveri che affollano le Caritas si sono rivenduti il pacco alimentare per andare a giocare alle slot dietro l’angolo o hanno preferito comprare le sigarette! Quanta indignazione sapendo che alcuni usano la tessera del reddito di cittadinanza strisciandola per uno spritz! I poveri devono rimanere tali, come si permettono di sognare un lusso o un vizio?
Il bandolo della matassa
I poveri sono tanti, ma non sono tutti, i miserabili sono molti di più. Le miserie che in taluni sono così preponderanti da far andare alla deriva una vita, albergano nel cuore di tutti: professionisti, uomini e donne di successo, ricchi e vincenti. Le violenze domestiche non tengono conto della cultura e del reddito, la ludopatia riguarda anche le sante vecchiette che vengono a dire il Rosario, l’ex galeotto ha molto in comune con il notaio che per sentirsi vivo non si accorge nemmeno di erodere capitali con il suo pokerino serale.  Uomini ben vestiti, incravattati e ben profumati, si intrufolerebbero al pari di altri in tuta e giubbotto nei vicoli bui dei centri storici per acquistare cocaina, hanno solo chi lo fa per loro. La convocazione a Natale è sempre in una stalla dove la presenza degli animali non fa arrogare a nessuno il diritto di dire all’altro: «Tu puzzi più di me». Beato il letame di Betlemme che senza farci vergognare ci rendi la verità di essere tutti miserabili e puzzolenti.  Victor Hugo proprio ne I miserabilis crive «La suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è, o meglio, essere amati a dispetto di quello che si è».


Intanto la Chiesa oggi canta:

O Chiave di Davide,
scettro della casa d’Israele,
che apri e nessuno può chiudere, chiudi e nessuno può aprire:
vieni, libera l’uomo prigioniero
che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte.

Signore tu sei la chiave che può aprire ogni cuore e decifrare davvero quello che siamo,
il tuo amore ci dona la possibilità di aprire e interpretare,
la tua vita disvela a noi la verità di chi veramente siamo e della prigione nella quale crediamo di essere superiori e liberi.
Chiave di Davide liberami dall’ipocrisia e apri la porta del mio cuore sinceramente agli altri!

 

 

 

 

 

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Vita sociale

Acli: “Famiglie del ceto medio sempre più povere”

È quanto emerge dalla prima indagine elaborata dall’Osservatorio nazionale Acli. A pagare di più le donne under 40 con un figlio

foto Acli
19 Dic 2022

Donne con meno di 40 anni e con un figlio. Sono loro ad aver pagato di più la crisi economica legata al Covid: in tre anni hanno perso il 35% del loro reddito. È quanto emerge dalla prima indagine elaborata dall’Osservatorio nazionale Acli dei redditi e delle famiglie, nato a giugno 2022 dalla collaborazione tra l’Area Famiglia delle Acli nazionali, il Caf Acli e l’Iref.
Lo studio ha analizzato lo stato di salute delle famiglie italiane prima e dopo il covid per capire come la pandemia abbia influenzato la disponibilità di reddito e le scelte di spesa. L’analisi si basa su un panel di 974.000 dichiarazioni dei redditi, in forma anonima, effettuate nel Caf Acli negli anni 2019, 2020 e 2021. Il panel preso in considerazione è stato suddiviso in quintili di reddito equivalente e comparato in questi tre anni. Nel periodo 2019-2021, un terzo dei contribuenti (326mila persone) ha avuto un aumento del reddito, i restanti due terzi (611mila contribuenti) ha, invece, visto il proprio reddito diminuire. Tra coloro che hanno subito una diminuzione, la metà ha avuto una perdita poco significativa (sino a 410 euro nel biennio), un altro 2,5% ha perso sino a 1.200 euro. Il 3,6% del panel ha perso oltre il 35% del reddito: la perdita ha un valore mediano di 6.200 euro, con il primo 25% di cittadini che ha visto svanire in tre anni sino a 3.700 euro e l’ultimo 25% che ha avuto una contrazione superiore a 10.000 euro. Sono per lo più lavoratori a basso reddito che a causa della crisi sanitaria ed economica sono stati licenziati o hanno subito un deciso ridimensionamento del proprio impegno nel mercato del lavoro. Il profilo anagrafico rivela che il 30,9% ha meno di 40 anni e che il 66,6% sono donne con almeno un figlio.

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Drammi umanitari

La ‘Life Support’ di Emergency ha soccorso 70 naufraghi, tra cui 5 donne (una incinta) e 2 bimbi

foto Ansa/Sir
19 Dic 2022

La nave Life Support di Emergency ha concluso domenica 18 mattina – verso le cinque – il suo primo salvataggio in mare di 70 naufraghi soccorsi in zona Sar libica. Tra i superstiti ci sono 5 donne di cui una incinta al settimo mese, 2 bambini al di sotto dei 2 anni e 24 minori non accompagnati a partire dai 13 anni. Provengono da Somalia, Egitto, Costa D’avorio, Camerun, Burkina Faso, Mali. “Sono per lo più disidratati, ci sono alcuni casi di scabbia e un caso di convulsioni”, ha affermato Paola Tagliabue, responsabile medico presente a bordo della Life Support.
Nella notte di domenica 18 dicembre la Life Support aveva ricevuto da Alarm Phone la segnalazione di un’imbarcazione in difficoltà in zona Sar libica. Dopo aver individuato l’imbarcazione, la Life Support ha informato tutte le autorità e ha subito attivato il rescue team.
“I 70 naufraghi sono stati tutti accolti a bordo ed è stato curato chi ne aveva necessità – dichiara Carlo Maisano, responsabile del Progetto Sar di Emergency -. Tutte le operazioni sono state svolte con la massima prontezza da parte del rescue team. Si è trattato di un salvataggio complesso a causa del tipo di imbarcazione – una barca di legno di circa 7 metri – e del numero di persone a bordo. Come ci era stato anticipato da Alarm Phone, la barca era sovraffollata”.
Un’unità della Guardia costiera libica era presente durante le operazioni di soccorso e ha recuperato e distrutto successivamente l’imbarcazione ormai vuota.
Alle ore 8,48 la Life Support ha chiesto un porto sicuro dove far sbarcare i superstiti. Dalla Italian Maritime Rescue Coordination Centre è stato assegnato Livorno alle ore 10,59.

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Sport

Argentina campione del mondo, mons. Fernández: “Quando siamo uniti da un sogno possiamo superare ogni differenza”

Per la “selección” è il terzo successo in un Mondiale, e la Coppa torna, così, in America Latina dopo vent’anni

foto Ansa/Sir
19 Dic 2022

di Bruno Desidera

Il mondo è “albiceleste”. Trentasei anni dopo l’Argentina di Maradona, è l’Argentina di Messi a vincere i Mondiali di calcio, ai calci di rigore contro la Francia, al termine di una partita bellissima e vibrante, finita per 3 a 3 (per due volte i biancocelesti si sono fatti rimontare, prima dal 2 a 0, e poi dal 3 a 2), prima, appunto dei tiri dal dischetto. Per la “selección” è il terzo successo in un Mondiale, e la Coppa torna, così, in America Latina dopo vent’anni. L’intera Argentina si è fermata, ieri, per oltre due ore, ed è poi scesa in strada a festeggiare, dimenticando, così, almeno per un giorno, la difficilissima situazione economica e sociale del Paese, dove il 43% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Le immagini provenienti da Buenos Aires documentano una folla oceanica, per una gioia tanto a lungo attesa. Secondo il presidente della Repubblica, Alberto Fernández, i nuovi campioni del mondo sono l’esempio “che non dobbiamo abbassare le braccia”.

Mons. Fernández: “Valori anche sociali”. “In questa occasione si è visto che i giocatori hanno messo da parte i loro interessi e progetti personali e hanno dato il massimo per la squadra e per darci gioia. Inoltre, è stato facile vedere una forte unità, una corrente di vera simpatia tra i giocatori argentini”. A dirlo, al Sir, è mons. Víctor Manuel Fernández, arcivescovo di La Plata e teologo, già rettore dell’Università Cattolica dell’Argentina. “Sono valori – prosegue – che hanno a che fare con il trionfo e che lasciano messaggi per altri ambiti della vita sociale”. L’arcivescovo ci offre anche un personale ricordo dell’eroe di questo Mondiale, Lionel Messi: “L’ho conosciuto in occasione di un’amichevole a Roma e nella successiva visita della squadra al Papa. Non credo che si ricordi di me, ma sono rimasto affascinato dalla sua semplicità e umiltà. L’ho anche sentito dire qualche parola sulla sua fede in Dio, a cui attribuisce il suo dono speciale”.

La gioia del “cappellano” del calcio argentino. A festeggiare, nella capitale argentina e con il cuore nel Qatar, anche padre Juan José Medina, cappellano dell’Associazione argentina del calcio (Afa), da ben 25 anni. Una sorta di “memoria storica”, come spiega al Sir, ancora emozionato per quanto vissuto qualche minuto prima: “È davvero una grande gioia, un’emozione enorme”, tanto più che parliamo di giocatori, in alcuni casi, ben conosciuti dal sacerdote, a partire da Lionel Messi: “Lo conobbi per la prima volta ai Mondiali under 20, in Olanda, nel 2004. Allora era un ragazzo molto serio ed educato, certo nessuno all’epoca pensava che avrebbe avuto una carriera del genere, coronata dalla partita di oggi”.

Ancora meglio padre Medina conosce Ángel Di Maria, l’altro “senatore” della squadra: “Con lui ho un rapporto molto personale, è molto religioso, con lui ho parlato anche di alcune questioni familiari, sulle quali mi aveva chiesto consiglio”.

Meno confidenza esiste rispetto ai giovani della squadra, con l’eccezione del centrocampista Alexis Mac Allister, una delle sorprese di questo Mondiale: “Era partito in panchina e si è guadagnato un posto da titolare. Conosco anche i suoi genitori, che si sono preoccupati della sua formazione religiosa”. Ma la grande stima di padre Medina va, soprattutto, al commissario tecnico Lionel Scaloni, con il quale ha un bellissimo rapporto personale: “Una persona incredibile, un uomo molto serio, frequenta la parrocchia del Seminario, a Buenos Aires. Sente molto la responsabilità che ha, e la esercita non solo attraverso le sue competenze calcistiche, ma anche culturali”. Ora, è il momento di festeggiare: “Le piazze sono piene di gente, tutti festeggiano insieme, senza differenze. Oggi, la gente è contenta, ma non possiamo dimenticare i grandi problemi di povertà e insicurezza che esistono in Argentina”.

Le conseguenze sulla società e sulla politica. Ma cosa significa, o cosa può significare questa vittoria per la società argentina? “Merita attenzione – è ancora mons. Fernández a rispondere – l’enorme passione dei tifosi argentini, vissuta con tanto fervore da tutto il Paese. Per un po’ di tempo, le differenze politiche e ideologiche sono passate in secondo piano e c’è stato un sogno comune. Sicuramente non durerà, perché la divisione sociale è molto forte, come in molti Paesi oggi. Ma questa tregua dimostra almeno che è possibile quando siamo uniti da un sogno”. Le conseguenze sociali di questa vittoria, sono analizzate, per il Sir, anche da Agustín Salvia, sociologo dell’Università Cattolica dell’Argentina, oltre che coordinatore dell’Osservatorio del Debito sociale dello stesso ateneo. E a chi ipotizza che questa vittoria ponga le basi per un’insperata unità, superando le divisioni politiche e sociali, risponde senza mezzi termini: “Al contrario, la vittoria dell’Argentina al Mondiale, oltre che essere certamente un fatto molto importante, mette in luce un’evidente e profonda contraddizione tra il contesto sportivo e quello politico. Ci troviamo di fronte a una squadra che ha saputo lavorare insieme, con un direttore tecnico molto chiaro, onesto, trasparente, capace di valorizzare le risorse umane e di costruire una squadra nella quale non si sono contrapposizioni, che dialoga, che lotta per una stessa causa, che è quella di vincere ma anche, in ultima analisi, di dare felicità. Tutto questo, appunto, ha un valore enorme, ma marca una contraddizione altrettanto grande con il mondo della politica, guardando non solo agli scontri tra le maggiori forze politiche, ma anche a quello che succede all’interno dei partiti stessi.

Abbiamo davanti ai nostri occhi una classe politica frammentata, competitiva, che lotta contro l’altro, e non lavora invece insieme per costruire un progetto comune. Che vuole cancellare l’avversario, negando la sua esistenza e il valore delle sue potenziali capacità”.

Secondo Salvia, “proprio per questo motivo nessuna parte politica può appropriarsi di questo successo. E se qualcuno lo farà, pagherà un prezzo, potrebbe essere un boomerang, proprio perché il contrasto con la Nazionale di calcio mette in evidenza l’incapacità della politica di essere all’altezza della situazione attuale e delle sfide di oggi”. Per quanto riguarda i festeggiamenti di queste ore, “non è giusto dire che siano un narcotico rispetto alla situazione di povertà del Paese, è giusto festeggiare, ma il modo migliore per farlo è guardare all’esempio di unità della squadra di Scaloni, all’esempio di calciatori che hanno dato tutto se stessi per la felicità di tutto il popolo. Insomma, ci troviamo di fronte a un’altra sfida per la politica, chiamata a lavorare per l’unità, per il bene comune e per la patria”. È quello che pensa anche l’arcivescovo Fernández: “Non credo che si tratti di un narcotico. Il popolo argentino è intelligente, non stupido. In ogni caso, da questo trionfo trarrà la forza per combattere e andare avanti”.

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Sport

Nuovi Orizzonti, l’urlo di capitan Ciminelli: “Sappiamo vincere anche soffrendo”

foto G. Leva
19 Dic 2022

di Paolo Arrivo

Il fiato corto per lo sforzo intenso, prolungato, per il rush finale. Le parole forti e chiare: Alessandra Ciminelli è l’emblema della combattività e della generosità. Di uno sport che pratichi perché ce l’hai nel sangue o nel dna. Al termine della partita contro la Gymnasium San Pancrazio, al PalaMazzola, sabato, commenta così la vittoria della Nuova Orizzonti basket Taranto: “Abbiamo dato una prova di carattere, dimostrando che sappiamo vincere anche soffrendo”. La veterana del gruppo (classe 1980), che tante battaglie ha condotto e importanti palcoscenici calcato, a partire dalle giovanili del grande Cras Taranto, confida di aver sudato le sette camicie proverbiali. Per soli tre punti, Taranto è riuscita a contenere la reazione delle avversarie imponendosi con il risultato finale di 50-47 (12-12, 30-26, 42-36). “Alla fine è andata bene – dichiara il capitano a Nuovo Dialogo – l’importante era vincere, riuscire a spuntarla: un conto sono le partite che vedono affrontarsi squadre tra le quali c’è un ampio divario, altro è affrontare formazioni più forti, attrezzate: se non sai gestire gli ultimi minuti non le puoi battere”. Se San Pancrazio figurava tra quest’ultime squadre, “siamo riuscite a gestire meglio rispetto alle partite contro Lecce e Bari”.

La mentalità da grande squadra

Impeccabile stavolta l’approccio alla gara: “Volevamo dare una prova di carattere e vincere di fronte al nostro pubblico, ai nostri cari, amici, familiari. Siamo contentissime quando vediamo il palazzetto pieno”. Una spinta in più utile alla prestazione della squadra. Che ha costruito il successo nella fase centrale della gara, nel secondo tempo, quando è scesa in campo più determinata sino a raggiungere il vantaggio massimo (+11) ridotto pericolosamente a quattro lunghezze da San Pancrazio. Si materializzavano quindi i fantasmi della partita persa contro Lecce nell’ultimo quarto. L’esito, fortunatamente, è stato diverso. Merito della formazione allenata da coach William Orlando: dalla stessa Ciminelli, protagonista di canestri e incursioni, ad Alessandra Viesti, a Debora Palmisano – quest’ultima ha firmato il canestro più importante, in contropiede, a due minuti dal termine, dopo aver sradicato il pallone all’avversario. Per le ospiti non sono bastati i 23 punti messi a segno da Maggiore, top scorer della serata.

Il campionato

Grazie a questo successo prezioso la Nuovi Orizzonti torna in vetta alla classifica della serie C femminile Puglia. La condivide insieme alla Scuola Basket di Lecce, al Pink Bari, alla New JT Trani, e alla stessa Gymnasium San Pancrazio allenata da Domenico Galgano. Le ragazze adesso possono godersi un po’ di riposo meritato. “Riprendiamo il sette gennaio (contro Trani, sempre in casa, per l’ultima giornata del girone d’andata, ndr). Il bilancio di fine anno è positivo, senz’altro: passeremo delle belle feste di Natale. Anche voi, spero: auguro a tutti buone festività!” Grazie ad Alessandra Ciminelli e all’intero gruppo della Nuovi Orizzonti Taranto.

La fotogallery del match con San Pancrazio a firma di Giuseppe Leva

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Editoriale

Gli affaristi nell’europarlamento

foto Sir/Parlamento europeo
19 Dic 2022

di Emanuele Carrieri

C’è chi ha soprannominato il caso “il Qatargate”, ricordando il noto scandalo politico del Watergate che coinvolse l’ex presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. Per cogliere la matrice del nuovo caso di corruzione basta tornare a Tocqueville, il più grande studioso della democrazia contemporanea: “La democrazia non ha un nemico più insidioso del denaro. È un nemico formidabile perché agisce per vie nascoste e così raggira uomini inconsapevoli”. I raggirati ora sono i cittadini, certi che la forza morale delle istituzioni europee potesse rappresentare un baluardo contro l’influenza contaminatrice delle ventiquattrore di denaro, delle consulenze fasulle, delle donazioni finte, fra l’altro provenienti da regimi di marcato stampo autoritario. Il Parlamento europeo pare essersi trasformato in terreno di caccia per lobbisti, affaristi e traffichini, una piazza di ex-europarlamentari che, smessi i panni di rappresentanti del popolo, subito si rivestono con quelli di agenti dei potentati economici o di potenze straniere. Una immagine desolante, dalla quale se ne ricavano alcune lezioni sulla evoluzione delle pratiche della corruzione. In primo luogo, non vi è alcuna avvisaglia di una tangentopoli europea. Quella inchiesta di casa nostra, iniziata nel 1992, svelò l’esistenza di un meccanismo di regolamentazione della corruzione imperniato sui partiti, capace di disciplinare flussi di scambio fra allocazione di risorse pubbliche e mazzette. Per quanto emerso fino a questo momento, non affiora nel Qatargate una cabina di regia della trama di operazioni illecite, né legami con il finanziamento di organizzazioni partitiche. Però vi sarebbero alcuni snodi, all’interno di una rete estesa e ramificata di contatti informali: si ipotizzano 50 o 60 deputati europei avviluppati nelle relazioni con gli arrestati. Le figure di riferimento non hanno i ruoli di organizzatori, regolatori e garanti, ma di veri procacciatori di affari che sfruttano il proprio capitale di relazioni e di conoscenze e sono pronti a mettersi a disposizione del migliore offerente. Poco o niente importa che si tratti del Qatar desideroso di abbassare i toni della critica alla negazione dei diritti ai lavoratori immigrati oppure di qualsiasi altro facoltoso acquirente dei loro servizi. Così si capisce la prevalenza di implicati dello stesso gruppo parlamentare e della stessa nazionalità, talvolta legati da vincoli affettivi. Senza un centro di potere nella rete della corruzione, capace di mettere ordine nelle transazioni e passaggi di risorse, i partecipanti tendono a inseguire garanzie nella reciproca familiarità. Una fiducia che può discendere da una frequentazione o dal condividere una trascorsa esperienza politica o professionale. Ciò non esclude che altre reti di soggetti di varie nazionalità e orientamenti partitici si siano formate e siano dei pin di accesso per gli stessi o altri interlocutori dotati di un potere di acquisto, in grado di impiegare tecniche a prova di inchiesta, senza farsi trovare con le banconote in casa o le valigie di contanti in auto. Pare che i politici abbiano subito una evoluzione: nel nuovo secolo, operando in un nuovo sistema politico privo dei riferimenti partitici di ieri, si sono legati a chi poteva foraggiarli e proteggersi contro la incertezza dei rovesci di carriera ponendosi a libro paga di portatori di altri interessi. Hanno seguito una parabola che li ha tramutati in affaristi che permangono nelle sedi rappresentative e agiscono nel sottobosco, una volta finito l’incarico. Così riescono ad accrescere la soglia del valore delle risorse in gioco fino a vette indistinguibili e se lavorano con astuzia i più abili politici riescono ad agire in un limbo legale. Si può definire corruzione legalizzata quella che passa con la approvazione di provvedimenti per garantire benefici a portatori di altri interessi o a potenze extraeuropee. Nel vuoto di ideali politici e capacità di indirizzo partitico, non c’è più un decreto, una direttiva, un provvedimento, una mozione o una presa di posizione pubblica che non possa essere convertita in merce di scambio. Non più solo un giro di bustarelle in cambio di appalti o di concessioni, ma una nebulizzazione delle contropartite nell’olimpo di una immaginata alta politica, dove perfino le scelte legislative o di governo derivano da una campagna – acquisti fatta nel retro della rappresentazione democratica. Soltanto ricollegandole alla flagranza delle mazzette, si potranno riconoscere come importo della corruzione i viaggi, le relazioni, le opinioni pronunciate in sedi politiche o istituzionali. È chiara la natura tossica di queste pratiche, che avvolgono qualsiasi opinione e qualsiasi decisione democratica in una coltre di sospetti sulle sue autentiche motivazioni, alimentando disincanto e sfiducia nei cittadini, che vedono oscillare anche questo baluardo.

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Angelus

La domenica del Papa – Giuseppe, uomo del sì

foto Vatican media/Sir
19 Dic 2022

di Fabio Zavattaro

È la domenica di Giuseppe “uomo giusto”, come scrive Matteo nel suo Vangelo. Domenica, quarta di Avvento, che precede il Natale e ci fa capire che l’attesa si è conclusa e il Messia, promesso e atteso, non è più solo annuncio ma diventa evento, e si inserisce nella storia del popolo di Israele, ma anche nella storia dell’umanità. “Gesù Cristo, il Dio divenuto essere umano – scrive nelle meditazioni sul Natale Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano – significa che Dio ha assunto in carne e ossa tutta l’essenza umana; che d’ora in poi l’essenza divina può essere trovata solo in forma umana; che in Gesù Cristo ognuno è stato liberato per essere realmente persona davanti a Dio. Divenendo umano, Dio si manifesta come colui che non vuole esistere per sé, bensì per noi”.
È un Dio che sceglie di nascere in un piccolo, sconosciuto villaggio della Palestina, Betlemme; che sceglie di nascere in una mangiatoria da una povera ragazza di Nazareth; che sceglie, infine, di vivere in mezzo al suo popolo. Sarà Maria a dare corpo e volto all’Emanuele, Dio con noi. Giuseppe, quando scopre la maternità della sua promessa sposa, deve sciogliere il vincolo nuziale: è la legge. Il mondo gli crolla addosso, dice papa Francesco all’angelus, svaniti i progetti di “una bella famiglia, con una sposa affettuosa e tanti bravi figli, e un lavoro dignitoso: sogni semplici e buoni, sogni della gente semplice e buona”. Di fronte alla notizia di questo bambino non suo, si chiede Francesco, “cosa avrà provato Giuseppe? Sconcerto, dolore, smarrimento, forse anche irritazione e delusione”.
Nel diritto giudaico il fidanzamento, benché non ci fosse ancora convivenza, è come un anticipo del matrimonio, e crea un legame giuridico, in attesa dell’accoglimento in casa. Ma Giuseppe uomo giusto non vuole accusarla pubblicamente, e pensa di ripudiarla in segreto: “sceglie la via della misericordia”. Così, nel “pieno della crisi”, mentre riflette sulla scelta da prendere, “Dio accende nel suo cuore una luce nuova: in sogno gli annuncia che la maternità di Maria non viene da un tradimento, ma è opera dello Spirito Santo, e il bambino che nascerà è il Salvatore”. Quando si sveglia capisce che “il sogno più grande di ogni pio Israelita”, l’essere padre del Messia, si realizza “in modo assolutamente inaspettato”, afferma il papa. L’irruzione di Dio nella storia dell’umanità ha sempre qualcosa di inatteso e stravolge i criteri e le attese dell’uomo. La “misteriosa” gravidanza di Maria sconvolge il mondo religioso e umano di Giuseppe. Ma egli compie un atto che va oltre la sua volontà, è l’obbedienza radicale alla volontà di Dio che gli permette di agire nel rispetto della legge e nel rispetto della sua futura sposa. Il suo “si” è paragonabile al “si” di Maria che si è lasciata guidare dalla mano del Signore. “Ecco che un semplice falegname si fida e affida a Dio “al di là di tutto” e accoglie Maria e suo figlio “in modo completamente diverso da come si aspettava”. Afferma il pontefice: “Giuseppe dovrà rinunciare alle sue certezze rassicuranti, ai suoi piani perfetti, alle sue legittime aspettative e aprirsi a un futuro tutto da scoprire”. Davanti a Dio che gli scombina i piani egli ha il coraggio “eroico” di rispondere sì: “il suo coraggio è fidarsi, si fida, accoglie, è disponibile e non domanda ulteriori garanzie”. Giuseppe, dice il vescovo di Roma, “indica la via: non bisogna cedere a sentimenti negativi, come la rabbia e la chiusura”. Bisogna invece “accogliere le sorprese della vita, anche le crisi, con un’attenzione: quando si è in crisi non bisogna scegliere di fretta secondo l’istinto”, ma “fondarsi sul criterio di fondo: la misericordia di Dio”. E il Signore “è esperto nel trasformare le crisi in sogni: sì, Dio apre le crisi a prospettive nuove, che noi prima non immaginavamo, magari non come noi ci aspettiamo”.
In questa vigilia di Natale, papa Francesco guarda con preoccupazione alle crisi in atto. In primo luogo alla situazione nel Corridoio di Lachin, il punto di maggior vicinanza tra l’Armenia e l’enclave armena del Nagorno Karabakh in territorio dell’Azerbaigian, e chiede alle parti coinvolte soluzioni pacifiche, così come in Perù, auspicando la via del dialogo per il bene della popolazione. E non può mancare la preghiera per l’Ucraina; si rivolge a Madonna affinché tocchi “i cuori di quanti possono fermare la guerra”.

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Cinema

Nelle sale, la commedia “Il Grande Giorno” con Aldo, Giovanni e Giacomo

foto Aliocha Merker
19 Dic 2022

Natale al cinema. Dopo “Avatar. La via dell’acqua” di James Cameron e “The Fabelmans” di Steven Spielberg, un altro titolo atteso nel periodo delle feste è la commedia italiana “Il Grande Giorno” di Massimo Venier con Aldo, Giovanni e Giacomo, in uscita dal 22 dicembre in 600 copie con Medusa Film e in collaborazione con Prime Video. Riflessione brillante con lampi di ironia pungente sul matrimonio da una prospettiva genitoriale, muovendosi sul binario di titoli noti a cominciare da “Il padre della sposa”. Le musiche sono del cantautore Brunori Sas. In anteprima, grazie a Sky, abbiamo visto i primi episodi della serie BBC-HBO “His Dark Materials. Queste oscure materie” con Ruth Wilson e James McAvoy, terza e ultima stagione dal ciclo di romanzi di Philip Pullman. Su Sky Atlantic e Now a partire dal 21.12. Il punto Cnvf-Sir.

“Il Grande Giorno” (al cinema, dal 22.12)

Il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo ha da poco festeggiato i 30 anni di carriera. Quest’anno insieme al regista-sceneggiatore Massimo Venier ricorrono i 25 anni di collaborazione sul grande schermo, dal loro primo film “Tre uomini e una gamba” (1997). Insieme ci hanno regalato molte risate, raccontando il Paese e al contempo parlandoci di loro stessi: tra i titoli in evidenza “Così è la vita” (1998), “Chiedimi se sono felice” (2000), “Tu la conosci Claudia?” (2004) e “Odio l’estate” (2020). Dal 22 dicembre tornano al cinema con un nuovo brillante progetto che ironizza sul nostro presente, sui legami familiari tra virtù e vizi. È “Il Grande Giorno”, scritto da Venier e dal trio insieme agli sceneggiatori Davide Lantieri e Michele Pellegrini, una commedia gustosa con punte di amarezza che fotografa desideri e manie di due famiglie impegnate nell’organizzazione del matrimonio dei propri figli. Prendendo le mosse da un evento preciso, le nozze della figlia di Giovanni, gli autori hanno colto l’opportunità di confrontarsi con il topos narrativo del matrimonio nella commedia cinematografica; tra i riferimenti che si colgono qua e là: “Il padre della sposa” (1950) di Vincente Minnelli e il remake (1992, 1995) di Charles Shyer, senza dimenticare “C’est la vie. Prendila come viene” (2017) dei francesi Olivier Nakache e Éric Toledano come pure “Love Is All You Need” (2012) della danese Susanne Bier.
La storia. Lago di Como, oggi. Un’intera isoletta con grande villa annessa è stata riservata per le nozze di Elio (Giovanni Anzaldo) e Caterina (Margherita Mannino), figli di due di soci in affari, titolari della fiorente ditta Segrate Arredi, nonché amici di vecchia data. Elio è il figlio della coppia formata da Giacomo e Lietta (Giacomo Poretti e Antonella Attili), mentre Caterina di Giovanni e Valentina (Giovanni Storti ed Elena Lietti). Al matrimonio sarà presente anche la madre della ragazza, Margherita (Lucia Mascino), la prima moglie di Giovanni e per anni “latitante” in Norvegia per lavoro; arriverà al matrimonio con la sua ultima, misteriosa, conquista: Aldo (Aldo Baglio). Dunque, due famiglie insieme ai loro ospiti saranno chiamati a trascorrere insieme tre giorni fronteggiando una sequela di imprevisti…
“Il Grande Giorno” è una commedia che possiede di certo ritmo, dall’andamento frizzante grazie a una successione di snodi narrativi ben calibrati e a un cast che, trainato da Aldo, Giovanni e Giacomo, gira alla perfezione: bravissime in particolare Lucia Mascino, Elena Lietti e Antonella Attili. Il film segue passo passo lo svolgimento dei preparativi e degli eventi che precedono le nozze, dal venerdì alla domenica. Un’istantanea tragicomica su manie di grandezza delle famiglie borghesi che non vogliono badare a spese per il matrimonio dei propri figli – dalla scelta di un super maître che si definisce “il Riccardo Muti del catering” (Pietro Ragusa) alla celebrazione affidata a un noto cardinale, Pineider (Roberto Citran) – ma finiscono inevitabilmente preda di sviamenti e intoppi costosissimi. È il caso di dire, quando la forma si mangia la sostanza, e il valore del matrimonio finisce spiaggiato nelle secche di un evento patinato e asettico. Anche la Chiesa è nel mirino della burla comica, declinata attraverso presbiteri di palazzo e di periferia: strappano sì risate (bravi gli attori Roberto Citran e Francesco Brandi), ma a ben vedere la cifra risulta abbastanza stereotipata e monocolore.
Nell’insieme la commedia “Il Grande Giorno” è una proposta interessante e godibile per i giorni di festa, un titolo italiano che “compete” agevolmente con la ricca offerta hollywoodiana. Un film di Natale ma non sul Natale, bensì un racconto di famiglie in cerca di rinnovata felicità e dialogo. Consigliabile, brillante, per dibattiti.

“His Dark Materials. Queste oscure materie” (su Sky-Now, dal 21.12)

Abbiamo atteso due anni per il gran finale della serie “His Dark Materials. Queste oscure materie”. Dopo l’esordio nel 2019 e il rilascio del secondo capitolo nel 2020, la serie BBC-HBO è pronta a tornare in esclusiva su Sky Atlantic e Now per l’ultima, avvincente, avventura della bambina prodigio Lyra Belacqua. La serie è l’adattamento della saga letteraria di matrice fantasy firmata dallo scrittore britannico Philip Pullman (i tre titoli, pubblicati tra il 1995 e il 2000, sono: “La bussola d’oro”, “La lama sottile” e “Il cannocchiale d’ambra”).
Occorre ricordare che l’universo narrativo di Pullman era stato messo in cantiere da Hollywood già nel 2007 con “La bussola d’oro” di Chris Weitz, coinvolgendo nel progetto attori di primo piano come Nicole Kidman, Daniel Craig e Eva Green; dopo gli incassi non del tutto entusiasmanti l’industria dei sogni “a stelle e strisce” ha di fatto bloccato i successivi capitoli. Fortunatamente dopo dieci anni la BBC e il colosso HBO sono tornati sul progetto dando finalmente vita, in maniera completa, al mondo creato da Pullman.
La storia. Dopo diverse peripezie e inseguimenti, l’adolescente Lyra Belacqua (Dafne Keen) e il quasi coetaneo Will Parry (Amir Wilson) si ritrovano. Insieme dispongono di due strumenti utili nella grande battaglia che si sta profilando: lei il prezioso Aletiometro, strumento che svela la verità su persone ed eventi, mentre lui è il portatore della Lama sottile, che permette di aprire passaggi spaziali tra i vari mondi paralleli. Tallonati tanto dallo spietato Magisterium quanto dalla scienziata senza scrupoli Marisa Coulter (Ruth Wilson) – madre di Lyra – così come dal leader della resistenza, il ricercatore Lord Asriel Belacqua (James McAvoy) – padre di Lyra –, i due si spostano di luogo in luogo in cerca di risposte. Un peregrinare fino al regno dei morti in cerca dell’amico scomparso Roger (Lewin Lloyd).
A firmare l’adattamento della trilogia è Jack Thorne, autore dello script teatrale “Harry Potter and the Cursed Child” con J.K. Rowling e del ciclo di film “Enola Holmes” (2020-22) targato Legendary-Netflix. Forte di un ingente investimento e di una confezione formale accurata, accattivante, “His Dark Materials” è un racconto avventuroso-fantasy per ragazzi di respiro educativo. I toni, però, sono quelli del chiaroscuro, perché il mondo, o meglio, i mondi abitati da Lyra e Will sono segnati più da ombre che da luci. In campo troviamo, infatti, temi complessi e un poco spinosi: tra i vari opponenti anzitutto c’è il Magisterium, rappresentazione di una struttura gerarchica-ecclesiale repressiva, fortemente manipolatoria. Ancora, le figure genitoriali di Lyra sono votate alla ricerca scientifica, al punto di apparire spregiudicate e del tutto anaffettive. Infine, il tema spigoloso della sperimentazione condotta da entrambi gli studiosi ai danni dei bambini e dei loro “daimon” (visualizzazione dell’anima in forma di un animale, un custode-protettore che cammina accanto a ogni persona): un modo per ricavare l’ambita “polvere”, l’energia magica.
Anche in questa terza stagione il fantastico è l’elemento caratterizzante del racconto, che spesso si scontra con un asciutto realismo: uno scenario dove adulti non esitano a calpestare l’innocenza dei più piccoli pur ottenere potere e gloria. Seppur ammantata da un alone abbastanza cupo, la serie “His Dark Materials” corre agile sul binario della speranza, di azioni valorose messe in campo per compiere la scelta giusta, il bene anzitutto, un bene giocato a favore del Noi e non dell’Io.

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Diocesi

L’omelia di mons. Santoro per l’inizio del ministero di coadiutore di mons. Miniero

foto G. Leva
19 Dic 2022

Eccellenze reverendissime,

amato arcivescovo coadiutore mons. Ciro Miniero,

caro presidente della Conferenza episcopale campana mons. Antonio Di Donna, eccellenza mons. Antonio de Luca, vescovo di Teggiano Policastro,

Eccellenza mons. Sabino Iannuzzi, vescovo di Castellaneta

Carissimi sacerdoti tra cui saluto il mio sin ora vicario generale mons. Alessandro Greco, l’arcidiacono del Capitolo metropolitano mons. Emanuele Tagliente e tutti i canonici, i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi

Eccellenza sig. prefetto Demetrio Martino; signor Sindaco e presidente della Provincia di Taranto Rinaldo Melucci, stimate autorità civili e militari

Carissimi fedeli tutti

siamo ormai alla quarta domenica di Avvento. Il compimento di questo tempo liturgico sarà il santo Natale che celebreremo domenica prossima.

In questa luce di trepidante attesa e fiducia incontriamo l’ultimo dei patriarchi, il falegname di Nazareth, patrono della Chiesa universale, San Giuseppe.

Così come nell’annuncio a Maria risuona anche qui l’invito a non temere. L’Avvento è un cammino gioioso, di liberazione da ogni paura che ci insegna gradualmente che Dio ci è vicino e che ci vuole bene. Non sarebbe il nostro Dio se non fosse l’Emanuele, il Dio con noi. Le nostre vite sono colme dell’azione dello Spirito Santo, che compie prodigi per i poveri, per gli ultimi. A questi dona dei segni perché il sole del mattino è ormai vicino.

È nel segno di San Giuseppe, custode del Redentore e della Chiesa, che oggi, in un clima natalizio e familiare, viene presentato alla Chiesa di Taranto l’arcivescovo coadiutore, Ciro Miniero.

Siamo pieni di gioia e nel salutarlo desidero innanzitutto riprendere la Bolla pontificia con cui papa Francesco lo ha nominato arcivescovo coadiutore di Taranto in cui afferma: “Abbiamo guardato alla comunità della Chiesa metropolitana di Taranto il cui vescovo, il venerato fratello Filippo Santoro, volendo provvedere ad un più pieno e fecondo bene spirituale del gregge a Lui affidato, ha decisamente richiesto di poter fruire di un aiuto che lo coadiuvasse nella moderazione della vita diocesana. Abbiamo quindi pensato a te, venerato fratello, che hai mostrato di essere adornato da doti umane e sacerdotali e da perizia nella gestione delle diverse questioni da affrontare, che ci sei meritatamente apparso idoneo a ricevere quest’ufficio pastorale”.

Dalla bolla papale si evidenzia che l’iniziativa di chiedere un coadiutore è stata “decisamente richiesta da me” per un aiuto alla comunità tarantina. La ragione della mia richiesta è stato il fatto che lo scorso anno il Papa mi ha dato l’incarico di delegato speciale per l’associazione laicale Memores Domini, composta da duemila persone sparse per il mondo, dall’Europa, alle Americhe, alla Russia, alla Ucraina, con comunità in Cina e Giappone.

Allo stesso tempo il Papa riconosce le doti umane e sacerdotali e la perizia di sua ecc. mons. Miniero come mio coadiutore. E questa è una grazia particolare per tutta l’arcidiocesi di Taranto.

Accogliendo S.E. mons. Miniero, vorrei brevemente presentargli l’arcidiocesi e tutta la comunità tarantina.

Taranto come tutte le città di mare è di rara bellezza e potenzialità, se ne fa una narrazione spesso ingenerosa che la confina nei suoi problemi e cerca di offuscare lo sguardo della speranza. In questi anni gli sforzi sono stati quelli di rendere giustizia a questa terra soprattutto restituendole il diritto al futuro e alla guarigione.

Abiteremo insieme a Taranto vecchia, un’isola che custodisce il dna di tutta la città ed è un concentrato di storia e di contraddizioni che siamo chiamati a benedire.

In questi undici anni abbiamo lavorato per ridare voce ai pochi abitanti dell’Isola perché fossero ascoltati nelle loro fragilità (emergenze abitative, dispersione scolastica, disoccupazione, crisi del comparto della pesca e della mitilicultura) unite ai problemi dell’illegalità, del degrado e purtroppo della droga, una pianta maligna che bisogna estirpare con ogni sforzo qui come in tante altre nostre periferie.

Alle spalle della nostra abitazione ho voluto fortemente al termine del Giubileo della Misericordia, il Centro di accoglienza notturno San Cataldo vescovo, con il coinvolgimento di tutta la diocesi: parrocchie, associazioni, movimenti, confraternite e di tante persone di buona volontà. È un palazzo nobiliare restaurato con cura perché abbiamo pensato che i poveri in primis hanno diritto alla bellezza! Un bene artistico che diventa un bene sociale.

Di Taranto vecchia ti conquisteranno i nostri bambini, la spontaneità di queste famiglie, la loro semplicità e la loro genuinità e la grandiosità del patrimonio di arte e di storia. La Chiesa è un perno importante, un baluardo, nello spopolamento avvenuto negli ultimi decenni e nell’attenzione dovuta di questi ultimi tempi, che la vede al centro di importanti e lunghi lavori di risanamento. Siamo chiamati a custodire l’identità di un popolo meraviglioso.

La Chiesa di Taranto è viva, le parrocchie anche dopo la dura prova della pandemia, reagiscono con forza ed entusiasmo, guidate dai nostri sacerdoti: un clero preparato e generoso. Vi è una devozione autentica radicata, che risplende nei periodi liturgici forti specie durante la Quaresima e il Triduo Santo, le confraternite non sono retaggio del passato ma esperienze di fede attuali che mostrano un volto bello di questa città. Le parrocchie dei nostri paesi, sono testimonianze di fede e di laboriosità. La Chiesa di Taranto in questi anni mi ha riempito della soddisfazione di essere padre così come sicuramente lo sarà con te.

Ma è al di là del Ponte di pietra verso il quartiere Tamburi che si addensano da sempre le nostre preoccupazioni e il nostro lavoro. Sono stati e lo sono ancora anni complicati del rapporto di Taranto con lo stabilimento siderurgico.  Taranto è sotto un ricatto occupazionale da anni, un’ingiustizia indicibile se si pensa che è chiamata a scegliere fra il lavoro, la salute e l’ambiente. Tralascio tutti i cambiamenti di scenari degli ultimi anni, che sembrano farci tornare al punto di partenza. La Chiesa non è stata a guardare, fin dal primo sequestro non abbiamo fatto mancare la voce di denuncia ma anche il tentativo continuo di trovare una soluzione. Abbiamo fatto in modo, e credo si sia visto, che l’Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, non sia un problema dei tarantini ma dell’Italia. Ho chiesto in prima persona che i ministri fin dal 2012 venissero qui ad incontrare la dura realtà: quanti ne sono passati, quanti ne abbiamo ascoltati! All’inizio spesse volte mi sono chiesto se ciò competesse al mio ruolo di pastore, poi la Laudato si’ di Papa Francesco mi ha soccorso incoraggiandomi, dando un nome a tutto quello che cercavo di comunicare fuori dalla città dei Due mari: l’Italia ha un debito ecologico enorme con questa città. Non dobbiamo stancarci specie in questo momento di rassegnazione e di stagnazione. Non dobbiamo permettere a nessuno di sottrarre la dignità alla nostra gente. La Settimana sociale vissuta a Taranto ha acceso la speranza che questa città da un problema diventasse un modello. Lo dobbiamo continuare a sperare. Dobbiamo continuare a consumare la suola delle scarpe, come ho detto a cominciare dal pontificato di papa Benedetto; dobbiamo continuare ad ascoltare gli ammalati e quelli che chiedono un lavoro. Se Chiesa in uscita deve essere, il nostro posto è in un annuncio inclusivo, diretto, coraggioso, che in questi anni non mi ha risparmiato, oltre che da soddisfazioni, da critiche e malintesi.

Così come in quel 5 gennaio del 2012, data dell’inizio del mio ministero qui a Taranto, voglio ribadire che prioritario è stato rendere possibile sempre e comunque l’abbraccio, l’incontro di Cristo a tutti coloro che incontriamo!

Simbolicamente ho desiderato che all’inizio di ogni anno pastorale tutti insieme ci recassimo in pellegrinaggio, migliaia di tarantini in cammino fuori dalle loro parrocchie, semplicemente perché ci allenassimo alla sinodalità, anche quest’ultima benedetta in maniera profetica dal nostro amato papa Francesco. Stiamo bene e riparati nelle nostre belle parrocchie ma la missione è fra le strade, in mezzo ai poveri e purtroppo ancora in mezzo alle polveri!

Di una cosa Eccellenza, rimarrai sempre edificato, ovvero della generosità della nostra gente. Io ho negli occhi gli slanci del cuore per l’emergenza migranti e per le famiglie in difficoltà durante il Covid.

Oggi noi da fratelli ci incamminiamo in una situazione inedita nella guida della diocesi nella quale mi affiancherai come coadiutore. È una prova molto pratica del cammino sinodale.

Lasciami pensare ai nostri legami che sono così veri e così profondi. Legami di santità innanzitutto.

A Grottaglie abbiamo un santo venerato a Napoli, san Francesco de Geronimo e a Napoli ha operato un figlio della nostra terra il nostro sant’Egidio Maria da Taranto, battezzato in questa cattedrale. Anche san Nunzio Sulprizio che è esposto alla venerazione a Napoli è diventato santo per un miracolo ricevuto da un tarantino.

Sono anche legami di bellezza e di arte. Due compositori tarantini hanno contribuito a fare grande Napoli nel mondo, Giovanni Paisiello e Mario Costa, cresciuti in questi vicoli.

La cattedrale è uno scrigno di arte napoletana, il cappellone con i suoi marmi e le sculture di Giuseppe Sammartino ti faranno sentire a casa. Come anche i pregevoli affreschi e dipinti del pittore del Cilento, Paolo De Matteis.

 Il legame più profondo è quello della fraternità in Cristo che oggi viviamo in questa bella liturgia che ci ricorda che amare, governare è solo servire.

Il Vangelo di Matteo ci parla del sogno di san Giuseppe che non voleva risolvere la questione della gravidanza di Maria con il codice della legge ebraica che prevedeva la lapidazione e nemmeno appena col cuore dello stesso Giuseppe che, “poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto”.

Non soddisfa quanto impone il codice e nemmeno quanto suggerisce il cuore; entra in azione un altro elemento che illumina tutto con un orizzonte più grande: lo Spirito di Dio attraverso un sogno. E Giuseppe si affida. “Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 20-21).

 E Giuseppe accoglie il sogno di Dio che nella potenza dello Spirito diventa la salvezza di tutti noi. Ho in casa mia vicino al porta chiavi una piccola scultura, diffusa in America latina e molto cara a papa Francesco, di san Giuseppe dormiente su un cuscino bianco che si affida sereno all’opera di un Altro. Quando c’è un grosso problema o una decisione importante da prendere metto sotto il cuscino bianco la questione che mi agita e mi affido al piano di Dio. E il Signore risponde al di là di quanto io avevo pensato. E così si compie l’avvento del Signore.

Cara eccellenza mons. Ciro cominciamo insieme questo percorso sinodale indicando al nostro popolo il cammino della speranza che offre a tutti la vicinanza di Dio anche nei momenti bui come questa ingiusta e terribile guerra in Ucraina e Lui ci sostiene.

Ci protegga la Madonna della Salute, della quale ho aperto al culto uno splendido tempio sempre qui nella Città vecchia.

Ci protegga san Giuseppe, egli custodisca la nostra Chiesa diocesana come ha custodito la Vergine Maria.

Infine ci protegga il nostro amato patrono san Cataldo.

Cara Eccellenza, sei il benvenuto tra noi; questo popolo con i fedeli laici, con i sacerdoti, i diaconi, religiosi e religiose ti abbraccia e ti accoglie con tutto il cuore.

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Editoriale

19 dicembre: “pensieri sparsi sul Natale”

19 Dic 2022

di Emanuele Ferro
CLICCA QUI SOTTO PER TUTTI GLI EDITORIALI COMPLETI, DAL 17 AL 24 DICEMBRE   👉🏻 #PENSIERISPARSISULNATALE
19 dicembre

Pensieri sparsi
Fino ad una decina di anni fa essere mandati da uno psicoterapeuta era qualcosa da tenere nascosto. Parlarne voleva dire in qualche modo di ammettere di avere qualche rotella fuori posto. Grazie al cielo oggi non è così. In molti dicono di essere in analisi e di affrontare percorsi di aiuto per riacquistare fiducia verso sé stessi, per ricucire ferite del passato, per farsi curare quando si ha la sensazione di soccombere sotto il peso degli impegni o nell’incapacità di gestire un lutto, una perdita, un legame che si è frantumato. Probabilmente proprio perché ora se ne parla liberamente si ha la netta sensazione che siano in tantissimi a soffrire di crisi di panico o di attacchi di ansia. Capita di frequente che alla terapia dell’ascolto anche persone in gran carriera confessino la necessità anche di un “aiutino” farmacologico. Gli studi degli psicanalisti e degli psicoterapeuti spesso vengono scambiati per nuovi santuari in cui confidare vita e sogni. Sicuramente l’aiuto serve per una maggiore comprensione e consapevolezza. Dopo la vivisezione delle cause degli effetti di ogni tristezza, delle infantili mancanze di affetto, dei tradimenti, dei lutti e delle frustrazioni, non sempre poi tutto funziona. Dopo lo smontaggio meticoloso dei pezzi, non sempre c’è qualcuno in grado di rimettere insieme i cocci. Una volta compresa la causa del malessere e dato un nome alla carenza d’affetto, a quel padre assente o a quella madre ingombrante, da dove ripartire?
Il bandolo della matassa
Delle famiglie di Maria e Giuseppe non sappiamo nulla. Tutto quello che la devozione ha maturato sono corollari deliziosi a partire dalle vicende di queste due esistenze consacrate alla Parola di Dio. Non conosciamo i loro traumi infantili, le loro delusioni. I sogni di Giuseppe sono la lotta di un cuore giusto che vuole misurarsi con la volontà di Dio vincendo la tentazione, l’orgoglio e la paura. Freud non saprebbe che dire. Peccatori e ammalati affollano il Vangelo, a nessuno di essi Gesù diagnostica una carenza di affetto che li ha portati a peccare. Sicuramente nel cammino nella Luce ogni convertito cerca di illuminare il passato trasfigurandolo. Ma l’inizio di ogni credente non risiede in una vivisezione del passato con l’incapacità successiva di mettere insieme i pezzi. L’inizio è in un abbraccio, nella misericordia. E il Natale è l’abbraccio di Dio nella carne più fragile, nel cuore più indifeso e devastato. A Natale non siamo tutti più buoni e lo sappiamo molto bene. A Natale la bontà ci è vicina per purificarci, per riconciliarci con la vita che ci ha esposti al freddo e al gelo.

Intanto la Chiesa oggi canta:

O Germoglio di Iesse,
che ti innalzi come segno per i popoli,
tacciono davanti a te i re della terra,
e le nazioni t’invocano:
vieni a liberarci, non tardare.

Il virgulto nuovo sul tronco del vecchio padre Iesse, ha il potere di sanificare le radici.
È il mistero dell’Incarnazione di Gesù.
Veniamo da storie genealogiche di peccato e di violenza eppure questo germoglio viene a darci una linfa pulita.
Staccandosi dalle proprie radici non si può vivere,
scoprendole della terra e portandole alla luce per capire come in maniera bizzarra esse ci leghino al suolo, porta alla morte.
Il germoglio di Dio ci dà speranza che possiamo tornare ad avere una chioma rivolta verso l’alto.

O Germoglio,
innestati sulla mia pianta dolorante che da sé non può esprimere la vita,
dona senso alle mie radici,
perché i potenti della terra tacciono dinanzi ad un ramo quasi secco
nuovamente capace di portare frutto!

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Diocesi

Ciro Miniero: “Grazie alla comunità tarantina: oggi una partecipazione corale e intensa”

Foto G. Leva
18 Dic 2022

di Marina Luzzi

Questo pomeriggio, nella Cattedrale di san Cataldo, la celebrazione eucaristica di accoglienza dell’arcivescovo coadiutore mons. Ciro Miniero, il cui arrivo, ha detto accogliendolo l’attuale arcivescovo, mons. Filippo Santoro, “è una grazia particolare” per tutta l’arcidiocesi di Taranto.

Ecco l’intervista, in cui mons. Santoro spiega anche quali saranno i compiti affidati a mons. Miniero.

 

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Editoriale

18 dicembre: “pensieri sparsi sul Natale”

18 Dic 2022

di Emanuele Ferro
CLICCA QUI SOTTO PER TUTTI GLI EDITORIALI COMPLETI, DAL 17 AL 24 DICEMBRE   👉🏻 #PENSIERISPARSISULNATALE
18 dicembre

Pensieri sparsi
Una delle cose più tristi dei social sono i finti test psicologici che rispondono alle logiche dei like e delle condivisioni. «Clicca – si legge più o meno in corrispondenza del link – sul tuo mese corrispondente e scopri il tuo peggior difetto»;  il tenore del risultato del furbo algoritmo solitamente è: «Il tuo peggior difetto è che sei troppo buono con tutti» oppure «la tua sincerità è la causa dei tuoi mali». Triste ma rivelativo del bisogno che abbiamo di approvazione e di un insaziabile e incurabile narcisismo che sembra aver inghiottito nelle tenebre il lume della ragione. Ma anche fare del moralismo sulla nocività dei social o della caccia al like è l’ultima spiaggia di qualsiasi predicatore ed educatore noioso e poco credibile.  Nei social siamo immersi come in un acquario. Lo smartphone è un’estensione esistenziale, è il nostro polmone emotivo e meccanico al quale chiediamo di aiutarci, di illuminarci, di guidarci. «Ehi Siri sono triste metti della musica»; «Ok Google portami in via Mazzini»; «Alexa che tempo che fa oggi?».
Il bandolo della matassa
Un pastore balbuziente è appena scappato dal suo destino e ha trovato riparo sicuro, è speranzoso che un mondo che lo vuole giustiziare si sia dimenticato di lui.
Chi di noi non vorrebbe un nuovo ventre materno da cui ricominciare senza che gli errori del passato pesino come un macigno sul cuore o anche solo arrossire per la vergogna? Mentre porta le pecore al pascolo il pastore vede qualcosa che lo attira, uno spettacolo che lo incuriosisce. È un arbusto che arde.
Nelle zone deserte e assolate dove il pastore ora trascorre i suoi giorni, non sono rari i fenomeni di autocombustione.
Il fuoco che ha davanti arde ma i rovi non si consumano. Vuole avvicinarsi per capire il perché. Ah se solo tornassimo a chiederci il perché delle cose, della vita, della morte senza cercare le risposte su Google! Basterebbe lasciare cadere onesta la nostra domanda per ripartire.
In una civiltà falsamente areligiosa, viviamo di dogmatismi ciechi e non accettiamo che si insinui dentro di noi un’altra possibilità.
Siamo integralisti, talebani, del finito in noi stessi. Basterebbe una domanda semplice. «Perché?».
Isaac Newton costruisce la sua legge sulla gravitazione dei corpi semplicemente a partire da un quesito che a noi sembrerebbe ovvio: «Perché se mollo la presa di una mela anziché andare in alto, cade per terra?». Quindi perché il roveto arde e non si consuma?
Porsi una domanda curiosa è uscire da sé stessi. Voglio avvicinarmi, dice il pastore!
Non sarà Natale se non diamo cittadinanza ad un perché che istaura un patto. Inaspettato. Infatti dal fuoco che ha incuriosito il pastore, che evidentemente ha perso di vista le sue pecore e rischia di perderle, viene fuori un’altra sorpresa. «Mosè togliti i sandali perché il terreno sul quale sei è un suolo santo».
Farsi una domanda è un’avventura, che deve cambiare la nostra postura, il nostro approccio. Non siamo esseri speciali incompresi e destinati alla felicità per autocompensazione. Non è il momento di un selfie con il roveto ardente, ma di un incontro senza filtri.
Intanto la Chiesa oggi canta:
O Adonai, Signore, guida della casa d’Israele,
che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto,
e sul monte Sinai gli hai dato la legge,
vieni a liberarci con braccio potente!

 

È un grido gettato totalmente fuori da noi,
che poveri illusi cerchiamo come il Barone di Münchhausen,
di uscire dal nostro pantano tirandoci fuori da soli!
Ci vuole un braccio potente che ci liberi dall’ombra.

O Adonai,
prima che l’aridità del mio cuore bruci le mie relazioni
e mi rassegni ad un futuro che già presumo di conoscere o di aspettarmi,
apri la gabbia delle mie domande,
non voglio risposte, ma una stella da seguire verso Betlemme,
perché in cammino si è vivi.

 

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