Editoriale

Era meglio morire da … piromane o pompiere?

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)
05 Gen 2023

di Emanuele Carrieri

Si dice che si nasce piromani per morire pompieri. Più difficoltoso è trovare uno che nasce pompiere e muore piromane. Gli italiani, che faranno? Moriranno meloncini? Vale a dire, quanto durerà il ciclo di governo di Fratelli d’Italia? Basti pensare soltanto per un momento all’ultimo decennio: dieci mesi di Letta, quasi due anni di Renzi, un anno e mezzo di Gentiloni, un anno e tre mesi per il Conte uno cioè quello gialloverde, un anno e mezzo per il Conte giallorosso, uno e otto mesi per Draghi. La politica logora i suoi leader a una velocità superiore a quella con cui si consuma il cambio gomme di un’auto. Le stagioni arrivano e passano alla velocità della luce. In ogni modo, non c’è dubbio che il 2022 sia stato l’anno della guerra e della crisi, ma che per il nostro Paese sia stato l’anno di Giorgia Meloni, quello della destra al governo, l’avvento di un nuovo potere. Se si scorrono le immagini della conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio, si trova una frase con cui la Meloni, concedendosi un momento-verità, ha esposto una sintesi molto utile per capire dove si sta andando: “Sento Draghi e mi fa piacere. Non m’è mai piaciuto vincere facile. Mi stimolano persone capaci e autorevoli e Draghi lo è. Voglio dimostrare che si può fare bene. Non voglio dire meglio, figuriamoci”. Però, perché no, dopotutto? Ci sono in questa frase, a ben vedere, tutte le aperture per comprendere come incomincia la nuova stagione della politica a Palazzo Chigi: con la più sbalorditiva delle staffette italiane. Quella della più fiera oppositrice del governo dell’ex presidente della Bce, che oggi si racconta non in disaccordo, ma in continuità con lui. Il compromesso, il consenso, la continuità istituzionale sono, così, i binari su cui si viaggia, malgrado i comizi e le dichiarazioni della campagna elettorale, le bizze di Berlusconi, gli strappi di Salvini. Ecco perché bisogna partire dal quadro d’insieme per provare a considerare cosa sta accadendo. Il nuovo anno vede il partito di maggioranza relativa quasi al trenta per cento, quello che ha vinto le elezioni, ormai gradito a un italiano su tre. Vede la donna di Palazzo Chigi superare il suo primo esame di governo, vale a dire la manovra finanziaria, avendo ereditato da Draghi l’imbastitura del vestito e, si è visto, senza strappi. E restituisce anche la fotografia di un Paese diviso: crescono i ricchi ma anche i poveri, molti si leccano ancora le ferite della pandemia e della crisi, altri sono ripartiti, poi ci sono mercati che esplodono, settori in piena occupazione, a partire dall’edilizia. Per questo colpisce il modo in cui il governo è filato nel percorso parlamentare della legge di bilancio: dentro i pagamenti elettronici, pardon fuori i pagamenti elettronici, multe ai no vax, poi cancellate, poi reinserite, taglio del reddito per recuperare soldi, ma anche finanziamento all’emendamento di Lotito che dona seicento milioni di euro alla società calcistiche di serie A. E poi la flat tax fino a ottantacinque mila euro per i lavoratori autonomi, addio al bonus universale per i diciottenni, espansione del tetto ai contanti, piccole sanatorie, alcuni provvedimenti di buonsenso e molti altri opinabili. Il sì definitivo dell’aula al decreto Rave, il provvedimento emblema, è arrivato con tredici deputati di Forza Italia su quarantaquattro del gruppo alla Camera che non hanno partecipato al voto finale. Così i tredici deputati azzurri che non votano, in segno di protesta per le misure sanitarie, sono un segnale di dissenso. Ma il vero punto è un altro. Sembra che, a questo momento, ci siano due racconti diversi e paralleli che si incrociano sulla stessa frequenza: da un lato c’è la saga di Giorgia, che entra in luna di miele con il pezzo di Paese che l’ha votata e con un altro frammento importante di elettorato che, pur non avendola votata, la osserva senza pregiudizio ma dall’altro lato, invece, c’è la sua maggioranza che litiga e balla, ogni tanto si perde qualche pezzo, talvolta si esibisce in spericolate inversioni di direzione. Li aiuta una opposizione divisa e ancora senza leadership: i centristi che, di tanto in tanto, mandano appassionati messaggi di amore al centrodestra, il Pd ancora in alto mare a tre mesi dal voto, il Movimento Cinque Stelle in un favoloso, fiabesco isolamento. Ma quello che rende forte la Meloni, nonostante la limitata consistenza della sua maggioranza, è l’irresolutezza dei suoi avversari. Sarà pure vero che all’ex underdog non piace vincere facile. Ma c’è da giurare che all’inquilina di Palazzo Chigi non dispiaccia. Mai come in questo tempo, direbbe Giulio Andreotti, il potere logora chi non ce l’ha. Ma a differenza di quel che pensava Andreotti, roba del secolo passato e di molte repubbliche fa, oggi il potere logora tutti, chi ce l’ha e chi non ce l’ha, chi lo vorrebbe, chi siede su una poltrona, chi ammicca ai potenti, chi inciucia, chi gode di un privilegio, chi gira su un’auto blu, chi fa politica di professione, chi guadagna più degli altri, chi è casta e chi vorrebbe esserlo. Sembra di risentire la voce di un vicino di casa, un uomo molto anziano, che, dal balcone, diceva alla nipote di cinque anni, prima di attraversare la strada: “Stai attenta, Italia!”.

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