Editoriale

Il ruolo dell’Europa nel processo di pace

(Foto ANSA/SIR)
03 Apr 2023

di Emanuele Carrieri

Fra qualche giorno il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron si recheranno a Pechino per incontrare Xi Jinping, il leader cinese che le riforme, da lui stesso proposte e imposte, hanno fatto diventare un monarca a vita, più e peggio di Mao e di tutti gli altri presidenti. Il motivo? È certo: non per approfondire i termini della proposta di pace cinese che non è altro che un ulteriore strumento propagandistico volto a riaffermare, anzitutto nei confronti di chi è disponibile all’egemonia cinese, il ruolo del Celeste Impero. Non si scorgono spiragli nel documento cinese, neanche nella riaffermata esigenza di volere rispettare le sovranità statuali, visto che per Xi la sovranità ucraina non esiste: esiste solo quella russa. Ci sono motivi commerciali nel summit fra la rappresentante dell’Unione europea e il presidente francese e la massima autorità cinese. È complicato credere nell’assioma di una ventina di anni fa per il quale, finché si commercia, non si combatte o, finché si commercia, non possono prevalere le pulsioni autoritarie e guerrafondaie. È sotto gli occhi di tutto il mondo l’esempio della Russia che, dagli scambi vicendevoli con l’Occidente, aveva guadagnato in abbondanza e molto di più avrebbe potuto ottenere da una maggiore integrazione finanziaria e commerciale. Salvo il fatto che Putin, da poliziotto del famigerato Kgb, impossessatosi del potere, e diventato zar di tutte le Russie, ha voluto opporsi alla ventata di libertà che attraversava il suo popolo, distruggendo ogni opposizione, anche con la eliminazione fisica dei suoi avversari, e ha voluto interrompere le relazioni con l’Occidente elevando la nuova cortina dell’immaginaria corruzione morale del medesimo. Tuttavia, e questo è certo, almeno in questo momento storico, permangono seri interessi nella collaborazione fra gli stati dell’Unione europea e la Cina. Una esigenza, quella di mantenere i livelli degli scambi, che non guarda al domani né al dopodomani, in relazione al riposizionamento del potere mondiale, in corso e in via di consolidamento, salvo il solo elemento di novità costituito dalla crescita indiana, addirittura più impetuosa di quella cinese. Questi ultimi quindici mesi ci hanno consegnato un mondo dominato da due potenze egemoni, Usa e Cina, nel quale l’ex potenza mondiale Russia ha ridotto il suo ruolo a quello di primo satellite del vicino di Oriente, già nemico della stessa, odiato dalla popolazione russa. Gli errori politici di Putin l’hanno posto nella scomoda posizione di non vincitore del confronto militare con l’Ucraina, potenza minore dello scacchiere est-europeo, vitalizzato da un patriottismo di altri tempi. Per quante mosse politiche possa compiere, Putin è confinato nei suoi margini, anche se può ancora recare danni mortali al resto del mondo, Cina compresa. E in questi termini va visto l’annuncio della dislocazione in Bielorussia, con il fedele dittatore di un popolo non fedele e disponibile alla sollevazione, di bombe atomiche tattiche. L’Europa, potenza commerciale e manifatturiera, è un’impotenza politica, sprovvista, come è, di una sua politica estera, dato che non c’è politica estera senza strumento militare, specie di questi tempi nei quali le relazioni internazionali sono tornate ai livelli e alle regole dell’Ottocento. E, allora, che cosa vanno a fare a Pechino? A parte il mantenimento delle attuali relazioni economiche, è possibile che Xi dia loro ciò che non ha dato né a Putin né a Biden? Da scartare, nel modo più assoluto. Potranno portare a casa una intesa preliminare in settori produttivi interessanti per le due nazioni, a eccezione di ciò che accadrà fra breve, quando le tensioni fra Usa e Cina saranno tali da imporre una scelta precisa: o di qua o di là. Il fattore militare rimane sul tappeto, più importante che mai. L’Europa, sprovvista di autonoma personalità militare, prende a prestito la sua difesa dalla Nato, l’alleanza che la tranquillizza sulla disponibilità di armamenti e sulla sua unicità di comando che le ha conferito l’importanza che altrimenti sarebbe soltanto impotenza. L’alternativa fra democrazia e schiavitù è l’unico gioco in corso. Di ciò l’Europa non può disporre perché diversamente partecipi delle esigenze di difesa assicurate dalla Nato. Il modo razionale di contribuire alla costruzione di una pace futura è rimanere nel campo occidentale e contribuire così al rafforzamento del suo patto, contando su due fattori sostanziali: il primo è costituito dalla forza di cui disponiamo tutti insieme, anche perché gli Usa godono di un decennio, se non di più, di vantaggio tecnologico sulla Cina; il secondo è la deterrenza innata nella forza occidentale, unica assicurazione contro i colpi di testa di Xi e quelli di Putin, alle prese con i propri squilibri personali, politici, militari.

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