Rigenerazione sociale

Ritornano nella città vecchia di Taranto i laboratori di Artlab Eyeland-L’isola delle arti

Dal 2 giugno al 31 luglio 2023, il progetto che vuole raccontare la rinascita di Taranto attraverso varie forme di espressione artistica

29 Mag 2023

Si avvicina a Taranto l’avvio di Artlab Eyeland – l’isola delle arti, il progetto che vuole raccontare la rinascita di Taranto attraverso varie forme di espressione artistica proposte ai visitatori e ai cittadini in forma partecipata e collaborativa e che in queste settimane ha già coinvolto i tarantini in workshop, iniziative e laboratori, e che continuerà a farlo fino a fine luglio.

Dalle opere di street art, ai progetti fotografici e di design, dai suoni raccolti dalla strada e trasformati in musica, alla poesia, all’arte contemporanea e al teatro. Molti gli autori di fama internazionale, a partire da Sam Gregg, che esporranno le loro opere a Taranto dal 2 giugno al 30 luglio prossimi. E alcuni di loro saranno presenti in residenze d’artista per dare vita a progetti d’arte con il coinvolgimento degli abitanti.

Se il fotografo ritrattista e documentarista londinese Sam Gregg è stato a Taranto per un mese fino al 22 maggio scorso, oggi 25 maggio, in città, dalle 15.00 alle 19.00 alla Torre dell’Orologio in piazza Fontana è presente il collettivo Mentalgassi con laboratorio per fotografare coralmente le persone della città vecchia che vorranno prestarsi al loro lavoro (la partecipazione è gratuita, basta presentarsi alla Torre dell’Orologio per partecipare. Per informazioni inviare una mail a info@phest.it o consultare i canali social Fb e Ig di Artlab_Eyeland). Il collettivo, che opera a livello internazionale nel campo della fotografia e degli interventi urbani, trasformando oggetti di uso quotidiano in qualcosa di insolito e creando momenti sorprendenti con strumenti quali fotografia, carta e stagnola, forbici, colla e una posizione pertinente da mettere, tornerà in città anche dal 7 all’11 giugno per la seconda fase del laboratorio che consisterà nell’allestimento collettivo dell’opera (per dettagli consultare i canali social Fb e Ig di Artlab_Eyeland). Le proposte artistiche di Mentalgassi sono urbane al 100%, e attraverso diverse tecniche interagiscono con gli oggetti della strada per creare forme e sagome che fanno sorridere il passante. Combinano fotografia, manipolazione delle immagini, scultura e street art; manipolano fotografie e le espongono in giro per le città d’Europa, creando una connessione tra loro e il pubblico.

Dal 29 maggio al 15 giugno invece arriva a Taranto l’artista pubblico e urban poet Caos (Dario Pruonto) per il suo progetto di arte partecipata che situando gli interventi di rigenerazione urbana in un percorso di dialogo, co-progettazione e realizzazione condivisa coinvolgerà attivamente i cittadini in tutte le sue fasi, allo scopo di creare coesione sociale e stimolare cittadinanza attiva. Classe ’92, Caos studia all’Accademia delle Belle Arti di Brera, è una figura di riferimento della poesia di strada italiana. Nel corso degli anni ha esposto in numerose mostre collettive in Italia e all’estero, e ha partecipato a numerosi festival nazionali e internazionali. Le persone sono invitate a raccontare e condividere le proprie risorse, competenze, esigenze e priorità, costruendo nello scambio collettivo la narrazione identitaria del quartiere. Ogni punto di vista umano, biografico, sociale, arricchisce il risultato finale. Ogni voce troverà posto in vario modo nell’opera finale, contribuendo con la sua specificità ad arricchire il risultato estetico, sociale ed etico. Non la cittadinanza al servizio dell’artista, ma l’artista al servizio della cittadinanza. L’esito dell’opera è ancora sconosciuto ovviamente. Il primo appuntamento è in programma per il 30 maggio alle 17 alla Torre dell’Orologio in piazza Fontana. La partecipazione al laboratorio è gratuita, basta presentarsi alla Torre dell’Orologio per partecipare. Per informazioni inviare una mail a info@phest.it o consultare i canali social Fb e Ig di Artlab_Eyeland).

Dal 26 giugno al 14 luglio ci sarà invece il laboratorio a cura del dj tarantino Alex PalmieriLa vista attraverso il suono”, un vero e proprio corso di produzione musicale attraverso registrazioni ambientali. L’idea è quella di raccontare, salvaguardare e promuovere la bellezza della città vecchia di Taranto attraverso i suoni. L’ascolto si pone come strumento di visione e comprensione di un luogo abitato dal mare e dalle anime che lo vivono senza l’utilizzo della vista. Attraverso le registrazioni ambientali, il partecipante al corso avrà la possibilità di prelevare i suoni del territorio e ricomporli scrivendo il proprio diario sonoro. Il corso culminerà con la produzione di una traccia utilizzando esclusivamente i suoni della città vecchia di Taranto registrati in più momenti della giornata, dall’alba alla notte, donando all’interlocutore un nuovo punto di vista sul territorio che si tramuta in punto di ascolto. Il primo appuntamento è fissato per il 26 giugno alla Torre dell’Orologio – Piazza Fontana alle ore 15.00 La partecipazione al laboratorio è gratuita. Per info e prenotazioni: info@phest.it

Attraverso questi laboratori Artlab Eyeland diventa così l’isola delle arti, un organismo vivo che per i prossimi mesi si lascerà trasformare da artisti nazionali e internazionali e dagli abitanti della Città Vecchia in una sorta di laboratorio permanente, sotto la direzione artistica di Giovanni Troilo, la curatela fotografica di Arianna Rinaldo e Rica Cerbarano, e la curatela per l’arte contemporanea di Roberto Lacarbonara.

Artlab Eyeland è promosso e organizzato da PhEST – associazione culturale che realizza il Festival Internazionale di fotografia e arte a Monopoli – con il sostegno del Comune di Taranto attraverso il Piano di rigenerazione sociale per l’area di crisi di Taranto e con il patrocinio della Regione Puglia e della Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo. E la partnership dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e di Programma Sviluppo.

 

Per non perdere nessun aggiornamento sul programma di Artlab_Eyeland si consiglia di seguire i canali web dedicati all’iniziativa:

WEB: https://www.artlabeyeland.it

IG: https://www.instagram.com/artlab_eyeland

FB: https://www.facebook.com/profile.php?id=100091904272457

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Tempo di agire: l’insegnamento di don Milani a un secolo dalla nascita

foto Sir/Marco Calvarese
29 Mag 2023

di Marco Testi

Il secolo di un uomo vissuto solo 44 anni: quello di don Lorenzo Milani, nato il 27 maggio di cent’anni fa a Firenze da una famiglia benestante e colta. Come scrisse in quegli anni Marguerite Yourcenar, l’autrice di Memorie di Adriano, alcuni uomini (lei pensava al protagonista del suo libro e a Lawrence d’Arabia), decidono di rinunciare al qui per accettare l’altrove. Per i personaggi di Yourcenar quell’altrove era fisico, geografico, l’Asia, l’Arabia, la Grecia. Per Lorenzo, e come vedremo non solo per lui, invece si trattava del viaggio nella zona oscura di un occidente lì vicino, a Calenzano e poi a Barbiana, dove avvenne la celebre esperienza di alfabetizzazione degli ultimi, dalla quale sarebbe scaturito il celebre Lettera a una professoressa, edito lo stesso anno della sua morte.

Quello che colpisce di questa sua nuova stagione, che oggi può essere approfondita grazie anche al bel libro curato da Michele Gesualdi (e con prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi), “Lettere” (San Paolo, 359 pagine, 20 euro) è la sua radicalità, che lo ha portato alla rinuncia del suo vecchio sé.

Quando da sacerdote attacca una certa politica e una economia basata esclusivamente sul profitto, lo fa da autentico convertito: vale a dire uno che non ha rinunciato solo ai soldi di casa e ad un avvenire di studente universitario e poi di docente o dirigente, ma anche alla sua stessa cultura, alla sapienza intellettuale, al paternalismo di chi sa e si china su chi invece non sa.

No, per Lorenzo si tratta di cancellare e resettare. Dimenticare l’io di prima, passare alla lingua degli esclusi, mettersi a disposizione di chi non possiede nulla e che magari a dodici anni invece di andare a scuola va ad aiutare i genitori nel duro lavoro della campagna. Ha dimenticato se stesso e si è fatto uomo nuovo per permettere a quei poveri ragazzini di scrivere e a far di conto perché possano partire dallo stesso start dei più fortunati.
La meritocrazia non teneva conto di questo, e senza neanche rendersene conto praticava una selezione di classe e non di merito.

Contro questa selezione darwiniana si era schierato un uomo che aveva deciso di sparire e di ricominciare da capo nei Cinquanta del secolo scorso: come fa a gareggiare per il merito un ragazzino che non può permettersi neanche di studiare?

Una situazione del genere è stata descritta da uno scrittore come Saverio Strati nel suo “Il selvaggio di Santa Venere”: un maestro che va avanti, ignorando chi rimane indietro e abbandonandolo ad un destino di isolamento e minorità. Rischiando di creare disadattati e derelitti laddove avrebbero potuto nascere sensibilità profonde accompagnate dal dono dell’espressione attraverso la parola e la scrittura.
Con, inoltre, un effetto di ritorno che già da solo vale una vita: come scrisse una volta don Lorenzo, “io ho insegnato loro soltanto ad esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere”.
Il mistero di giovani colti e destinati ad un futuro di primo piano nella letteratura o nella cultura che decidono di abbandonare tutto non è poi così tanto fitto: Clemente Rebora, dopo aver scritto nel 1913 uno dei capolavori poetici del Novecento, “Frammenti lirici”, decise di entrare tra i Rosminiani e di sparire al mondo. La cultura fine a se stessa era fonte di nausea e di solitudine interiore. Solo l’essere-per-l’altro appariva l’unica strada percorribile. Scendere dal piedistallo e ricominciare dagli ultimi da ultimo è stata l’esperienza di rinascita che nei secoli ha rappresentato la salvezza dal non senso e dalla nausea di sé, come due giovani umbri avevano insegnato senza neanche averne la consapevolezza. Per Benedetto e Francesco, e anche per Lorenzo come per molti altri, non era più tempo di parole.

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Regina caeli

La domenica del Papa – Lo Spirito che unisce

foto Vatican Media/Sir
29 Mag 2023

Ancora una volta sono nel Cenacolo, le porte chiuse per paura. La morte di Gesù “li aveva sconvolti, i loro sogni erano andati in frantumi, le loro speranze svanite”, dice Francesco al Regina caeli. Certo, Gesù aveva detto loro che non li avrebbe lasciati orfani, e avrebbe mandato un altro consolatore; ma in quel momento al Cenacolo erano soli, timorosi di fronte al grande compito che avevano di fronte: nell’orto degli ulivi non avevano lasciato solo Gesù; Giuda non aveva tradito; e Pietro non aveva forse rinnegato il maestro tre volte. Paura, dunque: “vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Vi perseguiteranno”, aveva detto loro Gesù. Poi ecco il giorno di Pentecoste. Al Cenacolo, come nel tempo di Pasqua.
Pentecoste. Festa che Benedetto XVI aveva definito il “battesimo della chiesa”. Festa che conclude il tempo liturgico della Pasqua. Nell’ebraismo è la festa che ricorda la rivelazione, il dono di Dio al popolo ebraico della legge, sul monte Sinai. Per il cristianesimo è la discesa dello Spirito Santo sui discepoli, riuniti con Maria. Per l’Islam lo Spirito è sorgente ispiratrice di angeli e profeti.
Con il dono dello Spirito “Gesù desidera liberare i discepoli dalla paura, questa paura che li tiene rinchiusi in casa, e li libera perché siano capaci di uscire e diventino testimoni e annunciatori del Vangelo”. Non più chiusi, non solo nella stanza ma anche nel cuore. Anche noi ci chiudiamo, afferma il papa prima della preghiera mariana, “per qualche situazione difficile, per qualche problema personale o familiare, per la sofferenza che ci segna o per il male che respiriamo attorno a noi, rischiamo di scivolare lentamente nella perdita della speranza e ci manca il coraggio di andare avanti”. Questo accade quando “permettiamo alla paura di prendere il sopravvento”, e crediamo di essere soli e pensiamo di non farcela: “la paura blocca, la paura paralizza. E anche isola: pensiamo alla paura dell’altro, di chi è straniero, di chi è diverso, di chi la pensa in un altro modo. E ci può essere persino la paura di Dio: che mi punisca, che ce l’abbia con me”. Dove c’è paura c’è chiusura, dice Francesco; il rimedio: lo Spirito Santo che “libera dalle prigioni della paura”.
Nell’omelia che pronuncia nella basilica Vaticana il papa afferma inoltre che lo Spirito Santo “è Colui che, al principio e in ogni tempo, fa passare le realtà create dal disordine all’ordine, dalla dispersione alla coesione, dalla confusione all’armonia”. E oggi nel mondo c’è tanta discordia, afferma il vescovo di Roma, tanta divisione; “siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine. Tante guerre, tanti conflitti: sembra incredibile il male che l’uomo può compiere”.
Ostilità e divisione sono alimentate dal diavolo, il “divisore”. Per questo, “al culmine della Pasqua, al culmine della salvezza”, il Signore “riversa sul mondo creato il suo Spirito buono, lo Spirito Santo, che si oppone allo spirito divisore perché è armonia, Spirito di unità che porta la pace”. Scende sugli apostoli e “ognuno riceve grazie particolari e carismi differenti”. Una pluralità che non genera confusione “ma lo Spirito, come nella creazione, proprio a partire dalla pluralità ama creare armonia. Non è un ordine imposto e omologato”, ricorda il Papa, “non crea una lingua uguale per tutti, non cancella le differenze, le culture, ma armonizza tutto senza omologare, senza uniformare”. Senza lo Spirito “la Chiesa è inerte, la fede è solo una dottrina, la morale solo un dovere, la pastorale solo un lavoro”. Di qui l’invito a essere “docili all’armonia dello Spirito”.
Così il cammino del Sinodo – “che non è un parlamento per reclamare diritti e bisogni secondo l’agenda del mondo, non l’occasione per andare dove porta il vento” – deve cogliere l’opportunità di “essere docili al soffio dello Spirito”.
Nel dopo Regina caeli la preghiera per le popolazioni al confine tra Myanmar e Bangladesh, per i Rohingya; per la “martoriata Ucraina”. Francesco ricorda anche Alessandro Manzoni che “è stato cantore delle vittime e degli ultimi: essi sono sempre sotto la mano protettrice della Provvidenza divina che atterra e suscita, affanna e consola”.

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Ricordo

“Pastore e parroco instancabile”
Un ricordo di don Donato Palazzo

foto G. Leva
27 Mag 2023

di Massimiliano Padula *

Queste righe per ricordare don Donato Palazzo, tornato alla casa del Padre a 91 anni il 26 maggio scorso, nella solennità di San Filippo Neri. Come il “santo della gioia”, don Donato era un presbitero pieno di zelo apostolico e di fervore nel servire Dio. Come ha fatto per 39 anni nella sua parrocchia che è stata anche la mia: il Cuore Immacolato di Maria, comunità e cuore pulsante del quartiere Tre Carrare Battisti, zona cuscinetto tra la “Taranto bene” del Borgo e la periferia più estrema. Una zona abitata da famiglie operaie e piccolo-borghesi, che si ritrovavano la domenica alla Chiesa “buchi buchi” (come era soprannominata per via delle sue facciate piene di finestrelle) e partecipavano alla messa delle 11.30 celebrata da Don Donato, subito dopo quella delle 10 dedicata ai bambini del catechismo. Accanto a lui un manipolo di ragazzi cresciuti nella fede e guidati da quel parroco austero, ma anche ironico e paterno. Don Donato era così, almeno nei ricordi di un bambino che, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, aveva scelto la parrocchia come luogo di socializzazione. Non solo servendo la messa, ma frequentando un minuscolo oratorio che noi ragazzi chiamavamo “la saletta”: uno stanzone con un tavolo da ping pong, un biliardino e qualche sedia per parlare, ridere, sfotterci e che ancora ricordiamo quando di rado ci ritroviamo, ormai adulti e con vite diverse e distanti. Perché, quel tempo dell’infanzia e dell’adolescenza è stato bellissimo, fecondo, autentico e capace di farci crescere come uomini e cristiani. Se oggi io sono quello che sono, lo devo anche a quei momenti, a don Donato e al suo totale farsi carico per quella parrocchia che ha sempre sentito “sua” anche quanto l’età non glielo ha più formalmente consentito. E insieme a lui ricordo i suoi sacerdoti collaboratori, vicari e vice parroci che lo hanno accompagnato restando sempre un passo indietro, perché “il parroco resta il parroco”. Come don Paolo Oliva, don Luigi Angelini e don Michele Matichecchia (questi ultimi due da tempo tra le braccia del Signore). E anche quando sono andato via da Taranto dopo il liceo, don Donato ha continuato ad esserci, aggiornandosi sul mio percorso universitario e professionale. «È orgoglioso di te – mi diceva mia mamma quando lo incontrava a salutava – per gli articoli che scrivi su Avvenire e per il tuo percorso accademico». Non mi resta molto altro da dire: la memoria si confonde con le emozioni e rischia di essere approssimativa. Voglio, però, ricordare tre momenti che hanno incrociato in modo diverso la vita di don Donato e sono stati contraddistinti dalla grazia della sua presenza: il primo è l’organizzazione, in quanto cappellano, della visita di Paolo VI° allo stabilimento siderurgico Italsider la notte santa del 24 dicembre del 1968. Fu in momento in cui si scrisse un pezzo di pensiero sociale cristiano incarnato nell’umanità. Papa Montini, nella sua omelia, sottolineò, infatti, come «la separazione fra il mondo del lavoro e quello religioso e cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere».

Il secondo è il funerale di Sandra Stranieri (che concelebrò nel dicembre 1991), giovane parrocchiana vittima innocente di mafia, uccisa da un proiettile vagante durante una sparatoria tra criminali.

Il terzo episodio è personale: la visita inaspettata che fece nel 2017 a mia nonna pochi giorni prima della sua scomparsa.

Don Donato è stato tutto questo, cioè è stato semplicemente un prete: illuminato da quella che il teologo Sergio Lanza chiamava “pastoralità”; ossia da quell’agire rispetto al contesto sociale che si configura come incarnazione dell’esperienza di fede evangelica. Su questa terra le preghiere certamente non gli mancheranno.

 

Post Scriptum: i ricordi, i riferimenti e i nomi riportati in questo scritto sono frutto dei miei ricordi che risalgono a più di 30 anni fa. Chiedo scusa a chi leggerà per eventuali imprecisioni ed errori.

* sociologo, Pontificia Università Lateranense

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Ecclesia

Bentornato, Spirito Santo!

foto Siciliani - Gennari/Sir
27 Mag 2023

di Salvatore Martinez

«Perché mi dici “bentornato”, io non me ne sono mai andato!».
Una voce irrompe nel silenzio in cui si affollano deserti interiori sconfinati, fragilità lamentevoli non ricomposte, tenebre di non conoscenza e di non corrispondenza.
È Lui, lo Spirito Santo, che riprende la Parola (tutta “insegnata”) e prova a fare Verità (“tutta intera”), dinanzi al più grande equivoco vigente: Dio esiliato, l’eternamente presente che risulterebbe assente.
Quando ci decideremo a dare evidenza alla Sua presenza, alla Sua potenza, coscientizzando il “già e il non ancora” di una Pentecoste che mai avrà fine e con la quale tutto sempre ricomincia? D’incanto, vedremmo una Chiesa pura, un mondo riordinato, una fede confessata, una carità praticata, una misericordia salvifica.
Eppure, chi ha mai dubitato che Lui “ci sia? È Dio! E Dio non ha certo abbandonato il campo!
Ma come opera, cosa stia compiendo e, soprattutto, quali novità e soluzioni lo Spirito Santo voglia apportare alle nostre vite, non sembra prioritario nelle nostre agende.
Chi, davvero, se ne dà conto, a partire da chi ha funzioni di guida, di governo, di animazione della storia umana?
Chi lo sta desiderando, invocando, attendendo, facendo spazio dentro e fuori di sé?
Chi, svegliandosi, in questi giorni, saluterà il familiare, l’amico, il fratello augurando con gioia e speranza: “Buona Pentecoste”, così come si fa dicendo “Buon Natale” e “Buona Pasqua”?

Non è un modo di dire “bentornato!”. È il solo modo per onorare una nuova Pentecoste, perché non sia l’ennesima venuta “a vuoto” dello Spirito. E, stiamone certi, ne renderemo conto, perché “non si nomina il nome di Dio invano!”.

Continueremo a inanellare Natività e Risurrezioni “mancate” finché non sarà la Pentecoste a farci “riavvolgere” il nastro della nostra fede, i fotogrammi sgranati di una vita cristiana nominale, che se non inizia con l’effusione dello Spirito non ha nulla di nuovo, né divenire, né celeste futuro.
Ora, molti sono già in ginocchio a causa delle severe prove dell’esistere e del vivere in famiglia, in società, in comunità, in ambienti violentati dall’insipienza umana che continua a sfidare la natura delle leggi e le leggi della natura, certo non prostrati per “adorare lo Spirito di Dio” (come confessiamo nel Credo): in ginocchio, dunque, non per elezione, bensì per umana condizione. Ebbene, è questo un ottimo palcoscenico per “ribaltare” la situazione, per elevarsi dalla misera terra al provvido Cielo, per lasciare gemere lo Spirito orante e rialzarsi con una forza nuova, con una gioia inedita, con un dinamismo mai prima esperimentato.
Sì, perché dello Spirito si può parlarne per intima esperienza più che per razionale conoscenza. E quando il cuore comunica alla mente e la volontà si accorda all’irruzione di un nuovo amore, allora tutto cambia: noi siamo prodigiosamente diversi, irriducibilmente spirituali, capaci di Dio, portatori del divino. E perché no, segnati dall’irruzione di nuovi doni e carismi, ministeri e missioni.

Bentornato a Te, Spirito Santo, che mai mi hai abbandonato, perché da Gesù Ti sono stato consegnato con il Suo “andarsene” per il Tuo “venire”!
Bentornato a Te, Spirito Santo, che il mio ritorno hai atteso, come Dio umile che vuole farmi grazia, per rendermi grazioso.
Bentornato a Te, Spirito Santo, che nulla mi imputi delle mie svogliate lentezze, dei miei colpevoli ritardi, delle mie reiterate omissioni, delle mie orgogliose presunzioni, delle mie ingiustificate disaffezioni: della mia lingua incapace di pregare; dei miei occhi incapaci di illuminare; delle mie orecchie incapaci di risonanza; delle mie mani e dei miei piedi consumati dall’ozio e dal negozio.

Chissà che non sia la volta buona per dire: Vieni, Spirito Santo!
E sia Pentecoste! Bentornato, Spirito Santo!

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Don Milani, Bettoni (Acli): “Sognava una scuola inclusiva che andava incontro ai meno privilegiati”

27 Mag 2023

Anche le Acli hanno partecipato alle celebrazioni per ricordare don Lorenzo Milani, a cent’anni dalla sua nascita. Nella canonica di Barbiana, dove sorgeva la scuola destinata ai “figli dei poveri”, fondata da don Milani, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, la presidente del comitato celebrativo, Rosy Bindi, hanno ricordato l’opera di questo sacerdote che ha cambiato la storia dell’istruzione italiana. Damiano Bettoni, segretario generale delle Acli, ha preso parte alla manifestazione di apertura a Barbiana, sottolineando l’attualità del messaggio rivoluzionario di don Milani. “Nel 1965, accusato del reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile per aver difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare – ha ricordato – Milani si difese inviando una lettera ai giudici. Scrisse: ‘La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”. “Don Milani sognava una scuola inclusiva che andava incontro ai ceti meno privilegiati. Ha speso la sua vita per questo ideale e al suo esempio le Acli si ispirano per non lasciare indietro nessuno”, ha concluso Bettoni.

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Ecclesia

La scomparsa di mons. Donato Palazzo, per 39 anni al Cuore Immacolato di Maria

26 Mag 2023

di Angelo Diofano

È deceduto all’età di 91 anni mons. Donato Palazzo. I funerali si terranno sabato 27 maggio alle ore 16.30 al Cuore Immacolato di Maria, dov’è stato parroco per ben 39 anni.

Donato Palazzo era nato a Martina Franca il 23 marzo del 1932 da papà Carmelo, artigiano, e mamma Maria. Insieme alla sorella Costanza, vive l’infanzia in una famiglia radicata nella fede. Matura la vocazione in quella fucina di sacerdoti che fu la Martina del compianto mons. Giovanni Caroli; don Donato fa anche riferimento a Porziella Cipro, catechista esemplare, che sostenne le vocazioni di tanti altri sacerdoti martinesi. Dopo gli studi teologici a Napoli, dai gesuiti, è ordinato sacerdote l’1 luglio 1956; quindi diviene vicario parrocchiale alla Sant’Antonio, a Taranto, rivestendo l’incarico di assistente diocesano dell’Azione Cattolica. Successivamente egli è parroco agli Angeli Custodi, ai Tamburi e contemporaneamente cappellano all’Italsider fino al ’75. Nel ’68 don Donato prepara la visita nello stabilimento siderurgico di Paolo VI, che alla fine gli regala i propri paramenti, il calice e la patena, da allora utilizzati ogni anno nelle veglie di Natale e di Pasqua. Dal ’76 è parroco al Cuore Immacolato; nel 1989 il suo ministero incrocia un altro papa, Giovanni Paolo II, per la cui visita organizza, coordina e prepara l’incontro-festa dei giovani allo stadio Iacovone. Nel 2015 don Donato Palazzo si dimette da parroco per raggiunti limiti di età, collaborando con il suo successore, monsignor Giovanni Chiloiro fino a quando le forze lo hanno sostenuto.

Così consigliava ai giovani sacerdoti: “Che trovino ogni giorno uno spazio da dedicare alla riflessione, non in Chiesa, ma passeggiando per le strade, per lasciarsi interpellare dagli avvenimenti e dalle domande delle persone che si incontrano. Faccio mio l’appello di papa Francesco ai giovani nell’incontro pre-sinodale di non vivere iper-protetti ma di raccogliere le sfide della realtà e, inoltre, di attingere all’esperienza degli anziani e ascoltarli”. 

Foto di G. Leva

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Politica italiana

Anche l’Europa, dopo Svimez e Aci, boccia di fatto l’autonomia differenziata

26 Mag 2023

di Silvano Trevisani

Non ci sono solo la Svimez e l’Anci a bocciare l’autonomia differenziata, ma ora anche la commissione europea esprime decise riserve. Nel report sull’Italia, l’esecutivo europeo afferma che “La legge richiede che questa riforma sia neutrale dal punto di vista del bilancio pubblico. Tuttavia, senza risorse aggiuntive, potrebbe risultare difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la mancanza di un meccanismo perequativo. Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica”.

Insomma: per attuare l’autonomia differenziata secondo la sciagurata legge Calderoli occorrerebbero un mare di soldi aggiuntivi, per evitare che la maggiore ricchezza delle regioni del Nord vada a scapito del resto del Paese, ma siccome queste risorse non ci sono affatto, non è possibile attuare l’autonomia differenziata senza dirottare i soldi dalle regioni meridionali verso il Nord Quindi: senza peggiorare le già pessime condizioni dei servizi essenziali che il Sud ha rispetto al Nord.

Il parere di Svimez

L’autonomia differenziata – sostiene Svimez – delineata dal Governo espone dunque l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capaci tà competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche. Si delinea in sostanza uno scenario di crescente “specialità” delle regioni a statuto ordinario con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese. Con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro di frammentazione, si aggiungono i rischi di un “congelamento” dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi», si legge nella relazione”.

Appare dunque contraddittorio – prosegue Svimez – che mentre la “nuova” Europa (che solo temporaneamente ha accantonato l’austerità) ha fatto sua l’idea che le disuguaglianze vanno ridotte non solo per motivi di equità ma perché la coesione aiuta la crescita, rischiamo di perseverare diabolicamente nell’illusione che la strada da seguire sia il sovranismo regionale dei più forti”.

Da parte della Lega, si sostiene che la modifica alla Costituzione è già stata prodotta nel 2001 da un governo a guida si centrosinistra. Ma dimentica che quella modifica fu imposta dalla Lega nel sostegno al governo dopo la rottura con Berlusconi. Il fatto che il titolo V sia stato sciaguratamente modificato per attribuire le attuali competenze alle regioni, a tutto danno della armonizzazione dei servizi, non giustifica una sciagura ancora maggiore.

La nuova “fase” della Lega

Ma cosa spinge Calderoli, l’autore del famigerato Porcellum, sistema elettorale iniquo, a premere su quella che di fatto è una secessione economica? Semplice: nelle precedenti tornate elettorali, Salvini, che poteva vantare un consenso crescente, ha messo da parte l’attributo “Nord” che si accompagna al nome della Lega, sicuro di ottenere così unanimi consensi, che diversamente non avrebbe ottenuto, in tutto il Paese. Ora, dopo il drastico ridimensionamento del suo partito nelle ultime politiche, a tutto vantaggio di Fratelli d’Italia, le frange separatiste della Lega sono tornate alla carica e hanno imposto a Salvini un ritorno ai vecchi motivi che erano a fondamento del leghismo. Da parte sua, la Meloni deve, in qualche modo, pagare il suo debito nei confronti della Lega, dal momento che la battaglia per il presidenzialismo è in netta controtendenza con la pulsioni autonomistiche. Del resto, nel Centrosud tutti i partiti e cittadini dovrebbero opporsi a un’iniziativa che non ha niente a che fare con la politica, ma solo con gli egoismi di chi vede il resto dal Paese solo al suo servizio.

Come finirà? Lo vedremo nei prossimi mesi, anche se le prime iniziative contrarie sono già partite. Nella scuola sono state raccolte già 90.000 firme contro la proposta che dividerebbe il Paese anche sul piano culturale e formativo. Avviate anche le prime iniziative popolari mentre anche in Puglia, l’assessore alla Sanità Pelese prevede che, se il governo dovesse proseguire nella sua iniziativa, si partirà con una iniziativa referendaria.

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Ecumenismo

A Martina, l’incontro ecumenico “La fede nell’unità della Chiesa di Cristo”

26 Mag 2023

di Mario Di Serio

L’unione nella fede, l’incontro fraterno, la condivisione, l’ascolto e la riflessione, questi sono stati i punti essenziali che hanno animato l’incontro ecumenico vissuto con interesse e curiosità da parte di molti fedeli accolti nel salone della parrocchia “Divino Amore” a Martina Franca.
Il Rinnovamento nello Spirito Santo nato come movimento carismatico, oggi realtà ecclesiale nelle sue funzioni di formazione e di evangelizzazione, ha organizzato l’incontro, primo in provincia di Taranto, a cui hanno partecipato Filippo D’Alessandro, direttore regionale del Rinnovamento nello Spirito Santo e delegato per l’ecumenismo, Gianni Caito, pastore della chiesa evangelica Life Church Italia, don Giuseppe Ancora, parroco della “Divino Amore” e Rossella De Bartolomeo, coordinatrice della diocesi tarantina del Rinnovamento nello Spirito Santo.

Occasione propizia oltreché oggetto di riflessione sull’importante tema dell’ecumenismo, è stata la presentazione del libro di Filippo D’Alessandro dal titolo “Siano una cosa sola” che è l’emblema di ciò che si è discusso nel confronto e soprattutto il significato stesso dell’ecumenismo.

L’etimologia della parola di origine greca ci rivela il significato e la ricerca di una stretta collaborazione ed integrazione tra tutte le chiese cristiane: ortodossa, protestante, cattolica.

Il testo è semplice e fruibile, non accademico ma a disposizione di quanti sono animati da curiosità ed interesse su ciò che è l’essenza della fede cristiana, nell’accoglienza e nella comunione, mai snaturando le proprie radici che siano cattoliche, ortodosse o protestanti. “È importante comprendere meglio cosa è accaduto nei secoli, perché le diverse confessioni si differenzino tra loro, ma questo non per porre l’accento su quello che ci differenzia, ma perché è importante sapere chi siamo noi e gli altri, perché la conoscenza rafforza l’amore”, la riflessione dell’autore del libro Filippo D’Alessandro, che ha proseguito: “l’ecumenismo non è un minestrone, non è qualunquismo o relativismo, non è sincretismo, ma è l’amore di Gesù che ci spinge ad entrare in relazione con gli altri”.

“L’accettazione reciproca ci porta ad essere insieme in momenti importanti, possiamo avere una relazione ecumenica solo se sappiamo chi siamo e da dove veniamo, poi il momento dell’adorazione è quello che ci unisce e ci convince e chiude le argomentazione teologiche, l’amicizia che sviluppiamo attraverso le iniziative e la formazione”, le parole di Gianni Caito che ha raccontato la sua esperienza di conversione e fede, unita all’amicizia con Filippo D’Alessandro grazie alle numerose esperienze ed iniziative realizzate in seno al dialogo ecumenico.

“L’ecumenismo è un movimento straordinario, frutto dello Spirito, che ripercorre i momenti della comunità primitiva degli Atti degli Apostoli , in cui Luca dice “erano un cuor solo ed un’anima sola”, così don Giuseppe Ancora che successivamente ha aperto un momento di preghiera al quale la platea dei fedeli, assieme ai pastori della varie comunità, invitati a salire sul palco, si sono uniti in un momento di grande lode e benedizione al Signore, accompagnati dai canti e dalle musiche animate dalle voci e dagli strumenti della corale diocesana appartenente al Rinnovamento nello Spirito Santo.

Sono stati attimi di grande pace spirituale, ascolto nello Spirito in una dimensione di fratellanza, di accoglienza, di unione di cuori riconoscendo Gesù unico salvatore ed unico Signore.

Particolarmente intensa è stata l’invocazione allo Spirito Santo che costituisce il secondo momento in seno alla preghiera carismatica, dopo la lode, un momento di condivisione ed unità nei cuori per essere una famiglia unita.

Alla conclusione dell’evento c’è stato spazio per una piccola agape, altro momento di condivisione fraterna, come agli albori delle comunità cristiane primitive, condividendo cibo in gioia e fratellanza.

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Serie tv

Il caso Alex Schwazer, un duro colpo alla credibilità del mondo dell’atletica

Il marciatore azzurro nel 2016 – foto Getty Images
26 Mag 2023

di Paolo Arrivo

La sofferenza più grande del marciatore dotato di un talento straordinario non è stata quella provocata dagli allenamenti o dalle gare, ma dalla parabola discendente alla quale si è autocondannato dopo il trionfo massimo. La causa? L’eccesso di felicità. Quella provata da Alex Schwazer nel momento in cui ha vinto il titolo nella 50 km ai Giochi Olimpici di Pechino 2008, andando oltre i propri sogni – quando era bambino guardava alle Olimpiadi sognando solamente di partecipare. All’apice ha fatto seguito la discesa infernale. “Il caso Alex Schwazer” è raccontata nella serie Netflix tra le più viste oggi in Italia. Prodotta da Indigo Stories, scritta e diretta da Massimo Cappello, ripercorre e documenta l’incubo vissuto dall’atleta del Trentino-Alto Adige: la fragilità dell’uomo che dalla vita ha avuto proprio il meglio, il massimo che si possa desiderare. Anche una storia d’amore da favola. Con la nota pattinatrice Carolina Kostner, che nel momento della prova abbandonerà il suo compagno. La prima parte attiene alla vita lasciata alle spalle.

Il dramma di Alex Schwazer

Oggi AS è un atleta squalificato per doping fino al 2024. Perché l’archiviazione del procedimento penale a suo carico, avvenuta nel 2021 in Italia, non è stata accettata dalla giustizia internazionale e dall’Agenzia mondiale antidoping. La serie tv in quattro puntate chiarisce il dramma vissuto dall’imperatore della marcia, legato un tempo alla principessa del ghiaccio, e come ci è arrivato: dai rapporti controversi avuti con il dottor Michele Ferrari, il medico associato al grande bluff del ciclista americano Lance Armstrong, all’esempio negativo degli atleti russi dopati, al senso di nausea provato proprio dopo quel grande successo che gli aveva dato notorietà esponendolo al circo mediatico. Alex Schwazer fu indotto al doping dal sistema. Tuttavia fece tutto da solo per procurarselo, raggiungendo la Turchia. Il resto è una storia piena di ombre e di domande dove si possono trovare le risposte.

La caduta e la rinascita

Dopo essere stato trovato positivo all’eritropoietina, il 6 agosto 2012, l’atleta cade: ammette subito le proprie colpe pubblicamente. Finisce vittima della gogna mediatica. Ma a poco a poco, l’uomo va incontro alla rinascita. Riacquista serenità quando prende a fare ciò che gli era stato precluso quando gareggiava. Come iscriversi all’università, studiare. Conosce la donna che sposerà: Kathrin Freund. Fondamentale l’incontro con Sandro Donati al quale si affida per farsi allenare. La strana coppia, il diavolo e l’acqua santa (il maestro dello sport è noto per le sue battaglie contro il doping), consente ad Alex Schwazer non solo di rimettersi in carreggiata, ma anche di migliorare raggiungendo i massimi livelli. Riconquista anche l’affetto della gente che gli fa sentire il proprio sostegno. Il ritorno alle gare è una cavalcata trionfale. A Roma, infatti, ai campionati del mondo a squadre di marcia, vince facile.

Di nuovo nel baratro

Come un fulmine a ciel sereno che fa esplodere il caso in tutto il mondo, oltre che in Italia, a pochi giorni dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro, viene data notizia della positività di un campione di urine prelevato il primo gennaio 2016. Stavolta lui si proclama innocente. E parte ugualmente per il Brasile sperando nel ricorso al Tas fatto dal suo legale. L’undici agosto invece cala la notte. Arriva la squalifica di 8 anni, una sentenza pesantissima, per l’accoglimento della richiesta della Iaaf. La difesa sostiene la tesi del complotto attraverso la manipolazione dell’urina. E il Tribunale di Bolzano  lo dimostra. Perché l’elevata concentrazione di DNA all’interno dei campioni di urina risultati positivi rappresenta una inspiegabile anomalia. Non per la WADA, che contesta le conclusioni riportate nelle carte processuali: il braccio di ferro non consente la sospensione della squalifica dell’atleta, che non può prendere parte alle Olimpiadi di Tokyo. L’ultimo grande sogno.

Le conclusioni

Ad aver perso, in tutta questa intricata vicenda, non è stato solamente Alex Schwazer, ma ai piani alti il mondo dell’atletica. Nella docuserie emerge chiaramente. Non può sfuggire allo spettatore di un’opera costruita con ordine, che lascia parlare il protagonista, l’allenatore e tutti i personaggi che ruotano attorno alla questione tenendone accesi i riflettori. Quanto al procedimento penale a carico del marciatore (in Italia è un reato il doping), nel febbraio 2021 il gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, ha disposto l’archiviazione. Stessa sorte per l’inchiesta sugli autori del complotto. Le motivazioni dello stesso sono riconducibili alle confessioni successive alla prima positività al doping: per preservare l’atleta, la sua salute e la carriera che ormai volge al termine, sarebbe stato meglio non parlare, ha dichiarato infine Sandro Donati. Sottacere la verità. Che, sappiamo bene, al momento opportuno va fatta emergere. La buona notizia è la serenità dell’uomo. Merito dell’amore che ha trovato, se le migliori medaglie stanno nelle piccole e grandi gioie della vita di tutti i giorni.

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Pianeta verde

La sete di giustizia sociale e climatica al “Festival dello sviluppo sostenibile 2023”

La visita di Frans Timmermans a Taranto
26 Mag 2023

di Paolo Arrivo

Diciassette giorni di eventi e incontri per sensibilizzare sui temi legati alla sostenibilità ambientale. Un impegno che dovrebbe durare un intero anno: è stata questa la mission del Festival dello sviluppo sostenibile 2023, la più grande iniziativa italiana costruita attorno alla questione rivolta ai giovani, in modo particolare.

L’obiettivo generale

Realizzare un cambiamento politico e culturale che consenta all’Italia di attuare l’Agenda 2030 delle Nazioni unite e i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). Perché sensibilizzare non basta, ormai: urge la svolta, in tempi rapidi. Un cambio di mentalità nell’approccio alle questioni economiche e sociali. Qualsiasi decisione che attiene alla vita delle comunità va riconvertita proprio nella logica della sostenibilità. Occorre ripartire dall’ordinario. Ad esempio, dalla manutenzione dei territori, piuttosto scadente oggi, dal Sud al Nord Italia. Gettare le basi per le grandi e più moderne opere da realizzare. Il Festival, tornato in presenza quest’anno, è andato in scena con un programma itinerante in cinque tappe principali: Napoli, Bologna, Milano, Torino e Roma.

Il Festival dello sviluppo sostenibile 2023 a Taranto

Nell’ambito della stessa iniziativa, abbiamo assistito ai due eventi che si sono tenuti alla Camera di commercio a Taranto, la scorsa settimana. Prima ancora all’importante incontro tra il governatore della Puglia e il vicepresidente esecutivo della Commissione europea – responsabile dell’azione per il clima e il Green Deal europeo. Il dibattito è andato in scena al teatro Fusco grazie alla collaborazione di Europe Direct Taranto. Come ha riconosciuto Michele Emiliano, la visita nel capoluogo ionico di Frans Timmermans va intesa come un bel segnale di fiducia per chi combatte, e vorrebbe veder finalmente coniugate le ragioni di lavoro salute ambiente. La sfida è vedere l’acciaio pulito nel futuro di Taranto. Tutelare l’ambiente, e migliorarlo, creando nuova occupazione, nel contempo.

Non solo parole

Nel corso dell’evento sono stati lanciati progetti in tutta Italia. Come ha fatto la Rossetto, storica azienda padovana di prodotti e soluzioni per ufficio e ambienti di lavoro, legando il tema della sostenibilità a quello della disabilità. Ci si è interrogati sui possibili scenari. Un pourparler motivato da preoccupazioni reali, sul futuro minacciato dalla persistente crisi internazionale dovuta alla guerra in Ucraina, e dalla crisi climatica. Si guarda all’SDG Summit di settembre. E a quello convocato dal Segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterrez per il 2024. Al vertice di settembre, l’Unione europea dovrà assolvere al ruolo di guida mondiale dello sviluppo sostenibile presentando la prima revisione volontaria degli SDGs.

I pericoli del futuro

L’ambiente non rappresenta l’unica preoccupazione per chi guarda al 2030 come data limite entro la quale diversi ecosistemi sono destinati a collassare – se non ridurremo le emissioni inquinanti. Un pericolo già reale è il bullismo, tra gli altri. Fenomeno tanto dilagante quanto noto. Corre anche sui social, e colpisce tanti ragazzi: va da sé che la serenità degli stessi, dei giovani da educare, è fondamentale per i costruttori di pace e della sostenibilità.

Le conclusioni

“Il settimo Festival dello sviluppo sostenibile si è concluso oggi con la presentazione alla Camera dei Deputati delle proposte per rispondere alla domanda di politiche serie e coerenti per la giustizia climatica e la giustizia sociale che emerge in maniera forte dal Paese, specialmente dopo il dramma dell’alluvione in Emilia-Romagna”. È quanto si legge in una nota dell’ASviS. La stessa Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile ha proposto una roadmap al Governo e al Parlamento per l’adozione, entro l’estate, della Strategia nazionale di sviluppo sostenibile; i Piani per l’adattamento climatico e il futuro del Paese, anche sul piano energetico; la legge sul clima e altre norme che facciano fare all’Italia un salto in avanti, anche in vista del Summit dell’Onu di settembre e della prossima presidenza italiana del G7.

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Teatro

L’allegria e le note più struggenti: Frank Sinatra rivive con “Le Fate tutte pazze”

25 Mag 2023

di Paolo Arrivo

I Grandi sono immortali. E hanno il potere di raggiungere un pubblico trasversale, compresi i giovani, abituati a ben altri generi musicali… Così Frank Sinistra può rivivere nello spettacolo teatrale portato in scena al teatro Turoldo di Taranto dall’associazione culturale “Le Fate Tutte Pazze”. Il primo obiettivo è il divertimento. Sia per gli spettatori che per gli stessi interpreti di Frank è Quiiiiiiii!!! Lo preannuncia già il titolo squillante, con otto “i” finali.

Perché Frank Sinatra? “Perché da bambina cantavo Strangers in the night nel corridoio di casa, mentre mia madre e mia nonna lavavano le altre stanze”, spiega Trizia Pulpito, con la simpatia che le è connaturata. “Perché amo il jazz di quegli anni – chiarisce meglio – intenso e allegro allo stesso tempo, con quel ritmo che non ti fa tenere ferme le gambe, e quelle note struggenti che colpiscono l’anima”.

Il ritorno de Le fate tutte pazze

La compagnia nasce nel 2014 con l’obiettivo di promuovere l’arte e lo spettacolo. Fondata da Trizia Pulpito, artista poliedrica e ironica (regista, scrittrice, attrice e cantante), che ha all’attivo diverse pubblicazioni. Come la silloge Vagiti pubblicata nel 2012 per il Papavero. Dotata di estro e generosità, la ricordiamo protagonista in un calendario Pin Up voluto per combattere pregiudizi, stereotipi e disturbi alimentari. Le fate tutte pazze sanno coniugare spettacolo e solidarietà o beneficenza. A supporto della Fondazione Ant, ricordiamo, con l’evento “Fiocchi di note”, realizzato nel dicembre 2018.

Lo spettacolo

L’idea nasce nel 2020. La pandemia impone di procrastinare il progetto. Finalmente portato a termine, con Trizia Pulpito ci saranno Barbara Capilupi e Maurizio Pulito; Cesare De Simone alla chitarra. Coreografie a cura della scuola di ballo “Seven” M. Joseph Dance. Appuntamento a domenica 28 maggio. Ingresso ore 18.30, da via Laclos 5 a Taranto, sipario alle 19. Biglietto al prezzo di 8 euro – ridotto € 6. Per info e prenotazioni 3208716514

 

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