Emergenze sociali

Gli agricoltori pugliesi in piazza per la grande manifestazione Cia

24 Ott 2023

Ci saranno anche gli agricoltori pugliesi, giovedì 26 ottobre, alla grande manifestazione nazionale di protesta organizzata da Cia agricoltori italiani che si terrà in piazza Santi Apostoli a Roma.
Cia Puglia sta organizzando pullman da ciascuna delle 6 province pugliesi.
“Saremo tantissimi dalla Puglia e da tutta Italia”, annuncia Gennaro Sicolo, presidente regionale e vicepresidente nazionale dell’organizzazione.
I temi al centro della protesta e delle proposte di Cia agricoltori sono molti, tutti partono dalle enormi difficoltà affrontate dal comparto primario negli ultimi 10 anni, con un quadro economico, reddituale, produttivo e occupazionale in grande sofferenza.
“Una delle questioni su cui da anni è necessario un risveglio della politica e delle istituzioni è lo scandaloso squilibrio nella catena del reddito tra il primo anello di tutte le filiere, vale a dire le aziende agricole, e gli ‘assi pigliatutto’ della Gdo (Grande distribizione organizzata) e delle industrie di trasformazione”, spiega Sicolo.
Il prezzo del prodotto coltivato e raccolto sul campo è enormemente inferiore a quello imposto sui banchi dei supermercati. L’ufficio studi Cia, a questo proposito, ha elaborato un’attenta analisi statistica sulla variazione percentuale tra prezzi all’origine e prezzi al consumo nel bimestre agosto-settembre 2023.
Il grano duro italiano, negli ultimi mesi, è pagato 35 centesimi al chilo, vale a dire il 494% in meno rispetto al prezzo medio di un kg di pasta. I pomodori, nel passaggio dal campo agli scaffali della Grande distribizione organizzata, vedono aumentare il loro prezzo del 230%. Agli allevatori e produttori di latte, viene corrisposto un prezzo di quasi 4 volte inferiore rispetto a quanto i consumatori sono costretti a spendere per un litro di latte.
“È una situazione di pesante e generalizzato squilibrio a danno degli agricoltori”, aggiunge Sicolo. “Lo stesso medesimo problema si riscontra per l’uva da tavola, gli agrumi, le angurie, le ciliegie, la frutta in generale, ma anche i prodotti dell’orto. Spesso, a causa dello scarsissimo valore riconosciuto agli agricoltori per il loro eccellente lavoro in termini di qualità e standard di sicurezza alimentare, mette le aziende agricole nelle condizioni di non raccogliere nemmeno, di lasciare il prodotto sulle piante, perché con certi prezzi al ribasso non si riescono a coprire nemmeno i costi di produzione. Per tenere artificiosamente bassi i prezzi da corrispondere agli agricoltori italiani, spesso si usa la clava delle massicce importazioni anche di prodotti per i quali l’Italia potrebbe essere autosufficiente. Così vengono immessi sul mercato tonnellate di prodotti di basso o bassissimo livello qualitativo provenienti da Paesi nei quali gli standard di qualità, di sicurezza alimentare e di rispetto del lavoro sono decisamente inferiori ai nostri. É una situazione grave e inaccettabile che va cambiata, per questo è importante essere a Roma il 26 ottobre. Facciamo sentire a Parlamento e Governo la nostra voce”.
foto Cia

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Gaza sotto assedio

Dall’assedio della Natività a quello di Betlemme: la testimonianza di suor Faisa Ayad

foto Ansa/Sir
24 Ott 2023

“A Betlemme la situazione si fa ogni giorno più critica e tesa. La città è ‘sigillata’, nessun palestinese può entrare o uscire perché Israele ha chiuso ogni varco con blocchi di cemento. Solo un check point risultava aperto ma esclusivamente per i cittadini stranieri. Stiamo praticamente vivendo sotto assedio”. Suor Faisa Ayad, delle francescane minime del Sacro Cuore, da oltre 20 anni a Betlemme, sa bene cosa significhi vivere sotto assedio perché, ricorda, “ero dentro la Natività quando, il 2 aprile del 2002, dentro la chiesa penetrarono oltre 240 miliziani palestinesi armati (appartenenti a Brigate al-Aqsa, Jihad islamica e Hamas, ndr.) per sfuggire alla cattura da parte dell’esercito di Israele (Idf)”. In piena Seconda Intifada (2000-2005), le più grandi città della Cisgiordania, Ramallah, Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Nablus e Betlemme, erano state invase dall’esercito israeliano. Quest’ultimo il 29 marzo 2002 aveva lanciato l’operazione “Scudo di difesa” in risposta agli attentati dei terroristi palestinesi delle settimane precedenti.

foto Ansa/Sir

Un nuovo assedio. “Per circa 40 giorni (dal 2 aprile al 10 maggio 2002, ndr.) – dice la religiosa – abbiamo vissuto sotto assedio dentro la Natività, con i carri armati israeliani fuori nella piazza e i miliziani barricati nella chiesa. Con noi c’era il padre francescano Ibrahim Faltas, che conosco molto bene perché siamo entrambi di origine egiziana e abbiamo frequentato la stessa scuola”. Quaranta giorni vissuti da ‘occupati’ da dentro e ‘assediati’ da fuori: “Oggi, dopo più di 20 anni, provo lo stesso dolore e la stessa preoccupazione” alimentati anche dalle notizie di gravi scontri tra palestinesi e esercito israeliano che arrivano da città della Cisgiordania come Ramallah, Jenin, Tubas e Nablus. Nella stessa Betlemme l’esercito israeliano, secondo quanto riferito al Sir da fonti locali, negli ultimi giorni è entrato in città più volte per arrestare delle “persone sospette”. “Questa volta, però, – avverte suor Faisa – leggo nei volti delle persone una paura più grande”. L’eco del bombardamento di Gaza e delle città israeliane evacuate rimbalza fino a Betlemme. “Nella Striscia ogni giorno si consuma una tragedia senza fine con morti, uccisioni, feriti, vite violate. Le parti in lotta colpiscono anche ospedali, chiese, civili. Noi non possiamo fare altro che pregare per le vittime, tutte, per i feriti, per la fine delle ostilità, per la pace. Io e le mie due consorelle, una brasiliana, una dello Sri Lanka, preghiamo ogni giorno davanti all’Eucarestia con queste intenzioni dentro la Basilica chiusa. Spesso ci chiediamo dove sia Dio in tutto questo ma sappiamo che il Signore ascolta il nostro grido e che dobbiamo essere forti nella tribolazione. Ci ha ascoltato durante l’assedio della Natività, lo farà anche adesso”.

Negozi chiusi a Betlemme – foto sr. Faisa Ayad

Città deserta. Dal 7 ottobre Betlemme è una città deserta: “I pellegrini sono andati tutti via, gli alberghi hanno chiuso, i negozi sono vuoti e fanno fatica a rifornirsi di cibo e beni primari. Tutto è fermo, anche le scuole. L’economia è collassata, non c’è lavoro. La povertà è tornata a bussare alle porte della popolazione”.

“Peggio ora di quando c’era il Covid – sottolinea suor Faisa -. Cerchiamo di fare il possibile per dare una mano alle famiglie fornendo loro soprattutto cibo e medicine. Ci capita molto spesso ormai di accompagnare madri di famiglia nei mercati per acquistare cibo, latte, acqua, pane. Non hanno soldi e provvediamo noi per quel che possiamo. La nostra prima preoccupazione sono i bambini. Non sanno cosa è la guerra ma ne vivono le conseguenze sulla loro pelle. Tante famiglie sono a casa, padri rimasti senza lavoro, disabili, anziani soli che devono essere accuditi. Sono più di 20 anni che sono a Betlemme e conosco tante famiglie grazie alla mia lunga esperienza di insegnamento alla Terra Santa School”. Ma non ci sono solo famiglie da aiutare: “A Betlemme, subito dopo il 7 ottobre, si sono rifugiati sei giovani di Gaza che prima della guerra lavoravano a Gerusalemme come semplici operai in alcune ditte israeliane. Quando sono arrivati – rivela la suora – non avevano altro che una busta con pochi indumenti e qualche medicina per curarsi. Con la parrocchia abbiamo cercato di aiutarli e metterli in contatto con la municipalità perché abbiano quantomeno un tetto dove stare con dignità e sicurezza”.

Betlemme, interno vuoto della Natività – foto sr. Faisa Ayad

Il Golgota e la Resurrezione. Il rumore dei razzi e dei missili si sente anche sui cieli di Betlemme: “qualche giorno fa – ricorda suor Faisa – eravamo a pregare quando abbiamo sentito il sibilo di un missile che è caduto in un campo aperto a Beit Jala. La gente è rimasta impietrita dalla paura perché non sapeva cosa fare. Non sappiamo chi lo abbia lanciato ma la paura sale ogni giorno di più. Per quanto ci riguarda noi resteremo accanto alla nostra gente, questa è la nostra vocazione. Non ho paura della morte ma sento di dover stare in mezzo a loro, musulmani, cristiani, di ogni credo perché la persona umana e la sua dignità va rispettata a tutti i livelli. Pregando nella grotta della Natività, ormai vuota, ho chiesto a Gesù che la guerra finisca presto. So che ci farà questa grazia”.

“La Terra Santa – conclude – non può essere solo Golgota ma deve essere anche e soprattutto il sepolcro vuoto della Resurrezione. Per questo in momenti come l’attuale preghiamo il Triduo pasquale perché, dopo il Venerdì santo, viene sempre la Domenica di Resurrezione”.

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Sport

Basket, Fasano ko: ancora un trionfo per la Nuovi Orizzonti in Coppa Campania

Il gruppo Dinamo - foto G. Leva
23 Ott 2023

di Paolo Arrivo

Conosce solamente il linguaggio della vittoria. E sa imporsi fuori casa giocando con personalità, come se non fosse una neopromossa tra le squadre che affronterà nella serie B nazionale: dopo l’esordio vincente in terra lucana, la Nuovi Orizzonti sconfigge anche Fasano conquistando la finale del girone A della Coppa Campania, ovvero l’accesso alla final four, in programma il 16 e 17 dicembre. Una partita giocata a senso unico – risultato finale di 58-42 (16-6, 25-7, 42-21). Una grande prestazione, sia in difesa che in attacco, e la sensazione che le ragazze allenate da William Orlando debbano ancora esprimere al meglio tutto il loro potenziale. Bene le ucraine Yaroslava Ivaniuk e Nataliya Smaliuk in doppia cifra. Il tecnico tarantino ha dato spazio a tutte le sue giocatrici convocate, non potendo contare su Alice Turco e Mari Panteva. Quest’ultima è stata tenuta a riposo precauzionale.

 

Il match, Fasano – Taranto

La Nuovi Orizzonti scende in campo con Gismondi, Tagliamento, Lucchesini, Ivaniuk e Smaliuk. È capitan Gismondi a sbloccare dalla lunetta il risultato. Accade dopo ben tre minuti di gioco. Reagiscono le padroni di casa, le triple di Lucchesini le tengono a distanza. I primi cambi: entrano Martelli, Molino e Varvaglione. Il parziale si chiude sul 16-6 in favore di Taranto. Protagonista Smaliuk in avvio del secondo quarto: canestro, tripla, e di nuovo canestro. La difesa è un muro invalicabile. Si va al riposo sul 25-7, infatti. A scatenarsi nel secondo tempo è l’altra ucraina, Ivaniuk, due volte a segno. Poi Tagliamento porta il risultato sul 34-10. Fasano è costretta a provarci dalla lunga distanza per accorciare il gap; Taranto la punisce in contropiede con Martelli (42-21). Nell’ultimo parziale la Dinamo può gestire. E anche divertirsi, trascinata dalla giovane Molino, che dà prova del suo talento in campo. Il vantaggio sfiora i trenta punti grazie alla tripla di De Pace. Inutile il tentativo di rimonta della squadra locale, alla quale non basta il contributo di Skapin (14 punti, top scorer della serata). A far festa, nel nuovo palazzetto dello sport di Fasano, è Taranto.

 

Serie B, l’attesa è terminata

Siamo entrati nella settimana che condurrà la Dinamo Taranto alla prima attesa sfida di campionato. Ancora una trasferta per le nostre ragazze che saranno impegnate sul campo della Virtus Academy Benevento. Il match di domenica prossima ventinove ottobre, star alle 18.30, rappresenta soltanto l’inizio di una stagione da vivere con entusiasmo. Mercoledì la presentazione della squadra. Occasione per far conoscere alla cittadinanza (ore 18, appuntamento al ristorante “Al Faro”) le protagoniste della prossima serie B nazionale.

 

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Cinema

Alla Festa del cinema di Roma, ‘Palazzina LAF’ di Michele Riondino

foto Palomar
23 Ott 2023

di Sergio Perugini

Un esordio nel segno del cinema di impegno civile, non distante dall’orizzonte alla Ken Loach. È l’opera prima di Michele Riondino, ‘Palazzina LAF’, che racconta una pagina di abuso di potere, di mobbing, in ambito lavorativo. Con sguardo duro e tagliente, Riondino racconta l’isolamento di 79 lavoratori nell’Ilva di Taranto, relegati in una struttura nota appunto come Palazzina LAF, un modo per disincentivare adesioni o agitazioni sindacali. Un film politico, vibrante, necessario. Nel cast Elio Germano, Vanessa Scalera, Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon; produce Palomar, Bravo, Bim e Rai Cinema.

 

 “Palazzina LAF”

Elio Petri, Mario Monicelli, ma anche l’universo lavorativo tratteggiato dai vari “Fantozzi” sono tra i riferimenti di Michele Riondino nel realizzare il suo primo film da regista, “Palazzina LAF”. A bene vedere, nel suo sguardo si coglie molto del cinema di impegno civile di matrice europea, in testa quello di Ken Loach e dei fratelli Dardenne. Insieme allo sceneggiatore Maurizio Braucci, Riondino ha decido di mettere in racconto una brutta pagina di diritti violati nell’Ilva di Taranto alla fine degli anni ’90.
La storia. Taranto anni ’90, Caterino è un operaio dell’Ilva. In ristrettezze economiche e desideroso di dare un twist alla propria vita, accetta un ricatto dai vertici aziendali: spiare i colleghi sul posto di lavoro, soprattutto quelli coinvolti con i sindacati. Così Caterino intasca una promozione e si inserisce tra le fila di quelli spediti alla palazzina LAF. Lì sono radunati i dipendenti etichettati come “problematici”, troppo vicini ai sindacati… “Quella della Palazzina LAF – rimarca Riondino – è la storia di uno dei più famigerati ‘reparti lager’ del sistema industriale italiano. È la storia di un caso giudiziario che ha fatto scuola nella giurisprudenza del lavoro. 79 lavoratori altamente qualificati costretti a passare intere giornate in quello che loro stessi hanno definito in tribunale ‘una specie di manicomio’. Per la prima volta il confino in fabbrica fu associato a una forma sottile di violenza privata e per merito di questa sentenza un termine ancora non riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico fu finalmente introdotto. Quello della palazzina LAF fu il primo caso di mobbing in Italia”.

foto Palomar

Dopo titoli di richiamo tra cinema e serie Tv come interprete – “Dieci inverni” (2009), “Il giovane favoloso” (2014), “Pietro Mennea” (2015), “Il giovane Montalbano” (2012-15) –, Michele Riondino passa alla regia firmando un’opera che possiede carattere e densità. Forte delle proprie origini tarantine e anche di un lungo impegno civile sui temi del lavoro con “Uno maggio Taranto libero e pensante”, Riondino ha composto un film capace di unire cronaca, denuncia e umorismo nero. Da un lato rende note le tante, troppe, vessazioni subite dagli operai in un polo industriale chiave del Paese, l’Ilva, dall’altro mostra un gruppo di lavoratori vilmente “declassati” abitare un tempo sospeso e claustrofobico con un’umanità tragica e insieme farsesca.
Di quello che ci racconta il film tutto è vero, grazie a un attento lavoro di documentazione compiuto da Riondino e Braucci, l’unica licenza è il profilo del protagonista, Caterino, che Riondino ha disegnato come meschino e indolente, disposto a tutto per strappare un assegno più corposo a fine mese. Un personaggio grigio, misero, senza evidenti sussulti di coscienza.
Nell’insieme “Palazzina LAF” è un film che convince per stile e costruzione narrativa, duro e tagliente, ma mai del tutto tragico nei toni: Riondino preferisce che l’intensità giunga attraverso il cortocircuito tra dramma e grottesco, tra realismo livido e farsa. Un’opera grintosa, coraggiosa e di senso, sorretta da un cast affiatato composto da Elio Germano, Vanessa Scalera, Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon. Da ricordare, inoltre, l’intenso brano composto da Diodato, “La mia terra”.

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Editoriale

Una moda pericolosa sui social

Foto tratta dal sito www.laprovence.com
23 Ott 2023

di Emanuele Carrieri

Da parecchio tempo ormai, scienziati, ricercatori, giornalisti, esperti e studiosi analizzano e studiano le sfide social e le conseguenze più pericolose del fenomeno. Certo è che l’universo degli adolescenti è sempre più complicato da interpretare: i modelli di comunicazione influiscono sulla loro crescita e sulla costruzione della loro identità e sui valori che apprendono. Negli ultimi anni, sono stati presentati i dati di diverse inchieste e ricerche che hanno offerto una chiave di interpretazione ai numerosi fenomeni e alle troppe devianze della rete. Quella che viene a galla è una generazione che sembra quasi del tutto digitalizzata e che cerca l’approvazione e il consenso sui social. Le indagini rivelano una crescente spettacolarizzazione di sé stessi e della propria vita, una sovrabbondanza di connessione nella rete e, infine, un forte direzionamento verso un esclusivo centro di interesse. Sono aspetti molto caratterizzanti, dello stare fra gli altri, sia nei ragazzini che negli adolescenti: l’emotività è centrale nella loro vita tanto che considerano la partecipazione ai social piuttosto importante. Con tutto il rispetto, i social sono il luogo e il tempo di una apparizione dell’io, in cui si manifesta una sorta di soggezione alla parità, al fine di ottenere il gradimento del proprio pubblico. Si assiste all’aumento di fenomeni sempre più estremi e caratterizzati da comportamenti violenti e che riguardano in modo particolare il mondo degli adolescenti. La sempre più accelerata evoluzione del mondo dei social sembra offrire terreno fertile alla proliferazione di atteggiamenti sempre più esasperati: si pensi alle sfide social in cui i giovani perdono la loro vita. Adolescenti, maschi e femmine, che si sottopongono a sfide pericolose pur di ottenere consenso dai loro ammiratori e sostenitori sui social network. Il 3 ottobre passato un articolo di Daniele Zappalà su Avvenire riportava la notizia di una nuova frontiera: il gioco della virgola, così come viene chiamato in Francia. Si è capito che non si tratta di uno scherzetto da ragazzini, fra quelli che generano emulazione nei cortili di ricreazione, fra una visualizzazione e l’altra sui social. Consiste in una sequenza rapida di due colpi secchi, in direzione opposta, sulla nuca di un amico, ma cogliendolo di sorpresa. Oppure, secondo una variante, nel torcergli la nuca nei due sensi. È evidente che, se realizzato con violenza, lo scherzo può danneggiare non solo i muscoli e i legamenti del collo, ma anche le vertebre cervicali e il midollo spinale, un po’ come in certi gravi incidenti stradali capaci di provocare lesioni, lussazioni o persino fratture in una delle zone più vulnerabili del corpo. E come se non bastasse, sui social, c’è chi si è divertito a lanciare il concorso della “migliore virgola di Francia”, rendendo ancor più popolare lo scherzo. Divenuti virali, certi video totalizzano centinaia di migliaia di visualizzazioni. Il livello di allerta è cresciuto rapidamente, tanto che perfino la polizia ha divulgato un breve filmato per avvertire le famiglie e i più giovani sui dannosi rischi della pratica. Le autorità scolastiche sono in allarme e hanno diramato diversi comunicati ai vari istituti da loro dipendenti per evitare che la nuova “moda” fra i giovanissimi e giovani venga presa con leggerezza. E fioccano già sanzioni contro i ragazzi sorpresi a eseguire lo scherzo nei cortili di ricreazione o durante altre pause fra le lezioni. Per ora il “gioco della virgola” riguarda la Francia, ma i fenomeni di emulazione sui social non esibiscono passaporti ai confini. La chiave di comprensione del fenomeno ce l’ha offerta papa Francesco nel messaggio per la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si conclude con il richiamo alla responsabilità e al corretto uso della rete: “L’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui like, ma sulla verità, sull’amen, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri”. Un mondo che tende a minimizzare i problemi non può supportare le nuove generazioni.

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Sinodo

Ruffini: “Al Sinodo, testimonianze molto forti dai Paesi in guerra”

foto Vatican media/Sir
23 Ott 2023

di Maria Michela Nicolais

“In tutta la sessione pomeridiana di ieri ci sono state alcune testimonianze molto forti, appassionate e profonde dai luoghi di guerra o di sofferenza nel mondo, tra cui il Medio Oriente, l’Ucraina e l’Amazzonia: tutti i partecipanti al Sinodo hanno risposto con applausi sinceri”. Lo ha riferito ai giornalisti Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione, durante un briefing in sala stampa vaticana. “C’è stato un appello ad aiutare i giovani in un Medio oriente che sta sanguinando, ad aiutarli a non perdere la speranza o ad aver come unica prospettiva il dolore e quindi lasciare il Paese”, ha proseguito Ruffini, ricordando che il Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, arrivato alla fine della terza settimana, ha concluso stamattina l’esame della sezione B3 dell’Instrumentum laboris e sono state consegnate le relazioni di tutti i 35 Circoli minori. Ieri pomeriggio, alla 15ª Congregazione generale, erano presenti 310 membri (su 365 membri con diritto di voto), un risultato inferiore rispetto al solito perché in contemporanea c’è stata la riunione della Commissione per la relazione di sintesi. Stamattina erano presenti in aula Paolo VI 329 persone. Stasera, alle 21, c’è la preghiera del rosario in piazza San Pietro, con una speciale intenzione di preghiera per la pace.
“Il papa non c’era ieri, ma sono chiari i suoi appelli e preghiere per la pace”, ha reso noto Ruffini, specificando che le testimonianze sulla guerra “sono venute da vescovi, non vescovi, uomini e donne di diverse fasce d’età. Tanti membri del Sinodo stanno vivendo questa condizione o sono appena usciti da processi di pace che faticano a progredire”.

“Non ho vissuto qualcosa che finisce qui a Roma, ma un processo permanente in cui coinvolgere le persone a tutti i livelli della società”: così suor Nirmala Alex Maria Nazareth, superiora Generale delle suore del Carmelo apostolico, ha descritto la sua esperienza al Sinodo. “È un viaggio – ha proseguito – che mi ha rinnovato dall’interno e porterà un entusiasmo sempre maggiore alle oltre 130mila religiose che in India lavorano in ogni ambito. Ciascuno di noi si può sentire libero, senza nessun timore o pressione, e questo clima di preghiera e di silenzio ha permesso un approfondimento del mio ruolo come leader di una Congregazione”.
“Non stiamo inventando nulla, stiamo raccogliendo ciò che lo Spirito Santo ha detto alla Chiesa – ha affermato il card. Pedro Ricardo Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo (Perù), a proposito del percorso sinodale che ha coinvolto in questi due anni le parrocchie, le diocesi, di diversi paesi e continenti -. Il nuovo metodo sta dando a tutti noi non solo l’opportunità di condividere le esperienze, ma anche di vivere in piccolo l’esperienza della Chiesa universale. Esistono tensioni, come in ogni famiglia, ma c’è qualcosa che ci entusiasma. Dopo quasi 52 anni di sacerdozio, di cui 23 come vescovo, sto vedendo come la Chiesa, in mezzo alle difficoltà che vive sia all’interno che all’esterno, si mette in movimento in cammino per servire Cristo e l’umanità”.

“Corresponsabilità”: è questa, per mons. Jean-Marc Eychenne, vescovo di Grenoble-Vienne (Francia), la parola più ricorrente al Sinodo e, nello stesso tempo, la sfida da raccogliere, chiedendosi “come si può andare verso una Chiesa dove il concetto di corresponsabilità sia più presente, passando da una Chiesa in cui ci sono pochi responsabili ad una Chiesa dove tutti sono corresponsabili nell’annuncio di Cristo e del Vangelo: tutti membri del Popolo di Dio, con pari dignità e la capacità di esprimere le proprie opinioni e di partecipare alle decisioni. Quello che riguarda tutti deve essere deciso da tutti. Tutti i membri devono poter decidere, non solo piccola élite. La verità può arrivare anche dal più piccolo, dal più modesto”.

“Le risposte nel terzo millennio, davanti a queste questioni, sono altre rispetto al secondo millennio”: così mons. Franz Josef Overbeck, vescovo di Essen, ha risposto alle domande dei giornalisti su una possibile apertura del Sinodo in merito alla questione dei preti sposati. “Adesso viviamo una realtà molto severa”, ha detto il vescovo riguardo alla situazione della Chiesa in Germania: “Quasi non abbiamo più seminaristi: in questi anni ho seppellito quasi 300 sacerdoti e ne ho ordinati solo 15. Qui al Sinodo siamo insieme con tutte le Chiese orientali e ortodosse, dove si vede che anche il sacerdozio con i preti uniti in matrimonio è normale. Oggi per noi è molto dura. Vediamo cosa accadrà, un passo dopo l’altro. È una domanda anche teologica: dobbiamo chiederci non solo come salvare, ma anche come vivere la dimensione sacramentale della Chiesa. Ci troviamo di fronte ad una nuova tappa della vita della Chiesa nel terzo millennio: le risposte per me sono chiare, e sono altre rispetto a quelle del secondo millennio”. Overbeck, riferendo sul Sinodo della Chiesa tedesca, che vedrà un’altra tappa nelle prossime settimane, ha insistito sulla diversità del contesto germanico rispetto a quello romano: “La nostra è una società post-secolare: molta gente non ha alcuna idea della trascendenza, né di cosa significhi nella vita quotidiana di un cristiano, di un protestante o di un appartenente ad altre religioni. E questo cambia tutto il quadro. Nel nostro cammino sinodale, ad esempio, ci sono state grandi domande su come integrare le donne nella Chiesa cattolica. La Germania è un Paese con il 30% di protestanti, in cui metà pastori sono donne”.

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Percorsi di pace

Una telefonata tra papa Francesco e il presidente Biden per “individuare percorsi di pace”

foto Vatican media/Sir
23 Ott 2023

“Domenica 22 pomeriggio ha avuto luogo una telefonata tra papa Francesco e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. La conversazione, durata circa 20 minuti, ha avuto come argomento le situazioni di conflitto nel mondo e il bisogno di individuare percorsi di pace”. Lo rende noto la sala stampa della Santa sede.

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#stopthewarnow

Su Gaza, il silenzio dei potenti della Terra

“Prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace”: è l’esortazione rivolta ai credenti da papa Francesco

foto Ansa-Sir
23 Ott 2023

di Ibrahim Faltas (*)

Ancora morti innocenti, ancora sofferenze del corpo e dell’anima, ancora voci inascoltate. Quando si fermeranno le armi? Chi sta usando l’arma del dialogo e della Pace? In questi giorni abbiamo visto arrivare e ripartire governanti, leader e personaggi importanti, che analizzano, consigliano, parteggiano ma purtroppo tacciono e non intervengono per porre fine a questa guerra.
È giunto il momento per tutti i potenti, che hanno un ruolo importante, di far cessare il fuoco, di far deporre le armi, di tirare fuori il coraggio di uomini che siano degni dell’importante ruolo che rivestono.

foto Vatican media/Sir

Purtroppo le nostre speranze sono state deluse perché non abbiamo sentito voci che chiedono il rispetto della vita umana, non abbiamo sentito implorare con forza la pace. Solo da papa Francesco abbiamo udito parole forti, equilibrate e portatrici di verità. Perché i suoi appelli non ricevono ancora una risposta concreta? Perché il suo affermare con forza che la guerra è una sconfitta per l’umanità non spinge a comprendere che bisogna bloccare questa spirale di violenza?

Sono certo che, se potesse, papa Francesco verrebbe di persona a parlare ai cuori dei governanti, verrebbe a fermare le mani armate, verrebbe a portare una carezza ai bambini oltraggiati e indifesi. Noi, uomini di buona volontà, abbiamo solo il potere di parole e di azioni in difesa della vita. Tutti avremo sulla coscienza e dovremo rispondere a Dio e alla Storia di tanti innocenti morti, perché non siamo stati capaci di difendere il bene prezioso di ogni singola vita umana.

Sono arrivati in questi giorni in Terra Santa molti giornalisti e televisioni a documentare la brutalità della guerra. Anche i media possono fare molto in questo momento storico. La comunicazione è fondamentale: vogliamo un’informazione corretta, che non dia notizie non verificate che poi diventano strumenti di incitamento all’odio. Ciò è dannoso e non aiuta a salvare vite umane.
L’obiettivo primario per tutti deve essere solo di fermare questa guerra, per il bene dell’umanità intera, la coscienza di ognuno si risvegli per porre fine a questa disumanità che sta colpendo tante vite, e che rischia di coinvolgere il mondo.

Facciamoci tutti strumenti di Pace perché non vogliamo la guerra.

 

(*) vicario custodiale della Custodia di Terra Santa

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Angelus

La domenica del Papa – La moneta, Cesare e Dio

foto Vatican media/Sir
23 Ott 2023

di Fabio Zavattaro

Per la Chiesa domenica è la Giornata missionaria mondiale, memoria liturgica di san Giovanni Paolo II e anniversario dell’inizio del pontificato di papa Wojtyla, 22 ottobre di 45 anni fa. Domenica in cui Papa Francesco esprime preoccupazione per quanto sta accadendo in Israele e Palestina, e rinnova la sua richiesta perché si arrivi alla pace: “la guerra sempre è una sconfitta. È una distruzione della fraternità umana. Fratelli fermatevi”. Prega il papa per coloro che soffrono e manifesta vicinanza “agli ostaggi, ai feriti, alle vittime e ai loro familiari”. A Gaza è “grave la situazione umanitaria”, dice prima di ricordare, con dolore, quanto accaduto alla parrocchia greco-ortodossa di San Porfirio, colpita da diversi missili, e all’ospedale Al-Ahli: “rinnovo il mio appello affinché si aprano gli spazi, si continuino a fare arrivare gli aiuti umanitari, e si liberino gli ostaggi”. Ma non dimentica Francesco l’Ucraina: “la guerra, ogni guerra che è nel mondo è una sconfitta”.

Tornano alla mente le parole, quanto mai attuali oggi, che venti anni fa san Giovanni Paolo II pronunciava mentre il mondo era in ansia per il possibile intervento della coalizione internazionale, poi avvenuto, in Iraq: “Mai potremo essere felici gli uni contro gli altri, mai il futuro dell’umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra”.

Domenica che Matteo, nel suo Vangelo, ci porta a Gerusalemme dove Gesù è messo alla prova da discepoli dei farisei e da erodiani: filogovernativi e collaborazionisti, questi ultimi, una popolazione a sud del Mar Morto sotto la Giudea; contrari all’occupazione romana, i primi. L’evangelista, nel suo racconto, ci propone tre elementi: la moneta, il sottile inganno e la risposta spiazzante. La moneta con il volto di Cesare è il census coniata appositamente da Roma per il tributo dovuto all’impero dal popolo della Giudea, esclusi anziani e bambini. Aveva il valore di una giornata di lavoro ed era uno dei segni più odiosi per far sentire il peso della schiavitù. Il sottile inganno è la domanda sulla legittimità del tributo a Cesare e una risposta positiva poteva costare l’accusa di idolatria, una negativa, l’accusa di essere un sobillatore politico. Ma Gesù non si lascia ingannare: li chiama “ipocriti”, e pone loro una domanda: questa immagine e questa iscrizione di chi sono?

Risponde con un sorprendente realismo politico: “rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Il tributo va pagato “ma l’uomo porta in sé un’altra immagine quella di Dio” commentava Benedetto XVI: “l’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità”.

Quante volte abbiamo ripetuto, e non sempre in modo appropriato, la frase del Vangelo di Matteo. “Parole diventate di uso comune, dice papa Francesco, ma a volte utilizzate in modo sbagliato – o almeno riduttivo – per parlare dei rapporti tra Chiesa e Stato, tra cristiani e politica”. Altra lettura sbagliata, per il vescovo di Roma, la divisione tra Cesare e Dio: è una “schizofrenia” separare la realtà terrena e quella spirituale, “come se la fede non avesse nulla a che fare con la vita concreta, con le sfide della società, con la giustizia sociale, con la politica e così via”. A Cesare, afferma Francesco, “cioè alla politica, alle istituzioni civili, ai processi sociali ed economici, appartiene la cura dell’ordine terreno”, e noi siamo chiamati a dare alla società il nostro contributo “promuovendo il diritto e la giustizia nel mondo del lavoro, pagando onestamente le tasse, impegnandoci per il bene comune”. A Dio “appartiene l’uomo, tutto l’uomo e ogni essere umano. E ciò significa che noi non apparteniamo a nessuna realtà terrena, a nessun ‘Cesare’ di turno. Siamo del Signore e non dobbiamo essere schiavi di nessun potere mondano”. Gesù ci ricorda “che nella nostra vita è impressa l’immagine di Dio, che niente e nessuno può oscurare”. È quanto affermava l’anonimo estensore della lettera A Diogneto il quale scriveva, a metà del secondo secolo, che i cristiani hanno la loro cittadinanza in cielo: “abitano ognuno nella propria patria, ma come se fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri di cittadini e si sobbarcano gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera”.

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Associazionismo cattolico

Inaugurato l’anno associativo dell’Azione Cattolica

23 Ott 2023

di Elena Falcone

Venerdì 20 ottobre al seminario arcivescovile, alla presenza dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero e dell’assistente unitario diocesano mons. Carmine Agresta, in un momento bello di gioia e semplicità, è stato inaugurato l’anno associativo dell’Azione Cattolica diocesana. 

La presidente dell’associazione, Letizia Cristiano, ha presentato inizialmente il tema dell’anno incentrato sulla responsabilità e cura verso gli altri e il creato, e ha ricordato le prossime assemblee elettive parrocchiali e diocesane.

Mons. Carmine Agresta, poi, ha illustrato l’icona biblica dell’anno “Chi ha toccato le mie vesti? ” (Mc 5,21-43), il brano che ha come protagoniste principali due figure femminili: una donna affetta da perdite di sangue e una ragazza morente. “Ci troviamo di fronte a due racconti intrecciati – ha detto – Il tema di fondo è l’esperienza della fede capace di donare pienezza di vita in un contesto difficile (l’emorroissa) se non impossibile (la figlia di Giairo). È l’incontro vivo con Gesù che si lascia toccare dall’emorroissa, o che prende per mano la fanciulla morta e che quindi si lascia contaminare dal limite e dalla sofferenza umana che dona la salvezza e la vita a entrambe. L’atteggiamento e lo stile di Gesù diventa così modello di vita per il credente chiamato ad una fede capace di osare e pronta ad accogliere il desiderio di incontro, il bisogno di ridurre le distanze, e la necessità di recupero della gioia di vivere”.

Ha concluso l’incontro mons. Miniero invitando tutti ad essere protagonisti fiduciosi, a rischiare ad osare nella fede proprio come la donna del Vangelo. Il mondo ha bisogno di toccare e lasciarsi toccare dall’Amore. Questo l’auspicio e il compito di ciascuno. Ecco alcune parole dell’arcivescovo: “Dobbiamo guardare sfidando il tempo, anzi vivendo il tempo…Sia la donna che il capo della sinagoga sfidano il tempo e anche Gesù lo fa perché si lascia toccare, sfida la legge del tempo… Non dobbiamo vegliare un morto. Dobbiamo sforzarci, dobbiamo osare. Osare vuol dire non chiuderci in noi stessi, nel nostro essere tesserati, perché non è finito il tempo della ricerca dell’altro. Bisogna ricercare in altri modi… Dall’Azione Cattolica mi aspetto in questo camminare insieme questo ‘osare’ affinché ogni realtà possa vivere la dimensione missionaria per il bene di tutti”.

 

*testimonianza di una iscritta

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Hic et Nunc

L’immissione di don Mimino Damasi alla parrocchia del Rosario di Grottaglie

22 Ott 2023

di Silvano Trevisani

Una festa di incontro tra le comunità è stata la cerimonia di immissione di don Mimino Damasi nella parrocchia della Madonna del Rosario di Grottaglie. La celebrazione, presieduta dall’arcivescovo Ciro Miniero, in una chiesa gremita, ha visto la partecipazioni di numerosi sacerdoti della diocesi, soprattutto della vicaria, delle parrocchie di Grottaglie e di sacerdoti originari della città delle ceramiche. Ma anche di una nutrita rappresentanza delle parrocchie in cui don Mimino ha operato, soprattutto Regina Pacis di Lama, dove è stato parroco per 24 anni prima di partire missionario per il Guatemala.

“La parola immissione, che descrive la procedura prevista in questi casi – ha detto don Mimino, dopo aver ricevuto la benedizione dell’arcivescovo e aver declamato la professione di fede – voglio interpretarla come “in missione”, impegnandomi in questa comunità che ha mostrato da subito una singolare capacità di accoglienza. Mi auguro di saper corrispondere a pieno alle attese dei fedeli che alla Chiesa e ai sacerdoti domanda un sostegno spirituale”.

Proprio sul ruolo della missione sacerdotale aveva insistito, nell’omelia monsignor Miniero, commentando il brano evangelico di Matteo sul tributo a Cesare. “La Chiesa non interferisce con nessun potere, ma cammina nella storia e testimonia la propria fede ogni giorno. Se gli uomini credono di cogliere in tentazione il Signore è perché non riescono a comprendere come non ci possa essere commistione tra la vera divinità di Dio e la presunta onnipotenza degli uomini. Il volto di Dio si manifesta sul volto degli uomini, li trasforma in testimoni e in martiri, mai numerosi come lo sono nei nostri giorni, più ancora che in passato. Il ministero del sacerdozio consiste nel portare gli uomini a Dio e nel far scendere Dio nella vita degli uomini”.

Al termine della celebrazione, contrassegnata da un clima di commozione e da molti applausi, i doni e i ringraziamenti delle comunità incontratesi in chiesa, il ringraziamento del nuovo parroco che, ironizzando, ha scherzato sul termine “nuovo”, definendosi piuttosto “usato”.

Nelle sue parole conclusive, don Mimino ha ringraziato il Signore “per avermi accompagnato in questi quarant’anni di sacerdozio al servizio della comunità”, l’arcivescovo “per il credito di fiducia che mi accorda in questi primi passi del suo ministero episcopale nella nostra diocesi”. Ha ringraziato in particolar modo monsignor Luca Lorusso, suo predecessore come parroco del Rosario di Grottaglie, e i vice parroci don Adriano e don Francesco, tutte le comunità nelle quali ha operato, le confraternite, i sacerdoti e, in fine, la Vergine del Rosario della quale ha utilizzato le stesse parole di ringraziamento al Signore “per avere rivolto il suo sguardo su di me”.

(Foto Beppe Leva)

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Ottobre missionario

“Cuori ardenti e piedi in cammino”, l’ottobre missionario 2023

21 Ott 2023

di Giuseppe Mandrillo *

Come in ogni anno il mese di ottobre è dedicato alla preghiera e alla sensibilizzazione missionaria e ciò diventa stimolo per la Chiesa a riflettere sulla sua stessa natura, a riappropriarsi del mandato di Gesù Risorto di diffondere il suo Vangelo e ad aprire il cuore a tutto il mondo.

Il tema di quest’anno “Cuori ardenti e piedi in cammino”, in continuità con la riflessione sinodale, ci invita a condividere la passione di Gesù per la salvezza di tutti gli uomini e le donne e a condividere cammini di vita dialogici e plurali.

Quest’anno la Giornata missionaria mondiale si celebrerà domenica 22 ottobre; in preparazione, il Centro missionario diocesano, notando la difficoltà nella partecipazione ai momenti centralizzati e ritenendo compito primario dell’Ufficio l’animazione delle realtà parrocchiali, non ha proposto la veglia missionaria diocesana, ma ha inviato a tutte le parrocchie uno schema di veglia e uno di adorazione missionaria assieme a una video-testimonianza di don Mimino Damasi, di ritorno dal Guatemala, che può essere utilizzata negli incontri di catechesi o nelle assemblee parrocchiali , scaricando al seguente link: https://youtu.be/0dA8XkTLJfQ?si=-zF6y99ALt9oDSiY)

Chiaramente questa scelta si configura come una proposta che i parroci e i responsabili delle comunità possono cogliere per vivere un momento di riflessione nelle proprie sedi.

 L’idea che ha guidato il Centro missionario diocesano è che per una riscoperta della dimensione missionaria della comunità cristiana è necessario che si realizzi un discorso decentralizzato portato avanti nei luoghi di vita ordinaria delle persone e che magari possa aprire percorsi ulteriori che non si risolvano nella sola giornata celebrativa.

 

*direttore dell’ufficio missionario diocesano

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