Città

Parcheggi in città: avanzate, in un incontro, alcune proposte, non tutte condivisibili

28 Mar 2024

di Silvano Trevisani

Del problema parcheggi in città si discute da decenni. La crisi del commercio, negli ultimi anni, sta certamente acuendo la percezione del problema e un incontro tra alcune organizzazioni di operatori e dirigenti di Kyma (D’Ambrosio e Gigante) ha riproposto l’attenzione. È stato fatto il punto della situazione e sono state avanzate delle richieste, interessanti ma non tutte condivisibili, che qui riassumiamo,

Le organizzazioni del commercio Casaimpresa Confesercenti Taranto, Confimprese Taranto, Cisl Fivag Felsa, Upalap e Unsic contestano la decisione di concedere abbonamenti a prezzi agevolati ai lavoratori dipendenti che lavorano nel Borgo che dovrebbero, a loro pare, utilizzare i Park and ride di Cimino e Porta Napoli e i parcheggi meno utilizzati (Artiglieria presso mercato Fadini, Pacoret, Oberdan/Icco) per parcheggiare e recarsi al lavoro. Chiedono poi di affrettare programmata sopraelevazione dei parcheggi Oberdan e Icco.

Tra i temi affrontati anche quello di “politiche di prezzo che rendano maggiormente attrattiva l’area parcheggio Artiglieria presso mercato Fadini (attualmente scarsamente utilizzata soprattutto nelle ore pomeridiane e serali), ad esempio con l’estensione per tutto il giorno della tariffa di 0,50 / ora”.

Al margine della discussione è stata proposta “la possibilità di avviare una politica di incentivazione dedicata ai clienti/consumatori per mezzo dei cosiddetti “Buoni parcheggio”, che le imprese potrebbero acquistare da Kyma Mobilità, mettendoli a disposizione dei loro clienti”.

Va detto in primo luogo che la mancanza di parcheggi nel Borgo, a differenza di quanto accadeva anni fa, incide in maniera molto relativa sulla crisi del commercio, che ha fattori molto chiari: l’esplosione delle vendite online, la creazione dei centri commerciali, la crisi economica e l’arretramento del potere d’acquisto di una grossa fetta di consumatori, che incide in maniera norme soprattutto su settori come l’abbigliamento, lo sviluppo verticale dell’edilizia in un quartiere a forma d’imbuto produce un gran numero di permessi per gli abitanti che ora sta tornano a crescere, per il ritorno di molti dalle periferie a nuovi edifici residenziali. Non dimentichiamo, inoltre, che molti fruitori della Città vecchia, soprattutto in determinate occasioni e per determinate fruizioni, fanno utilizzo dei parcheggi del Borgo prima di inoltrarvisi. Immaginiamo cosa potrà accadere se il Parco della musica ottiene lo sperato successo in estate!

Molte giunte si sono allenate sul modo di affrontare la questione. Alcuni decenni fa erano stati proposti anche dei sylos, mai realizzati, mentre dalla dismissione di aree demaniali sono venute solo modeste boccate d’ossigeno. Va anche detto che le strisce blu in città sono assolutamente invadenti e che non tengono in nessun conto – grazie a varie giustificazioni addotte dalle vaie amministrazioni, ma non solo a Taranto – del diritto al parcheggio gratuito.

Alcune delle richieste avanzate, come tariffe ridotte, buoni parcheggio e immediata sopraelevazione dei parcheggi, sono condivisibili, ma innescare una guerra tra poveri non riconoscendo il diritto ai lavoratori a parcheggiare con tariffe ridotte non sembra davvero una buona idea. Soprattutto per la funzionalità, tutt’altro che eccellente, nonostante i vari proclami, che i parcheggi di scambio mostrano. Allungare i tempi quotidiani di un periodo complessivo di un’ora tra andate e ritorno significa creare un danno enorme. Incentivare l’uso di grandi parcheggi di chi viene in città episodicamente, sembrerebbe più logico, ma solo in via teorica. Tra l’altro ci facciamo interpreti del malumore di molti viaggiatori che, provenienti da altre regioni con Flixbus, vengono sbarcati a Cimino e che, in caso di prosecuzione del viaggio, devono raggiungere la stazione o il parcheggio porto con notevolissimo disagio. Il che induce tutti coloro che ci sono cascati, quando ancora non conoscevano il trasferimento del capolinea, a evitare per il futuro la tappa tarantina.

Insomma: il problema dei parcheggi a Taranto richiederebbe una politica mediata ed efficace, che si leghi al futuro urbanistico della città.

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Eventi in diocesi

In Concattedrale, un incontro sul mistero della Sacra Sindone

Tra fede e ragione: un’approfondita lezione del dottor Girolamo Spagnoletti, esperto sindonologo

28 Mar 2024

di Maria Silvestrini

Inizia nei Vangeli la lunga misteriosa storia che avvolge la Sacra Sindone, a Torino dal 1563. Un lenzuolo di lino di oltre quattro metri di lunghezza e largo circa un metro, conservato nel Duomo, sul quale è visibile l’immagine di un uomo che porta segni interpretati come dovuti a maltrattamenti e torture compatibili con quelli di un condannato alla crocefissione e descritti nella passione di Gesù. È davvero la Sindone il telo in cui è stato avvolto nostro Signore?

Su questo interrogativo, fra fede e ragione, si è snodata l’approfondita lezione del dottor Girolamo Spagnoletti, esperto sindonologo, e la riflessione di don Giuseppe Ruppi, nella concattedrale Gran Madre di Dio, venerdì 15 marzo. L’incontro promosso dall’Associazione Mogli dei medici italiani, presidente Mariangela Tarantino, dall’Associazione italiana maestri cattolici, presidente Maria Antonietta Spinelli, e dal Serra club, presidente Maria Cristina Scapati, è stato un momento di approfondimento scientifico e di riflessione teologica alla vigilia della Settimana santa.

Della Sacra Sindone si ha notizia all’inizio del primo millennio, quando il cavaliere Goffredo di Charny, tornando a Lirey suo paese natale nel 1353, dichiarò di avere con sè il telo che aveva avvolto il corpo di Cristo. In pieno Medioevo, quando delle reliquie si faceva un traffico e un vanto, la Sindone fu subito oggetto di profonda venerazione. Nel 1453 la reliquia fu venduta ai Savoia che nel 1578 la portarono a Torino.

Il lenzuolo è un pezzo di storia che ha attraversato i secoli, come testimoniano i rilievi ed i segni che sono emersi dai moderni studi effettuati sulla sua datazione. I più evidenti sono le bruciature causate dall’ incendio della Sainte-Chapelle du Saint-Suaire, in cui era conservato, nel 1532, che furono rappezzate dalle suore clarisse con l’intento di evitare ulteriori più gravi danni. Nel 1998 l’esame del carbonio 14 ne fissò l’origine fra il 1260 ed il 1350. Datazione messa in forse dal prelievo dei campioni analizzati e dalla difficoltà di dimostrarne una diversa origine.

Sulla impossibilità di considerarla un falso si è svolta tutta la lezione del dott. Spagnoletti. Una sorta di spiegazione in negativo proprio come l’immagine della Sindone fotografata nel 1898 da un dilettante, Secondo Pia. Se la Sindone è un falso chi ha potuto creare in maniera così precisa una immagine negativa di un uomo con la barba, 700 macchie di sangue tra piccole e grandi, segni di flagelli e di spine sul cranio, mani e piedi trafitti da chiodi? ? Una immagine contraffatta, fatta a proposito e da quale falsario? Quali pigmenti con le caratteristiche del sangue, quale modello così terribilmente simile all’Uomo dei Vangeli?

Anche la ragione ci dice che il telo torinese ha avvolto un corpo umano. L’immagine e il decalco delle ferite non potevano che essere lasciate da un cadavere su cui era stato drappeggiato il lenzuolo come prova anche la tridimensionalità dell’immagine.  Ma c’è di più, se quel cadavere fosse rimasto tale la tela non avrebbe resistito alla putrefazione. Invece, sulla Sindone torinese vi sono prove evidenti di rigidità cadaverica, ma non v’è traccia di fenomeni putrefattivi. L’immagine appare come il risultato di una energia che non conosciamo. Non sappiamo né il come, né il perché si sia formata. Non riusciamo a dare una spiegazione completa e coerente di tutte le sue caratteristiche.

Là dove la ragione si ferma supplisce la fede.  Nessuno ha assistito alla risurrezione. È Gesù stesso il rivelatore della sua risurrezione. Ai discepoli «sconvolti e pieni di paura», che credono di vedere un fantasma, egli replica in maniera diretta: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Lc 24,38-39).

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In provincia

Il ‘Resu resu’ della notte di Pasqua per le vie dei paesi

foto Cosimo Pastore
28 Mar 2024

di Angelo Diofano

In alcuni paesi del versante orientale la gioia della Pasqua sarà portata per le strade dal canto del “Resu resu”, una sorta di traslitterazione dialettale del “Resurrexit”. L’usanza viene portata avanti da otto anni a Fragagnano, Carosino e Lizzano dal gruppo dei Mandatari, dopo un’interruzione durata circa quarant’anni. Tanto rammenta un po’ quello che avviene nel capoluogo jonico la notte di Santa Cecilia con le bande musicali che annunciano l’imminente Avvento.

Il “Resu resu” (spiega Francesco Pastorelli dei Mandatari, che ha condotto un lungo studio sull’argomento) fa parte della famiglia dei canti di questua pasquali in uso in tutt’Italia, abbisognevoli però di una riscoperta. Il brano si compone di una parte iniziale costituita da un coro a cappella, che ricorda i canti dei contadini al lavoro nei campi, di una successiva più ritmata dalle percussioni con il finale che riporta alla tradizionale pizzica.

I cantori e i musicisti inizieranno il giro a Fragagnano dalla chiesa madre a partire dalle ore 23.30, dopo la benedizione finale della santa messa di Pasqua. Alle ore 4.30 i Mandatari (cui man mano si aggiungeranno elementi del posto) si sposteranno nelle strade di Carosino, dove resteranno per circa un’ora. Infine alle ore 6 il gruppo sarà a Lizzano dove porteranno per le vie del paese l’annuncio della Pasqua fino alle ore 11.30, concludendo nella chiesa di San Pasquale Baylon, al termine della santa messa.

Durante il giro, come tradizione, i Mandatari raccoglieranno offerte in denaro o in generi alimentari che verranno devolute alle Caritas dei paesi interessati all’iniziativa.

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Pulsano: ‘Imagines Passionis’ nell’ex convento dei padri Riformati

28 Mar 2024

di Angelo Diofano

La cooperativa Museion, che gestisce il Museo archeologico di Pulsano, in occasione della Settimana santa pulsanese, con la mostra “Imagines Passionis” inaugura un nuovo format dedicato alla tradizione processionale e devozionale del culto delle immagini della Passione. L’iniziativa, nel refettorio dell’ex convento dei padri Riformati (via Vittorio Veneto 105) intende celebrare e raccontare i momenti più suggestivi di una intera comunità che si stringe attorno le sue tradizioni attraverso la fotografia e le opere d’arte.

 L’iniziativa pone innanzitutto l’accento sulle opere artistiche che da sempre hanno contraddistinto la pietà popolare del contesto demo antropologico di Pulsano con l’esposizione di sculture e tele che erano custodite all’interno della chiesa conventuale di Santa Maria dei Martiri. A questo si affianca un focus fotografico sulla Settimana santa di Pulsano con immagini di Alessandra Brancone e Anna Rita Principale.

A coronamento della rassegna, una tavola rotonda che avrà luogo Mercoledì santo, 27 marzo, con inizio alle ore 19, sempre al museo, cui parteciperanno esperti e tecnici operanti nella promozione e valorizzazione dei beni culturali.
I lavori saranno aperti dal saluto del sindaco Pietro D’Alfonso, dell’assessore alla cultura Antonella Lippolis, del direttore tecnico scientifico della Museion Paola Iacovazzo e del priore dell’arciconfraternita del Purgatorio Giovanni Dimaggio. Gli interventi saranno a cura della prof.ssa Maria Guglielmetti (associazione La ‘Ngegna), del prof. Dario Durante (storico dell’arte) e del dott. Giuseppe Schiavone (tecnico restauratore).

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Diocesi

Giovedì santo, iniziano i riti tradizionali

La prima posta (di città) dei riti tarantini
28 Mar 2024

di Angelo Diofano

Per i riti tradizionali del Giovedì santo è stato predisposto il programma a cura delle confraternite del Carmine e dell’Addolorata e della basilica cattedrale.

Arciconfraternita del Carmine

ore 15, uscita delle “poste” per il pellegrinaggio agli altari della reposizione allestiti nelle chiese del Borgo e della Città vecchia.

ore 16.30, Messa in Coena Domini, memoriale dell’istituzione dell’Eucarestia, cui seguirà in piazza Giovanni XXIII la processione eucaristica con i confratelli in abito di rito.

Ore 18, tradizionale giro bandistico a cura dell’associazione musicale “Michele Lufrano” di Triggiano-Bari diretta dal maestro Davide Abbinante.

Confraternita dell’Addolorata

ore 16.30, in San Domenico, Messa in Coena Domini e adorazione all’altare della reposizione.

ore 24, inizio del pellegrinaggio della Beata Vergine Addolorata per le vie della città vecchia e del Borgo.

Basilica Cattedrale

ore 18, celebrazione eucaristica in Coena Domini presieduta dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero; a seguire sarà possibile sostare in preghiera davanti agli altari della reposizione allestiti in cattedrale, San Domenico, San Giuseppe, Santi Medici, Madonna della Salute.

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Settimana santa

Il ‘sepolcro’ al centro d’accoglienza San Cataldo vescovo

altare della deposizione a palazzo Santacroce
28 Mar 2024

di Angelo Diofano

Le ‘poste’ del Carmine, nel pellegrinaggio del Giovedì santo in città vecchia, oltre agli altari delle reposizione delle chiese di San Cataldo, Madonna della Salute, Santi Medici, San Giuseppe e San Domenico, visiteranno anche quelli della cappella di San Leonardo, nel Castello aragonese, e (questa è una vera novità) di palazzo Santacroce, in vico Seminario, dove è allocato il centro di accoglienza notturno per i senza fissa dimora “San Cataldo vescovo”.


L’idea è della responsabile Rosanna Putzolu e dei suoi collaboratori, ai quali è stata affidata la realizzazione. “L’opera è suddivisa in due parti – spiega la Putzolu –. Nel cortile sarà allestita un’ambientazione ispirata ai mestieri del mare, con una barca a remi, le reti e le nasse, mentre nella cappellina si troverà l’altare della reposizione vero e proprio, fra fiori, lampade e addobbi vari, dove sarà posto il Santissimo Sacramento. Le coppie di confratelli saranno da noi dopo aver visitato le chiese dei Santi Medici e di San Domenico”.

I tarantini potranno ammirare questa opera fino alla mezzanotte di Giovedì santo, per poi riprendere le visite l’indomani mattina.

Infine, in memoria di Pasquale Chiochia, anche quest’anno sarà allestito l’artistico ‘sepolcro’ nell’ex chiesetta della Madonna della Scala, in via Duomo, non interessata però al pellegrinaggio delle ‘poste’.

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Concerto-maditazione

La Passione di Cristo alla San Giovanni Bosco

28 Mar 2024

di Angelo Diofano

‘La Passione di Cristo in musica’ è il titolo del concerto-meditazione che si terrà Venerdì santo, 29 marzo, nella chiesa di San Giovanni Bosco, in via Capitanata, con inizio alle ore 19.30. Protagonista della serata, a cura della parrocchia, sarà il “Francesco Greco Ensemble” composto da Francesco Greco (violino), Daniele Dettoli (tastiere), Antonio Cascarano (basso), Mino Inglese (percussioni), Vito Colapietro (effetti vari), Valeria Palmieri (voce solista). Fabio Petruzzi sarà la voce narrante.

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Mostra fotografica

Settimana Santa, le mostre al centro San Gaetano

28 Mar 2024

di Angelo Diofano

Oggi pomeriggio, Giovedì Santo, dalle ore 16.30 all’1.00 di notte, al centro San Gaetano, in città vecchia, sarà possibile visitare la mostra “La sete di Dio” a cura del circolo fotografico “Il Castello”. Saranno esposte immagini tratte dal libro che porta lo stesso titolo della mostra, realizzato da mons. Emanuele Ferro (parroco della cattedrale)e da Raimondo Musolino (presidente del circolo “Il Castello”), che ripercorre, ad opera di diversi soci, i riti tradizionali della Settimana Santa a Taranto e in diversi centri della provincia (Castellaneta, Grottaglie, Lizzano, Manduria Martina Franca, Massafra, Mottola, Pulsano, Sava e Talsano).

Sempre oggi, Giovedì Santo e negli stessi orari, al centro San Gaetano sarà visitabile la mostra sui cinquant’anni del concerto del Lunedì di Passione in San Domenico, già svoltasi nei giorni scorsi al castello aragonese. Saranno esposte numerose foto relative ai concerti di musiche tradizionali della Settimana Santa tenuti dalla gloriosa Banda Centrale della Marina Militare diretta dal maestro Vittorio Manente nel tempio trecentesco, così caro ai tarantini. L’iniziativa è a cura della confraternita dell’Addolorata e dell’associazione “Vittorio Manente e la storia della Banda della Marina Militare”,

Entrambe le mostre si svolgono in collaborazione con l’associazione Symbolum.

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Beni culturali

“Il Calvario” di Grottaglie torna a risplendere per la Pasqua, dopo il restauro

27 Mar 2024

di Silvano Trevisani

Non poteva esserci momento più propizio che la vigilia del Venerdì Santo per riconsegnare alla città di Grottaglie e alla fruizione pubblica il Cristo in croce del “Calvario”. Anche se i lavori complessi di restauro non sono ancora terminati. Da sempre noto, nella toponomastica locale, come l’Arco della Croce, il luogo rappresenta storicamente il posto di congiunzione tra il centro storico e la città nuova, sorta al di fuori delle mure di cinta del Castello sovrastante. L’arco altro non è che una delle arcate che affianca la porta San Giorgio (nota anche come Porta Castello), una delle porte che delimitavano l’ingresso nella città, protetta dalle mura di cinta che furono completamente demolite dopo l’Unità d’Italia.

L’opera ceramiche del Calvario, venne realizzata nel 1958, nell’ampia nicchia, da Vincenzo De Filippis, artista ceramico, che fu anche preside dell’Istituto statale d’arte Vincenzo Calò, il quale si era ispirato, per la sua opera, alla crocifissione del Masaccio,

Attaccata dagli agenti atmosferici, l’opera era stata seriamente danneggiata e ha richiesto una laboriosa e complessa opera di restauro, affidata al Liceo artistico, prolungatasi negli anni a causa dei danni che hanno riguardato il fondo dell’ampia nicchia, ricoperto da mattonelle, necessitante di complessivo restauro.

Vincenzo De Filippis, nato a Grottaglie nel 1935, aveva compiuto i suoi studi all’Istituto d’arte, completandoli poi all’Accademia di Belle arti di Napoli. Docente di discipline artistiche e poi preside prima dell’Istituto d’arte di Potenza, poi di quello di Grottaglie, ha svolto anche un’intensa attività artistica ed espositiva. Si è spento, in piena pandemia, nel marzo del 2020.

L’opera del Calvario è stata smontata nel 2017 e trasportata al Liceo Artistico “V. Calò”. L’analisi condotta dai professori Giovanni Spagnulo e Francesco Maggio evidenziò diverse problematiche strutturali e di conservazione presenti nell’opera, inclusi problemi statici significativi come lo scollamento della parte anteriore della gamba destra del Cristo in Croce.

Così il Comune di Grottaglie descrive, in una nota, il prosieguo dei lavori: “Gli interventi di restauro e miglioramento strutturale hanno compreso la ricomposizione della parte anteriore della gamba destra del Cristo, l’incollaggio e l’integrazione delle lacune sia sul complesso scultoreo che sulle mattonelle con trama musiva di fondo, e il miglioramento statico-strutturale dell’intero manufatto. Nel 2019 l’opera è stata restituita al Comune, tuttavia, è emersa la necessità di ulteriori interventi straordinari di manutenzione della nicchia a sinistra del complesso del Calvario, stimati circa in 43 mila euro”.

“Durante i lavori di rimontaggio del gruppo scultoreo, si è riscontrato inoltre il problema delle mattonelle poste sul fondo della nicchia. Su indicazione della Soprintendenza, accertato che le mattonelle sono di tipo gres porcellanato a trama mosaico e che sono un’applicazione recente e tessere di pari dimensioni sono oramai fuori produzione, sono state rimosse e sostituite con intonaco traspirante contribuendo così a preservare ulteriormente l’opera e la struttura. L’intervento ha richiesto tempo, essendo l’opera posta in un luogo di interesse nazionale come il Castello Episcopio e ha coinvolto professionisti altamente specializzati come restauratori ceramici. Nonostante i lavori non siano completati, si è deciso di rendere l’opera visibile per consentire il consueto rito delle statue girate del Cristo in Croce, Cristo Morto e la Desolata, proprio ai piedi del “Calvario”, durante la processione dei Misteri del Venerdì Santo”.

La cerimonia di inaugurazione si terrà giovedì 4 aprile alle ore 10.30 al Castello Episcopio, alla presenza dell’amministrazione comunale; del figlio dei Vincenzo De Filippis, Giuseppe; dell’ex preside, Brigida Sforza e dell’attuale dirigente del Liceo artistico “V.Calò”, Rosanna Petruzzi e dei professori Francesco Maggio e Giovanni Spagnulo.

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Settimana santa

L’omelia di mons. Ciro Miniero per il precetto pasquale al siderurgico di Taranto

27 Mar 2024

Questa mattina si è svolto il tradizionale precetto pasquale nello stabilimento siderurgico con la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Ciro Miniero.

Riportiamo il testo integrale dell’omelia:

«La Pasqua scuota il cuore di coloro che hanno in mano le sorti dell’ambiente, della salute e del lavoro, perché Pasqua non è rassegnazione al Crocifisso ma inizio di una vita nuova».

Carissimi,
vengo a celebrare con gioia il tradizionale precetto pasquale nello stabilimento siderurgico. So che è ormai un appuntamento consolidato negli anni.

Celebrare la messa in fabbrica è un segno particolarmente audace della Chiesa. Apparecchiare la mensa eucaristica nel luogo del lavoro è una consuetudine che nelle fabbriche italiane fin dai primi decenni del secolo scorso si è andata diffondendo non senza qualche perplessità circa il ruolo stesso della Chiesa e il dialettico rapporto con il mondo del lavoro. Nella notte di Natale del 1968 Taranto fu il luogo mondiale di un superamento di ogni frontalità della Chiesa e la fabbrica. Paolo VI, voi mi insegnate, volle celebrare proprio qui il Santo Natale. Fu un gesto che nella sua preparazione fu accompagnato da tante critiche interne ed esterne alla Chiesa. Il Santo Montini superò ogni sospetto semplicemente portando Gesù bambino, figlio di un lavoratore, da grande anch’egli lavoratore, annunciando che l’opera delle nostre mani è santificata, fa parte del disegno di Dio. Il lavoro stesso deve essere strumento attraverso il quale l’uomo si realizza nella sua dignità e con esso si sostiene. Poco allora si sapeva di ciò che negli anni la fabbrica avrebbe sviluppato in termini di inquinamento, di salute e del vero e proprio terremoto sociale ed economico che viviamo, si può dire, quotidianamente.

 

Il senso del precetto delle feste, cosiddette comandate,trovava senso anche nella difficoltà che il lavoratore incontrava nel lasciare il luogo del lavoro. Difficoltà che oggi grazie alle turnazioni è fortemente ridimensionata. Tant’è che qualcuno potrebbe suggerirmi di organizzare una messa per voi in cattedrale e di invitarvi a prendervi parte, con la maggiore serenità che guadagneremmo in un ambiente diverso sicuramente non inquietato dalle questioni che tutti conosciamo.  

Invece no, credo che la Chiesa oggi debba venire qui, sotto un capannone, e il vostro vescovo vuole anticipare qui il triduo santo.

Perché come ci ha suggerito il profeta nella prima lettura:
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare 
una parola allo sfiduciato. (Is 50, 41 -7)

E la mia parola è semplicemente Gesù di Nazareth. L’umile Maestro di Galilea, che noi professiamo come Figlio di Dio. Celebrare qui ci fa bene e ci ricorda che Lui si è proclamato Signore del Sabato (cfr. Mc 2, 23-28), ha voluto dirci che ogni legge è e deve essere per il benessere dell’uomo, della sua dignità, della sua salvezza. Il racconto di ogni miracolo del Vangelo, di ogni perdono scaturito dal cuore del Messia misericordioso, è declinato a partire dalla centralità dell’uomo davanti allo sguardo di Dio.

 

Forse che non abbiamo bisogno principalmente qui, in Acciaierie Italiane di operare la metafora di una rivoluzione copernicana al pari di una rivoluzione cristiana? E cioè consistente nella dignità della persona prima di ogni cosa. Oggi non è né retorico e né scontato riaffermare che prima di tutto viene la persona. La persona è fatta di salute, di benessere, di futuro e di relazioni sane. Sarebbe scontato e retorico se i fatti a Taranto attestassero questa verità. Ma con che coscienza mai potremmo dire che qui stiamo bene? Il crogiolo di problemi derivanti da questo luogo arde molto di più degli altoforni.

Cosa avrebbe fatto il Signore? Avrebbe messo al centro l’operaio e l’ammalato, nel bel mezzo della sinagoga, durante il giorno del riposo (cfr Mc 3,1-6). Gli avrebbe fatto stendere l’arto segnato dalla malattia come per l’uomo dalla mano inaridita. Avrebbe fatto sì che tutti notassero la vita ferita di questo figlio e che per ciascuno diventasse un’emergenza. Avrebbe riposizionato tutta la gerarchia dei valori a partire dalla situazione contingente, accelerando su ogni altra priorità. Avrebbe smascherato ogni ipocrisia e convenzione come solo un cuore libero dai lacci del potere e dei soldi può fare. Il Signore avrebbe sciolto ogni legaccio perdonando e sanando.

L’uomo al centro. Così Dio vuole.

La Chiesa ha il compito di annunciare questo. Non ho la soluzione del problema, ma sono sicuro di offrire un criterio stabile, infallibile e attuabile a tutti i livelli, specie a chi ha la responsabilità di cambiare le cose. La vicenda di Cristo e di Ponzio Pilato, che in questi giorni risuonerà nelle liturgie particolarmente familiare, ci insegna che chi ha responsabilità ha di conseguenza colpe più grandi.
Il criterio è ripartire sempre dall’umanità sotto lo sguardo di Gesù Cristo con il coraggio di non anteporre né leggi né interessi alla dignità e alla salvaguardia dell’uomo.

 

Nei mesi passati ho capito quanto questa città sia stanca ed esasperata. In una mia intervista riferendomi ad una questione imminente circa la prospettiva di una chiusura dello stabilimento senza un piano che tutelasse l’ambiente e le famiglie, buttando al vento gli sforzi o comunque sia gli intenti di questi anni, gran parte dell’opinione pubblica ha percepito le mie parole con un senso diametralmente opposto a quello che avrei voluto esprimere. Superato il dispiacere ho avuto ancora più chiara il dolore di questa terra, il nervo sensibile e infiammato di anni di ingiuste e soverchianti sofferenze.

La Pasqua è passaggio verso una terra promessa. È una terra vera che l’annuncio certo di Gesù Cristo ci fa intravedere e imprime al nostro passo il ritmo della speranza. Per questo guardando Cristo, statura di ogni uomo, a Lui, che caricandosi dei pesi dell’umanità per riscattare ogni persona, il mio augurio per voi è questo: che passando in mezzo alle tante difficoltà non venga mai più ipotecato il vostro futuro, non venga mai più sacrificata la dignità dell’uomo, che ognuno scopra la propria vocazione alla responsabilità, alla custodia dei propri fratelli e sorelle. 

Da questo luogo, che spesso è calvario, si elevi con coraggio l’augurio pasquale, augurio scritto con i vostri volti, con le vostre fatiche, con le vostre incertezze, perché la Pasqua sia finalmente resurrezione di buona volontà e di coscienza, di verità e di libertà.

La Pasqua scuota il cuore di coloro che hanno in mano le sorti dell’ambiente, della salute e del lavoro, perché Pasqua non è rassegnazione al Crocifisso ma inizio di una vita nuova.

Lo dobbiamo a voi. Lo dobbiamo alla nostra Taranto. Questo è il mio augurio e la mia preghiera per voi.

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Settimana santa

L’omelia di mons. Ciro Miniero per il precetto pasquale al siderurgico di Taranto

27 Mar 2024

Questa mattina si è svolto il tradizionale precetto pasquale nello stabilimento siderurgico con la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Ciro Miniero.

Riportiamo il testo integrale dell’omelia:

«La Pasqua scuota il cuore di coloro che hanno in mano le sorti dell’ambiente, della salute e del lavoro, perché Pasqua non è rassegnazione al Crocifisso ma inizio di una vita nuova».

Carissimi,
vengo a celebrare con gioia il tradizionale precetto pasquale nello stabilimento siderurgico. So che è ormai un appuntamento consolidato negli anni.

Celebrare la messa in fabbrica è un segno particolarmente audace della Chiesa. Apparecchiare la mensa eucaristica nel luogo del lavoro è una consuetudine che nelle fabbriche italiane fin dai primi decenni del secolo scorso si è andata diffondendo non senza qualche perplessità circa il ruolo stesso della Chiesa e il dialettico rapporto con il mondo del lavoro. Nella notte di Natale del 1968 Taranto fu il luogo mondiale di un superamento di ogni frontalità della Chiesa e la fabbrica. Paolo VI, voi mi insegnate, volle celebrare proprio qui il Santo Natale. Fu un gesto che nella sua preparazione fu accompagnato da tante critiche interne ed esterne alla Chiesa. Il Santo Montini superò ogni sospetto semplicemente portando Gesù bambino, figlio di un lavoratore, da grande anch’egli lavoratore, annunciando che l’opera delle nostre mani è santificata, fa parte del disegno di Dio. Il lavoro stesso deve essere strumento attraverso il quale l’uomo si realizza nella sua dignità e con esso si sostiene. Poco allora si sapeva di ciò che negli anni la fabbrica avrebbe sviluppato in termini di inquinamento, di salute e del vero e proprio terremoto sociale ed economico che viviamo, si può dire, quotidianamente.

 

Il senso del precetto delle feste, cosiddette comandate,trovava senso anche nella difficoltà che il lavoratore incontrava nel lasciare il luogo del lavoro. Difficoltà che oggi grazie alle turnazioni è fortemente ridimensionata. Tant’è che qualcuno potrebbe suggerirmi di organizzare una messa per voi in cattedrale e di invitarvi a prendervi parte, con la maggiore serenità che guadagneremmo in un ambiente diverso sicuramente non inquietato dalle questioni che tutti conosciamo.  

Invece no, credo che la Chiesa oggi debba venire qui, sotto un capannone, e il vostro vescovo vuole anticipare qui il triduo santo.

Perché come ci ha suggerito il profeta nella prima lettura:
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare 
una parola allo sfiduciato. (Is 50, 41 -7)

E la mia parola è semplicemente Gesù di Nazareth. L’umile Maestro di Galilea, che noi professiamo come Figlio di Dio. Celebrare qui ci fa bene e ci ricorda che Lui si è proclamato Signore del Sabato (cfr. Mc 2, 23-28), ha voluto dirci che ogni legge è e deve essere per il benessere dell’uomo, della sua dignità, della sua salvezza. Il racconto di ogni miracolo del Vangelo, di ogni perdono scaturito dal cuore del Messia misericordioso, è declinato a partire dalla centralità dell’uomo davanti allo sguardo di Dio.

 

Forse che non abbiamo bisogno principalmente qui, in Acciaierie Italiane di operare la metafora di una rivoluzione copernicana al pari di una rivoluzione cristiana? E cioè consistente nella dignità della persona prima di ogni cosa. Oggi non è né retorico e né scontato riaffermare che prima di tutto viene la persona. La persona è fatta di salute, di benessere, di futuro e di relazioni sane. Sarebbe scontato e retorico se i fatti a Taranto attestassero questa verità. Ma con che coscienza mai potremmo dire che qui stiamo bene? Il crogiolo di problemi derivanti da questo luogo arde molto di più degli altoforni.

Cosa avrebbe fatto il Signore? Avrebbe messo al centro l’operaio e l’ammalato, nel bel mezzo della sinagoga, durante il giorno del riposo (cfr Mc 3,1-6). Gli avrebbe fatto stendere l’arto segnato dalla malattia come per l’uomo dalla mano inaridita. Avrebbe fatto sì che tutti notassero la vita ferita di questo figlio e che per ciascuno diventasse un’emergenza. Avrebbe riposizionato tutta la gerarchia dei valori a partire dalla situazione contingente, accelerando su ogni altra priorità. Avrebbe smascherato ogni ipocrisia e convenzione come solo un cuore libero dai lacci del potere e dei soldi può fare. Il Signore avrebbe sciolto ogni legaccio perdonando e sanando.

L’uomo al centro. Così Dio vuole.

La Chiesa ha il compito di annunciare questo. Non ho la soluzione del problema, ma sono sicuro di offrire un criterio stabile, infallibile e attuabile a tutti i livelli, specie a chi ha la responsabilità di cambiare le cose. La vicenda di Cristo e di Ponzio Pilato, che in questi giorni risuonerà nelle liturgie particolarmente familiare, ci insegna che chi ha responsabilità ha di conseguenza colpe più grandi.
Il criterio è ripartire sempre dall’umanità sotto lo sguardo di Gesù Cristo con il coraggio di non anteporre né leggi né interessi alla dignità e alla salvaguardia dell’uomo.

 

Nei mesi passati ho capito quanto questa città sia stanca ed esasperata. In una mia intervista riferendomi ad una questione imminente circa la prospettiva di una chiusura dello stabilimento senza un piano che tutelasse l’ambiente e le famiglie, buttando al vento gli sforzi o comunque sia gli intenti di questi anni, gran parte dell’opinione pubblica ha percepito le mie parole con un senso diametralmente opposto a quello che avrei voluto esprimere. Superato il dispiacere ho avuto ancora più chiara il dolore di questa terra, il nervo sensibile e infiammato di anni di ingiuste e soverchianti sofferenze.

La Pasqua è passaggio verso una terra promessa. È una terra vera che l’annuncio certo di Gesù Cristo ci fa intravedere e imprime al nostro passo il ritmo della speranza. Per questo guardando Cristo, statura di ogni uomo, a Lui, che caricandosi dei pesi dell’umanità per riscattare ogni persona, il mio augurio per voi è questo: che passando in mezzo alle tante difficoltà non venga mai più ipotecato il vostro futuro, non venga mai più sacrificata la dignità dell’uomo, che ognuno scopra la propria vocazione alla responsabilità, alla custodia dei propri fratelli e sorelle. 

Da questo luogo, che spesso è calvario, si elevi con coraggio l’augurio pasquale, augurio scritto con i vostri volti, con le vostre fatiche, con le vostre incertezze, perché la Pasqua sia finalmente resurrezione di buona volontà e di coscienza, di verità e di libertà.

La Pasqua scuota il cuore di coloro che hanno in mano le sorti dell’ambiente, della salute e del lavoro, perché Pasqua non è rassegnazione al Crocifisso ma inizio di una vita nuova.

Lo dobbiamo a voi. Lo dobbiamo alla nostra Taranto. Questo è il mio augurio e la mia preghiera per voi.

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Pasqua

Mons. Baturi (Cei): “Creare reti di amicizia dove c’è la guerra, serve una nuova immagine dell’Europa”

27 Mar 2024

di Riccardo Benotti

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla nella Domenica di Pasqua.

Una solennità che si celebra quest’anno in un mondo insanguinato: l’attentato a Mosca, le decine di migliaia di morti a Gaza e nel Medio Oriente, gli oltre due anni di guerra in Ucraina.
È un tempo carico di dolore, che richiama la Passione del Signore e il racconto della violenza, del tradimento, dell’abbandono per paura. È il paradigma del male che conosciamo, che vediamo ogni giorno. È impressionante, sembra essere sempre presenti a quei momenti in cui Cristo viene consegnato per la salvezza del mondo. Quel dolore lo conosciamo, così come conosciamo la cattiveria e la volontà di deridere. Appartiene all’inventario peggiore della nostra umanità, che in questi giorni occupa gli spazi della cronaca.

Scorge spiragli di luce?
Non possiamo ignorare le figure di compassione e di pietà nel racconto della Passione. Penso a Maria Maddalena, al discepolo che Gesù tanto amava, a Maria: c’è grande dolore e preoccupazione, ma ci sono anche punti di luce e di amore che possono illuminare la notte e farci attendere l’aurora. In fondo la Pasqua è anche questo: saper guardare e credere ai segni di bene che esistono nel mondo.
Credere nella possibilità di un mondo nuovo, che si realizzi ancora l’impossibile, ovvero una vita più grande della morte.

La Chiesa in Italia è da sempre partecipe delle situazioni di dolore del mondo.
Il popolo cristiano celebra la Risurrezione e prega, facendosi vicino agli uomini che sono sgomenti e che hanno paura. La Chiesa in Italia ha raccolto questa grande consegna dalla storia e dal magistero dei Papi: essere un segno di rinnovamento e di umanità riconciliata. Tutto ciò lo esprimiamo continuamente, anzitutto nella preghiera incessante per la fine della guerra, per la pace, per la libertà, per la riconciliazione nel perdono. E poi spendendoci per l’amicizia tra i popoli con le visite o con i fondi dell’8xmille che destiniamo alle zone più povere. A noi interessa creare reti di amicizia laddove la guerra è il più grande motore d’inimicizia e inoltre attraverso la solidarietà concreta, per alleviare le conseguenze più aspre dei conflitti che si ripercuotono sempre sui popoli indifesi. In Ucraina, a Gaza, nel Congo, in Siria. Vogliamo essere come il viandante misterioso che si affianca ai discepoli, mettendoci accanto agli uomini che cercano e che soffrono per consolarli e per indicare una via di speranza.

È così difficile, Eccellenza, riuscire a far dialogare popoli che spesso sono fratelli?
Tutte le volte in cui, sull’evidenza di un’umanità che ti rende fratelli, prevalgono le ideologie si manifesta l’inimicizia. Allora non ci si fa più scrupolo di violare gli altri, di cercare complici, di generare vittime. È una logica spietata, contraria al Vangelo. Una preghiera bizantina molto bella invita a dare il nome di fratello anche al nemico, ma questo può farlo soltanto il Risorto. Per questa ragione, in certi contesti
la presenza cristiana è fondamentale, perché invita all’incontro attraverso il perdono.
Se dovessero sparire i cristiani dalla Terra Santa sarebbe un male per tutti, perché i cristiani predicano una possibilità di perdono e riconciliazione.

Guardando in casa nostra, che urgenze identifica per l’Italia?
Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa. C’è poi la questione della solidarietà di fronte alla povertà economica ed educativa, che richiede lo sforzo delle autorità civili e la creatività delle comunità cristiane. Penso anche ai giovani, alla loro sofferenza talvolta gridata e talvolta muta, che diventa troppo spesso violenza verso se stessi e il proprio corpo. Dobbiamo essere compagni di questi ragazzi, dando loro una speranza.

Pochi giorni fa il card. Matteo Zuppi ha detto che “suscita preoccupazione la tenuta del sistema Paese”.
È certamente in ballo la tenuta del sistema Italia, non dobbiamo far venire meno i legami di solidarietà e di coesione, fondamentali per l’unità nazionale. Perché un Paese può crescere solo insieme e unito.

A Pioltello una scuola ha deciso di sospendere le lezioni nel giorno di chiusura del mese sacro del Ramadan. È un campanello di allarme per la presenza dei cattolici in Italia?
Sarei più preoccupato di un laicismo che non riconosca lo spazio del fenomeno religioso in termini comunitari. Vorrei che i cristiani vivessero il dialogo con tutte le religioni, sapendo riportare l’uomo alla dimensione religiosa del suo rapporto con Dio dentro un’identità chiara e un’amicizia aperta. Le cose non sono incompatibili: quando il cristianesimo non è ridotto a mero elemento sociologico o identitario, ma è aperto all’incontro con gli altri, una nazione come l’Italia può aprirsi ad altre dimensioni culturali, etiche e religiose. È un vantaggio per tutti, naturalmente nel rispetto degli ordinamenti.

A giugno si voterà per il Parlamento europeo. Cosa si attende?
Una nuova immagine dell’Europa. Ciò che sta accadendo ai suoi confini, in Ucraina ma anche a Gaza, ci parla della necessità di un’iniziativa di pace, di salvaguardia della persona umana e dei diritti delle comunità da parte dell’Europa.

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