Popolo in festa

Festa della Madonna del Carmine in zona Ferrari, a Martina Franca

16 Ago 2024

“Carissimi fratelli e sorelle, con grande gioia annunciamo i festeggiamenti in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo venerata nella contrada Ferrari nell’omonima cappella. Le feste sono occasione di incontro e di giubilo. Si fondono sulla collaborazione di tutti e rappresentano un elevato momento di condivisione, durante il quale e per il quale ci sentiamo lieti di appartenere al nostro territorio. Invitiamo tutti coloro che lo desiderano a unirsi alla nostra preghiera di lode e di ringraziamento o anche, semplicemente, alla nostra gioia di stare insieme nel festeggiare”: così annunciano i festeggiamenti in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo in contrada Ferrari il parroco don Martino Mastrovito e il consiglio pastorale della Regina Mundi (da cui dipende la cappella in zona rurale).

Questo il programma:
Venerdì 16 agosto alle ore 19 la santa messa si terrà presso la ‘Croce della Cupina’ in strada Paretone

Sabato 17, nella cappella in zona Ferrari, alle ore 19  recita del rosario e alle ore 19.30 la santa messa; alle ore 20.30, danze e musiche popolari eseguite dal gruppo ‘PopularFolk’, con panzerottata.

Domenica 18, dalle ore 9 ‘G𝐢𝐨𝐜𝐡𝐢 in 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐝𝐚’; alle 17.30 processione accompagnata dalla banda di Ceglie Messapica diretta dal m° Michele Vitale; al rientro, alle ore 19.30, santa messa presieduta da mons. Salvatore Ligorio, arcivescovo emerito di Potenza; alle ore 20.30, spettacolo del complesso ‘𝐓𝐢𝐫𝐚𝐦𝐢𝐬ù’ e alle ore 23.30 i f𝐮𝐨𝐜𝐡𝐢 p𝐢𝐫𝐨𝐭𝐞𝐜𝐧𝐢𝐜𝐢 della ditta Truppa di Latiano. Non mancheranno le luminarie, a cura della ditta Memmola di Francavilla Fontana. .

Nell’occasione don Martino Mastrovito ricorda che le sante messe, in orario estivo, saranno celebrate sabato alle ore 18 mentre con quello invernale la domenica alle ore 10.

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Rigenerazione sociale

‘La Tazzina della Legalità’, importante incarico alla presidente dell’Mcl di Torricella

16 Ago 2024

La presidente del circolo Mcl di Torricella, Grazia Pignatelli, istituirà in terra jonica un presidio della legalità per conto dell’associazione “La Tazzina della Legalità”: tale prestigioso incarico le è stato conferito dal massimo esponente di quest’ultima, dott. Sergio Gaglianese.

La presidente Pignatelli, nel ringraziare per la fiducia accordata, si impegna  dopo la pausa estiva, a tracciare un percorso di collaborazione per concretizzare le finalità e gli obiettivi del percorso associativo “ascoltando i rappresentanti di Confcommercio, Camera di Commercio, Confesercenti e altri organismi di partecipazione,  nonché l’Ufficio territoriale di governo di Taranto, rappresentato dal prefetto dott.ssa Paola Dessì, sempre disponibile al confronto sui temi della cultura della legalità e alla lotta alla criminalità organizzata”.

“L’associazione – spiega il presidente nazionale Gaglianese – intende sensibilizzare l’intera comunità alla cultura della legalità ed alla lotta alla criminalità, mettendo a rete le varie associazioni che operano sul territorio, con la società civile e le istituzioni. L’abbiamo denominata  ‘La Tazzina della Legalità’  proprio perché attorno a una tazzina di caffè ci si incontra per condividere pensieri, azioni e vissuto. Un modo per trascorrere insieme del tempo e condividere la convivialità. Una tazzina di caffè che versa una goccia del suo contenuto in un mare azzurro che rappresenta tutti noi, la trasparenza, la legalità”.

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Archeologia

A Ferragosto e nelle domeniche 18 e 25 orario serale per il Museo nazionale

13 Ago 2024

Il Museo archeologico nazionale apre di sera, nei giorni di Ferragosto e nelle domeniche del 18 e del 25, per assecondare le preferenze dei turisti. E il 15 propone anche una visita tematica dedicata al viaggio e all’“otium”.

Con il risultato incoraggiante di quasi 12mila visitatori nel periodo giugno e luglio e di oltre mille nella prima domenica gratuita di agosto (4 agosto), il Museo di Taranto si avvia al periodo più caldo dell’anno venendo incontro a turisti e visitatori. Cambiano infatti gli orari di fruizione nella giornata di Ferragosto e nelle domeniche del 18 e 25 agosto.

La visita tematica

Croceristi e visitatori sembrano preferire gli orari pomeridiani e serali, dopo giornate passate al mare, e così il MArTA asseconda questa tendenza, venendo loro incontro: il 15 agosto il Museo osserverà l’orario di apertura dalle 13.30 alle 23.00 (ultimo ingresso ore 22.30). Alle 19.30, per onorare la giornata simbolo della stagione estiva in cui ci si rigenera organizzando un viaggio o semplicemente riposando, organizza una visita tematica volta a riscoprire il viaggio nelle sue declinazioni ricorrenti nella mitologia greca e nei modi in cui gli antichi romani praticavano l’otium.

Sulle antiche ceramiche custodite dal MArTA, si ritrova il viaggio per eccellenza legato al mito degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro. Ma c’è anche il viaggio di Ulisse, reduce dalla guerra di Troia che nella rotta verso Itaca si imbatte nell’isola di Eea, dimora della maga Circe.

Nella sezione romana, i resti delle domus e delle terme rivelano, invece, i luoghi dove ci si riposava. L’otium corrispondeva al tempo libero dai negotia, le consuete occupazioni pubbliche e private.

In età tardo repubblicana e soprattutto imperiale Taranto diventa meta di soggiorno per le famiglie più agiate che, attirate dall’incantevole costa della sua chora, edificarono ville sontuose, come quella di Saturo dotata persino di un impianto termale privato. Le terme pubbliche (“Pentascinensi” e di “Montegranaro”), soddisfacevano, invece, i bisogni dell’intera cittadinanza che si concedeva momenti di relax.

Il costo della visita tematica della durata di un’ora e mezza e per un massimo di 25 persone è compreso nel biglietto di ingresso al Museo pari a 10 euro.

Le prenotazioni

La prenotazione (obbligatoria) dovrà essere effettuata al numero 099 4532112 sino ad esaurimento dei posti disponibili, comunicando il proprio nome e cognome, email, telefono e numero di partecipanti.

Cambia anche l’orario di ingresso per le domeniche 18 e 25 agosto. Il MArTA in queste giornate sarà aperto dalle 14 alle 22 (ultimo ingresso alle ore 21.30).

Nelle altre giornate il Museo archeologico nazionale di Taranto osserverà l’orario classico dalle ore 8.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso alle ore 19).

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Tracce

Mattanza, sperando si possa ancora dire

(Photo Unicef from https://www.agensir.it/)
12 Ago 2024

Quando è stata annunciata la notizia dell’attacco israeliano a una scuola a Gaza City, usata da rifugiati rimasti senza una abitazione, nel quale sono rimaste uccise un centinaio di persone, il dilemma è stato: come qualificare ora questo nuovo mattone sul muro della umana vergogna? Dopo la esclusione di parole politicamente non prudenti – shoah, olocausto, genocidio, sterminio, strage, eccidio – a seguito dei veti, delle obiezioni e delle discussioni a cui abbiamo assistito di recente, ne è rimasta soltanto una. Senza domandare il permesso ai tonni, il vocabolo più appropriato rimasto è mattanza. Quei luoghi – prima prigione allo scoperto, poi poligono vivente in fase di sperimentazione, poi, ancora, campo di concentramento e di sterminio a cielo aperto senza sepoltura, perché anche le tombe sono devastate – fanno ora pensare alla ‘camera della morte’ delle tonnare: annientamento programmato, con un fine ultimo slegato da principi etici e o morali, nessuna rotta di fuga, mare di sangue e lembi di cadavere disseminati, efferatezza o, peggio, insensibilità e indifferenza di chi persegue il proprio mestiere di carnefice. Il 19 di luglio la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha espresso la sua opinione e la sua conclusione è chiara ed evidente: l’occupazione e l’annessione da parte di Israele dei territori palestinesi sono illegali e violano il divieto di segregazione razziale e di apartheid. Lo Stato di Israele ha l’obbligo di mettere fine alla sua presenza illegale nei territori palestinesi occupati, ‘il più rapidamente possibile’. Tutte le decine e decine di risoluzioni dell’ONU sull’illegittimità delle azioni israeliane che si sono succedute dal 1948, cioè dalla nakba (parola che, in arabo, significa disgrazia) fino alla costruzione della barriera di separazione, proclamata illegale nel 2004, non hanno esibito dei risultati degni di rilievo. In questi ultimi settanta e passa anni, tanti sono stati i passi in avanti di una colonizzazione strisciante: vittime civili, detenzioni amministrative, distruzioni di case e interi villaggi cisgiordani, periodici cannoneggiamenti della Striscia di Gaza fino a questa attuale mattanza. E tutto questo contro una popolazione civile, composta, per almeno il settanta per cento, da giovanissimi e da donne, con un rigetto, per principio, delle leggi e convenzioni internazionali e dei diritti fondamentali dell’uomo. Risoluzioni, ma anche esaurienti documentazioni di accusa da parte di ONG per i diritti umani internazionali (come Amnesty International, Human Rights Watch, International Federation for Human Rights, Human Rights First e Interights) che sono state regolarmente ignorate, in un silenzio assordante di tutto l’occidente e, anzitutto, dell’Europa, dei governi, dei parlamenti e anche dei mezzi di comunicazione e di informazione. Ma questo silenzio assordante del quadro politico occidentale ed europeo – così taciturno fino a farlo sembrare quasi incapace di intendere e di volere – dopo questa sentenza ha quasi dell’agghiacciante, perché sembra comunicare la ormai definitiva acquisizione, da parte del nostro mondo, di una normalità politica incurante del tutto e di negazione rispetto al diritto internazionale, nato per evitare la ricaduta delle civiltà nei tragici errori che hanno prodotto i massacri delle prime due guerre mondiali. È un silenzio tragico e osceno, perché accetta la ritualità dei quotidiani eccidi di bambini e di donne che, come nelle tonnare, arrivano alle camere della morte: le aree degli edifici scolastici, i cortili degli ospedali, le tendopoli, ingannevoli luoghi sicuri in quella striscia di territorio in cui nessun posto può, comunque, riparare dall’arma della carestia. Ed è un silenzio anomalo, atipico, innaturale, perché non ha niente della reazione difensiva di chi ha paura e, a volte immobilizzato da una forte angoscia, trattiene il fiato. Ricorda, invece, la indifferenza di chi non si mette contro il responsabile di una azione che, ormai, deplorevole non è più. E così, le politiche della Nazione avamposto ‘democratico’ e coloniale in Medio – Oriente, rischiano di diventare le nostre stesse politiche e di rendere definitivo il ripudio, da parte di tutto l’occidente e, specialmente, dell’Europa, di tutto il sistema delle leggi e delle convenzioni internazionali, ma, innanzitutto, dei diritti fondamentali dell’uomo. Quanto grave deve essere lo shock, quanto potente deve essere la scarica elettrica per un risveglio da questo status di narcosi per esigere (‘il più rapidamente possibile’, per riprendere le parole della Corte di giustizia) il rispetto integrale di quei principi universali? Principi che solo se realizzati a favore di qualsiasi comunità in pericolo, di qualunque popolo tiranneggiato, di qualsivoglia nazione occupata e annientata, potranno valere per il resto del genere umano.

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Tracce

Un passato che adesso fa paura

Foto AFP/SIR
09 Ago 2024

di Emanuele Carrieri

È dal 31 luglio scorso, cioè dal giorno della morte di Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas assassinato, insieme alla sua guardia del corpo personale, nella capitale iraniana Teheran da un attentato di chirurgica precisione, che il mondo sta attraversando una nube di preoccupazione che, da molti anni, non era così pericolosa. Stiamo assistendo, impotenti e impauriti, ai preparativi di una guerra che, a parole, nessuno vuole ma che, a forza di dirlo e di ridirlo, sta, pian piano, diventando quasi inevitabile. Gli Stati Uniti e diversi dei loro alleati stanno posizionando le loro forze armate nella previsione di doversi schierare accanto a Israele in quello che ha tutta l’aria di essere un imminente conflitto con l’Iran. Il governo degli ayatollah, che dopo l’attentato a Teheran contro il leader di Hamas Haniyeh, ha assicurato una tremenda vendetta, non rimane certo inattivo: è inquietante e preoccupante l’incontro fra il neopresidente Masoud Pezeshkian e l’ex ministro della Difesa e segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Sergej Sojgu, che preparerebbe la strada alla fornitura agli iraniani dei più ammodernati sistemi di difesa antiaerea. Inquietante e preoccupante perché, se il passo di Mosca trovasse conferme, provocherebbe due gravi ripercussioni. Da una parte, potrebbe terminare per sempre una lunga stagione di concordia amichevole fra Russia e Israele: Netanyahu è secondo soltanto a Xi Jinping per numero di incontri con Putin, e l’URSS fu il primo paese a riconoscere lo Stato di Israele. Dall’altra parte, poi certificherebbe una intesa a vasto raggio con l’Iran tale da mettere in pericolo numerosi altri equilibri, con inevitabili scossoni in tutta la regione mediorientale. Le mediazioni e i contatti per evitare una guerra vera, totale, sono, in questi giorni, frenetici. Quello che tutti cercano, o, quanto meno, sperano, è un contenimento della crisi, o una specie di replica di quanto che avvenne nell’aprile scorso, cioè quando l’Iran portò a segno un previsto, e prevedibile, attacco con i droni e Israele rispose con una incursione su obiettivi limitati. Più passano i giorni e l’ansia cresce, più si intensificano le provocazioni e più si moltiplicano le speculazioni politiche sulla crisi, e più arduo diventa domandare e ottenere moderazione. Pesano sul presente, e sui possibili sviluppi futuri, le troppe leggerezze e i troppi abbagli del passato. Ma davvero gli Stati Uniti non si sono mai accorti della continua deriva reazionaria, oscurantista, bellicista e autocratica di Israele, o meglio, del suo attuale governo? Davvero Netanyahu era convinto che Israele non avrebbe mai subito una sola rappresaglia per le tante, troppe espropriazioni di territorio palestinese a favore dei coloni? Alla luce di quanto è finora accaduto, di quanto tuttora sta accadendo, come assolvere la esecrabile decisione di Trump di far uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, accordo che, secondo gli osservatori esterni (Onu e Ue, per esempio), stava ben funzionando e aveva portato l’Iran sotto i controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica? E che dire poi del Congresso USA che applaude fino a spellarsi le mani Netanyahu quando, con convinzione, dichiara – i bugiardi sono fenomenali quando dicono le bugie a sé stessi e finiscono, poi, per crederci – che, nella Striscia di Gaza e in modo particolare a Rafah, i militari delle forze di difesa israeliane non ammazzano i civili ma li salvano? E ora le fazioni e le milizie dell’arcipelago palestinese, oggi impegnate, prima di tutto e più di tutto, a sfruttare gli aiuti arrivati dall’esterno, sono davvero soddisfatte di quanto hanno ottenuto per la loro gente? La verità è che troppi protagonisti importanti hanno trafficato – di nascosto o alla luce del sole – per il conflitto e, adesso, cercano di disinnescare le micce che prima si sono sforzati di infiammare. Molti paesi arabi hanno, per molto tempo, amoreggiato con l’idea folle, che ancora adesso è fortemente presente non solo fra i terroristi di Hamas ma anche fra troppi palestinesi “normali”, di vedere, un giorno o l’altro, scomparire Israele: serviva, a quei paesi, per dilatare il prezzo nella contrattazione con gli Stati Uniti, per il riconoscimento dello Stato di Israele. Altri, per esempio quelli dell’Unione Europea, se ne sono lavati le mani al riparo della formuletta pilatesca “Israele ha tutto il diritto di difendersi”, senza domandarsi chi mai avrebbe protetto i palestinesi dalle prepotenze del tanto più forte coinquilino, da una espansione illegale che prosegue dal 1967, senza domandarsi se e come, in quelle condizioni, si sarebbe potuta affermarsi la formula “due popoli, due stati” che si ripete come un inutile mantra. Ma c’è di più: nessuno, nel quadro politico mondiale, ha avuto il coraggio o gli opportuni attributi di dichiarare che “nessuno ha il diritto alla rappresaglia, alla vendetta”: è una legge universale, è un principio universale del diritto. Così, siamo arrivati fino a questo punto, sotto una questa nube di paura, non per via di una casualità ma proprio perché abbiamo quel passato. Così, la nostra incapacità di tornare sui passi perduti è tale che, oltre all’azione, abbiamo perso anche il pensiero, anche la parola. Così, mentre ipotizziamo chi attaccherà chi e quando, non raccontiamo più neppure che, nel frattempo, la gente muore, continua a morire.

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Ecologia integrale

Un successo la prima Summer school di ecologia integrale del Mediterraneo

08 Ago 2024

A cura di ‘Oikos del Mediterraneo’, ‘Intrecci di speranze: tra terra e mare, cambiamo il presente’ e ‘Contatto’, la prima Summer School di ecologia integrale del Mediterraneo, dal titolo “Intrecci di speranze. Tra terra e mare cambiamo il presente”, ha riportato Taranto al centro della riflessione su nuove visioni del futuro, coniugando locale e globale e innescando nuovi processi che possano rigenerare la speranza, con lo sguardo al Mediterraneo. Non è stata solo un’occasione formativa, ma anche una grande opportunità per immaginare il futuro del Mediterraneo insieme ai giovani, partendo dalla nostra città, trasformando le vulnerabilità in punti di forza, in spinta di cambiamento.

Il percorso ha avuto inizio giovedì 25 luglio con l’inaugurazione al castello aragonese ed è terminato mercoledì 31 luglio. Allinaugurazione sono intervenuti il comandante Fabio Dal Cin, fra Francesco Zecca, presidente di Oikos, la dott.ssa Laura Mazza di Federformazione, il dott. Vincenzo Cesareo, presidente della Camera di Commercio di Brindisi-Taranto, il prof. Stefano Vinci per l’Università – Polo jonico, il dott. Lelio Miro, presidente Bcc di Bari Taranto e la dott.ssa Cristelle Ollandet, ambasciatrice per la pace nel mondo.

Circa 15 docenti di altissimo profilo, di diverse università del Mediterraneo (Parigi, Nizza, Barcellona, Pisa, Milano, Roma, Loppiano, Al-Alzhar…) sono stati impegnati nelle attività formative con i 27 giovani partecipanti, tutti molto motivati, provenienti da Italia, Egitto, Libano, Francia, Spagna, Bosnia. È stata presente anche una ong francese, Gaia First, che si occupa di oceani e di preservare gli ecosistemi marini, insieme a imprese che promuovono l’ecologia integrale. I temi che hanno animato la summer school sono stati: Mediterraneo, tra terra e mare. Il pensiero meridiano nel tempo della complessità; La città integrale. L’abitare civico, i luoghi delle relazioni; L’economia integrale. Lavoro, impresa, finanza; Le sfide del Mediterraneo, luogo di speranza sociale e ambientale. Proprio per l’importanza dei temi e per la qualità dei docenti coinvolti, sono state aperte al pubblico le sessioni mattutine.

Venerdì 26 luglio sono intervenuti nella sede dell’Università – polo jonico, via Duomo a Taranto, i prof.ri Mauro Magatti, Ugo Bellagamba, Anne Alombert e ha moderato il prof. Stefano Vinci. Anne Alombert, prof.ssa di filosofia – Università di Parigi, ha trattato il tema su: “Tre ecologie nell’Entropocene: come potrebbe essere una transizione ecologica integrale in un mondo complesso?”. Ugo Bellagamba, prof. di Storia del Diritto – Università di Nizza, ha accompagnato in una riflessione su “Utopie e mari: dalle antiche talassocrazie e isole perfette dei tempi moderni, fino alle città sottomarine sognate dalla fantascienza.” Il rapporto tra il mare e l’utopia, attraverso il modello delle isole ideali, nato dall’immaginazione di Sir Thomas More, sviluppato nel corso dei Tempi Moderni, in particolare attraverso la Città del Sole di fra Tommaso Campanella, e la Nuova Atlantide di Sir Francis Bacon per poi trasformarsi, nel corso dei secoli, alla luce della rivoluzione industriale e delle sfide climatiche dei nostri tempi, per diventare il sogno degli architetti visionari e degli autori di fantascienza. Le utopie marittime permettono anche di porre la questione delle basi della nostra socialità, tra condivisione delle risorse e uso moderato della tecnica per il governo delle città.  La riflessione è divenuta, nel pomeriggio, stimolo a lavorare in gruppi viaggiando idealmente in una Taranto speculativa, dalla costituzione perfetta, per meglio concepire la necessità dell’utopia mediterranea di “dopodomani”. Mauro Magatti, prof. di sociologia – Università Cattolica di Milano, ha guidato la riflessione su “La questione della relazione e la percezione del vivere in un ritardo cognitivo.”  Nel pomeriggio giovani e docenti sono stati accompagnati nell’escursione in mar Piccolo sulla Motonave Cala Junco, dal racconto di Giuseppe Portacci (ricercatore Cnr) e di Stefano Vinci  (prof. di Storia del diritto medievale e moderno – Università di Bari) sul tema del “Il Mare urbano”.

La seconda giornata di studio si è tenuta nella sede della Bcc di Taranto e Bari su ‘La città integrale: l’abitare civile, i luoghi delle relazioni’. Sono intervenuti i proff. Johnny Dotti (sociologo ed imprenditore sociale), Chiara Giaccardi (prof.ssa di sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica), Isabella Corradini (psicologa sociale e del lavoro), con la dott.ssa Alessandra Schmid (PhD Università degli studi Aldo Moro, Bari – architetto) che ha moderato l’incontro, tra riflessioni e confronto con l’uditorio di giovani ed appassionati della tematica. Secondo Chiara Giaccardi “abitare” è un verbo tipicamente umano, che non si addice a nessun altro essere vivente. E qual è la caratteristica dell’abitare? L’abitare veramente umano è “poetico”: interpreta, rigenera, rimane aperto all’avvenire, all’alterità, alla trascendenza. Per questo ci vogliono muri (per custodire), ma anche aperture: porte, finestre, soglie, spazi di incontro che mantengano viva la dialettica tra “dentro” e “fuori”, senza la quale l’abitare diventa difesa e attacco, quindi guerra. L’abitare davvero umano non separa ma congiunge, non frammenta ma ricuce, non ghettizza ma mescola e così dalle criticità in relazione nascono vie inattese.

Per Johnny Dotti servono nuove forme dell’abitare per generare luoghi di vita, contesti abitativi in cui le relazioni possano fiorire, non negando i conflitti, le differenze e le diverse sensibilità personali e culturali. L’uomo è relazione, tutto è in relazione e in molte lingue “vivere” è sinonimo di “abitare”. Per Isabella Corradini è sempre più necessario sviluppare la capacità di adattamento al cambiamento, adottando un approccio consapevole per vivere in equilibrio con l’ambiente fisico e sociale. Johanna Auguin ha presentato l’attività di Gaia First la cui mission è proteggere la biodiversità, ridurre l’inquinamento negli oceani e nelle acque territoriali, organizzando eventi di pulizia, sensibilizzando a ripristinare ecosistemi marini e supportando la ricerca su nuove tecnologie. Successivamente si è svolta una visita nella città vecchia guidata dalla dott.ssa Alessandra Cotugno.

Il 28 luglio il gruppo di giovani e docenti ha condiviso una giornata in fraternità per incontrare altri luoghi di bellezza come “cura”. Qualche ora al mare di Castellaneta Marina è stata l’occasione di gioco e relax, prima di raggiungere Nadia Giannico a Laterza, che ha accolto il gruppo nella sua casa per una degustazione di prodotti tipici e buon vino con le pesche. Come sempre, il momento della convivialità a tavola, ha aperto le danze e ha liberato il canto dei diversi paesi di provenienze dei giovani presenti. A Laterza hanno, poi, si è visitato l’azienda agricola “La Valle degli asini partecipando al laboratorio di produzione del sapone con latte d’asina. La giornata si è conclusa con una visita alla città di Matera.

Il 29 luglio sono riprese le sessioni formative e di lavoro, sui temi dell’ecologia integrale dalla prospettiva delle imprese e della finanza, ospitati dalla Camera di commercio di Brindisi – Taranto. Sono intervenuti Andrea Piccaluga (professore di Innovation Management alla Scuola Superiore Sant’Anna – Pisa), Carlos Rey (professore dipartimento di Economia e Business Organization, Università della Catalogna – Barcellona), Lelio Miro (avvocato, presidente Bcc di Bari e Taranto). Sergio Barbaro (professore di Diritto dell’Università Sophia) ha moderato il confronto tra docenti e partecipanti. Andrea Piccaluga ha approfondito il tema del contributo delle imprese al bene comune mentre Carlos Rey ha affermato che le aziende investono tempo e sforzi nell’ideazione di uno scopo aziendale elaborato e ben confezionato. Tuttavia, il compito più impegnativo è che tocchi davvero i cuori e le menti dei dipendenti. Questo lavoro richiede una definizione più ampia di scopo basata su tre dimensioni: conoscenza, motivazione e azione, e può attivare un processo che fa la differenza tra la semplice implementazione di un “piano di scopo” e l’impegno costante per essere fedeli allo scopo dell’azienda nel tempo. Lelio Miro ha affrontato il tema della finanza per il lavoro che può ridurre le disuguaglianze, mostrando i risultati di studi sulle Bcc che fanno registrare una riduzione delle disuguaglianze di reddito sui territori, lo sviluppo di capitale sociale, un più agevole accesso al credito per le micro-piccole imprese e una migliore capacità di accompagnarle nei percorsi Esg.

Nel pomeriggio la ConTatto Impresa Sociale ha presentato il percorso “Con-Cura” rivolto alle imprese, che ha sperimentato in una rete di imprese, avviando una nuova riflessione sui modelli di transizione verso l’ecologia integrale. Anche l’imprenditore Stefano Palombini ha portato la sua esperienza sul campo confrontandosi con gli studenti. Dopo i lavori in gruppo, i giovani si sono incontrati  sulla terrazza della cattedrale per condividere un momento di musica animato da alcuni studenti e da fra Gabriele Graniello.

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Diocesi

Il saluto del ‘Paolo VI’ ai padri conventuali della San Massimiliano

08 Ago 2024

Appena qualche mese ancora e si sarebbero festeggiati i quarant’anni della presenza dei frati francescani conventuali nel quartiere Paolo VI, un anniversario che però coinciderà con un evento triste. Infatti il ministro generale dei conventuali, fra Carlos Trovarelli, nelle scorse settimane, ha decretato per il 31 agosto la chiusura del convento tarantino. Questo, nell’ambito della riorganizzazione delle presenza dell’Ordine in tutt’Italia, scaturita anche dalla diminuzione delle vocazioni, motivo per il quale la provincia religiosa pugliese si unirà  a quella dell’Abruzzo, mantenendo in vita solo le comunità di Bari, Gravina, Lucera, Spinazzola e Copertino.

È dunque l’occasione per ricordare gli avvenimenti che caratterizzarono l’arrivo dei frati nella zona Nord del quartiere Paolo VI, gravitante attorno all’ospedale: praticamente una landa desolata, con qualche villetta e i primi palazzi in costruzione. Proprio lì l’allora arcivescovo mons. Guglielmo Motolese volle istituire la parrocchia intitolata a San Massimiliano Kolbe, affidandola ai frati francescani conventuali. In seguito ad un attento discernimento dell’allora Ministro generale, padre Lanfranco Serrini, nell’ottobre del 1984 giunsero i primi frati: padre Pietro Carluccio, primo parroco, e padre Vittorio Ciaccia.

Tanto viene rievocato da padre Salvatore Santomasi che, assieme a padre Giovanni Iuliani e padre Vittorio Ciaccia, ha ormai la valigia pronta, carica soprattutto di ricordi e di manifestazioni di affetto da parte dei ‘paolosestini’.

Quella di padre Salvatore è ormai una figura emblematica nella storia di quella porzione di quartiere, in quanto due volte parroco: dal 2005 al 2017 (sostituendo padre Emanuele Popolizio) e poi dal 2021 ad oggi, al posto di padre Giovani Foggetta. In quel territorio assai carente di servizi e non efficientemente servita dai bus del servizio urbano, a causa anche del modo alquanto dispersivo in cui furono costruiti gli insediamenti residenziali, egli non ha mai fatto mancare la vicinanza alla sua gente, attivandosi in ogni modo per lenire tale situazione di abbandono. La sua lunga permanenza al Paolo VI è stata caratterizzata da numerosi eventi, fra tutti la costruzione della nuova chiesa  che, oltre a ospitare le funzioni liturgiche, è sede di importanti avvenimenti culturali, e la realizzazione di impianti sportivi al servizio dei giovani del quartiere.

La parrocchia è intitolata al frate minore conventuale San Massimiliano Kolbe, martire della carità,che nel campo di concentramento di Auschwitz donò la sua vita per salvare quella di un papà di famiglia. Negli anni immediatamente successivi alla guerra mons. Motolese (allora segretario dell’arcivescovo Bernardi) s’impegnò con tutte le sue forze, chiedendo e ottenendo l’intercessione di San Massimiliano, per soccorrere gli internati  del campo di concentramento “Sant’Andrea”, al Paolo VI. “Perciò quando il 10 ottobre del 1982 il martire polacco fu canonizzato – spiega – egli volle intitolargli la nuova parrocchia, affidandola ai suoi confratelli conventuali,  nell’estrema periferia della città dove, ripeto, non c’era assolutamente nulla, utilizzando locali preesistenti per le celebrazioni e per la casa canonica, realizzata ex novo nel 1998”.

“Con lo sviluppo del quartiere, l’allora arcivescovo mons. Benigno Luigi Papa volle edificare la nuova chiesa, la cui prima pietra fu posta il 3 ottobre del 2011, ultimata tre anni dopo, con la cerimonia della dedicazione svoltasi il 5 ottobre del 2014” – prosegue padre Salvatore, il quale sottolinea il generoso sostegno degli abitanti del quartiere alle necessità del luogo di culto, per loro quasi una seconda casa, che donarono anche la statua del santo che nel mese di aprile viene portata in processione.

“Tutti i parroci avvicendatisi – continua – hanno impostato il loro ministero seguendo la spiritualità francescana, sull’esempio di Francesco, Chiara e, ovviamente, di Massimiliano Kolbe, con particolare impegno nell’evangelizzazione e nella difesa dei diritti dei più poveri. Importante è stato anche il nostro servizio, come cappellani, accanto agli ammalati ema-oncologici. Tutto questo nella discrezione, nello spirito del nascondimento e nella piena obbedienza alla Chiesa locale e al suo vescovo, in comunione con tutti”.

Nella lunga permanenza al Paolo VI, padre Salvatore sottolinea come l’opera dei frati sia stata illuminata e guidata dall’icona evangelica dell’invio in missione e dei cinque pani e dei due pesci, di cui parla il Vangelo, per imparare a fidarsi del Signore, che solitamente compie grandi cose quando si mette nelle sue mani il poco di cui si ha disponibilità. “Potremmo raccontare a lungo quanto abbiamo vissuto in questo lembo di terra, camminando nella Chiesa e con la Chiesa, sempre in mezzo alla gente, mettendoci anzitutto in ascolto – conclude –  Ricordo che un giorno vidi inoltrarsi fra i banchi un uomo con una valigia il quale mi disse che negli anni trascorsi da detenuto la moglie gli raccontava nei dettagli le fatiche per la costruzione della nuova chiesa e la gioia per l’inaugurazione. Così, appena uscito dalla casa circondariale, ancor prima di tornare in famiglia, egli volle visitarla. Non riuscii a trattenere le lacrime, comprendendo ulteriormente che occorre farsi piccoli per entrare nel regno di Dio”.

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Diocesi

Fragagnano, la festa patronale in onore di Sant’Antonio

08 Ago 2024

di Angelo Diofano

Nei giorni 12 e 13 agosto si svolgono a Fragagnano i festeggiamenti patronali in onore di Sant’Antonio da Padova. Secondo il racconto di Nunzia Rochira, riportato su un opuscolo del programma delle celebrazioni degli scorsi anni, il patrocinio di Sant’Antonio a Fragagnano ebbe origine nel 1904, quindi 120 anni esatti, soppiantando quello di Sant’Irene da Lecce. Da tradizione orale si tramanda che intorno all’anno 1900, durante una giornata invernale caratterizzata da una pioggia insistente, giunse a Fragagnano un  uomo su di un ‘trainu’. Preoccupato per i possibili danni all’importante carico trasportato, cioè la statua di Sant’Antonio, l’uomo si fermò in piazza presso la bottega di un sarto chiedendogli di custodire temporaneamente il simulacro, assicurando che sarebbe tornato a riprenderlo. Quindi egli proseguì il suo viaggio verso Taranto, senza però far più ritorno. In seguito a questa credenza popolare, la statua fu portata in chiesa madre. Così, come si evince dall’epigrafe posta all’interno di quest’ultima, Sant’Antonio divenne il patrono della popolazione fragagnanese, sostituendosi a Sant’Irene.

“La scelta di far svolgere la festa patronale di Sant’Antonio in pieno agosto è dovuta a una intuizione del vecchio parroco don Pasquale Busto, per favorire la partecipazione degli emigrati – spiega l‘attuale guida della comunità don Graziano Lupoli – Fragagnanesi fuori sede si ritrovano specialmente a Rivoli (in Piemonte), in Svizzera e in Germania, che tornano al paese natale per battesimi o matrimoni di congiunti e, dunque, per la festa patronale. Da alcuni anni, nel centro cittadino è presente una statua che li rappresenta: un uomo con la valigia e la giacca sull’avambraccio nell’atto di partire”.

Il programma dei festeggiamenti prevede per lunedì 12, in mattinata, il giro della ‘bassa musica’ di Molfetta; dalle ore 9 alle 12, in piazza Regina Elena i “Ludi Antoniani”, giochi e animazioni riservati ai ragazzi dai 5 ai 13 anni, organizzati in collaborazione con “Asd Stella Alpina” e “Avis Fragagnano”; alle ore 19 la santa messa celebrata dal parroco don Graziano Lupoli con la distribuzione del tradizionale pane di Sant’Antonio;  alle ore 21.30, in piazza, ci sarà il concerto dei Moda Real Tribute Band con spettacolo di cabaret di Chicco Paglionico, dal programma televisivo ‘Zelig’.

La giornata di martedì 13, alle ore 7.30, sarà salutata dallo sparo di 13 colpi oscuri; alle ore 8.30, santa messa, con benedizione e distribuzione del ‘Pane di Sant’Antonio’; a seguire, il giro delle bande musicali per le vie del paese; alle ore 19, in piazza Regina Elena, la santa messa sarà celebrata dal parroco don Graziano Lupoli con la cerimonia di affidamento delle chiavi del paese al Santo Patrono; al termine si snoderà la processione accompagnata dalle confraternite e dalle autorità civili e religiose; alle ore 21, in piazza, si terrà il concerto delle bande musicali “Città di Rutigliano” (m. Gaetano Cellamaa) e “Città di Fragagnano” (m. Giuseppe D’Elia). A mezzanotte, spettacolo pirotecnico della ditta Maxima Fireworks di Bitonto. Le luminarie saranno allestite dalla ditta Starluce di Vibo Valentia.

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Diocesi

Dalla chiesa sulla via per Faggiano, la processione di San Donato

08 Ago 2024

di Angelo Diofano

La piccola parrocchia di San Donato (Talsano, sulla via per Faggiano) si appresta ad accogliere villeggianti e devoti per i festeggiamenti, alquanto sobri, in onore del santo titolare, che avranno luogo domenica 11 agosto.

Visitando questa località ci si trova immersi in un’atmosfera di tranquillità, quiete e silenziosa, tipica della vita di campagna di una volta, dove la natura dà ancora il meglio, fra ulivi secolari, alberi di fichi e mandorle e vigneti. Casali e masserie fortificate non mancano, quale testimonianza di una vita molto attiva e laboriosa di tempi passati, ma ora spesso malinconicamente abbandonate. È in questo posto che mons. Giuseppe Ricciardi (vescovo di Nardò – Lecce e tarantino di nascita), dove era solito trascorrere le vacanze estive, volle realizzare a proprie spese, agli inizi del 1900, l’attuale chiesetta, un tempo famosa per l’elevato numero di matrimoni, in particolare della borghesia tarantina, celebrati tutto l’anno, ma ora, come altrove, drasticamente calati. Sono diminuiti anche i residenti, a causa dell’abbandono delle campagne: dai 1800 residenti degli anni cinquanta-sessanta ai poco più di cento. Immutata resta la cordialità degli abitanti, così come quella dei parroci che vi si sono succeduti (ora in questo incarico, don Riccardo Milanese), all’insegna della massima accoglienza per un colloquio o per il sacramento della Riconciliazione.

Il programma della festa

I festeggiamenti prevedono per domenica 11 sante messe alle ore 10 e alle ore 18.30 celebrate dal parroco, don Riccardo Milanese. Alle ore 19 muoverà la processione con la statua di San Donato, accompagnata dalle confraternite talsanesi; una fantasia di fontane luminose saluterà il rientro della sacra immagine. Presterà servizio la banda musicale “Maria SS.Addolorata” di Talsano diretta dal m° Vito Bucci, che, dopo la processione, nella cornice delle luminarie della ditta Memmola, eseguirà un programma di musica popolare.

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Festeggiamenti patronali

Entra nel vivo la festa patronale di Lizzano per San Gaetano

06 Ago 2024

di Piergiovanni Amodio

Mercoledì 7 agosto, per la chiusura dei solenni festeggiamenti religiosi in onore del santo patrono, San Gaetano Thiene (29 luglio – 7 agosto 2024), a Lizzano sarà presente monsignor Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.

L’importante evento cittadino ed ecclesiale vedrà il coinvolgimento partecipativo dei fedeli lizzanesi, dei membri delle confraternite e delle associazioni, dei gruppi, dei movimenti e delle aggregazioni ecclesiali, delle categorie professionali, artigiane ed agricole della città, dei gruppi culturali, sportivi e di volontariato.

Il programma della singolare ed intensa giornata prevede alle ore 18,30 l’arrivo di sua eccellenza in piazza IV novembre con un primo momento di accoglienza, nel quale riceverà i saluti istituzionali a lui rivolti dalle massime autorità religiose, civili e militari, al suono dell’inno pontificio e allo sparo di mortaretti.

Al termine, si snoderà un corteo di rappresentanza lungo la grande piazza fino a giungere in chiesa madre “San Nicola”, laddove il presule alle ore 19 presiederà la solenne messa pontificale, concelebrata dall’arciprete della chiesa matrice, don Giuseppe Costantino Zito e da una decina di sacerdoti.

Questa sera, martedì 6 agosto, invece, nel corso della solenne concelebrazione eucaristica vigiliare, il sindaco di Lizzano, dott.ssa Lucia Palombella, consegnerà le chiavi della città al santo patrono, cui farà seguito la grande processione cittadina.

«Desideriamo celebrare l’annuale felice ricorrenza del Santo Patrono come un grandioso e mirabile evento di fede e di popolo – ha affermato il parroco, don Giuseppe Costantino Zito – in piena sintonia con il cammino pastorale della nostra Chiesa diocesana e nella luce delle indicazioni sinodali di papa Francesco, che ci chiede peraltro di vivere la santità dei semplici, nel quotidiano! Quella santità, che è capace – come è avvenuto per San Gaetano – di trasfigurare il mondo e la storia, perché sintesi espressiva dell’Umanesimo cristiano! Auspichiamo pure che la festa del patrono tutti ci unisca nel comune impegno di offrire un valido contributo per la convivenza serena e il progresso armonioso della nostra comunità: con San Gaetano, infatti, desideriamo rigenerarci sempre più nell’esperienza della Fede ed essere portatori di fiducia in un‘esperienza significativa di cammino sinodale!».

La festa – che è stata preceduta da un intenso Novenario di preghiera, che ha visto la presenza anche dell’arcivescovo di Taranto, mons. Ciro Miniero – ha intelligentemente coinvolto in chiesa madre tantissimi ragazzi, giovani e adulti sui temi della vita e della salute, della famiglia e del lavoro, delle migrazioni e della custodia della “casa comune”, della fraternità e della pace – e ha registrato, come ogni anno, un notevole afflusso partecipativo anche a motivo del ricco e variegato programma civile e religioso e grazie allo zelo e all’impegno pastorale del parroco don Giuseppe Costantino Zito e dei membri del gran comitato festa patronale.

Le serate del 6 e del 7 agosto saranno allietate in piazza Matteotti dal gran concerto lirico sinfonico delle bande città di Francavilla Fontana (Br) e Castellana Grotte (Ba), dalle sfarzose luminarie lungo le strade e le piazze del paese e da un maestoso e suggestivo spettacolo pirotecnico nel campo sportivo comunale.

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Tracce

Una ferita sanguinante, fra parole e silenzi

Foto Francesco Ammendola da https://www.quirinale.it/
05 Ago 2024

di Emanuele Carrieri

Succede anche questo. Accade anche di vedere un documentario in tv e di passare la notte totalmente insonne. Ore e ore a girarsi e a rigirarsi. E soprattutto capita a chi aveva già messo piede nel suo terzo decennio di vita. Nella storia del nostro Paese ci sono diverse tragedie che non sono state ancora pienamente rielaborate. Ferite che, periodicamente, si riaprono generando polemiche. Fra questi gravissimi traumi c’è la strage di Bologna, di matrice neofascista: il 2 agosto 1980 alle 10,25 alla stazione Centrale una bomba uccise 85 persone e ne ferì 200. Fra le persone morte, c’era Maria Fresu, di 24 anni. Quella mattina era alla stazione di Bologna assieme alla figlia Angela, di 3 anni, e due amiche. Andavano in vacanza. Come per le altre 83 persone, l’esplosivo troncò la sua vita e quella della bimba. Angela fu la vittima più giovane. Per Maria, però, ci fu un sovrappiù di orrore: il corpo non si ritrovò. Disintegrato, polverizzato, dissolto. È stato il più grave atto terroristico, nel nostro Paese, nel secondo dopoguerra. Per lo sterminio sono stati condannati, con sentenze definitive, i terroristi Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ai tre si aggiunge Gilberto Cavallini che a settembre del 2023 è stato condannato all’ergastolo anche in Appello. Tutti sono stati nei NAR, i Nuclei armati rivoluzionari, e hanno militato, prima di aderire alla lotta armata, nel FDG, il Fronte della gioventù, e nel MSI, il Movimento sociale italiano. Le conclusioni dei giudici hanno detto, inoltre, che esecutore materiale della strage fu anche Paolo Bellini, già impegnato di AN, Avanguardia Nazionale, condannato all’ergastolo, un mese fa, dalla Corte d’assise di appello di Bologna. I mandanti sono invece stati individuati in vertici dei servizi segreti deviati e nella loggia massonica “Propaganda Due”, di Licio Gelli, che finanziò l’attentato. Dal palco nel capoluogo emiliano, nel 44° anniversario dell’attentato, venerdì mattina, Paolo Bolognesi – che nella strage ha avuto quattro persone coinvolte: la suocera è stata uccisa, la madre, il suocero e il figlio sono stati feriti in modo grave, riportando importanti invalidità e presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della stazione di Bologna – ha affermato: “Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo”. La premier Meloni, in quella occasione, ha seguito un percorso già tracciato. Il Cavaliere per antonomasia, nel 2009 non aprì la Fiera del Levante e parecchi pensarono che Berlusconi volle deliberatamente evitare di andare a Bari e trovò la soluzione con i funerali di stato per il presentatore Mike Bongiorno. Anche il 28 maggio a Brescia, alla cerimonia per il 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia, la premier era assente: era a Caivano perché – questa è la sua affermazione – “ero andata nei mesi scorsi a prendere un impegno con i cittadini e poi dovevo tornare per mantenerlo”. Assenze e presenze spazzate via dall’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

“L’intento immediato degli attentatori era chiaro: punire e terrorizzare chi manifestava contro il neofascismo e in favore della democrazia. L’obiettivo di quel turpe attentato era, inoltre, un messaggio e un tentativo di destabilizzazione contro la Repubblica italiana e le sue democratiche istituzioni. Con quella bomba si volevano fermare le conquiste sociali e politiche. Gli ideatori, gli esecutori, i complici di quella strage volevano riportare il tempo indietro: a una stagione oscura, segnata dall’arbitrio della violenza, dalla sopraffazione, e sfociata nella guerra.”

La replica di Giorgia Meloni – assente alla celebrazione perché “in tutt’altre faccende affaccendata” – al discorso di Paolo Bolognesi non si è fatta attendere: “Sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti alla sottoscritta e al Governo”. E ha aggiunto: “È pericoloso, anche per l’incolumità personale”. Fratelli d’Italia è l’erede del MSI in cui militarono proprio gli attentatori della stazione. Se questa è, ed è innegabile, una evidenza, una verità, è altrettanto evidente e fuori luogo attribuire una qualunque corresponsabilità dell’attuale destra di governo con il terrorismo nero. Il fulcro principale di tutto è un altro: da attivisti del partito di maggioranza la pista nera della strage, corroborata da sentenze in giudicato, è però stata più volte messa in dubbio. Azione studentesca, il movimento di cui Meloni è stata responsabile nazionale, nel 2020 scriveva sui social: “Nessuno di noi era a Bologna”. Simile è l’affermazione della presidente della commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, la nomina della quale è stata ritenuta inopportuna al massimo livello per una foto con Luigi Ciavardini, uno dei condannati per l’attentato: “Non intendo alimentare nessuna polemica. La risposta è anagrafica: io sono nata nel 1986”. No. Non si tratta di una responsabilità penale che è individuale e personale. Si tratta di una responsabilità civile collettiva, di responsabilità morale, politica e storica. Da chi ricopre ruoli istituzionali ci si aspetterebbero parole chiare su una vicenda così tragica, su un lutto eterno, senza tempo. Rimuovendo il lutto si arriva a rendere banale la morte e a svalutare il dono della vita.

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Siccità

Emergenza idrica: manca l’acqua e… la capacità di gestione

foto Afp-Sir
02 Ago 2024

di Marilisa Della Monica

In questi giorni, in cui la siccità ha fatto ripiombare diverse zone d’Italia e la provincia di Agrigento – in particolare – nella più grande disperazione, emerge, in tutta la sua disarmante chiarezza, l’incapacità di chi è stato posto negli anni e a tutti i livelli a gestire il servizio idrico.

La siccità è un fenomeno che non può essere controllato ma previsto. Tenuto conto che da diversi mesi gli esperti mettevano in guardia a causa dalle scarsissime precipitazioni atmosferiche che non avevano permesso agli invasi di riempirsi, è sotto gli occhi di tutti l’incapacità di farsi trovare preparati a questa nuova emergenza.

Ad esempio, quando nel 2021 Aica entrò nel pieno possesso del patrimonio di Girgenti Acque trovò tra i “beni” aziendali anche una serie di pozzi e fonti che potevano essere utilizzate magari evitando di acquistare acqua (a prezzi nettamente maggiori) dal gestore di sovra ambito. Pozzi e fonti (con relativa acqua) che esistono da sempre ma che solo adesso qualcuno si è ricordato di avere e sembra stia cercando di utilizzare mettendo in rete l’acqua prelevata.

E da parte di Ati? Cosa sta facendo l’ambito territoriale idrico per rassicurare la popolazione che si stanno trovando le soluzioni migliori per ritornare quanto prima alla normalità? Nulla. In questi giorni oltre a un silenzio assordante, da Ati arrivano solo le notizie riguardanti gli accordi tra i sindaci per chi dovrà essere il nuovo presidente al posto dell’uscente Gueli. Manovre e manovrine per assegnare una poltrona. E intanto la popolazione vive enormi disagi e l’economia della provincia – sia a livello turistico che agricolo – è sull’orlo del collasso.

In questo momento, vista l’immobilità (o forse sarebbe meglio dire l’incapacità) provinciale e regionale, sarebbe opportuno che qualcuno, a livello di governo centrale, si accorgesse che c’è qualcosa che non va in Sicilia. Che non si può tenere una popolazione priva di acqua per giorni interi come se fosse la normalità. Il presidente del Consiglio dei ministri dovrebbe rivolgere il suo sguardo a quello che sta accadendo nell’estrema periferia dello Stato e provvedere, perché no, a nominare un commissario straordinario all’emergenza idrica che possa, con i poteri speciali, fare in modo che questa situazione vergognosa finisca. L’esempio del commissario Scialabba o del generale Iucci possono aiutare a comprendere che, in certi momenti, una figura super partes è necessaria per potere fuoriuscire da un’emergenza.

In questi anni abbiamo sentito ripetere tante promesse che tali sono però rimaste. Speriamo che finalmente qualcuno si accorga, a Roma, di quello che sta accadendo in Sicilia e vi ponga rimedio. Una volta per tutte. Anche a costo di scelte politiche dolorose. Ciò, naturalmente, al netto delle iniziative che la magistratura vorrà intraprendere – e siamo certi che lo farà – per perseguire gli eventuali responsabili di questa vergognosa situazione.

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