Violenza contro le donne

Fondazione Giulia Cecchettin, card. Zuppi: “Combattere la violenza e le sue cause: l’amore è dono non possesso”

foto Siciliani Gennari-Sir
19 Nov 2024

di Riccardo Benotti

“La mia personale vicinanza, a te e ai tuoi figli e familiari tutti, e anche il ringraziamento per come hai saputo affrontare con tanta umanità una tempesta che ha strappato il fiore bellissimo della vita di Giulia”: è un passaggio del messaggio inviato dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, a Gino Cecchettin in occasione dell’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin.
Il cardinale incoraggia la nuova realtà “perché non vi siano altre Giulia e per capire e combattere la violenza e le sue cause, a cominciare dal credere che l’amore sia possesso e non dono e rispetto”. In questo modo, conclude il card. Zuppi, “ci aiuterà a comprendere che l’amore non è mai possesso, ma sempre dono e rispetto”.

foto Ansa-Sir

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Cinema

Il gladiatore II, la scommessa vinta dal regista-produttore Ridley Scott

foto Paramount Pictures
19 Nov 2024

di Sergio Perugini

Una vera battaglia, l’impresa del regista-produttore Ridley Scott, che dopo 24 anni e non poche battute d’arresto è riuscito a portare a termine il progetto del sequel di uno dei suoi titoli più amati e apprezzati, “Il gladiatore” (2000), vincitore di 5 Premi Oscar tra cui miglior film. Dal 14 novembre è nelle sale con Eagle Pictures “Il gladiatore II”, che ci riporta nella Roma imperiale circa vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, seguendo le tribolazioni e le gesta del figlio tenuto segreto, Lucio Vero. A interpretarlo il divo inglese Paul Mescal, in un ruolo lontano dal cinema indipendente da lui finora prediletto. Nel cast, Pedro Pascal, Connie Nielsen e Denzel Washington. Scott si conferma un grande regista per come orchestra messa in scena e battaglie, governando una macchina complessa con estrema disinvoltura. Al di là di qualche forzatura narrativa o eccesso visivo, la scommessa risulta vinta, confermando tutto il fascino della storia della Roma antica.

 

Il gladiatore II

Si accende il brivido appena volteggiano le note del tema musicale de “Il gladiatore”, composto a suo tempo da Hans Zimmer con Lisa Gerrard. Ne “Il gladiatore II” il compositore è cambiato, Harry Gregson-Williams, ma l’omaggio a quelle iconiche note traghettano subito lo spettatore – come avvenuto in “Top Gun: Maverick” – dentro il giusto “mood” di un sequel grintoso e ambizioso. Ridley Scott ha mostrato tutta la sua tenacia da veterano del grande cinema spettacolare della New Hollywood, realizzando un film capace di trovare la giusta continuità narrativa con il titolo originale e al contempo aprirlo a un nuovo sguardo, quello di un pubblico cambiato negli ultimi due decenni. “Il gladiatore II” è il riuscito compromesso tra il cult muscolare anni 2000 e un’immersività e un’adrenalina fisica tipiche delle narrazioni contemporanee, addizionate dalla cultura videoludica. Il risultato è di certo apprezzabile e godibile, perché a guidare la complessa macchina narrativa per 148 minuti è un regista di mestiere. Ad ancorare con efficacia il racconto sono le interpretazioni di Paul Mescal, Pedro Pascal, Joseph Quinn, Connie Nielsen e Denzel Washington.

La storia

Roma 200 d.C., trascorsi vent’anni dalla morte di Massimo Decimo Meridio, il figlio Lucio Vero – nato dall’amore con Lucilla, figlia dell’imperatore Marco Aurelio – vive sotto falso nome in Africa. Quando il condottiero romano Marco Acacio invade il territorio, Lucio finisce tra gli arrestati ed è condotto come prigioniero a Roma. Viene comprato al mercato degli schiavi da Macrino, che lo fa addestrare come gladiatore. Il suo obiettivo è servirsi della rabbia di Lucio per fare la scalata al Senato e sedere accanto ai due imperatori Geta e Caracalla…
Il copione porta la firma di Peter Craig (“Hunger Games: Il canto della rivolta” e “The Batman”) e David Scarpa, che con Ridley Scott ha già lavorato in “Tutti i soldi del mondo” e “Napoleon”. “Il gladiatore II” prende avvio con passo sicuro, andando a colmare la storia che resta del valoroso Massimo Decimo Meridio: lui ormai è nei Campi Elisi, ma la sua gloria e il suo coraggio rivivono nel figlio Lucio. Il racconto segue una traiettoria chiara e lineare, senza grandi sussulti o sorprese. Si capisce da subito quale sarà la parabola del protagonista, la sua impresa per ricongiungersi con la madre Lucilla e il ruolo che gli spetta, sul trono di Roma. Scott, insieme a Craig e Scarpa, disegnano una Roma imperiale seducente e caotica, sull’orlo del collasso. Da un lato torna tutta la bellezza formale del primo film, rivisto e corretto grazie ai progressi della tecnica, degli effetti speciali, dall’altro “Il gladiatore II” punta su suggestioni nuove: non più le gesta del singolo, l’epopea dell’eroe solitario, bensì l’impegno di un leader del popolo che parla di equità, di “comunità”. Certo, accanto a tutto ciò, non mancano gli eccessi di violenza, l’esaltazione di battaglie e scontri fisici nell’arena, che servono soprattutto a conferire realismo e ad agganciare il favore degli spettatori più giovani. Nell’insieme la scommessa de “Il gladiatore II” risulta vinta, al di là di imperfezioni o sbavature, perché si coglie tutto l’entusiasmo, il talento e il mestiere di lungo corso di un maestro del cinema hollywoodiano votato all’innovazione e alla spettacolarizzazione.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Peregrinatio in diocesi

L’icona di ‘Maria, Madre della Speranza e delle confraternite’ accolta ieri in città

foto G. Leva
19 Nov 2024

Nell’ambito del progetto ‘Camminando, si apre il cammino’, organizzato dalla Confederazione nazionale delle confraternite delle diocesi d’Italia in preparazione al Giubileo del 2025, ieri, lunedì 18, è giunta in diocesi l’icona di ‘Maria, Madre della Speranza e delle confraternite’, quale tappa della peregrinatio per l’Italia partita il 3 giugno dal santuario della Madonna di Pompei e che terminerà nel mese di maggio in piazza San Pietro, in occasione della giornata giubilare delle confraternite.
La sacra immagine è stata accolta nel tardo pomeriggio davanti alla chiesa di San Giuseppe, in città vecchia, dal vicario episcopale per il laicato, mons. Paolo Oliva, dal parroco della basilica cattedrale, mons. Emanuele Ferro, e dal suo vicario don Mattia Santomarco e dalle confraternite in abito di rito con i propri simboli.
Per Taranto erano presenti i seguenti sodalizi: San Cataldo in Santa Caterina, Carmine, Addolorata, Santa Maria di Costantinopoli, Santi Medici, Immacolata e Sant’Egidio. Invece per Talsano c’erano il Carmine e il Rosario.
Dalla chiesa di San Giuseppe ci si è mossi in processione percorrendo largo Via nuova, postierla Via nuova e via Duomo fino alla cattedrale, dove mons. Paolo Oliva ha porto il saluto all’assemblea. Ha quindi fatto seguito la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Emanuele Ferro.
L’icona rappresenta gli ideali di fratellanza che animano le confraternite, richiama all’importanza della preghiera,  è dedicata al culto mariano che accomuna la maggior parte delle confraternite ed è ispirata al motto del Giubileo 2025 ‘Pellegrini di Speranza’.
Oggi, martedì 19 toccherà a Grottaglie accogliere la sacra immagine, che arriverà alle ore 17 in piazza Padre Pio da dove in processione  si dirigerà alla chiesa della Madonna del Rosario per la santa messa alle ore 18 presieduta dal parroco don Mimino Damasi.
Ultima tappa in diocesi sarà quella di Martina Franca, mercoledì 20, con l’accoglienza della sacra icona in piazzetta Sant’Antonio alle ore 17 e successiva processione diretta alla basilica di San Martino per la celebrazione della santa messa alle ore 19 presieduta dal parroco mons. Giuseppe Montanaro.

 

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Natale a Taranto

Dai più piccoli l’aiuto all’arcivescovo per gli auguri natalizi alla diocesi

19 Nov 2024

In vista delle ormai vicine festività, quest’anno l’arcivescovo mons. Ciro Miniero ha deciso di chiedere l’aiuto dei più piccoli, contando sulla loro fantasia e creatività, per scrivere il messaggio con gli auguri natalizi alla comunità tarantina. La traccia per il componimento sarà offerta dall’anno del Giubileo, che papa Francesco aprirà il 29 dicembre, al quale è stato dato come titolo “Pellegrini di Speranza”.

“Io vorrei sapere – scrive appunto in una lettera indirizzata ai fanciulli e alle fanciulle dell’arcidiocesi frequentanti la scuola primaria – quali sono le vostre speranze, pertanto vi chiedo di scrivermi una letterina esprimendo ciò che sperate per il presente e per il futuro”.

Ai ragazzi mons. Ciro Miniero, come fosse il loro buon papà, chiede, nel redigere la letterina, di non far ricorso una volta tanto alle moderne tecnologie informatiche, con cui notoriamente hanno grande confidenza, ma di usare carta e penna; proprio come si faceva una volta. Magari sarà l’occasione per coinvolgere i genitori in questo… compitino.

Il tutto andrà spedito per posta (quella tradizionale e non informatica) al seguente indirizzo:

Letterina per l’arcivescovo Ciro Miniero
c/o
Nuovo Dialogo  – Largo Arcivescovado 8
74123 Taranto

“Per quelli della mia generazione è bellissimo ricevere una lettera cartacea” – chiede con dolcezza mons. Miniero, raccomandandosi inoltre che le letterine arrivino a destinazione non oltre il 5 dicembre.
“Curioso di conoscere i vostri pensieri – conclude la lettera mons. Ciro Miniero – invio un affettuoso saluto”.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Avvicendamenti in diocesi

L’abbraccio commosso della Sant’Egidio a don Lucangelo

19 Nov 2024

di Angelo Diofano

Domenica scorsa, 17 novembre, la comunità parrocchiale di Sant’Egidio, a Tramontone, ha salutato don Lucangelo De Cantis, suo parroco per sette anni, nominato dall’arcivescovo, mons. Ciro Miniero, cappellano della casa circondariale di Taranto. Al suo posto ci sarà mons. Carmine Agresta, sacerdote di grande saggezza e bontà.

Il popolo di Dio, commosso, ha accompagnato con affettuosi applausi il saluto di don Lucangelo con occhi lucidi di gratitudine. La gente ha ringraziato, inoltre, per lo stile evangelico nella vicinanza alle persone accompagnandole con ascolto e conforto nelle avverse vicende della vita. E questo è avvenuto anche attraverso la ‘Bisaccia di Sant’Egidio’, attraverso cui ha aiutato gli assistiti che, con gratitudine, lo hanno salutato.

Sin dall’inizio don Lucangelo ha annunciato la comunione tra le varie esperienze parrocchiali invitandole alla salvaguardia del bene comune e risanando l’economia della parrocchia. Il percorso pastorale, nella sua proposta, è diventato luogo di ascolto della Parola e della preghiera, coinvolgendo l’intero territorio parrocchiale nell’incontro del lunedì con Cristo eucarestia, che nel periodo estivo ha interessato diversi luoghi del quartiere di Tramontone. Non si è mai risparmiato nel coinvolgimento dei giovani nella vita parrocchiale e nell’opera di valorizzazione delle persone con disabilità, che costituiscono il vero cuore della Chiesa. Inoltre, ricordiamo l’accoglienza per i detenuti in affidamento dai servizi sociali cui ha donato incoraggiamento.

Va anche evidenziato il suo impegno nell’ambito dell’ufficio catechistico, di cui è stato direttore, nel quale si è speso per l’attuazione degli orientamenti della Cei ‘Incontriamo Gesù’, valorizzando l’opera dei catechisti, con i quali è stato curato il linguaggio nel raggiungere i giovani.

Non ultimo, va evidenziata anche la sua dedizione nella crescita spirituale dei seminaristi del ‘Poggio Galeso’, di cui è stato padre spirituale.

Don Lucangelo resterà nei cuori del popolo di Dio e dei sacerdoti della vicaria dando prova di grande docilità di spirito.

E ora il suo patrimonio di umanità e spiritualità sarà a servizio di una particolare categoria di ultimi, a lui molto a cuore, cioè quella dei detenuti, dai quali sicuramente si farà amare per il suo spiccato senso di paternità.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

A Taranto

Qualità della vita: i dati ci confermano i motivi della grande fuga da Taranto

18 Nov 2024

di Silvano Trevisani

Il Sud è sempre più indietro e Taranto verso il fondo. Ci viene naturale domandarci: perché la Lega e i suoi alleati vogliono prendere ancora di più le distanze dalle regioni meridionali, se tutto gira a loro favore? Sono molto più ricche, attirano tutti i giovani dal resto del Paese, hanno una qualità di vita di gran lunga migliore da tutti i punti di vista. A quale scopo accrescere la propria autonomia e godersi tutta intera la propria ricchezza senza contribuire, in parte, alla crescita del Paese, che già rema a suo favore?

La domanda, già sostanziata dalla Corte costituzionale, che ha in gran parte bocciato le norme contenute nella legge sull’autonomia differenziata, che così com’era avrebbe affossato definitivamente il Sud, trova nuova forza oggi nelle classifiche per la qualità della vita. Ci riferiamo a quelle pubblicate da “Italia Oggi”, che vedono ai primi posti solo le città del Nord, a cominciare da Milano, mentre il fondo della classifica è destinato alle città del Sud. Tra queste c’è naturalmente anche Taranto, che viaggia da sempre agli ultimi posti e che quest’anno è 99sima, come due anni fa, due posti meglio dell’anno scorso, forse per il peggioramento delle performance altrui, più che per il miglioramento delle proprie.

Il punto sul quale maggiormente vogliamo insistere è sull’ultimo posto nella specifica classifica per la “sicurezza sociale” che ci conferma che Taranto non è un paese per giovani. Lo aveva spiegato con chiarezza avvilente l’indagine sulla condizione giovanile stilata da “il Sole 24 Ore” a maggio del 2023, che aveva collocato Taranto all’ultimo posto della classifica. Anche la nuova classifica specifica di “Italia Oggi” conferma questo dato: il tasso di inattività dei giovani tra i 25 e i 34 anni, indicatore che ha sostituito il dato sui Neet, ovvero la percentuale di persone tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, né studiano, né svolgono alcun programma di formazione, pone Taranto all’ultimo posto.

Al di là dei proclami e dei continui trionfalismi, la nostra città non ha nulla da offrire, è per questo che nella fascia tra i 18 e 35 anni si è perso il 6,4% di popolazione residente. E le previsioni dell’Istat ci dicono che vent’anni la popolazione di Taranto scenderà a circa 150.000 abitanti. Oltre il 30% dei residenti è disoccupato, ma anche chi lavora è insoddisfatto. Una buona metà lavora nel cosiddetto terziario turistico: ristorazione, alimentazione, ospitalità, strutture turistiche, ma si tratta in genere di lavoro stagionale, nero, sottopagato se non fortemente sfruttato. Il turismo si conferma, infatti, come settore che crea reddito solo per alcune fasce del commercio ma che ha riscontri negativi in molti altri settori. Quello che occorrerebbe è, infatti, lo sviluppo dei settori produttivi, creatori di ricchezza stabile: terziario avanzato, industria verde, agricoltura di qualità, servizi sociali (che sono assolutamente carenti e comportano il peggioramento della qualità della vita nella classifica che riguarda gli anziani). E invece dobbiamo confrontarci con la condizione di crisi che investe tutto il settore industriale, dall’acciaio alla Leonardo, dalla Hiab all’Arsenale, dall’appalto comunale al tessile e così via. Anche il settore dello spettacolo è un comparto che soddisfa i pochi, fortunati o privilegiati che ci lavorano, ma che non offre alcun miglioramento nella qualità della vita dei giovani. Mentre il grande buco nero è la mancanza di una vera, prestigiosa, autonoma università.

Anche per quanto riguarda altri parametri, come il verde pubblico, si scontano decenni di progetti: green belt, foresta urbana, parco del Galeso, parco del Mar Piccolo, parco delle Gravine, che finora si sono rivelate solo belle chiacchiere. Lo stato in cui versa Villa Peripato unico vero polmone verde in città, non è incoraggiante.

Insomma: la città avrebbe bisogno di una classe dirigente, di una classe politica, di un’amministrazione comunale all’altezza. Ma la litigiosità, la lontananza – fisica e morale – di esponenti e parlamentari, sconosciuti alla gran parte della cittadinanza, l’autoreferenzialità fanno della rappresentatività e della capacità di mediazione una chimera.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Assemblea sinodale delle Chiese in Italia

Mons. Erio Castellucci: “La Chiesa italiana è viva”

foto Marco Calvarese-Sir
18 Nov 2024

Dalla ‘collaborazione’ alla ‘corresponsabilità’ tra tutte le componenti del popolo di Dio, laici e laiche comprese. È uno dei temi emersi dagli oltre mille delegati che si sono radunati intorno ai tavoli della basilica di San Paolo fuori le mura, per la prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia. A parlarne è mons. Erio Castellucci, vicepresidente della Cei e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale.

Mons. Castellucci, si è appena conclusa la prima Assemblea sinodale, frutto di tre anni di cammino della Chiesa italiana. Si può già tracciare un primo bilancio? 

Il bilancio è decisamente positivo. Il fatto stesso che tutte e 226 le diocesi italiane siano rappresentate e che 170 vescovi su circa 200 siano presenti, indica il concreto desiderio di offrire il proprio contributo per una Chiesa sinodale in missione: perché è questo l’unico grande tema.

Missione e prossimità sono le parole-chiave del percorso, in sintonia con il magistero di papa Francesco e con il Sinodo universale che si è appena concluso: quali contributi sono giunti dai tavoli di lavoro che hanno caratterizzato queste tre giornate?

Ho appena letto tutti i contributi, stesi in modo sintetico ma chiaro. Li riassumerei in alcune grandi convergenze: la Chiesa in Italia è viva, nonostante la perdita di consenso registrata dalla sociologia; è viva, perché si radica nella santità quotidiana che non è rilevabile dagli strumenti statistici; è viva, soprattutto nei germi di bene, nei gesti di generosità, negli spazi spirituali aperti anche in tante persone che non praticano o non credono.
Ai tavoli è stata data adesione piena alla visione di Chiesa che propone papa Francesco: non ossessionata dal “contare”, dall’occupare spazi e consensi, ma solo dal testimoniare la bellezza di credere in Cristo. Una Chiesa più umile, più ridotta nel numero, ma più convinta, più desiderosa di assumere lo stile di Gesù.

L’attenzione alle vittime di abuso e ai poveri sono stati oggetto di due momenti forti a cui hanno partecipato le delegazioni diocesane riunite nella “tre giorni” a San Paolo. Quale impulso è giunto dalla Veglia di preghiera e dalle testimonianze per proseguire in questi due versanti di impegno? 

L’impulso è stato forte anche perché le riflessioni proposte provengono dalle vittime stesse degli abusi, le testimonianze sono offerte da chi ha attraversato il buio negli ambienti ecclesiali ed è stato maltrattato da sacerdoti o laici. Fa impressione la profondità di un male che non si cancella più, anche se le vittime riescono persino a parlare di perdono. Con gli abusi e il disprezzo dei poveri si tocca il fondo dell’abiezione umana, che è il contrario esatto dell’amore evangelico.
La Chiesa da anni ha preso coscienza della gravità del fenomeno anche dentro le sue fila e sta combattendo energicamente questa piaga, che, violando il corpo, uccide l’anima delle vittime.

Tra i temi della sua relazione, la necessità di una ‘conversione’ delle strutture della Chiesa. Come aiutare le nostre comunità ad una gestione più ‘sinodale’ – e dunque all’insegna della corresponsabilità – della pastorale, e come si può per far progredire concretamente la “questione femminile”?

Una gestione più sinodale implica un coinvolgimento maggiore dei laici, uomini e donne, nella guida delle comunità. Non basta una collaborazione, che di per sé si potrebbe offrire anche quando uno solo decide e gli altri intervengono in fase operativa, per tradurre le decisioni prese dall’autorità.
Occorre passare al modello della corresponsabilità, coinvolgendo i laici (e le religiose-i religiosi) già nella fase che precede la decisione, quella del “discernimento”. E questa fase deve aiutare a maturare insieme la decisione, senza l’uomo solo al comando. In questo contesto, è delicato il tema della gestione delle strutture, che attualmente ricade – anche nelle sue conseguenze civili e penali – solamente sul pastore (parroco-vescovo), il quale normalmente non ha né il tempo né le competenze per amministrarle. Qui la corresponsabilità è ancora più delicata che nell’ambito strettamente pastorale, perché comporta suddivisione di responsabilità anche legali.

Il Papa, nel suo messaggio ai partecipanti, ha chiesto alla Chiesa italiana di “compiere al meglio il suo impegno per il Paese”. Nei Lineamenti si esorta a non contrapporre la cultura alla profezia: in che modo si può ancora parlare di Dio all’uomo di oggi con un linguaggio che sappia raggiungere tutti, anche i più “lontani”, e quali passi compiere in questa direzione, anche in vista della prossima Assemblea di marzo?

Il tema del linguaggio è decisivo e complesso insieme. Qualche volta si ha davvero l’impressione che la Chiesa non disponga più del miracolo delle lingue avvenuto a Pentecoste, dove ciascuno sentiva gli apostoli parlare nella loro lingua. Credo però che, insieme alla necessità di adottare – anche nella liturgia, che in alcuni casi lo permette già – linguaggi più vicini alle persone, sia necessario tenere presente che il linguaggio non è solo quello verbale, anzi…
La maggior parte dei giovani, ad esempio, non è attratta dalle prediche, anche belle, o dalle catechesi, ma dalle esperienze che riflettono raggi di Vangelo: aiuto ai poveri, vicinanza ai malati, momenti di amicizia sana, disponibilità ad essere ascoltati da adulti significativi… I cosiddetti ‘lontani’, se mantengono ancora un barlume di interesse per il Vangelo, lo attivano non in base alle belle parole udite, ma in base alle  belle esperienze vissute.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Giornata mondiale

Papa Francesco: “Non dimentichiamoci dei poveri”

foto Vatican media-Sir
18 Nov 2024

Lo dico alla Chiesa, lo dico ai governi degli Stati e alle organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri”. Si è conclusa con questo appello l’omelia della messa per la Giornata mondiale dei poveri, presieduta da papa Francesco nella basilica di San Pietro, prima del pranzo in aula Paolo VI con 1.300 poveri. “In questa Giornata mondiale dei poveri mi piace ricordare un monito del cardinale Martini”, il tributo del Papa: “Egli disse che dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così la Chiesa diventa sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo”.

“Proprio nell’ora dell’oscurità e della desolazione, proprio quando tutto sembra crollare, Dio viene, Dio si fa vicino, Dio ci raduna per salvarci”, ha assicurato il Santo padre, soffermandosi su due atteggiamenti opposti: l’angoscia e la speranza. “Gesù ci invita ad avere uno sguardo più acuto, ad avere occhi capaci di leggere dentro gli avvenimenti della storia, per scoprire che, anche nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c’è un’incrollabile speranza che brilla”, la tesi di Francesco, che riconosce come l’angoscia sia “un sentimento diffuso nella nostra epoca, dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto. Se il nostro sguardo si ferma soltanto alla cronaca dei fatti, dentro di noi l’angoscia ha il sopravvento”.

“Anche oggi – ha attualizzato il Papa – vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi, vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle, vediamo gli orrori della guerra e le morti innocenti; e, davanti a questo scenario, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia. Così, ci condanniamo all’impotenza; vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che ‘il mondo va cosi’ e ‘io non posso farci niente’. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità”.
“Mentre una parte del mondo è condannata a vivere nei bassifondi della storia, mentre le disuguaglianze crescono e l’economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all’idolatria del denaro e del consumo, succede che i poveri e gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare”, la denuncia di Francesco. “Ma ecco che Gesù, in mezzo a quel quadro apocalittico, accende la speranza”, ha assicurato Francesco sulla scorta del Vangelo: “Spalanca l’orizzonte, allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell’amore di Dio che si fa vicino, non ci abbandona, agisce per la nostra salvezza”. “Sul Calvario, il sole si oscurerà e le tenebre scenderanno sul mondo”, le parole sulla morte di Gesù: “ma proprio in quel momento il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi, perché la potenza della sua risurrezione spezzerà le catene della morte, la vita eterna di Dio sorgerà dal buio del sepolcro e un mondo nuovo nascerà dalle macerie di una storia ferita dal male. Questa è la speranza che Gesù ci vuole consegnare”. “Anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra storia terrena”, l’invito del Papa: “laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita. E siamo noi, noi suoi discepoli, che grazie allo Spirito Santo possiamo seminare questa speranza nel mondo”.

“La speranza cristiana, che si è compiuta in Gesù e si realizza nel suo Regno, ha bisogno di noi e del nostro impegno, di una fede operosa nella carità, di cristiani che non si girano dall’altra parte”, l’esortazione ai credenti. “Io sento la stessa compassione di Gesù davanti ai poveri, davanti a quelli che non hanno lavoro, che non hanno da mangiare, che sono emarginati dalla società?”, ha chiesto il pontefice: “Io guardo dall’altra parte quando vedo la necessità, il dolore degli altri?”. “Siamo noi che possiamo e dobbiamo accendere luci di giustizia e di solidarietà mentre si addensano le ombre di un mondo chiuso”, l’invito: “Siamo noi che la sua grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alla sofferenza dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte”. Per Francesco, c’è bisogno di una “mistica dagli occhi aperti”: “non una spiritualità che fugge dal mondo ma, al contrario, una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri, per esercitare la stessa compassione di Cristo. E non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale, ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno: con i nostri stili di vita, con l’attenzione e la cura per l’ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda. Potrà sembrarci poca cosa, ma il nostro poco sarà come le prime foglie che spuntano sull’albero di fico: un anticipo dell’estate ormai vicina”.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Teatro

Giovani contro la violenza: a San Giorgio uno spettacolo per scuotere le coscienze

Sabato 23 novembre alle ore 18 nell’auditorium dell’istituto G. Pascoli a cura dei ragazzi di Azione Cattolica della parrocchia Maria SS. Immacolata

18 Nov 2024

di Daniele Panarelli
San Giorgio Jonico si prepara a una serata intensa e coinvolgente dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 23 novembre alle ore 18 nell’auditorium dell’istituto G. Pascoli, andrà in scena uno spettacolo dal titolo ‘Non sono mai solo parole… è violenza’, ideato e realizzato dai Giovani e Giovanissimi di Azione Cattolica della parrocchia Maria SS. Immacolata.   
Uno spettacolo che tocca il cuore Un’iniziativa fortemente voluta dall’amministrazione comunale e realizzata in collaborazione con numerose realtà del territorio, tra cui la Compagnia teatrale del Belvedere, la compagnia teatrale La Lima e la Raspa, Proloco San Giorgio, Arci Bounty Club SGj e l’artista Rosaria Piccione.
Lo spettacolo, un mix di teatro, musica, parole e danza, si propone di sensibilizzare, in particolare i giovani, sulla gravità della violenza di genere e sull’importanza di promuovere una cultura del rispetto.
Le parole come arma contro la violenza “Crediamo che la consapevolezza sia lo strumento necessario che in ogni età della vita possa fare la differenza”, affermano gli organizzatori. E proprio le parole, spesso sottovalutate, diventano in questo spettacolo un’arma potente per combattere la violenza. Attraverso testi toccanti e interpretazioni intense, i giovani protagonisti cercheranno di far riflettere il pubblico sulla portata delle parole e su come esse possano ferire o guarire.
Un invito alla partecipazione L’amministrazione comunale e tutte le realtà coinvolte invitano la cittadinanza a partecipare a questo importante evento. “Partecipare non è solo esserci ma testimoniare!”. Presenzieranno all’evento anche le professioniste del cav ‘Alzaia’, un centro antiviolenza che opera sul territorio, a disposizione per fornire supporto e informazioni a chi ne avesse bisogno.
#mobasta: un grido unito contro la violenza Lo spettacolo si inserisce in un contesto più ampio di iniziative volte a contrastare la violenza di genere. L’hashtag #mobasta, scelto dagli organizzatori, è un invito chiaro e deciso a dire basta alla violenza sulle donne.
L’Azione Cattolica di San Giorgio invita a non perdere l’occasione di partecipare a questo evento dando così il proprio contributo alla costruzione di una società più giusta ed equa.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Tracce

Una minaccia soprattutto per noi

(Photo from website https://www.governo.it/it/media/)
18 Nov 2024

di Emanuele Carrieri

C’era da aspettarselo, ma non in tempi così veloci. Che il clima negli Stati Uniti potesse peggiorare con l’elezione di Trump era indubbio, ma che lo scenario dei rapporti fra Europa e Usa potesse subire uno scossone così serio, a una settimana dall’affermazione del magnate, nessuno l’avrebbe mai potuto immaginare o presumere. Forse non è casuale che l’offensiva sovranista si sia indirizzata, in primo luogo, verso l’Italia, l’alleato statunitense maggiormente allineato alla Casa Bianca durante la presidenza Biden. Il governo del nostro Paese, sia sul conflitto in Ucraina che sugli altri fronti che stavano in maggiore misura a cuore a Biden, ha manifestato fedeltà assoluta ed è questa forse la ragione principale che spinge ora Elon Musk, il più convinto e tenace sostenitore della svolta trumpiana, a provare a mitragliare le istituzioni italiane per precisare, fin da subito, chi comanda ma, soprattutto, per chiedere una presa di posizione, netta e decisa, in favore di Trump. Certo è che i modi rudi e scomposti di Musk non fanno predire niente di buono e puntano a far alzare la temperatura del confronto e a produrre una vera e propria tempesta, destinata a propagare le sue conseguenze sul resto dell’Europa. Quello di Musk è un tentativo di attacco al cuore delle istituzioni dell’Italia, ai gangli vitali del nostro Stato: mira a stimolare una torsione sovranista della linea del governo. Una volta raggiunto tale obiettivo, il supporter di Trump vorrebbe far vacillare la già debole impalcatura dell’Unione europea e favorire la creazione di nuovi scenari geopolitici mondiali, attraverso il progressivo ridimensionamento dell’Ue. Di recente, si è constatata una escalation della tensione fra Musk e l’Italia, al punto che è dovuto intervenire il presidente della Repubblica, Mattarella – considerato il silenzio di chi ha ricevuto il favore della maggioranza, al netto dell’astensionismo – per precisare e respingere le offensive rivolte all’Italia, alle sue istituzioni e soprattutto al potere giudiziario. Il capo dello Stato ha ricordato di essersi già espresso in difesa della sovranità italiana due anni fa quando il centro-destra aveva vinto le elezioni e Laurence Boone, allora ministra per gli affari europei della Francia, aveva pronunciato frasi giudicate offensive nei riguardi del popolo italiano che aveva votato per il centro-destra. Piccola nota: la Meloni, in tale occasione, aveva reagito con aggressività all’attacco. “Questi giudici se ne devono andare”, ha poi tuonato Musk. Davanti alla perentoria e opportuna riaffermazione di sovranità da parte del capo dello Stato, il presidente del Consiglio non ha potuto fare altro che adeguarsi e dichiarare: “Ascoltiamo sempre con grande rispetto le parole del Presidente della Repubblica”. Ma, soltanto qualche ora prima, Giorgia Meloni aveva definito Musk “un libero cittadino Usa”, quindi legittimato a entrare a gamba tesa nelle vicende politiche di un Paese alleato, mettendo anche in discussione le prerogative del potere giudiziario, in nome di una arbitraria e fuorviante concezione di libertà di espressione come licenza di offendere anche i poteri di un altro Stato. Così, Musk ha rincarato la dose verso i magistrati con un altro post in cui, circa il caso Albania e la decisione del Tribunale di Roma di sospendere la convalida del trattenimento dei migranti, ha dichiarato: “Questo è inaccettabile. Il popolo italiano vive in una democrazia o è una autocrazia non eletta a prendere le decisioni?”. Povera Meloni: da un lato deve adeguarsi al Quirinale e difendere la sovranità nazionale, dall’altro deve conquistare il credito e la fiducia dell’amministrazione Trump. Ancora: deve evitare di farsi trascinare da Salvini nella rete dell’estremismo sovranista, perché rischierebbe di alienarsi le simpatie dei vertici europei, oltre che perdere i voti dei moderati. Di fatto, Salvini ha subito a spalleggiato Musk affermando che, quando parla di giudici italiani, lui “ha ragione”, mentre il resto del centro-destra si è dissociato. Ma questa offensiva sovranista non ha soltanto risvolti geopolitici: infatti, ha notevoli implicazioni anche in ambito digitale. Musk ha mire chiare in termini di colonizzazione dell’Europa e, specialmente dell’Italia, per quanto riguarda le nuove frontiere dell’innovazione digitale. Si pensi pure al controllo dei dati, che sono il pozzo senza fondo dell’economia digitale: egemonizzare il traffico dati significa controllare il mondo e orientare le traiettorie future dello sviluppo planetario. L’Italia appare interamente in balia dei colossi extraeuropei, che detteranno le regole anche in tema di addestramento degli algoritmi, imponendo le loro tavole di valori e regolamentando l’esercizio dei diritti fondamentali, fra i quali anche la libertà di manifestazione del pensiero. C’è di più: costa almeno un miliardo e mezzo di euro la partita che Musk sta provando a giocare in Italia. Per lui, arrivare qui con il sistema di connessione satellitare Starlink significherebbe scalzare operatori nazionali e, innanzitutto, entrare in Ue dalla porta principale. Secondo una ricostruzione fatta da L’Espresso, sembrerebbe – irrinunciabile è il condizionale – che il governo italiano sia impegnato a esaminare una proposta mandata dall’azienda di Musk riguardante le comunicazioni satellitari di tipo militare. Le attività diplomatiche e di intelligence fuori dal territorio italiano dovrebbero passare su Starlink. Oltre al costo stimato di un miliardo e mezzo di euro, ciò che pesa davvero, ed è incalcolabile, è il controllo delle comunicazioni più delicate di uno stato dell’Unione Europea e della Nato affidato a una azienda privata, magari di Elon Musk. Chi, dovendo partire all’improvviso, affiderebbe a quell’uomo il proprio criceto?

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Sport

Jannik Sinner, quando l’ambizione degli avversari è perdere di misura

foto Instagram janniksin
18 Nov 2024

di Paolo Arrivo

Troppo forte per tutti. Almeno finché è in condizioni di forma strepitosa, Jannik Sinner è l’incontrastato numero uno del mondo, al quale deve inchinarsi ogni avversario sul campo di gioco: alle Atp Finals di Torino l’altoatesino ha dato una prova di manifesta superiorità mai vista prima. Sebbene ne abbia vinti di incontri in questa stagione d’oro. L’ultima vittima è stata l’americano Taylor Fritz, sconfitto ieri sera in due set, ma con un onorevole 6-4 6-4, potremmo dire. Poteva andargli peggio. Poteva essere surclassato, come era successo in semifinale al povero Casper Ruud. A “salvare” Fritz è stato il suo servizio. Per sua sventura, o nostra fortuna (che noia le partite in cui gli scambi non possono partire), non si può battere sempre a tutta.

Alzare il livello: l’ossessione di Sinner

Ogni volta che sbaglia una battuta, o che non risolve un lungo scambio a proprio favore (poche volte, in verità, nella settimana conclusa), il campione deve rammaricarsi non poco. Perché il suo obiettivo è migliorare ancora. Sino a rasentare la perfezione. Lo ha detto chiaramente lo stesso Sinner a Torino, di voler alzare l’asticella: per questo lavora insieme allo staff che lo assiste ogni giorno. Per esprimere al meglio le proprie caratteristiche e per arricchire il suo bagaglio tecnico. Alzare il livello significa perseguire nuovi obiettivi per il 2025. Che sono una diretta conseguenza del lavoro: il principale rivale di Carlos Alcaraz (l’unico ad averlo sconfitto tre volte in questa stagione), per stessa ammissione dell’altoatesino, non aveva cominciato il 2024 con l’obiettivo specifico di vincere un grande Slam o di occupare la posizione numero 1 del ranking. Così i trionfi si materializzano senza farne una ossessione. L’unico pensiero di chi si diverte nel fare al meglio il proprio mestiere sembra essere quello di migliorare ancora.

L’anno degli 8 titoli

Settanta vittorie su 76 incontri. Due Slam (Australian Open, US Open) e tre Master 1000. È il 2024 straordinario di Sinner, dominatore del cemento, capace di adattarsi alla terra rossa. Si pensi che il tris nella stessa stagione (due titoli slam, Melbourne e New York, seguiti dal secondo torneo più importante sulla superficie veloce) era riuscito solamente a due mostri sacri, come Novak Djokovic e Roger Federer. Il tennista dei record è stato il primo italiano a conquistare le Atp Finals. Con la possibilità di ripetersi – il torneo si disputerà in Italia fino al 2030. Una gratificazione che lascia intravvedere gli altri primati da raggiungere a breve. La ciliegina sulla torta fatta appunto di 70 candeline. Ma gli anni di Jannik sono appena ventitré. L’unico dubbio che ci lascia ora: continuerà a spingere la palla a velocità supersoniche quando avrà l’età di Djokovic? Probabilmente no. Ma perché l’atleta ha una testa che funziona, oltre al fisico fuori misura, riuscirà a sopperire all’inevitabile declino con altre armi a disposizione. E il mondo del tennis lo ringrazierà ancora.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Libro di papa Francesco

Papa Francesco: “Occorre indagare con attenzione per determinare se a Gaza è in atto un genocidio”

foto Vatican media-Sir
18 Nov 2024

“A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”. È quanto scrive papa Francesco nel suo nuovo libro ‘La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore’, in uscita per il Giubileo 2025.
Il volume, a cura di Hernán Reyes Alcaide (Edizioni Piemme), uscirà domani, martedì 19 novembre, in Italia, Spagna e America Latina, e poi a seguire in vari altri Paesi. Ad anticipare alcuni brani del libro è stato il quotidiano La Stampa, rilanciato da Vatican News.
Nel volume il pontefice riflette su temi come la pace, la famiglia, le migrazioni, l’economia e la crisi climatica.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO