Formazione cristiana

Martina Franca, itinerario biblico comunitario alla Sant’Antonio

22 Gen 2025

di Angelo Diofano

‘Camminava con loro’ (At. 24, 15) è il titolo dell’itinerario biblico comunitario a cura della parrocchia di Sant’Antonio a Martina Franca (parroco, don Mimmo Sergio) iniziato lunedì 20 gennaio con la catechesi biblica di mons. Giovani Ancona su ‘Gesù, compimento della Scrittura’ (Lc 4,21).

Prossimo appuntamento è per giovedì 23 alle ore 19.30 a cura degli ‘Amici di Lourdes’ su ‘Pellegrini di speranza, cercatori di pace’ con gli interventi di don Antonio Panico, vicario episcopale per i problemi sociali, e della dott.ssa Maria Cafolla (consultorio Gemelli di Taranto) con i saluti di don Mimmo Sergio e il coordinamento di mons. Franco Semeraro.

L’itinerario biblico proseguirà con i seguenti incontri: domenica 26 gennaio, a mezzogiorno santa messa solenne con omelia dettata da don Antonello Bruno, novello diacono; 27-28-28 gennaio al seminario di Poggio Galeso alle ore 16 con la tre giorni di formazione biblica a cura dell’ufficio catechistico diocesano; 28 gennaio, per i martedì culturali a Sant’Antonio, nel quinto anniversario degli incontri ,alle ore 19.30 la dott.ssa Cosetta Petronella (archeologa) e il parroco don Mimmo Sergio parleranno sul tema ‘La Bibbia, meta del pellegrino. Il portale della Gloria di Santiago’;  30 gennaio, incontro a cura dell’Azione cattolica parrocchiale alle ore 19.30 su ‘Dalla routine allo stupore’ con la dott.ssa Maria Grazia Magazzino pedagogista-Centro spirituale ignaziano; 1 febbraio, alle ore 20, incontro per i fidanzati che si preparano alla celebrazione del matrimonio; 2 febbraio, alle ore 9 santa messa con la benedizione delle candele presieduta da padre Pio Callegari missionario della Consolata, nella Giornata della vita consacrata e alle ore 12 santa messa presieduta dal parroco con la benedizione della nuova tela ‘Gesù Misericordioso’ del maestro Igli Arapi.

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Udienza generale

L’udienza generale di papa Francesco di mercoledì 22 gennaio

foto Vatican media-Sir
22 Gen 2025

“Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, non dimentichiamo la Palestina, Israele, il Myanmar”: è l’invito di papa Francesco, al termine dell’udienza di oggi. “Preghiamo per la pace”, ha detto salutando i pellegrini di lingua italiana: “La guerra sempre è una sconfitta”. “Ieri ho chiamato – lo faccio tutti i giorni – la parrocchia di Gaza”, ha poi rivelato: “Erano contenti, lì dentro ci sono 600 persone, parrocchia e collegio. E mi hanno detto: oggi abbiamo mangiato lenticchie con pollo, una cosa che in questi tempi non erano abituati a fare”. “Preghiamo per Gaza, per la pace, e in tante altri parti del mondo”, l’appello finale: “La guerra è una sconfitta. E chi guadagna con la guerra? I fabbricanti delle armi”. “Voglio che sappiate che il mio cuore è con il popolo di Los Angeles, che sofferto così tanto a causa degli incendi che hanno devastato interi quartieri e comunità, che non sono finiti”, l’altra rivelazione papale: “Nostra Signora Di Guadalupe interceda per tutti gli abitanti, affinché possano essere testimoni di speranza attraverso la forza della diversità e della creatività per cui sono conosciuti in tutto il mondo”. In aula Paolo VI, il papa ha ripreso il ciclo di catechesi sul tema “Gesù Cristo nostra speranza”, che scandirà tutto l’anno giubilare.

“Sempre la presenza del Signore ci dà questa grazia: di non temere”, il commento all’episodio dell’annunciazione narrato all’inizio del Vangelo di Luca. “Lo dice a Maria, e lo dice anche a noi: non temere, vai avanti, non temere!”, ha proseguito: “Padre, io ho paura di questo! E cosa fai? Io vado dalla strega, mi faccio leggere le mani. Per favore! Non temere: è bello questo. Io sono il tuo compagno di cammino, dice il Signore a Maria”. Al posto del classico saluto “pace a te”, Gabriele si rivolge alla Vergine con l’invito “rallegrati!”, “gioisci!”. “Un appello caro alla storia sacra, perché i profeti lo usano quando annunciano la venuta del Messia alla Figlia di Sion”, ha commentato Francesco: “È l’invito alla gioia che Dio rivolge al suo popolo quando finisce l’esilio e il Signore fa sentire la sua presenza viva e operante”. Inoltre, Dio chiama Maria con un nome d’amore sconosciuto alla storia biblica: kecharitoméne, che significa “riempita dalla grazia divina”.

“Maria è piena della grazia divina”, ha osservato Francesco, secondo il quale “questo nome dice che l’amore di Dio ha già da tempo abitato e continua a dimorare nel cuore di Maria. Dice quanto lei sia ‘graziosa’ e soprattutto quanto la grazia di Dio abbia compiuto in lei una cesellatura interiore facendone il suo capolavoro. Piena di grazia. Questo soprannome amoroso, che Dio dà solo a Maria, è subito accompagnato da una rassicurazione: ‘Non temere!’”. Nei saluti delle varie lingue, il pontefice ha citato inoltre la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che – ha ribadito – “non è il frutto dei nostri sforzi, ma un dono che dobbiamo chiedere al Padre, perché il mondo creda nel suo Figlio unigenito, Cristo Salvatore”. Poi un saluto particolare alle nonne e ai nonni, rivolto ai fedeli polacchi che in questi giorni celebrano la loro festa: “Per favore, ricordate anche nelle vostre preghiere le persone anziane dell’Ucraina che stanno vivendo la tragedia della guerra”.

 

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Ricorrenze

Gli 800 anni del Cantico delle creature:
l’attualità di un messaggio senza tempo

21 Gen 2025

di Giada Di Reda

Ad Assisi, ha avuto luogo l’apertura ufficiale dell’ottavo centenario del Cantico delle creature, uno dei primi esempi della poesia scritta in volgare. Un’occasione per celebrare il creato, imparare a custodirlo e riflettere sul rapporto tra uomo e natura.

La cerimonia d’apertura, organizzata dalla Conferenza della famiglia francescana, in collaborazione con le diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Foligno, guidate dal vescovo mons. Domenico Sorrentino, e la città di Assisi, si è sviluppata in due momenti: il primo, nel Santuario di San Damiano, scelta simbolica in quanto luogo di ispirazione della maggior parte del cantico, presieduta fra Francesco Piloni, ministro provinciale dei frati minori di Umbria e Sardegna. È stata letta la Compilazione di Assisi, fonte preziosa per la conoscenza del santo e del contesto storico e culturale in cui egli operò, seguita da una liturgia della parola e dall’intervento del ministro generale dei frati minori, fra Massimo Fusarelli, dal ministro generale dei frati minori conventuali, fra Carlos Alberto Trovarelli, e dal ministro generale dell’ordine francescano secolare, Tibor Kauser.

Il secondo momento si è svolto al Santuario della spogliazione, nella Chiesa di Santa Maria maggiore, ove il Poverello di Assisi ricevette il Battesimo, e scrisse nel vescovado le ultime due strofe del cantico. Lì, la lettura di due stralci della Compilazione, in particolare quelli dedicati all’ultima parte del cantico a cui è seguita la lettura del messaggio del presidente della Conferenza francescana internazionale dei fratelli e delle sorelle del Terz’ordine regolare, suor Frances Marie Duncan, del ministro generale del Terz’ordine regolare, fra Amando Trujillo Cano, del ministro generale dei frati minori cappuccini, fra Roberto Genuin, e l’intervento finale di mons. Sorrentino.

Il Cantico rappresenta una lode, nonché un ringraziamento a Dio per la creazione del mondo; un inno alla bellezza e dell’utilità delle creature, ma anche alla sofferenza e alla morte quali esperienze di vicinanza con Dio. L’opera è per intero un richiamo agli argomenti tipici della spiritualità francescana: il richiamo a Dio padre amoroso delle sue creature, l’armonia del Creato quale immagine della perfezione di Dio, la fratellanza universale e la necessità della pace, l’accettazione dei doni di Dio, la sofferenza come strada per raggiungere la vita eterna.

I valori della fraternità e dell’amore per il Creato sono stati fonti di ispirazione per le lettere encicliche Laudato sì (2015) sulla cura del creato e la custodia della casa comune, e Fratelli tutti (2020) sulla promozione della pace della relazione armoniosa tra i popoli, e i principi di fraternità universale e dialogo incarnati da San Francesco. Ancora oggi, valori francescani come l’umiltà e il servizio nei confronti del prossimo, sono rilevanti e influenzano positivamente l’impegno sociale ed ecologico della Chiesa.

Il senso profondo di questo centenario si trova proprio nella lettura approfondita del Cantico, che nel tempo della complessità, ci rivela la sua attualità. L’eredità spirituale di San Francesco, presente tra le righe del Cantico, è portatrice di un messaggio di speranza che si configura come un invito ad un impegno continuo nella ricerca della pace e nella custodia del dono del Creato e di tutto ciò che esso rappresenta.

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Intervista esclusiva

Cardini: Valditara sbaglia sulla geostoria e l’aggiornamento dev’essere obbligatorio

foto Sit
21 Gen 2025

di Silvano Trevisani

La storia è fondamento delle nostre conoscenze. Ma ci sono molti modi di ‘fare’ e ‘raccontare’ la storia e il suo essere ‘maestra di vita’ può dipendere dalla nostra memoria, spesso ingannatrice.

Sulla storia si è interrogato Franco Cardini, uno degli storici più noti e popolari che, interrogato da Sergio Valzania, giornalista e storico lui stesso, ha dato alla luce il saggio ‘I confini della storia’. Lo ha presentato a Taranto, nella biblioteca Acclavio, introdotto dall’editore Giuseppe Laterza. Abbiamo approfittato della sua presenza per rivolgergli alcune domande sui temi d’attualità.

Abbiamo appreso dal ministro Valditara che la scuola italiana darà l’addio alla geostoria per dare spazio esclusivo alla storia italiana e occidentale. Cosa vuol dire? È un fatto di per sé positivo?

Se è un fatto positivo o negativo non lo so. So che viviamo un momento di profonda crisi del mondo occidentale e in cui altrove succede di tutto. Programmare un futuro in cui si tornerà a non saper più nulla, o sapere troppo poco, di quello che succede fuori dal ‘cosiddetto’ Occidente, mi pare una scelta suicida. Cento anni fa si poteva anche ammettere che un ragazzo non sapesse nulla… che so… dell’Impero cinese. Mi chiedo se questo oggi è ancora possibile. Questa visione di un mondo a compartimenti stagni, in cui si può ignorare quello che succede semplicemente perché non è una parte nostra, quando le connessioni sono profonde, per l’economia, la politica, la religione, la cultura sono perfettamente connesse, tutto questo mi sembra assolutamente incongruo. L’addio alla geostoria è una cosa che farà piacere al ministro e, credo, anche al deus ex machina della visione storica che ci sta dietro, che è il mio vecchio e caro amico Ernesto Galli Della Loggia. Ma io sono un figlio di ‘Les Annales’ e non sono assolutamente d’accordo sull’addio alla geostoria, per tornare poi a cosa? alla storia hegeliana o limitarsi alla storia del Risorgimento, della Resistenza? Tutto questo mi pare culturalmente suicida.

Ma sul concetto di ‘ritorno’ è d’accordo?

Su alcune cose sono d’accordo, ma non userei però la parola ‘ritorno’, che dà fastidio alle sinistre che commentano queste scelte come un andare all’indietro… Io per queste storie autostradali della direzione di marcia, avanti o indietro, ho una certa antipatia. Credo semplicemente che il trend della vita dell’Occidente moderno abbia creato un grosso danno soprattutto alle giovani generazioni, e stia atrofizzando la loro capacità di organizzare la memoria. Quando non si organizza la memoria poi si ha un bel parlare di intelligenza artificiale o di altro: si atrofizza il nostro sistema di pensare, di ricordare, di organizzare ecc… il ricorso alla ‘mnemotecnica’ perché di questo si tratta, e mi meraviglio che il ministro e i miei dotti colleghi che hanno organizzato la strategia intorno alla ministro, siano ricorsi a una parola come filastrocca. Qui non si tratta di imparare delle filastrocche, si tratta evidentemente di attivare la nostra capacità di memorizzare e siccome aveva ragione il vecchio Platone (e non si tratta certo di un passo indietro!) quando diceva che le cose si sanno nella misura in cui si ricordano. I nostri ragazzi, invece, non ricordano più nulla, non sono in grado nemmeno di fare le piccole operazioni matematiche senza l’ausilio tecnologico. Allo stesso modo sarebbe importante, e qui non ho trovato nessun accenno il quello che ha detto il ministro, l’aggiornamento dei docenti. Perché è assurdo che, mentre nelle scienze non si ammetterebbe che un docente insegnasse ancora la fisica, la chimica, la matematica di trent’anni fa, nelle materia che ancora si chiamano, per comodità o pigrizia, umanistiche, si ammetta che un docente possa continuare a insegnare roba imparata venti, trenta o quarant’anni fa. L’aggiornamento è importatissimo e lo si deve fare obbligatoriamente e naturalmente, deve essere gratuito, anzi deve essere retribuito nella misura in cui fa parte dell’obbligo di insegnare in maniera corretta.

Ma non era stata anche una certa destra liberista a rivoluzionare la scuola secondaria, licealizzandola e abbassando il livello anche dei vecchi licei. E che ha sacrificato quel latino che oggi si vuole reinserire in nome delle tre ‘i’: inglese, informatica, impresa? Se ‘ritorno’ c’è non contraddice anche questa visione tecnocratica?

La destra liberista aveva fatto questo tipo di ragionamento in omaggio alle correnti più avanzate della logica del profitto e del consumo. Adesso ci siamo accorti che con quella logica, la cultura, nel senso di ‘preparazione’ ma anche nel senso di autocoscienza, torna indietro. E allora si fa un altro discorso, forse anche quello di desta, del recupero della cultura occidentale perché, secondo chi pensa questo, la cultura occidentale è stata sacrificata la mondialismo. Ma noi occidentali abbiamo sacrificato il resto del mondo, perché la conquista del mondo da parte dell’Occidente è stata un fatto reale. Noi ci siamo arricchiti e siamo diventati così eleganti, ben vestiti e ben nutriti, semplicemente perché abbiamo razziato il resto del mondo. Ma lo abbiamo razziato con una cultura che non ci veniva mica soltanto dall’Occidente, perché gli arabi hanno fatto, nel Medioevo, passi avanti soprattutto nella cultura scientifica, chimica, fisica, astronomica, medica, perché avevano messo a frutto la scienza greca, Anche se questo la gente non lo sa, anzi molti si scandalizzano e si meravigliano se glielo diciamo. Gli italiani pensano che i greci e gli arabi non avessero nulla a che fare con loro e invece è vero il contrario. Questa scienza dai greci e dagli arabi è passata a noi che abbiamo un debito enorme nei confronti di queste culture. Non diciamo nulla di tutto questo? Così come non diciamo nulla di quello che erano i sultanati persiani, l’impero cinese, il Moghul indiano e via discorrendo?

Non è un paradosso, in questo, cancellare la geografia? Anche molti laureati, oggi, di fatto non conoscono il mondo. Altro che geostoria!

È evidente! Storia e geografia sono strettamente interconnesse, complementari. Come l’ordito e la trama in una stoffa: l’ordito è il tempo, e la trama è lo spazio. E senza geografia non si fa la storia, se poi loro ce l’hanno con la ‘nouvelle istoire’ e con la geostoria e vogliono tornare indietro perché pensano che siano cose di sinistra, beh!… questo è un affare loro. Si informino e cambieranno idea. Almeno lo spero.

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Diocesi

Il tarantino padre Giovanni D’Elia missionario ad Osaka

21 Gen 2025

di Angelo Diofano

Il nome richiama il titolo di una canzone di Eugenio Finardi (Le ragazze di Osaka) ed è anche quello della nota località del Giappone dove dal 2003 il tarantino don Giovanni D’Elia, 54 anni, missionario saveriano, esercita il ministero sacerdotale.

Lo abbiamo incontrato nel corso delle festività, venuto a Taranto per riabbracciare la famiglia e riassaporare le nostre bellissime tradizioni natalizie. “In Giappone, non essendo un paese cristiano quello di Natale è un normale giorno lavorativo e la festa si riduce alla sola giornata del 25 dicembre – racconta –. Ben altra cosa è invece dalle nostre parti, dove vantiamo il Natale più lungo del mondo. Nonostante tutto, anche nell’atmosfera particolarmente festosa di casa mia, non vedevo l’ora di tornare nel Paese del Sol Levante!”.

Cresciuto in una famiglia di cattolici praticanti e frequentante dapprima la concattedrale e poi la parrocchia di Santa Rita, il sacerdote prese contatto con il carisma dell’ordine religioso cui appartiene negli anni ottanta, durante un campo di lavoro estivo alla San Giovanni Bosco, coordinato dai padri saveriani Michelangelo Pennino, Daniele Targa e Antonio Anaya.
Spinto dal loro esempio, una volta conseguita la maturità al ‘Pacinotti’ e dopo qualche anno all’università, a ventidue anni entrò nella comunità saveriana di Desio per il postulantato, frequentato negli anni ’93-’95, per poi effettuare il noviziato ad Ancona, dove nell’agosto del ‘97 emise la prima professione religiosa. Successivamente fu inviato al seminario internazionale di Manila, capitale delle Filippine, per studiare Teologia. Infine il 19 ottobre del 2002 in concattedrale, in occasione della giornata missionaria mondiale, egli fu ordinato sacerdote, per poi essere destinato nel 2003 ad Osaka, dov’è presente da ventidue anni. Suo primo compito, oltre che il difficile studio della lingua, riguardò la chiesa di San Paolo, di cui divenne parroco. “Essendo l’edificio ormai fatiscente, si dovette demolirlo e poi ricostruirlo interamente per poi riaprirlo il 20 dicembre 2020, in piena pandemia, con la cerimonia di consacrazione. Contemporaneamente mi misi all’opera per ricompattare la comunità, mille fedeli complessivamente, di cui solo la metà composta da giapponesi e il resto proveniente da tutto il mondo”.

Padre Giovanni aggiunge che i cattolici in Giappone sono appena 500mila, pari allo 0.5% della popolazione composta da ben 126 milioni di persone. “Un’inezia! – commenta –. Nonostante tutto vi si respira quella fede intensa e coerente che doveva caratterizzare la Chiesa delle origini, controcorrente rispetto alla mentalità dell’epoca”.

Oltre agli impegni pastorali quotidiani, padre Giovanni insegna religione nelle classi elementari, medie e superiori di una scuola cattolica, dove i cattolici, in verità, sono ovviamente molto pochi. “Nonostante tutto, il mio insegnamento è molto seguito, i cui contenuti ovviamente non sono totalmente condivisi, nel rispetto reciproco della propria fede. Noto però molta curiosità e simpatia nei confronti della nostra fede, ma le conversioni sono rare e in ogni caso necessitano di processi di maturazione molto lunghi”.

Il missionario tarantino aggiunge che non mancano le domande da parte degli studenti durante le lezioni. “Le più frequenti riguardano il mistero della Santissima Trinità e lo stato di celibato di noi sacerdoti: difficili da far comprendere – dice –; ma ancor più problematico è spiegare la necessità del perdono verso il nemico, imprescindibile per noi cristiani: davvero impresa ardua farlo accettare, data la mentalità giapponese”.

In verità, lo è spesso anche da noi.

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Popolo in festa

‘Con don Bosco viviamo il Giubileo 2025’, le celebrazioni salesiane

21 Gen 2025

di Angelo Diofano

All’insegna de ‘Con don Bosco viviamo il Giubileo 2025’, la parrocchia salesiana in via Capitanata organizza i festeggiamenti in onore di san Giovanni Bosco. Questo l’invito del parroco, don Giovanni Monaco: “Cari ragazzi, cari genitori, cari animatori ed educatori, amici di don Bosco e comunità educativa tutta, i festeggiamenti di don Bosco si inseriscono nel grande avvenimento che la Chiesa sta vivendo: il Giubileo ordinario che è iniziato il 24 dicembre con l’apertura della porta santa. Papa Francesco ci sta invitando a riflettere che la speranza cristiana è una speranza incarnata, che si nutre dell’operosità e si traduce in azioni concrete di carità e giustizia. In questo senso, don Bosco è per noi un esempio luminoso. Per lui, camminare nella speranza significava agire, sognare e costruire, consapevole che Dio non delude mai chi ripone in Lui la fiducia. Per questo desideriamo essere ‘pellegrini di speranza con i giovani’ avendo come modello Don Bosco, vogliamo conoscerlo sempre di più per continuare a sognare e a segnare il cuore dei giovani. Ci auguriamo che gli appuntamenti programmati ci aiutino a sperimentare la bellezza di essere ‘Pellegrini di Speranza’”.

I festeggiamenti inizieranno mercoledì 22 gennaio ricordando, nella santa messa delle ore 18.30, Laura Vicuna, una ragazza cresciuta nell’oratorio salesiano delle Figlie di Maria Ausiliatrice, cui seguirà un momento di letizia nell’oratorio delle medesime suore salesiane; giovedì 23, alle ore 19, l’arcivescovo mons. Ciro Miniero presiederà  la celebrazione ecumenica della Parola a cura dell’ufficio diocesano per il dialogo ecumenico;venerdì 26, festa di san Francesco di Sales, alle ore 18 santo rosario e alle ore 18.30 celebrazione eucaristica con rinnovo delle promesse dei cooperatori salesiani; alle ore 19, presentazione della strenna 2025 realizzata dal rettor maggiore, cardinale Ángel Fernández Artime, dal titolo ‘Ancorati alla speranza-Pellegrini con i giovani’ a cura di don Giuseppe Russo, delegato della pastorale giovanile dell’ispettoria meridionale; lunedì 27, incontro con i parroci della vicaria.

Dal 28 al 30 gennaio si terrà il triduo di preparazione alla festa con santa messa alle ore 18.30 celebrata da don Francesco Nigro, direttore dell’istituto superiore di scienze religiose metropolitano ‘San Giovanni Paolo II’; a seguire, torneo don Bosco a cura dell’associazione asd Savio e animazione in cortile; giovedì 30, alle ore 10.30, ‘Don Bosco in festa’ con l’istituto comprensivo ‘San Giovanni Bosco’ Taranto e alle ore 19.30 veglia di preghiera per i giovani a cura degli oratori delle Figlie di Maria Ausiliatrice e San Giovanni Bosco.

foto G. Leva

Venerdì 31, solennità di San Giovanni Bosco, sante messe alle ore 8.30-9.30 (per i ragazzi dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice)-18.30 (presieduta dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero). A seguire, nel cortile, distribuzione del ‘panino di don Bosco’, karaoke con i canti di don Bosco e animazione musicale con la band musicale ‘Gli sbandati’.

Infine, sabato 1 febbraio, alle ore 18.30 santa messa in ricordo dei salesiani defunti.

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Formazione

Giovedì 23, Albert Antonini Mangia alla Masterclass di Giardini digitali

Il progetto, selezionato e sostenuto dal Fondo per la Repubblica digitale – impresa sociale, prevede la realizzazione di sei incontri con i più importanti role model mondiali

21 Gen 2025

Conoscere le migliori esperienze di digital marketing & e-commerce da un esperto riconosciuto nel settore, collegare direttamente l’innovazione tecnologica con le opportunità di crescita per il tessuto economico e imprenditoriale locale, potenziare la conoscenza e le abilità necessarie per competere in un mondo sempre più orientato al digitale: la ghiotta opportunità arriva dal terzo appuntamento delle Masterclass di Giardini digitali, il progetto selezionato e sostenuto dal Fondo per la Repubblica digitale – impresa sociale, che mira a qualificare o riqualificare disoccupati o inoccupati che si trovano ai margini del lavoro e che risiedono in Puglia.

Il progetto prevede la realizzazione di sei incontri con i più importanti role model mondiali. Il 2025 porta a Taranto il dott. Albert Antonini Mangia, consultant & industry expert di Cavour Corporate Finance.
Durante l’evento, che si terrà  giovedì 23 gennaio all’hotel Delfino di Taranto dalle ore 17 alle ore 19.30, Antonini Mangia condividerà le sue conoscenze approfondite e la sua esperienza pluriennale, offrendo una panoramica completa e pratica sui principali strumenti digitali per il successo online.

La scelta del luogo da parte degli organizzatori, Ciofs/fp-Puglia ets, associazione SurfHers aps,  Visionari ets-aps e Stella marina aps, risponde alla necessità di realizzare un incontro pubblico in un luogo facilmente raggiungibile, consono a convegni ed eventi di carattere economico.
Giardini digitali è un progetto ambizioso e visionario del Ciofs/fp-Puglia ets, nato per rispondere alle sfide della trasformazione digitale e per promuovere lo sviluppo di competenze tecnologiche avanzate tra i giovani, i professionisti e la cittadinanza.
La Masterclass di Giardini digitali si realizza con il patrocinio di Confindustria Taranto, presente all’evento con un suo rappresentante.
Il programma prevede il saluto iniziale di suor Imma Milizia del Ciofs/fp-Puglia ets e del progettista dott. Francesco Giuri.

L’obiettivo dell’evento è duplice: da un lato, preparare gli allievi a cogliere le opportunità di lavoro offerte dal digitale; dall’altro, creare una rete di innovazione che coinvolga imprese, istituzioni e cittadini in un processo virtuoso di crescita economica e sociale.
Antonini Mangia si adopera per contribuire alla crescita del nostro territorio e della Puglia in generale. Rappresenta un’eccellenza che si spende per Taranto, sua città natale, e per la Puglia, per dimostrare come il digitale possa essere un motore di cambiamento e innovazione per tutto il Sud.
A moderare i lavori la giornalista Gabriella Ressa.

partecipazione è gratuita, ma è gradita la prenotazione a: info@giardinidigitali.it.

Albert Anonini Mangia

È industry expert alla Cavour Corporate Finance, boutique di M&A specializzata in finanza.
Professionista con un’esperienza significativa in aziende globali come Alibaba, Mediaset e Fininvest, è docente di digital marketing ed e-commerce presso università e business school.
Nel ruolo di direttore marketing per il Sud Europa di Alibaba Group, ha fondato nel 2016 gli uffici italiani del colosso cinese dell’e-commerce, supportando oltre 500 brand nell’accesso al mercato cinese tramite Tmall e facilitando migliaia di pmi italiane nell’export internazionale.

Nell’area digitale di Mediaset ha contribuito al lancio delle prime applicazioni mobile del gruppo (TgCom24, Sport Mediaset, Chi vuol essere milionario).
Completa il suo profilo un’esperienza come ufficiale della Marina Militare italiana e il ruolo di product manager alla Jumpy, la startup del gruppo Fininvest. È autore del libro ‘Digital marketing & e-commerce’, pubblicato dalla casa editrice Hoepli.

Il progetto Giardini digitali è stato selezionato e sostenuto dal Fondo per la Repubblica digitale – impresa sociale. Il Fondo per la Repubblica digitale è nato da una partnership tra pubblico e privato sociale (Governo e Associazione di fondazioni e di casse di risparmio – Acri) e, in via sperimentale per gli anni 2022-2026, stanzia un totale di circa 350 milioni di euro. È alimentato da versamenti effettuati dalle Fondazioni di origine bancaria. L’obiettivo è accrescere le competenze digitali e sviluppare la transizione digitale del Paese. Per attuare i programmi del Fondo – che si muove nell’ambito degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e dal Pnc (Piano nazionale complementare) – a maggio 2022 è nato il Fondo per la Repubblica digitale – impresa sociale, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata da Acri.

Per maggiori informazioni: www.fondorepubblicadigitale.it.

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Eventi a Taranto e provincia

Alla parrocchia Don Bosco, incontro del gruppo famiglie

21 Gen 2025

Oggi, martedì 21 gennaio alle ore 19.30 nella parrocchia San Giovanni Bosco, a Taranto, a cura del gruppo famiglie, si terrà un incontro aperto a tutti con la dott.ssa Maristella Rizzuto (pedagogista) sul tema ‘I figli, dono di Dio’. Questo, prendendo spunto dalle parole di San Giovanni Paolo II: “La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda e vede i due miracoli più belli che ha fatto: donare la vita e donare l’amore”.

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Salute

Aggredite tre infermiere del “Moscati”, la sanità pubblica continua ad arretrare

20 Gen 2025

di Silvano Trevisani

La sanità è sempre sotto attacco. Le aggressioni al personale sanitario continuano e tre infermiere sono state aggredite all’ospedale “Moscati”, riportando ferite che hanno necessitato di cure mediche e di alcuni giorni di prognosi. Che le costringono a rimanere a riposo e a temere anche il ritorno al lavoro. Non basta certo l’aumento delle sanzioni a evitare le aggressioni. I provvedimenti punitivi sono sempre i più facili da prendere e di solito i più inutili. Perché solo la prevenzione risolverebbe il problema: servizi sanitari più efficienti, percorsi diagnostici efficaci e completi, risposte più sollecite.

Ma purtroppo la sanità pubblica sta andando in direzione opposta, Mentre una popolazione come quella italiana, che invecchia sempre più, avrebbe bisogno che si tornasse ai livelli che le hanno consentito di essere giudicata, negli anni passati, tra le migliori al mondo.

L’aggressione

Ma partiamo con l’ultimo episodio registratosi a Taranto, riprendendo la notizia diffusa dalla Cgil: La notte tra venerdì 17 e sabato 18 gennaio, nel reparto di otorinolaringoiatria del “Moscati” ci sono solo tre giovani infermiere in servizio. Mentre stanno svolgendo il regolare giro di notte per la rilevazione dei parametri vitali dei pazienti ricoverati vengono brutalmente aggredite da uno di loro.

Il paziente ha subito un intervento chirurgico, ma nulla lasciava presagire lo scatto di ira che ha riguardato lo stesso. Le tre infermiere vengono prese di mira con calci e pugni.

Le reazioni

Quel paziente malgrado l’intervento chirurgico fosse di competenza di quel reparto, probabilmente aveva bisogno di essere valutato a monte per gli eventi disturbi psichici che avrebbe potuto manifestare”. Lo sottolinea Cristina Fama, segretaria provinciale della FP CGIL jonica.

Questa cronaca, così come quella dei medici e di tutto il personale sanitario vessato e malmenato da parenti dei pazienti stessi, mette in evidenza un aspetto comune di gravi inadempienze relative all’organizzazione del lavoro”. Dichiara da parte sua Mimmo Sardelli, segretario generale della FP CGIL di Taranto.

Quel paziente avrebbe avuto diritto ad altro tipo di assistenza, altro tipo di valutazione preliminare e le lavoratrici avrebbero avuto il sacrosanto diritto di maggiore sicurezza.

Ma la scarsità crescente di risorse, la carenza assoluta di personale medico e paramedico, ma secondo noi anche le norme che incentivano la medicina privata, stanno rendendo tutto sempre più complicato. E non solo favorendo le cliniche private nelle strutture ma anche con la favorendo le prestazioni private da parte dei dipendenti pubblici.

Sul pronto soccorso

Brilla negativamente Taranto, soprattutto per quel che riguarda i pronto soccorso: “vanta” la peggiore situazione regionale, dopo la chiusura di varie strutture, fra le quali proprio quella del “Moscati”. La situazione è a dir poco vergognosa: Taranto ha un rapporto di 186.798 abitanti per pronto soccorso (molti di più se si passa dalla teoria alla pratica!), più del doppio di Bari, che scende a soli 79.053 abitanti per pronto soccorso. Nei giorni scorsi, dopo le forti pressioni politiche e sociali, il presidente Emiliano ha affermato di voler chiedere al ministero della Sanità il secondo pronto soccorso per la città di Taranto. Ma per ora sembrano solo pie intenzioni.

Sulla vicenda interviene il consigliere Gianni Liviano il quale ricorda che il pronto soccorso dell’ospedale “Moscati” (il secondo pronto soccorso di Taranto) è stato chiuso proprio durante la prima legislatura del presidente Emiliano. “Inoltre – aggiunge – perché ci sia un pronto soccorso occorre che ci siano dei reparti ospedalieri minimi: praticamente un ospedale di base. Questo farebbe pensare quindi che nel futuro il “Ss.ma Annunziata” sarebbe destinato a rimanere ospedale di base per avere il pronto soccorso (che si aggiungerebbe ovviamente a quello del “San Cataldo”). In realtà però questo ospedale di base non è previsto in nessuna programmazione del Piano Sanitario e quindi non è sostenibile. Questo perché con i posti letto previsti e finanziati dal Piano della Regione (e quindi dal Piano Sanitario nazionale) non possiamo incrementare né il personale, né i posti letto. Quindi non è possibile allo stato attivare l’Ospedale di Base annunciato. In assenza di un ospedale di base, non può, allo stato delle cose, esserci un secondo pronto soccorso”.

Insomma: per ora solo dichiarazioni astratte che non bastano. Per risolvere i problemi ci vorrebbero atti politici concreti, che rimediassero alle assurde decisioni che il territorio sta scontando.

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Percorsi di pace

Striscia di Gaza, Save the Children: “Prioritario portare cibo, acqua e forniture mediche ai bambini”

foto Save the children
20 Gen 2025

“Ora che la tregua è iniziata è prioritario portare cibo, acqua e forniture mediche ai bambini di Gaza”: lo ha dichiarato Save the Children dicendosi “pronta a consegnare gli aiuti più rapidamente possibile, attraverso i valichi riaperti e con le adeguate condizioni di sicurezza. Anche la consegna dei rifornimenti invernali ai bambini e alle famiglie in attesa ai valichi per l’ingresso a Gaza è cruciale, dato che si prevedono piogge e temperature rigide per almeno altri due mesi”.
“Quasi tutti gli 1,1 milioni di bambini di Gaza – circa la metà della popolazione – hanno urgente bisogno di cibo e, dopo 15 mesi di guerra, molti sopravvivono con un solo pasto al giorno – viene sottolineato in un comunicato -. In tanti non hanno potuto ricevere cure mediche: le strutture sanitarie sono state distrutte, le forniture esaurite a causa delle restrizioni all’ingresso e nessuno dei 36 ospedali di Gaza è pienamente funzionante. Anche i sei centri pubblici di salute mentale della comunità di Gaza e l’unico ospedale psichiatrico che consente i ricoveri non funzionano più”.
Save the Children, che assiste bambini e famiglie nei Territori palestinesi occupati da oltre 70 anni, ha aumentato il numero dei suoi operatori a Gaza nell’ultimo anno ed è pronta a fornire e distribuire beni essenziali e a fornire assistenza medica nei suoi due centri di assistenza sanitaria primaria, con esplorazioni in corso per creare altre strutture mediche. Se le condizioni lo permetteranno, le squadre mediche somministreranno vaccinazioni grazie a servizi mobili, sosterranno le donne incinte, quelle che allattano e gli altri adulti di riferimento e distribuiranno latte artificiale pronto all’uso per i bambini che non possono essere allattati. L’Organizzazione, inoltre, intende fornire acqua pulita e installare latrine nei rifugi, fondamentali per evitare la disidratazione ed evitare l’ulteriore diffusione di malattie.
Save the Children – viene assicurato – è pronta a sostenere la ricostruzione del sistema educativo di Gaza, con il 96% delle scuole danneggiate o distrutte, allestendo anche spazi temporanei per l’apprendimento nei rifugi preesistenti e fornendo mezzi per lo studio e le attività ludiche ai bambini e alle famiglie in movimento, che in questo momento stanno tornando alle loro case, anche attraverso la distribuzione di kit ludici contenenti puzzle, articoli di cancelleria, libri da colorare e di favole. L’Ong si dedicherà anche alla protezione dei bambini, garantendo loro il sostegno di cui hanno bisogno per essere al sicuro, e aiutando alcuni degli oltre 17.000 minori non accompagnati e separati a trovare i loro familiari superstiti. “Insieme a migliaia di famiglie e all’intera comunità umanitaria, speriamo fortemente che questa tregua regga e diventi un cessate il fuoco definitivo, e che gli aiuti essenziali possano iniziare ad arrivare a Gaza in quantità tali da rispondere ai bisogni dei bambini e delle loro famiglie”, ha commentato Javier Garcia, responsabile del team di Save the Children International a Gaza, aggiungendo che “sappiamo che ci sono ostacoli da superare e che ci vorrà tempo per far fluire di nuovo i rifornimenti, ma non c’è alternativa. I bambini rimasti a Gaza dopo mesi di spargimento di sangue hanno diritto a un futuro più luminoso e meritano di riavere la loro infanzia”. “Non appena tutti gli aiuti entreranno a Gaza e il nostro intervento potrà essere rafforzato, cercheremo ogni opportunità per dare ai bambini e alle famiglie di Gaza tutto il sostegno di cui hanno disperatamente bisogno. Tuttavia, un maggiore accesso a Gaza e in tutta la regione e la garanzia di sicurezza per gli operatori umanitari sono fondamentali per consentirci di raggiungerli e supportarli, ovunque si trovino”, ha continuato Garcia, secondo cui “qualunque cosa che non sia un cessate il fuoco definitivo e una totale assunzione di responsabilità non sarà minimamente in grado di garantire la sicurezza, l’assistenza e l’accesso ai diritti più ampi di cui i bambini palestinesi hanno bisogno, meritano e hanno diritto – e significherà che la comunità internazionale li sta deludendo ancora una volta” ha concluso.
Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio stampa governativo di Gaza, negli ultimi 15 mesi più di 17.818 degli 1,1 milioni di bambini della Striscia sono stati uccisi. Il ritmo e la portata delle ostilità, insieme alla decimazione degli ospedali e delle capacità di ricerca e soccorso, fanno sì che il numero reale sia senza dubbio ancora più elevato. Inoltre, migliaia di altre persone – e una media di 15 bambini al giorno – hanno subito lesioni che hanno cambiato per sempre loro la vita tra cui la perdita di arti, vista e udito.

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Missione

L’esperienza missionaria in Kenya di mons. Marco Morrone

foto G. Leva
20 Gen 2025

di Angelo Diofano

La comunità parrocchiale del Santissimo Crocifisso ha salutato, impegnandosi ad accompagnarlo con la preghiera, mons. Marco Morrone (che collabora con il parroco don Andrea Mortato, celebrando ogni mattina alle ore 9) il quale oggi, lunedì 20, partirà per il Kenya per un’ulteriore esperienza missionaria, della durata di circa un mese. Al suo arrivo all’aeroporto di Nairobi, don Marco (78 anni a luglio) sarà accolto da padre Marino Gemma, originario di Martina Franca, missionario della Consolata, che lo accompagnerà alla località dove sarà di supporto ai sacerdoti locali.

Mons. Marco Morrone non è nuovo alle esperienze missionarie in Kenya, ai cui abitanti è legato da un forte legame  di amicizia. In occasione del suo cinquantesimo sacerdotale, nella scorsa estate, chiese come dono ai parrocchiani del Santissimo Crocifisso di aiutarlo nell’opera di sostegno di un progetto per l’istruzione dei bambini in Kenya, sempre attraverso padre Marino Gemma. La risposta fu molto generosa, tanto che, in più riprese, furono raccolti complessivamente ben 25.000 euro.

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Tracce

Mezza vittoria o mezza sconfitta?

Foto Ansa – Avvenire
20 Gen 2025

di Emanuele Carrieri

È un quadro complicato e difficile. La attuale situazione del governo israeliano è di complicata comprensione e di difficoltosa presentazione. Sono stati molti gli attacchi a Netanyahu. Da una parte, la richiesta avanzata dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che chiede la ripresa immediata dei combattimenti contro Hamas alla fine della tregua e un controllo serrato sugli aiuti umanitari spediti nella striscia di Gaza. Dall’altra, l’abbandono dell’esecutivo del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, contrario a ogni forma di accordo. È una sconfitta per Netanyahu che per oltre un anno si è opposto, con pretesti e giustificazioni fissate all’ultimo momento, alle proposte di tregua espresse dai mediatori arabi e dagli alleati americani. Ora il premier israeliano ha accettato, con poche differenze, la soluzione avanzata prima dell’estate da Biden ma che aveva fatto saltare reclamando, di sorpresa, il controllo israeliano del Corridoio Filadelfia, un’area cuscinetto lungo il confine fra l’Egitto e la striscia di Gaza. E pure ha approvato lo scambio fra ostaggi e prigionieri palestinesi al quale si è opposto contro la posizione delle famiglie dei sequestrati e della maggioranza dell’opinione pubblica israeliana. Intanto, da maggio a adesso, altre migliaia di uomini, donne e bambini sono stati ammazzati da bombardamenti aerei e da cannoneggiamenti nel nord della striscia di Gaza e nelle incursioni sferrate dai palestinesi sono morti oltre centoventi soldati israeliani e anche molti ostaggi. Allora, a che è servito persistere nella controffensiva militare se poi, come non pochi avevano previsto, si è arrivati inevitabilmente all’intesa offerta da Biden? Netanyahu e il suo governo, dopo l’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, hanno scatenato contro i palestinesi di Gaza una rappresaglia crudele e violenta. Con il sostegno delle forze armate e della parte più oltranzista e più ultraortodossa dell’opinione pubblica, che è solo una parte della popolazione. Una punizione collettiva e generale – o una vendetta? – descritta come guerra al terrorismo o come affermazione del diritto di difendersi, alla quale si è opposto soltanto un esiguo gruppetto di intellettuali israeliani. E come se non bastasse, Netanyahu ha imposto la legge del più forte nella regione, ridimensionando le ambizioni militari dell’Iran e attaccando Hezbollah e la sua leadership, politica e militare in Libano, dove da pochi giorni c’è un presidente alleato degli Stati Uniti e non ostile nei riguardi di Israele. Ha anche dato un apporto, con i bombardamenti aerei in Siria, per creare le condizioni per la vittoria dei jihadisti che, agli inizi di dicembre dello scorso anno, hanno abbattuto la dittatura di Assad, da sempre nemico giurato di Israele e alleato di ferro di Teheran. Netanyahu, però, non ha raggiunto il suo vero obiettivo: distruggere Hamas. L’affermazione del premier secondo cui solo la pressione militare avrebbe portato al rilascio degli ostaggi si è dimostrata infondata. Netanyahu, guardando anche alle perdite crescenti che la guerriglia palestinese infligge alle sue forze armate, si è piegato. Non ha potuto fare altro. Non solo, probabilmente dovrà rinunciare anche al progetto che vede Israele gestire la distribuzione di aiuti umanitari a oltre due milioni di palestinesi a Gaza al posto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza dei profughi palestinesi: i soldati israeliani diventerebbero un bersaglio facile per i palestinesi che lotteranno contro l’occupazione militare. Senza dimenticare e non è certo un dettaglio insignificante che il premier israeliano sia arrivato alla fine della “sua” guerra avendo sulla testa un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra e per crimini contro l’umanità. È certo come la morte che Netanyahu si proclamerà vincitore, pur avendo sofferto una sconfitta a metà, e non farà in modo diverso Hamas. Si sa che i morti perdono sempre qualsiasi guerra. E oggi i palestinesi dovranno porsi degli interrogativi fondamentali sul futuro della loro lotta per la libertà e la fine dell’occupazione. Certo è che, negli ultimi quindici mesi, hanno assistito alla espansione di un movimento globale a sostegno dei diritti palestinesi e di condanna aperta di Israele sotto indagine da un anno per genocidio alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia. Però la scarcerazione, in cambio degli ostaggi, di migliaia di prigionieri politici, valeva la distruzione totale della striscia di Gaza, la vita di almeno, e sono molti di più, quarantacinquemila palestinesi, il ferimento di centomila persone e l’esodo di oltre due milioni di civili? I leader di Hamas erano consapevoli o no che Israele avrebbe usato la sua potenza militare per colpire senza sosta la popolazione di tutta la striscia di Gaza? Inoltre quindici mesi fa Hamas dominava da solo sulla striscia mentre, in avvenire, potrebbe essere costretto ad accettare il ritorno a Gaza city dei rivali di Fatah, struttura portante dell’Olp (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e spina dorsale dell’Autorità Nazionale Palestinese) spadroneggiata da Abu Mazen che ha fatto incarcerare, recentemente, più di duecento palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania usando lo slogan della “legge e l’ordine”, pur di lanciare segnali concilianti a Israele. Sussiste ora e forte un dubbio: se sia vittoria o sconfitta, o meglio, se sia una mezza vittoria o una mezza sconfitta, e, più di tutto e prima di tutto, per chi. Qualunque cosa sia, certo è che per chi ha dovuto seppellire i propri cari è un dolore senza fine.

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