Presentazione alla Sant’Antonio del libro ’50 anni fra fede e musica’

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Domenica 23 marzo, il seminario minore di Poggio Galeso, a Paolo VI, ha ospitato un significativo ritiro di Quaresima, organizzato congiuntamente dall’Azione cattolica diocesana e dall’ufficio catechistico diocesano. Un momento di preghiera caratterizzato dal desiderio profondo dei numerosi partecipanti di intraprendere un cammino di preparazione interiore alla Pasqua.
Il pomeriggio è iniziato con i vespri, guidati da don Simone Andrea De Benedittis, direttore dell’ufficio catechistico diocesano, che ha introdotto il tema del ritiro e invitato i partecipanti a disporsi all’ascolto della Parola di Dio.
Successivamente, don Carmine Agresta, assistente unitario di Azione cattolica, ha condotto la meditazione dal titolo ‘Che cosa fai qui?’, incentrata sulla figura di Elia nel suo viaggio verso il monte Oreb (1 Re 19, 1-18). Don Carmine ha sottolineato l’importanza di ritrovare se stessi, come Elia ha preso coscienza della sua situazione, e di mettersi in cammino, guidati da Dio, per riscoprire la propria vocazione.
La riflessione ha posto l’accento sul bisogno di fare i conti con se stessi, specialmente nei momenti di oscurità, e di interrogarsi sulla presenza di Dio nella propria vita. Don Carmine ha inoltre ricordato che Dio si manifesta secondo il suo piano, spesso in modi inaspettati, come il sussurro di una brezza leggera, e che il nostro compito è accogliere la sua azione salvifica, non pretenderne il controllo.
Dopo la meditazione, i partecipanti hanno vissuto un intenso momento di adorazione, con la possibilità di accostarsi al sacramento della confessione.
A conclusione del ritiro, è stato compiuto un gesto simbolico di grande significato: a ciascun partecipante è stato consegnato un piccolo pezzo di pane, in ricordo della focaccia che Dio fece trovare a Elia per sostenerlo nel suo viaggio di 40 giorni, “Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Un segno tangibile del nutrimento spirituale ricevuto durante la giornata e dell’impegno a proseguire il cammino quaresimale con rinnovata consapevolezza e speranza.


‘Il popolo stava a guardare’ (Lc. 23,35) è il titolo degli esercizi spirituali sul Vangelo della Passione secondo San Luca che si terranno da martedì 25 a giovedì 27 marzo nella parrocchia di Sant’Antonio, a Martina Franca.
Questo il programma delle tre giornate: ore 8.45, lodi mattutine; ore 9, santa messa; tempo per le confessioni e colloqui spirituali; ore 19, santa messa con la recita dei vespri; ore 19.30, meditazione biblica (portare con sè il Vangelo di Luca); ore 20, adorazione eucaristica con possibiltà di confessarsi.



Chi voleva un vero “dibattito”, nella due giorni parlamentare sulle comunicazioni di Meloni in vista del Consiglio europeo, è rimasto deluso. La risoluzione, approvata dalla maggioranza, è l’effetto di una mediazione fra le diverse posizioni dei partiti: risulta, quindi, così fiacca da apparire irrilevante. La maggioranza ha dato prova di compattezza, ma il dibattito è stato abbastanza insignificante, con le divisioni nella maggioranza nascoste con enormi difficoltà e i leader della minoranza costretti ai volteggi per evitare intoppi interni e mal di pancia nell’elettorato. Un aspetto va sottolineato: Meloni ha una modalità argomentativa quasi consolidata, che si fonda su tre assi primari: il vittimismo, la deresponsabilizzazione e il ribaltamento della prospettiva. Si esibisce sempre aggredita, trova sempre scuse esterne a errori o contrasti e attacca sempre controparti di qualunque tipo. Una strategia che funziona, anche perché manda fuori gioco le opposizioni, che spesso accettano di seguirla nel campo delimitato dalla sua narrazione. Questa volta, consapevole di essere di fronte a un punto cruciale, le cose sono state diverse. Non sui punti specifici del Consiglio europeo, ovvio. Meloni ha mostrato quale è la linea che seguirà in politica estera. Quella di Trump e dell’establishment statunitense, a iniziare dalla questione dazi, non all’ordine del giorno del vertice del Consiglio europeo, come pure ha ricordato Meloni nel suo intervento. Però, ha ritenuto irrinunciabile far sapere al “globo terracqueo” che lei considera sbagliata la decisione dell’Europa di porre dei contro – dazi sui prodotti americani, adoperando la parola “rappresaglie”. Ma i dazi li ha messi Trump, non è una decisione dell’Ue e questa versione del porgi l’altra guancia dinanzi a chi ti schiaffeggia non sembra la sua. È veramente singolare che venga utilizzata come arma per contestare l’Ue, mentre sta cercando di tutelare anche la produzione italiana, usando una specie di modello deterrenza per fare pressione sugli statunitensi. Sull’Ucraina, Meloni è contro il progetto di Starmer e Macron, si è detta indisponibile al diretto coinvolgimento dei militari italiani, ha esternato delle perplessità sul ruolo dell’Ue nella conclusione della crisi, ha manifestato una assoluta fiducia nell’iniziativa di Trump per un cessate il fuoco in Ucraina e per l’avvio dei negoziati con Putin. Ma dopo, Meloni ha fatto di più: ha stroncato apertamente il Manifesto di Ventotene. “Su questo punto ti sentiremo un’altra volta” dissero gli ateniesi a san Paolo. Forse neanche Trump sperava di poter ottenere tanto da una alleata. Non c’è una mossa di Meloni che non si sposi con la linea dell’establishment americano o che non sia funzionale ai piani nel medio e lungo periodo di Trump. È questo l’aspetto da sorvegliare: il progetto di Trump implica un cambiamento totale, culturale, politico e ideologico. È un mondo nuovo, quello spinto dall’ultradestra MAGA e esaltato dai turbocapitalisti che affollano lo Studio Ovale della Casa Bianca. All’orizzonte, vi è uno scenario globale egemonizzato da autocrazie, che facilitano, agevolano o non ostacolano l’operato dei grandi potentati economici che più o meno aderiscono al nuovo modello di società e che facilitano a determinarlo. In questo quadro, uno degli ostacoli è l’Europa, sia come modello di società che come entità politica. Non solo quel che l’Europa potrebbe essere e diventare, ma quello che l’Europa è già, con tutti i suoi limiti. È da sottolineare che la disgregazione dell’Europa, intesa come entità politica coesa e attore forte sulla scena internazionale, sia uno degli obiettivi più chiari di Trump e del suo amico Musk. Va in questo senso il sostegno ai movimenti sovranisti ed euroscettici nel Vecchio Continente, va in tal senso la lotta alla burocrazia europea, va in tal senso la battaglia contro una serie di modelli di welfare e di collaborazione pubblica, va in tal senso l’impostazione intransigente sull’immigrazione, va in tal senso la cancellazione di accordi e patti multilaterali. È chiaro? In tale contesto, Meloni è, per Trump, la migliore alleata in Europa. È in definitiva più realista del re, o meglio, più trumpiana di Trump. “Restituiteci la Statua della Libertà!”. A chiederlo, nei giorni scorsi il socialista francese Raphael Glucksmann, secondo cui la Francia dovrebbe riprendersi la statua perché gli Usa non rappresentano più i valori che hanno spinto la Francia al regalo. Un bontempone ha detto che è di Musk il colpo di genio: “È brutta! Restituiamola! Mettiamo quella di una alleata! Mettiamo quella di una italiana!”.


Per ‘Fatti di speranza’, il titolo degli appuntamenti quaresimali a cura della parrocchia di San Giuseppe Moscati (quartiere Paolo VI), stasera, lunedì 24, alle ore 19.30 il parroco don Marco Crispino invita a partecipare all’incontro sul tema ‘Da dove nasce la speranza’, con le testimonianze di Angelo Capuzzimati e Giusy Catanese, genitori del servo di Dio, Pierangelo Capuzzimati.





Papa Francesco si è affacciato da un balconcino del secondo piano (o quinto, contando dall’entrata, che è al quarto piano) del policlinico Gemelli, dove è stato ricoverato per 38 giorni a causa di una polmonite bilaterale. In sedia a rotelle, si è avvicinato alla finestra aperta, ha salutato la folla con gesti delle mani e con il dito alzato in segno di ‘ok’.
La prima apparizione pubblica
“Grazie a tutti”, le sue brevi parole: “Vedo questa signora con i fiori gialli, è brava!”. Ad attendere l’affaccio del Papa, che si è mostrato per la prima volta ai fedeli dal ricovero, centinaia di persone che lo hanno salutato con un lungo applauso e il suo nome scandito a gran voce, insieme a “Viva il Papa”. Moltissimi i giornalisti, soprattutto televisivi, presenti per raccontare l’evento. Presente anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Si è conclusa così la sua quarta degenza nel nosocomio romano, la più lunga del pontificato.
Il rientro e la sorpresa
Subito dopo il suo breve saluto e la benedizione, il Santo padre è salito a bordo della Fiat Cinquecento, con i naselli per l’ossigeno, per dirigersi verso Casa Santa Marta, dove – secondo le prescrizioni dei medici – dovrà rispettare due mesi di convalescenza, senza poter incontrare gruppi di persone o assumersi grossi impegni. Si tratta, dunque, di dimissioni protette. La polmonite bilaterale, motivo del ricovero, sembra infatti essere risolta, ma rimangono altre infezioni polimicrobiche. Prima di far rientro a Casa Santa Marta, il Papa è andato nella basilica di Santa Maria Maggiore, come è solito fare anche prima e dopo ogni viaggio apostolico, e ha consegnato al card. Makrickas dei fiori da porre davanti all’icona della Vergine Salus Populi Romani, da lui molto venerata. La Cinquecento con a bordo il Santo padre, in realtà, partita dal policlinico Gemelli era arrivata già in prossimità dell’Arco del Perugino, e quindi della residenza papale, ma con una sterzata improvvisa e fuori programma – forse voluta proprio da papa Francesco stesso – è tornata su via di Porta Cavalleggeri e ha imboccato il tunnel per dirigersi alla basilica papale.
Il testo dell’Angelus e gli appelli per la pace
“In questo lungo tempo di ricovero, ho avuto modo di sperimentare la pazienza del Signore, che vedo anche riflessa nella premura instancabile dei medici e degli operatori sanitari, così come nelle attenzioni e nelle speranze dei familiari degli ammalati”, si legge nel testo dell’angelus preparato da papa Francesco per questa terza domenica di Quaresima, e diffuso prima dell’affaccio dal balcone in forma scritta, come è avvenuto nelle altre cinque domeniche del ricovero. “Questa pazienza fiduciosa, ancorata all’amore di Dio che non viene meno, è davvero necessaria alla nostra vita, soprattutto per affrontare le situazioni più difficili e dolorose”, osserva Francesco. Poi il riferimento alla tragica attualità: “mi ha addolorato la ripresa di pesanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, con tanti morti e feriti”.
“Chiedo che tacciano subito le armi; e si abbia il coraggio di riprendere il dialogo, perché siano liberati tutti gli ostaggi e si arrivi a un cessate il fuoco definitivo”, l’appello: ”Nella Striscia la situazione umanitaria è di nuovo gravissima ed esige l’impegno urgente delle parti belligeranti e della comunità internazionale”. “Sono lieto invece che l’Armenia e l’Azerbaigian abbiano concordato il testo definitivo dell’Accordo di pace”, scrive inoltre il Papa: “Auspico che esso sia firmato quanto prima e possa così contribuire a stabilire una pace duratura nel Caucaso meridionale”. Non manca l’omaggio ai fedeli: “Con tanta pazienza e perseveranza state continuando a pregare per me: vi ringrazio tanto! Anch’io prego per voi”.
“E insieme imploriamo che si ponga fine alle guerre e si faccia pace, specialmente nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Libano, Myanmar, Sudan, Repubblica Democratica del Congo”, l’altro appello di Francesco: “La Vergine Maria ci custodisca e continui ad accompagnarci nel cammino verso la Pasqua”.
Il saluto al personale e ai vertici del Gemelli
Prima di affacciarsi dal balcone del quinto piano dell’ospedale per un saluto e per impartire la benedizione, papa Francesco ha salutato brevemente il personale e i vertici dell’Università Cattolica e del policlinico Gemelli. Lo ha comunicato la sala stampa della Santa sede, che ha reso noto nel dettaglio le persone salutate dal Santo padre: il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, professoressa Elena Beccalli; il presidente della fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs, dottor Daniele Franco; inoltre il preside della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, professor Antonio Gasbarrini; il vicepresidente della fondazione Gemelli, dottor Giuseppe Fioroni; il direttore generale della fondazione Gemelli, professor Marco Elefanti, l’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, mons. Claudio Giuliodori, e il prof. Sergio Alfieri, direttore del dipartimento di Scienze medico-chirurgiche del policlinico e responsabile dell’equipe medica del Gemelli; il direttore sanitario della Fondazione Gemelli, dottor Andrea Cambieri.


La confraternita del Carmine di Talsano inaugura questa sera, lunedì 24 marzo, alle ore 19.15, nella propria chiesa la mostra dei simboli e dei simulacri della Settimana santa talsanese.
L’iniziativa è stata organizzata dal consiglio di amministrazione del sodalizio con il priore Domenico Curci. Le visite saranno possibili tutti i giorni fino al 30 marzo dalle ore 9 alle 13 e dalle ore 17 alle 20.



“La buona notizia che aspetta tutto il mondo è che domani (oggi, domenica 23 marzo, ndr) il Santo padre è in dimissione e tornerà a Santa Marta”: ad annunciarlo è stato il prof. Sergio Alfieri, direttore del dipartimento di scienze mediche e chirurgiche del policlinico Gemelli e direttore dell’équipe medica che ha seguito il Papa, durante il secondo briefing con i medici, al termine del trentasettesimo giorno di degenza di Bergoglio nel nosocomio romano. “Papa Francesco è stato messo in dimessioni in condizioni cliniche stabili da almeno due settimane – ha spiegato Alfieri -. La prescrizione è continuare parzialmente le terapie farmacologiche, che dovrà effettuare per molto tempo per via orale, e – molto importante – la raccomandazione di un periodo di riposo, in convalescenza, per almeno due mesi”.
“Si tratta di una dimissione protetta”, ha spiegato il dottor Luigi Carbone, vicedirettore della direzione Igiene e sanità dello Stato della Città del Vaticano e medico referente del Santo padre: “Tornerà a Santa Marta per la convalescenza. Come tutti i pazienti dimessi di 88 anni che hanno avuto una polmonite bilaterale, abbiamo valutato le necessità del pontefice, che sono il fabbisogno di ossigeno finché sarà necessario e l’assistenza 24 ore su 24, che la direzione Igiene e sanità del Vaticano può offrire tranquillamente, anche in situazioni di emergenza. Ci siamo preparati per accoglierlo a casa”.
“Al momento del ricovero al Policlinico Gemelli – ha ricordato Alfieri – il Santo padre presentava un’insufficienza respiratoria acuta dovuta ad un’infezione polimicrobica: c’erano virus, batteri e miceti che hanno determinato una polmonite bilaterale severa che ha richiesto un trattamento farmacologico combinato. Durante il ricovero – ha rivelato – le condizioni cliniche del papa hanno presentato due episodi molto critici, ed è stato in pericolo di vita.
Le terapie farmacologiche, la somministrazione di ossigeno ad alti flussi e la ventilazione meccanica non assistita hanno procurato un lento miglioramento, facendolo uscire dagli episodi più critici. Il papa non è mai stato intubato, è sempre rimasto vigile, orientato e presente”.
“Due mesi di convalescenza”, il termine più ricorrente durante il briefing. A Santa Marta, ha detto Carbone, il Papa “dovrà continuare la riabilitazione motoria e la fisioterapia respiratoria”. “Durante il ricovero – ha sottolineato Alfieri – il Papa ha sempre continuato a lavorare, e continuerà a farlo anche a Santa Marta”. “La raccomandazione – ha poi precisato – è quella di prendersi un adeguato periodo di riposo e di convalescenza.
Non potrà riprendere l’attività lavorativa con gruppi di persone da incontrare o grandi impegni, cosa che potrà fare una volta terminata la convalescenza e quando si potranno registrare i miglioramenti clinici attesi”.
Quando si ha una polmonite bilaterale, i polmoni sono danneggiati e le vie respiratorie sono in difficoltà, una delle prime cose che accade è che si perda la voce”, la risposta riguardo all’uso della parola: “Soprattutto per i pazienti anziani, ci vorrà del tempo perché la voce torni quella di prima. Fa parte della normale ripresa e convalescenza”.
“Sulle tempistiche del recupero della parola, è difficile davvero dire – ha aggiunto Carbone -. Il Papa non è diabetico – ha assicurato Alfieri rispondendo alle domande dei giornalisti -. Quando si ha un’infezione così grave, tanti elementi si squilibrano. Abbiamo consultato un diabetologo per aiutarci a correggere la glicemia nella fase dell’infezione”.
“Il Papa non ha avuto il Covid, ma un’infezione polimicrobica”, altra voce circolata e smentita da Alfieri sottolineando il lavoro di équipe fatto dal personale medico del Gemelli, con la consultazione di tutti gli specialisti del caso, “come avviene per tutti i pazienti del nostro ospedale”.
“Il Papa non ha la polmonite, ma non è guarito da tutte le infezioni polimicrobiche”, ha poi puntualizzato: “Se il Santo Padre può essere dimesso è perché le infezioni più gravi sono state risolte: ci sono alcuni batteri che sono stati sconfitti, alcune cariche virali che sono state ridotte, alcuni miceti che sono stati ridotti ma che richiederanno tanto tempo per essere sconfitti”.
“La dimissione la decidono i medici”, la risposta sulla genesi della notizia relativa a domenica mattina: “È chiaro che il Santo padre voleva andare a casa già qualche giorno fa, come si è reso conto di migliorare, di poter lavorare meglio e di più”, ha detto Alfieri rispondendo alle domande dei giornalisti: “E’ stato un paziente esemplare, ha saputo ascoltare i suggerimenti dei medici e abbiamo condiviso il momento giusto per dimetterlo, e il Santo Padre ha accettato. Quando arriva un paziente così grave e quando si riesce ad arrivare alla dimissione, gli ulteriori progressi sonno a casa propria. L’ospedale è il posto peggiore dove stare per fare la convalescenza, perché è il posto dove si prendono più infezioni”. “I miglioramenti ci sono, se mantiene questo trend potrà riprendere l’attività prima possibile”, la previsione di Carbone: “La convalescenza sarà un tempo dedicato alla fase di recupero, con il proseguimento della fisioterapia respiratoria e motoria, per accelerare i miglioramenti e riprendere appieno la sua attività”. Quanto alla scansione della giornata di domani, trentottesimo e ultimo giorno di permanenza al Gemelli, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha confermato quanto già annunciato, e cioè che papa Francesco, dopo l’Angelus che verrà diffuso in forma scritta, come è avvenuto nelle scorse cinque domeniche, “si affaccerà per un breve saluto e una benedizione qui dall’ospedale e poi, appena possibile, prenderà la strada verso Casa Santa Marta”.
“È un modo per ringraziare la struttura che l’ha accolto”, ha commentato Bruni rispondendo alle domande dei giornalisti. Per quanto riguarda la Pasqua e i riti della Settimana santa, “si valuteranno i miglioramenti, e sulla base di essi si prenderanno le decisioni più opportune”, ha annunciato il portavoce vaticano, ringraziando anche i giornalisti per il modo in cui hanno seguito i quasi quaranta giorni di degenza di papa Francesco.


Un percorso di legalità con i giovani della provincia di Taranto
In occasione della Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, il 21 marzo, un significativo percorso sulla legalità intrapreso dai giovani e giovanissimi di diverse realtà associative della provincia di Taranto. Un’iniziativa che ha visto la sinergia tra il gruppo giovani e giovanissimi di Azione Cattolica della parrocchia Maria SS. Immacolata di San Giorgio jonico, gli oratori Anspi San Giuseppe di San Giorgio jonico, della Madonna della Camera di Roccaforzata e San Giuseppe di Faggiano, insieme all’associazione Libera di Taranto.
Un percorso che ha portato i ragazzi, insieme ai loro educatori e animatori, ad approfondire il tema della lotta alle mafie attraverso tre incontri tematici:
Inoltre, i ragazzi hanno avuto l’opportunità di incontrare don Maurizio Patricello, parroco della terra dei fuochi e simbolo della lotta contro le mafie, durante un convegno del ciclo Agorà centodieci, organizzato dai circoli Anspi di Taranto, nel quale hanno ascoltato l’esperienza toccante di un uomo semplice dotato di una forza dirompente: la forza dell’amore per il prossimo.
Questo percorso sinergico tra associazioni ha permesso di creare una rete di consapevolezza e impegno, rendendo i giovani protagonisti attivi nella promozione della cultura della legalità. L’obiettivo è quello di fornire loro gli strumenti per riconoscere e contrastare gli atteggiamenti mafiosi, promuovendo la consapevolezza dell’importanza del contributo di ognuno.
Ci piace sognare questi giovani cittadini trasformati da soggetti passivi a sentinelle attive sul territorio, pronti a difendere i valori della giustizia e della legalità.
Un ringraziamento speciale va all’associazione Libera di Taranto, con la quale tutte le realtà coinvolte si augurano di proseguire questo percorso di collaborazione, e a tutti coloro che hanno accompagnato i ragazzi in questo importante cammino di crescita e consapevolezza.


Tema centrale della penultima serata – giovedì 20 – della 53ª edizione della Settimana della fede è stata ‘La testimonianza di persone segnate dall’incontro’, come ha esordito mons. Gino Romanazzi, direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale.
La giornalista Paola Casella, docente di religione nella scuola primaria, ha coordinato la serata intervistando dei volontari che hanno trasformato la loro vita grazie ad un incontro.
Dapprima è stato raggiunto telefonicamente il volontario internazionale Gennaro Giudetti, definito come ‘il ragazzo che pesca gli uomini dal mare’, per il suo salvataggio di naufraghi nel Mediterraneo, attualmente operante a Gaza, dove, com’è noto, è saltato il cessate il fuoco.
Giudetti ha lamentato la mancata entrata di aiuti alimentari da ben 17 giorni e ha fatto appello all’Italia e a tutta l’Europa in generale affinché eserciti una pressione politica per il ritorno alla pace.
Di pari importanza è stata la testimonianza resa da Cristina Castronovi, operatrice volontaria di ‘Operazione Colomba’, comunità fondata da papa Giovanni XXIII, nel 1968, che opera al fianco degli emarginati, dei centri di prima accoglienza. Partita per l’Ucraina nel novembre 2024, Cristina ha portato con sé da questa nazione così martoriata, il ricordo di una comunità diventata famiglia, perché unita dal dolore e grata ai volontari per il solo fatto di non essere indifferenti alla tragedia.
La giovane operatrice di pace ha riferito come “durante i momenti di interruzione di energia elettrica, con i bimbi comunicavamo attraverso abbracci e baci, nonostante le barriere. L’unico dono che avevamo era la speranza”.
In ultimo e altrettanto significativa è stata la testimonianza di Flavia Leopardi, operatrice volontaria, dell’associazione ‘Noi&Voi’ che ha iniziato la sua esperienza dalla banchina del porto di Taranto, ad accogliere migranti salvati dalle acque, sino ad arrivare all’istituto penitenziario ‘Magli’, dove opera come mediatrice culturale e dove – ha asserito – nonostante le difficoltà della vita carceraria, è presente “la stessa società che sta fuori”. Il motto che Flavia porta avanti con la sua associazione è ‘Costruiamo ponti’.
Proprio con il richiamo a quest’espressione, l’arcivescovo mons. Ciro Miniero l’ha ricondotto a tutti coloro che spendono la loro vita per gli altri, invitando ad aprirsi al bene altrui, “come fanno questi volontari che sono dispensatori di speranza”.
Questa sera, venerdì 21, la Settimana della fede si concluderà alle ore 19 con la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo.
Le foto della serata sono di G. Leva


“I commissari mi hanno preannunciato che nella giornata di oggi invieranno una richiesta formale per essere autorizzati a un negoziato con il soggetto internazionale che ha fatto la proposta migliore, che verosimilmente sarà appunto quella della compagine azera”. Con queste parole, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha confermato la scelta operata dai commissari dell’ex Ilva, Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli. Hanno giudicato migliore l’offerta di Baku Steel, rispetto a quella dei concorrenti, come ormai si sapeva da giorni, e hanno dato il via libera al consorzio azero (con il supporto del governo dell’Azerbaijan). Nessuna intesa, che pure si era ventilata nei giorni scorsi, con gli indiani di Jindal per una eventuale partnership. Ora toccherà al governo dare l’ok definitivo.
I problemi
Ma che l’offerta sia migliore non vuol dire che sia ottima. Le proposte industriali e occupazionali non sono ritenute soddisfacenti, soprattutto dai sindacati e si preannuncia un lungo e non semplice confronto, prima col governo e poi con l’azienda eventualmente aggiudicataria. Intanto, l’offerta degli azeri supererebbe il miliardo di euro (600 milioni più la valorizzazione del magazzino a circa 500 milioni), quindi molto più alta di quella degli indiani, ferma a 600 milioni. Inoltre, nella proposta di Baku Steel si prevede, in un primo tempo, la sopravvivenza di un altoforno a cui vengono affiancati due forni elettrici. In un secondo momento, i forni elettrici diventerebbero tre e verrebbe chiuso l’altoforno. In questo modo la produzione arriverebbe al massimo a 6 milioni di tonnellate e le maestranze non supererebbero complessivamente le 7.000 unità. Senza dubbio un’influenza a favore degli azeri l’avrà avuta il fatto che essi sono fornitori di gas.
Il negoziato che prenderà le mosse dopo l’autorizzazione del governo, non sarà semplicissimo e per prima cosa dovrà decidere la praticabilità dell’affiancamento del socio pubblico Invitalia. Che entrerebbe con una ipotetica quota del 10%, fortemente auspicato anche dai sindacati. Che vorrebbero che si evitassero i problemi passati.
I sindacati
I sindacati chiedono di conoscere i contenuti dell’offerta prima che sia avviata la trattativa ed esprimono preoccupazione. A cominciare da Rocco Palombella, segretario generale Uilm, piuttosto pessimista, secondo il quale il piano che rischia di distruggere la produzione di acciaio e di provocare migliaia di esuberi. “Vogliamo conoscere e negoziare il piano industriale, gli investimenti ambientali e tecnologici, i livelli occupazionali. Governo e commissari si fermino prima di assumere posizioni irreversibili”.
Secondo Valerio D’Alò, segretario nazionale della Fim “è essenziale che le scelte siano fatte con la massima attenzione e che il piano industriale che verrà presentato tenga conto delle esigenze dei lavoratori e delle comunità locali. La Fim Cisl, inoltre, si impegna a vigilare affinché le promesse fatte non rimangano solo parole, ma si traducano in azioni concrete che garantiscano un futuro sostenibile e dignitoso per tutti”.

