La Giornata del ringraziamento in Concattedrale

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I frati francescani minori della parrocchia di Cristo Re, a Martina Franca, si accinge a celebrare la festa del titolare, domenica 23.
Questo è l’invito a partecipare del parroco padre Paolo Lomartire: “Carissimi, ci prepariamo a vivere uno dei momenti più importanti dell’anno per la nostra comunità: il triduo e la solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un’occasione preziosa per rinnovare la nostra fede, riscoprire la regalità mite e misericordiosa di Gesù e ritrovarci insieme come famiglia parrocchiale ai piedi del nostro Re e Signore. Facciamo spazio a Cristo Re nei nostri cuori e nelle nostre case: venite e partecipate, il Signore vi attende”.
Il triduo prevede alle ore 18.30 il santo rosario, alle ore 19 la santa messa con la preghiera a Cristo Re
Ieri, giovedì 20, alle ore 20.30, ha avuto luogo l’adorazione eucaristica carismatica.
Domenica 23, alle ore 11 la santa messa solenne sarà presieduta dall’arcivescovo emerito mons. Filippo Santoro; a mezzogiorno, supplica a Cristo Re, con indulgenza plenaria; alle ore 19, santa messa ci mandato alla corale parrocchiale; alle ore 20, sul sagrato, pettolata comunitaria che sarà allietata dalle tradizionali pastorali tarantine eseguite dalla banda musicale “Città di Martina Franca”.



Il primo di quattro incontri avrà luogo nella chiesa salesiana mercoledì 26 novembre alle ore 19.30 e sarà curato dal prof. Ruggiero Doronzo, frate cappuccino, giornalista e docente di comunicazione
Prosegue senza sosta il programma di formazione e aggiornamento della parrocchia San Giovanni Bosco, nel segno della tradizione culturale salesiana. Quattro gli incontri programmati a partire dal 26 novembre, giorno del primo appuntamento riservato ad educatori e giovani sul tema ‘Mondo digitale, rischi e opportunità’.
A relazionare sarà il prof. Ruggiero Doronzo, frate cappuccino, giornalista e docente di comunicazione alla Facoltà teologica pugliese, esperto di nuove tecnologie ed impegnato nel gruppo di ricerca sull’intelligenza artificiale che ha formulato per la Santa sede la carta delle regole sulla corretta interpretazione cristiana degli effetti dell’algoritmo di nuova generazione. Si tratta di un appuntamento di grande interesse, utile a comprendere l’entità di un fenomeno ancora poco chiaro, soprattutto fra i giovani che fanno grande uso dei social-media ma che non conoscono compiutamente i rischi reali e le vere opportunità da cogliere in tali strumenti.
L’appuntamento fissato per mercoledì 26 novembre alle ore 19.30 nella chiesa San Giovanni Bosco, è destinato a fare da richiamo non solo per gli educatori della comunità salesiana e dei giovani che ne fanno parte integrante, ma anche gli studenti delle scuole del territorio e i loro docenti.
A tale incontro, ne seguiranno altri tre: il 22 gennaio la consegna della ‘Strenna salesiana’ a don Guido Errico, sul tema ‘Liberi per servire’, il 9 febbraio l’intervento di don Giuseppe Russo, delegato per la pastorale giovanile sul tema ‘Chi siano noi che agiamo a livello pastorale’, il 13 aprile l’incontro con don Fabio Bellino direttore dell’opera salesiana di Napoli sul tema ‘Educare è promuovere’.



A guidare la meditazione sarà mons. Giovanni Chiloiro, parroco della Cuore Immacolato di Maria di Taranto



Giovedì 20 novembre alle 20.30 nella chiesa SS. Crocifisso di Taranto, in programma ‘Gloria’ di Antonio Vivaldi e Sinfonia n. 29 di Mozart, concerto con il Lucania Apulia Chorus e l’Orchestra della Magna Grecia, con Donatella De Luca (soprano), Vincenzo Franchini (contraltista), Antonio Legrottaglie (direttore) e Alessandro Fortunato (maestro del coro). L’ingresso è libero.
Il concerto è realizzato dall’Orchestra della Magna Grecia con il L.A. Chorus, in collaborazione con il Comune di Taranto e il Mic (Ministero della cultura).
Antonio Vivaldi scrisse almeno tre Gloria, dei quali solo due giungono sino a noi: l’RV 588 e l’RV 589. Quest’ultimo è il più popolare lavoro sacro di Vivaldi.
Composto tra il 1713 e il 1714, Antonio Vivaldi – come per altri lavori corali – anche per i Gloria scrisse delle introduzioni (ossia mottetti d’introduzione), che venivano eseguiti prima di questi canti sacri.
A proposito della Sinfonia di Mozart, sono diversi gli autori che sottolineano l’importanza di questa sinfonia come punto culminante dell’opera sinfonica giovanile di Mozart. «Una pietra miliare, personale nel tono e ancor di più nella sua combinazione di intima musica da camera con una tempra ardente e impulsiva», così la definì il musicologo Stanley Sadie.



“Il governo ho decretato la chiusura dell’Ilva”: è la sintesi lapidaria ma efficace della situazione così come rappresentata dai sindacati dei metalmeccanici Fim Fiom Uilm, i cui segretari nazionali hanno tenuto una conferenza stampa nella sede romana della Flm dai toni drammatici e accorati. Ferdinando Uliano, Rocco Palombella e Michele De Palma sono stati duri nei confronti del governo e soprattutto del ministro Urso che, a loro parere, ha messo in scena un vero e proprio bluff: annunciando e ribadendo anche alla fine dell’incontro svoltosi a Palazzo Chigi, attraverso un comunicato stampa, che la cassa integrazione non aumenterà da 4.500 a 6.000, perché gli ulteriori 1.500 lavoratori saranno avviati ai corsi di formazione. Ma ha nascosto la vera ragione di questo cambiamento di registro, che è stato esaltato da alcuni giornali: si utilizzano i fondi per la formazione per non aumentare il ricorso della cassa, ma non ha assolutamente alcun senso realizzare corsi sul ‘green’ in assenza di impianti green da avviare.
L’analisi proposta dai sindacati è impietosa e indiscutibile. Convocati dal governo per mettere a punto il piano industriale condiviso ad agosto, i sindacati si sono sentiti dire che quel piano non esiste più. C’è un nuovo piano che prevede (ma si dovrebbe dire: ipotizza) il dimezzamento dei tempi per realizzare i forni elettrici, ma non spiega chi e come li costruirà, in assenza assoluta di proposte di acquisto dell’azienda, ma soprattutto prevede la chiusura, a partire dal primo marzo, di tutti gli stabilimenti. Dopo quella data non ha più senso neppure parlare di cassa integrazione, perché di sicuro perderanno il posto i 10.700 lavoratori AdI, assieme ai 1.550 da anni in amministrazione straordinaria e a tutti quelli delle aziende dell’indotto.
È per questo che i lavoratori degli stabilimenti di Genova e Novi Ligure hanno deciso immediatamente di occupare la fabbrica, mentre tutti i dipendenti dell’azienda sono in sciopero e preannunciano iniziative di lotta a tutti i livelli.
La conferenza stampa è servita per chiarire punto per punto la situazione, che il governo non è più in grado di gestire e che richiederebbe l’intervento diretto dalla presidente del consiglio, dal momento che l’acciaio è strategico per tutta l’industria italiana, che sta già soffrendo enormemente ed è costretta a importare semilavorati dall’estero, con aggravio per la bilancia commerciale.
Uno spettacolo indecoroso definisce quello offerto dal governo il segretario della Uilm Palombella, con il solo Urso a parlare, scagliandosi contro gli enti locali e il Comune di Taranto, mentre tutti gli altri ministri e sottosegretari tacevano. Niente di concreto ha raccontato sulle pseudo offerte di acquisto pervenute e pare ormai evidente che si voglia chiudere gli impianti e licenziare tutti i dipendenti per invogliare così chi volesse investire, non più costretto ad assumersi alcun onere.
Non si illuda, ha detto De Palma, chi vuole chiudere lo stabilimento che così si risolvano i problemi ambientali che, invece, si moltiplicherebbero. Basta vedere le aree dismesse a Taranto, come la Sanac o la Cementir, in pauroso degrado ambientale, e ancor più Bagnoli, dove, dopo trent’anni, l’area dismessa dall’Ilva continua a incombere pericolosamente sulla città. Il governo non ha una lira per le bonifiche e non ha neppure chiarito dov’è che si dovrebbero realizzare forni elettrici e dri e meno che mai le aziende alternative.
Ferdinando Uliano ha ribadito la posizione dei sindacati, che non chiedono una statalizzazione, ma “di utilizzare la leva delle partecipate dello Stato, come già avvenuto in passato. Per costruire un progetto che abbia la possibilità di finanziare il piano industriale che abbiamo condiviso. Questo è il nostro schema, che ovviamente dà all’ente controllato dallo Stato un ruolo importante dentro una configurazione che, però, prevede la gestione privata. Un privato che, però, parta da presupposto di consideriare l’acciaio strategico per il Paese”.
Va ancora più dura la Cgil di Puglia che annuncia la mobilitazione permanente: “Da oggi sciopero ad oltranza”, dichiara la segretaria generale Gigia Bucci, finché l’esecutivo non garantirà risposte concrete alle comunità coinvolte. “Hanno preso in giro azienda, città e lavoratori, ma alla fine hanno mostrato il loro vero volto, quello di chi senza bussola governa a vista, senza una politica industriale e di sviluppo, vendendo o svendendo i gioielli di Stato per finanziare ponte e armi, nel disprezzo del Sud e della vita. Non il futuro di un asset importante per il Paese e quello di migliaia di lavoratori, ma l’autonomia differenziata è la priorità del Governo. Da qui però non si passa, da oggi sciopero ad oltranza finché il governo non farà marcia indietro, assumendosi la responsabilità di garantire risposte concrete a chi lavora e ai territori coinvolti”.
Questa mattina, giovedì 20, alle 7 Fim Fiom Uilm e Usb hanno tenuto un’assemblea unitaria alla portineria imprese di Acciaierie d’Italia per fare il punto della situazione.





Sabato 22 novembre, Santa Cecilia sarà celebrata anche nella chiesa di Sant’Antonio, al Borgo, con la santa messa solenne alle ore 18.30 nei primi vespri della solennità di Cristo Re dell’Universo; a seguire, sul sagrato, momento comunitario con pettole e musiche natalizie.
“La pettolata che si svolgerà sul sagrato della chiesa – spiega il parroco don Ciro Santopietro – avvierà alle festività natalizie, in particolare alla novena dell’Immacolata e a quella del Natale. Il senso è: la fraternità come segno di speranza in un mondo lacerato da lotte e discordie nell’ambito del Giubileo, il cui tema è ‘Pellegrini di Speranza’. Si cammina bene se si cammina insieme, questo è il senso dell’incontro comunitario a base di pettole e musica”.
La festa sarà anche il prologo alla domenica successiva, 23 dicembre, in cui don Ciro Santopietro celebrerà alle ore 18.30 la santa messa in ringraziamento per i 35 anni di sacerdozio, in quanto fu ordinato nel 1990 dall’allora arcivescovo mons. Benigno Luigi Papa.


In Concattedrale, i catechisti, accompagnati anche da alcuni parroci, hanno gustato la gioia dell’incontro e si sono messi in ascolto della Parola di Dio. Il direttore dell’Ufficio, don Simone Andrea De Benedittis, ha introdotto i lavori ricordando che “siamo capaci di annunziare il Signore e di farlo nel modo più idoneo solamente se lo abbiamo esistenzialmente incontrato, se abbiamo concesso a Lui di irradiare ogni anfratto della nostra vita, anche i più lugubri e per noi stessi indegni e spaventosi. È Lui, infatti, che ci dona quella libertà, che ci permette di evitare fissismi e rigorismi infruttuosi, per aprirci alla novità del Suo messaggio di risurrezione”.
Illustrando poi il tema scelto per la serata ‘Nuovi linguaggi della catechesi’; ha richiamato l’insegnamento dello psicologo e pedagogista sovietico Lev S. Vygotskij: «Il senso di una parola, [a differenza del suo significato], è un fenomeno mobile, che in una certa misura cambia costantemente secondo le varie coscienze e, per una stessa coscienza, secondo le circostanze. A questo riguardo il senso della parola è inesauribile» (Pensiero e Linguaggio, c. VII).
Relatore della serata è stato il prof. Fabio Mancini che da anni collabora con la Consulta dell’Ufficio catechistico nazionale in capo alla Cei e svolge il suo impegno alla Lumsa e al liceo Battaglini di Taranto. Nella sua vasta produzione a carattere scientifico si ricorda il testo dello scorso anno realizzato insieme a don Francesco Vanotti e al prof. Fabrizio Carletti, ‘Perché questa notte è diversa da tutte le altre? Per un annuncio narrativo nella vita cristiana’, edito da Elledici. Con la chiarezza e la profondità che lo contraddistinguono, il professor Mancini ha subito spiegato che la finalità del convegno è scoprire il senso dell’inculturazione della fede: fare in modo, cioè, che i contenuti di fede vengano comunicati attraverso i linguaggi di sempre e del nostro tempo, della nostra cultura per coniugare la bellezza del Vangelo con la storia, i contenuti di fede con la vita affinché la catechesi sia un’esperienza di vita. Nella Evangelii Gaudium (2013) – ha proseguito – papa Francesco rende ancora più chiaro ed evidente il carattere che deve avere il linguaggio nella comunicazione della fede: «Allo stesso tempo, gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere dimensioni: le «verità di sempre» e un «linguaggio sempre nuovo», la fede e la sua espressione comunicativa per l’uomo. La catechesi, oggi, ha proprio questa grande sfida culturale, pedagogica, potremmo dire teologica: trasmettere e annunciare non solo il «che cosa», ma porre l’attenzione sul «come», mantenendo distinti e complementari i due piani della riflessione. In questo senso il linguaggio aiuta ad accedere meglio alla comprensione della fede, non sostituisce il contenuto ma lo aiuta a svelare, a rivelare.
Il linguaggio per comunicare in modo autentico la fede deve partire dal bisogno dell’altro, dalla sua richiesta di senso. Un linguaggio che non sia ‘a misura’ di persona: bambino, adolescente, adulto, anziano non è un linguaggio che permette un annuncio autentico, che non consente all’altro di essere interpellato dalla Parola di Dio nella sua vita.
Tra i possibili linguaggi nella comunicazione della fede, il prof. Mancini ha ricordato quello della narrazione, dell’arte, del cinema, della musica, della letteratura e pietà popolare.
In merito alla narrazione, lo stesso Direttorio (2020) fa espressamente riferimento al linguaggio narrativo e autobiografico che diventa la condizione affinché la catechesi operi un’autentica acculturazione e inculturazione della fede nel tentativo di tracciare un diverso approccio alla formazione catechistica. Le parole di papa Francesco nel Messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni, n.5. ricordano che: «In ogni grande racconto entra in gioco il nostro racconto. Mentre leggiamo la Scrittura, le storie dei santi, e anche quei testi che hanno saputo leggere l’anima dell’uomo e portarne alla luce la bellezza, lo Spirito Santo è libero di scrivere nel nostro cuore, rinnovando in noi la memoria di quello che siamo agli occhi di Dio».
Il prof. Fabio Mancini ha concluso il suo intervento con il monito che papa Francesco espresse nel Discorso al Convegno internazionale dei catechisti (10 settembre 2022): “Non ci dimentichiamo di “non fare catechismo”, ma di essere catechisti, di non “fare lezione di catechesi”, perché «La catechesi non può essere come un’ora di scuola, ma è un’esperienza viva della fede che ognuno di noi sente il desiderio di trasmettere alle nuove generazioni»”.
Subito dopo, i partecipanti hanno condiviso alcune riflessioni riunendosi in piccoli gruppi e animando un vivace dibattito conclusivo. Gli spunti sono stati forniti dallo stesso prof. Mancini: Quali “sfide” comunicative ritieni più urgenti per annunciare la fede oggi? Nella tua esperienza di catechista hai usato qualche linguaggio diverso e alternativo? Se sì, quali sono stati i vantaggi e le criticità? Se la sfida dell’annuncio è coniugare i contenuti di fede alla vita, il Vangelo alla storia, quali linguaggi pensi potrai utilizzare per pianificare le attività di catechesi?
Il lavoro svolto durante il convegno non resta un momento isolato ma si completa e si amplia con gli incontri nelle vicarie e con il triennio di formazione di base che si svolge in seminario il lunedì.
Per ulteriori notizie si può consultare la pagina del sito www.catechesi.diocesi.taranto.it



Dopo il successo degli ultimi due anni, venerdì 22 novembre torna a grande richiesta ‘Pettole e danze’, la festa di Santa Cecilia sul sagrato della parrocchia Maria SS del Rosario a Talsano al sapore di pettole e al suono delle danze di tutto il mondo a Talsano.
Nella giornata che dà inizio al lungo periodo natalizio, la parrocchia del centro storico talsanese si addobba a festa con i colori del Natale. Fitto il programma della serata che inizierà alle ore 18 con il Santo Rosario e a seguire con la santa messa presieduta dal parroco don Armando Imperato con la preghiera finale a Santa Cecilia e la benedizione dei musicanti.
Alle ore 20 avranno inizio invece le manifestazioni esterne con l’arrivo di Babbo Natale accompagnato da Santa Cecilia. Tra il sagrato della chiesa e via Garibaldi troveranno spazio l’esecuzione delle pastorali natalizie da parte della banda Maria SS Addolorata, la fiera dell’artigianato e soprattutto la grande pettolata a cura dell’Adp. La serata sarà animata dalle musiche e dalle danze popolari di tutto il mondo a cura dell’associazione ‘Itinerari e sentieri di danza’, guidata dal maestro Gianni Labate.


Negli ultimi anni, gli attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata sono fortemente aumentati e assumono forme sempre più aggressive: incendi, assalti fisici, danneggiamenti di proprietà, uso di munizioni reali, distruzione di alberi d’ulivo e intimidazioni sistematiche. In alcuni casi, le violenze collegate ai coloni hanno portato a sfollamenti forzati, con famiglie palestinesi costrette ad abbandonare le loro terre o ad emigrare, mentre l’“espansione degli insediamenti” è accompagnata da una strategia di pressione che rende la presenza palestinese insostenibile. Ne abbiamo parlato con mons. William Shomali, vicario generale del patriarcato latino di Gerusalemme e vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina.

mons. W. Shomali – ph Patriarcato di Gerusalemme
Quali sono oggi le condizioni di vita dei palestinesi in Cisgiordania, alla luce dell’aumento degli attacchi da parte di gruppi di coloni israeliani?
La domanda coglie una delle dimensioni più critiche e purtroppo meno raccontate del conflitto israelo-palestinese. Le condizioni di vita per i palestinesi in Cisgiordania si sono deteriorate in modo drammatico negli ultimi mesi, toccando livelli di crisi umanitaria e di tensione che non si vedevano da anni. Alla già complessa realtà dell’occupazione militare e della frammentazione del territorio, si è sovrapposta un’ondata di violenza da parte di coloni estremisti che agiscono in un clima di quasi totale impunità.
Questi gruppi, spesso armati stanno esercitando una pressione sistematica per rendere insostenibile la vita delle comunità palestinesi, spingendole all’esodo forzato.
Ci sono territori palestinesi maggiormente soggetti a questa pressione dei coloni?
Per quanto riguarda le aree più vulnerabili, la situazione è particolarmente critica in Area C, che costituisce circa il 60% del territorio della Cisgiordania e sotto pieno controllo israeliano. Qui, i piccoli villaggi e le comunità beduine, spesso prive di protezione e servizi di base, sono il bersaglio principale. Zone come la Valle del Giordano, le colline a sud di Hebron e i dintorni di Nablus e Ramallah sono teatri quotidiani di violenze. Tuttavia, è importante sottolineare che la violenza non si limita solo alle zone rurali. Anche le periferie delle città, quelle più vicine agli insediamenti, subiscono incursioni, sassaiole contro auto e case, attacchi che creano un senso di assedio costante.
Quali sono le principali forme di pressione e di violenza messe in atto dai coloni nei confronti dei palestinesi?
Come ho già detto, parliamo di aggressioni e pestaggi, sparatorie per intimidire o ferire. Talvolta, avvengono sotto gli occhi dei soldati che non intervengono. Ci sono poi atti di vandalismo e distruzione di proprietà come case, automobili, serre e stalle per il bestiame che vengono date alle fiamme o demolite. Molto gravi, inoltre, sono il sabotaggio dei pozzi d’acqua, il taglio degli ulivi secolari e il furto o l’avvelenamento del bestiame, azioni che vanno a privare le famiglie del loro sostentamento. Spesso i coloni impediscono ai palestinesi, legittimi proprietari, l’accesso alle loro terre e dunque non permettono loro di coltivarle, di fatto espropriandole. Non mancano in questa triste lista incursioni notturne nei villaggi per seminare il terrore, soprattutto tra donne e bambini. Infine, simboli tristemente frequenti sono le scritte di odio in ebraico sui muri.
Prima parlava del taglio di ulivi secolari. Dal 1° ottobre, l’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha documentato 167 attacchi da parte dei coloni legati alla raccolta delle olive di quest’anno, che hanno colpito 87 comunità palestinesi…
Il tempo della raccolta delle olive si è trasformato in un periodo di ansia e pericolo. Assistiamo a un picco significativo di attacchi in queste settimane. I coloni irrompono negli uliveti per rubare il raccolto, tagliare o dare alle fiamme gli alberi, spesso secolari, che sono il patrimonio e la storia di intere famiglie. È un colpo devastante all’economia familiare. I contadini palestinesi sono costretti a raccogliere le olive sotto la protezione di attivisti internazionali o di volontari israeliani accorsi per salvaguardare l’accesso degli agricoltori alle loro terre e mitigare i rischi associati alla violenza dei coloni e alle restrizioni di movimento.
La comunità cristiana subisce forme specifiche di intimidazione o violenza, oppure vive una condizione simile al resto della popolazione palestinese?
La comunità cristiana palestinese, sebbene piccola numericamente – circa l’1% della popolazione -, condivide il peso e le sofferenze inflitte dall’espansionismo dei coloni. La loro condizione fa parte dell’ampia tragedia palestinese.
A riguardo vorrei menzionare le suore Gianelline di Ortas, villaggio vicino a Betlemme. I coloni hanno occupato una casetta di loro proprietà su una collina vicina, negando loro l’accesso a terre di loro proprietà.

Taybeh, chiesa di san Giorgio attaccata dai coloni israeliani – ph Nabd ElHaya
Altri esempi sono Taybeh, l’ultimo villaggio interamente cristiano in Cisgiordania, e Aboud dove il Patriarcato Latino ha una parrocchia. Questi luoghi sono circondati da insediamenti israeliani e avamposti di coloni, che ne limitano lo sviluppo naturale e l’accesso.
Da dove trae origine la violenza dei coloni?
La violenza dei coloni è spesso giustificata da un nazionalismo estremista che si mescola a una visione teologica distorta e non fa distinzione tra musulmano e cristiano. Vede tutti i palestinesi come un ostacolo da rimuovere per la sovranità ebraica sull’intera Terra d’Israele.
Siamo rimasti soddisfatti quando Steve Witkoff, l’inviato speciale della Casa Bianca per il processo di pace, è venuto a visitare Taybeh. Dopo la visita ha informato il suo governo di quanto accade. Il governo americano ha protestato contro le incursioni dei coloni. Recentemente il presidente israeliano Herzog e il capo dell’Esercito hanno criticato l’estremismo dei coloni. Speriamo che a queste denunce seguano azioni dissuasive.
Questa perdurante situazione, legata all’occupazione israeliana, sta spingendo sempre più palestinesi ad emigrare. Molti di questi sono cristiani. Ma ci sono anche altri fattori concomitanti che, dal suo punto di vista, favoriscono questo esodo?
Uno di questi fattori è certamente lo stallo politico e l’assenza totale di un processo di pace credibile. La prospettiva di un’occupazione a tempo indeterminato, la guerra a Gaza e l’aumento degli attacchi dei coloni in Cisgiordania tolgono ogni speranza nel futuro, specialmente tra i giovani. Poi l’asfissia economica: il tasso di disoccupazione del 50% in Cisgiordania è drammatico. L’occupazione strangola l’economia palestinese con i blocchi alla circolazione di merci e persone, i check point sparsi in tutta la Cisgiordania, il controllo delle risorse e l’impossibilità di accedere a gran parte delle proprie terre rendono difficile, per i palestinesi, costruire un futuro prospero. Aggiungiamo anche il Muro di separazione che rende un calvario semplici azioni, come andare a lavoro, a scuola, dal medico o dai parenti.
Per una comunità piccola come quella cristiana che ha forti legami internazionali, l’emigrazione diventa una scelta razionale per sfuggire a questo calvario. E sebbene la convivenza dei cristiani con i musulmani in Palestina sia storicamente solida, il panorama regionale più ampio contribuisce a un senso di vulnerabilità.
Emigrare per sperare di avere un futuro…
Le comunità cristiane palestinesi della diaspora (in Cile, Stati Uniti, Australia) attraggono perché sono molto organizzate e offrono una via di fuga. Ottenere un visto per l’Australia, come è successo ai 30 cristiani di Gaza, non è solo un’opportunità, è un’ancora di salvezza. Dopo aver vissuto l’inferno della guerra, aver visto che non c’è futuro in una Striscia assediata e distrutta, l’offerta di un visto per l’Australia non è una scelta, è l’unica via per la sopravvivenza e per dare un futuro ai propri figli.
Quali passi concreti dovrebbe compiere la comunità internazionale per sostenere la popolazione palestinese in Cisgiordania e impedire le azioni violente dei coloni?
La comunità internazionale si trova di fronte a un bivio: continuare con le dichiarazioni di condanna, ormai inefficaci, o intraprendere azioni concrete e consequenziali. A mio parere bisognerebbe passare dalle parole ai fatti: emettere sanzioni contro i coloni violenti e le loro organizzazioni. I loro nomi sono spesso noti alle Ong e ai servizi di intelligence. Colpire i loro portafogli e la loro libertà di movimento avrebbe un effetto deterrente più forte di qualsiasi comunicato stampa o dichiarazione. Inoltre, avviare indagini per tracciare le fonti di finanziamento, pubbliche e private, che permettono la creazione e il sostentamento degli avamposti coloniali, illegali anche per la legge israeliana. Bisogna assumere una posizione chiara sugli insediamenti e smettere di considerarli solo come un “ostacolo alla pace” e iniziare a definirli per quello che sono secondo il diritto internazionale: colonizzazione di un territorio occupato. Altra misura possibile è aumentare il numero di personale civile internazionale (attivisti, osservatori per i diritti umani, accompagnatori ecumenici) nelle zone a più alto rischio, come la Valle del Giordano. La loro presenza fisica, sebbene non armata, funziona da deterrente contro gli abusi e documenta ciò che accade in tempo reale. A tale riguardo la comunità internazionale deve ribadire con forza che Israele ha l’obbligo legale, sancito dalla Quarta Convenzione di Ginevra, di proteggere tutti i civili sotto il suo controllo militare, palestinesi e israeliani.
Un’ultima domanda: riconoscere lo Stato della Palestina può essere utile alla causa palestinese?
Io credo che rafforzerebbe la legittimità palestinese e riaffermerebbe il consenso internazionale intorno alla soluzione “Due popoli Due Stati”, che l’espansione degli insediamenti sta deliberatamente sabotando.


Il valore insostituibile dei giornali locali nel mantenere viva la democrazia e il legame con le comunità
Il messaggio di papa Francesco sulla necessità di un’informazione autentica, capace di ascoltare e di raccontare la vita reale, trova oggi nuova forza nei settimanali diocesani e nel giornalismo di comunità, antidoti concreti alla disinformazione e alla perdita di attenzione collettiva.
Un’informazione che rischia di diventare fotocopia
«Voci attente lamentano da tempo il rischio di un appiattimento in giornali fotocopia o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, di palazzo, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più consumare le suole delle scarpe»: lo affermava papa Francesco nel messaggio per la 55ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Era il 2021.
I rischi paventati dal Santo padre per il mondo dell’informazione e di riflesso per i cittadini sono immutati, a distanza di cinque anni. Quel che si registra, anzi, è una continua crescita dei social, capaci di plasmare il linguaggio dei loro fruitori e di abbassare – conseguenza terribile – il loro livello di attenzione, soprattutto fra i più giovani.
Tornare a consumare le suole delle scarpe
L’informazione fotocopia, non verificata, è già uno dei grandi mali delle nostre democrazie, ai quali rispondere con un rinnovato slancio giornalistico, ritrovando lo spirito originario, richiamandoci a Francesco, tornando a consumare le suole delle scarpe.
Andare e vedere per raccontare, questo l’invito che a più riprese il Pontefice aveva fatto. E raccontare con il cuore, mettendosi nei panni dell’altro, senza giudicare, con un linguaggio disarmato che punti a gettare ponti anziché innalzare muri.
Il ruolo dei giornali locali e della Fisc
Quando ogni giorno i nostri giornali locali della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) raccontano le storie degli ultimi, degli indifesi, fanno esattamente questo: vanno, vedono, raccontano con il cuore.
Quando ogni giorno i nostri giornali locali della Fisc arrivano nei paesi delle valli, nei minuscoli borghi dell’entroterra o nelle periferie della città, si richiamano all’insegnamento della Chiesa che chiede di guardare agli ultimi.
Quando ogni giorno i nostri giornali locali della Fisc mettono al centro le comunità, le loro storie, i loro problemi, fanno un servizio alla democrazia.
Le voci delle comunità, dalle valli ai centri urbani
Dai paesini siciliani con l’acqua razionata alle crisi aziendali nelle città industriali del Nord, la voce dei nostri giornali è la voce che tiene unite le comunità e fa emergere i piccoli e grandi problemi degli ultimi, di chi è troppo piccolo per pretendere di essere ascoltato dai grandi mezzi di informazione.
Se non ci fossero i giornali locali cosa ne sarebbe delle migliaia di piccole/grandi storie di quotidiana ingiustizia di cui è costellato il nostro Paese? Chi ascolterebbe le minuscole comunità prive di servizi e alle prese con il dramma della denatalità? E chi darebbe voce alle tante belle storie di solidarietà, amicizia, coraggio che patrono dal basso?
Un antidoto alla disinformazione
E ancora, chi si prenderebbe la briga di verificarle tutte queste “notizie minori”, che rischiano di invadere il web e i social senza un minimo filtro sulla loro veridicità?
I giornali locali, giornali di comunità, rappresentano una risorsa per il nostro sistema Paese, sono uno degli elementi su cui si basa la nostra democrazia e in un mondo sempre più sottoposto a influenze esterne e a messaggi devianti sono un antidoto alla disinformazione.
Rappresentano uno strumento delicato, fragile, ma imprescindibile, per evitare di ritrovarci tra qualche anno a dover amaramente renderci conto che l’informazione che ci passa sotto il naso è tutta uguale. In fotocopia.

