Uniti nel dono

Don Paolo e il rinato doposcuola, laboratorio di cittadinanza

Il giovane sacerdote martinese: “Vogliamo sia soprattutto un cammino di formazione integrale della persona, un luogo dove si impari a credere nelle proprie capacità, a rispettare l’altro, a lavorare insieme”.
L’esperienza presbiterale del viceparroco della San Francesco de Geronimo, al rione Tamburi di Taranto, è un forte richiamo alla corresponsabilità economica a sostegno dell’azione dei nostri sacerdoti, come suggerito dalla campagna di Sovvenire della Cei, Uniti nel dono

ph San Francesco de Geronimo
15 Ott 2025

di Mimmo Laghezza

“Don, mi sto fidando di te: ti sto affidando tutto quello che ho!”: il ‘bene prezioso’ nelle mani di don Paolo Martucci non produce Pil, né tantomeno può essere investito in Borsa: sono figli, ‘semplicemente’ figli; quattro creature, dai sei ai dodici anni, che da pochi giorni frequentano, insieme a tantissimi altri coetanei, il doposcuola appena riaperto nelle sale della parrocchia San Francesco de Geronimo, al rione Tamburi di Taranto.
Lì, in epoca moderna, c’è poco di musicale: il flusso dell’acqua che scorreva sull’antico acquedotto romano e che sembrava un rullare di tamburi, è stato sostituito dai rumori industriali e dalle polveri rosse del vecchio e malridotto siderurgico.
Un quartiere con la ruggine attaccata agli intonaci che è esso stesso metafora della fabbrica di cui è confinante: le tante difficoltà di sempre più famiglie e le tre parrocchie a svolgere un ruolo fondamentale di supplenza delle pubbliche istituzioni.

 


Quando – nel novembre 2024 – don Paolo si insediò come viceparroco nella chiesa di via Orsini, capì subito quale sarebbe stata la sua prima mission: ridare vita a un luogo che non fosse soltanto di supporto per i compiti a casa: “Vogliamo che il nostro doposcuola – ci confida il giovane sacerdote martinese – sia soprattutto un cammino di formazione integrale della persona, un luogo dove si impari a credere nelle proprie capacità, a rispettare l’altro, a lavorare insieme. Così, i pomeriggi da noi diventano un piccolo laboratorio di cittadinanza, di amicizia, di speranza”.
La sua vocazione adulta ha portato sull’altare un uomo che sa perfettamente cosa c’è fuori dai seminari e che ha come sua ragione di vita l’aiuto a chi è nel bisogno: “Prima della vocazione, ero fidanzato e lavoravo come pasticcere: ho fatto le mie prime esperienze lavorative qui in Puglia, ma poi ho girato un po’: Como, Cernobbio, Porto Cervo, tra le località fuori regione.

Raccontaci un po’ di te, don Paolo: qual è l’esperienza che ha fatto di te il sacerdote a cui i genitori confidano il proprio vissuto, fatto spesso di ostacoli altissimi, e da cui i bambini corrono anche solo per una carezza o una parola d’incoraggiamento?

“Innanzitutto la famiglia: i miei genitori fanno così, sempre! Sono cresciuto credendo che fosse l’unico modo di vivere: donare e donarsi agli altri.
Nella mia esperienza personale, poi, ha avuto un ruolo decisivo l’esperienza della scuola alberghiera che mi ha formato dal punto di vista umano: imparare a lavorare insieme, in brigata di cucina, saper dividere i compiti, fare qualcosa che poi servirà a un tuo collega e – al contempo – sapere che qualcun altro sta facendo qualcosa che poi potrà servire a te, è un’impostazione che mi porto dietro anche nel sacerdozio. So che non sono io il centro, ma solo parte di un insieme”.

Affrontare tutto così, da un lato fa sentire il cuore appagato, dall’altro comporta fatica e qualche delusione cocente.

Ultimamente stavo vivendo un periodo un po’ turbolento: se ne esce facendo leva sulle proprie fragilità: sì, perché – secondo me – le fragilità di ognuno, se valorizzate, diventano punto di forza, che poi aiuta a vedere le difficoltà con altro approccio. La società ci vuole perfetti, ci vuole efficienti e invece credo che scoprirsi uomini e donne fragili, aiuti a stare a stretto contatto con l’umanità: sono anche queste le esperienze preziose che faccio in parrocchia. Chi si mette su un piedistallo, chi pensa di sapere tutto, si allontana dalla gente; ci si avvicina, invece, mettendosi in ascolto. Non è raro che i miei parrocchiani mi raccontino esperienze che anch’io ho vissuto e, scoprendolo, mi dicano “Che bello che c’è qualcuno che sa di cosa parlo e mi capisce!” Queste sono piccole soddisfazioni che mi rafforzano in ciò che faccio.

Don Paolo, hai ricreato un doposcuola nella parrocchia San Francesco de Geronimo che era stato interrotto da anni per mancanza di educatori volontari. Ti piacciono le sfide complesse?

No, non è che mi piacciano le sfide e che… andava fatto! Abbiamo realizzato questo desiderio grazie alla collaborazione del plesso scolastico ‘Giusti’ e dei Servizi sociali del Comune di Taranto. Il nostro è un progetto semplice: offrire ai ragazzi del quartiere uno spazio dove poter crescere, studiare e sentirsi accolti. Ci sono storie, quelle dei nostri piccoli, che trovano un’occasione per essere raccontate, ci sono sorrisi di fiducia ritrovata che vanno tenuti vivi; ci sono volontari che, nonostante il lavoro, dedicano il loro tempo per ascoltare, incoraggiare ed accendere curiosità.

Ma i volontari sono sempre pochi e il numero dei bambini e degli adolescenti che viene al doposcuola cresce sempre più…

Non importa che giriamo come trottole per stare dietro a tutti: è troppo bello vederli contenti del rapporto umano che hanno instaurato e… di tornare a scuola con tutti i compiti fatti.

Ma se vuoi tanti sorrisi in più, occorre coinvolgere altri educatori…

Sarebbero ben accetti altri volontari che venissero ai Tamburi a darci una mano. Intanto – non sapendo di poter fare un appello attraverso quest’intervista -, ho coinvolto in questo ‘viaggio a colori’ anche mia mamma, Teresa, e il mio papà, Domenico: ogni giorno, da Martina Franca, ci raggiungono in chiesa per «aiutare il figlio», dice mia mamma.
Visto che direi di conoscerla un po’ – chiosa don Paolo, con un sorriso complice -, dagli occhi raggianti – pur nella stanchezza – azzardo a pensare che è grata della ricchezza umana che riporta con sé, a casa.

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