La domenica del Papa – Avvento, tempo di attesa
Attesa. L’Avvento è il tempo dell’attesa, del “già e non ancora”. È il “tempo del concepimento di un Dio che ha sempre da nascere”, scriveva padre David Maria Turoldo; tempo di “gaudio perché è nato al mondo un uomo” che vince la notte, i silenzi, le solitudini: “vieni tu che ci ami / nessuno è in comunione col fratello / se prima non lo è con te, Signore. / Noi siamo tutti lontani, smarriti, / né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo: / Vieni sempre, Signore”.
Attesa. È la parola che fa da fil rouge del primo viaggio di papa Leone in Turchia e Libano, dove è giunto ieri, domenica 30 novembre. Attesa perché i cristiani possano ritrovare quell’unità tra le chiese, la quale, seppure imperfetta, è stata ricordata nel far memoria dei 1700 anni del Concilio ecumenico di Nicea, là dove quel “noi crediamo” è diventato la chiave per comprendere la comune fede dei credenti in Cristo.
Se l’attesa è “un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt’uno con la nostra carne e il nostro cuore”, diceva papa Benedetto XVI, nelle parole di Leone XIV, nei discorsi pronunciati nel viaggio, l’attesa è “bisogno di pace, di unità e di riconciliazione” e questo bisogno “c’è attorno a noi, e anche in noi e tra noi”. Attesa di pace in un tempo segnato da guerre, conflitti e violenze. L’Ucraina dalla Turchia dista poche miglia marine; Gaza, Israele, Siria sono territori confinanti.
Parla di “condivisione delle differenze” tra le diverse tradizioni liturgiche – latina, armena, caldea e sira – tra le altre Chiese e comunità cristiane, papa Leone, e con le parole di Giovanni XXIII chiede che “si compia il grande mistero di quell’unità che Cristo Gesù con ardentissime preghiere ha chiesto al Padre celeste nell’imminenza del suo sacrificio” e rinnoviamo “il nostro ‘sì’ all’unità, perché tutti siano una sola cosa”.
Un cammino di dialogo anche con gli appartenenti alle comunità non cristiane. “Viviamo in un mondo in cui troppo spesso la religione è usata per giustificare guerre e atrocità” ricorda papa Leone nella messa che celebra a Istanbul sabato pomeriggio. L’atteggiamento dell’uomo verso Dio e quello verso i fratelli sono connessi perché “chi non ama, non conosce Dio”, per questo, afferma, “vogliamo camminare insieme, valorizzando ciò che ci unisce, demolendo i muri del preconcetto e della sfiducia, favorendo la conoscenza e la stima reciproca, per dare a tutti un forte messaggio di speranza e un invito a farsi operatori di pace”
Parole che tornano nell’incontro nella cattedrale della Chiesa armena con la quale i “legami fraterni sono sempre più stretti, dice il Papa, che sottolinea la “coraggiosa testimonianza cristiana del popolo armeno nel corso dei secoli, spesso in circostanze tragiche”.
Nella Divina liturgia nella Chiesa di San Giorgio al Fanar torna indirettamente la parola attesa, perché, dice Leone XIV, “ci sono stati molti malintesi e persino conflitti tra cristiani di Chiese diverse in passato, e ci sono ancora ostacoli che ci impediscono di essere in piena comunione, ma non dobbiamo tornare indietro nell’impegno per l’unità”. In questo tempo di “sanguinosi conflitti e violenze in luoghi vicini e lontani, i cattolici e gli ortodossi sono chiamati ad essere costruttori di pace. Si tratta certamente di agire e di porre delle scelte e dei segni che edificano la pace, ma senza dimenticare che essa non è solo il frutto di un impegno umano, bensì è dono di Dio”.
Lavorare per la pace è anche il messaggio del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I: “Di fronte a tanta sofferenza, l’intera creazione che ‘geme’ si aspetta un messaggio di speranza unificato dai cristiani che condannino inequivocabilmente la guerra e la violenza, difendano la dignità umana e rispettino e si prendano cura della creazione di Dio”. E aggiunge: “non possiamo essere complici dello spargimento di sangue che si sta verificando in Ucraina e in altre parti del mondo e rimanere in silenzio di fronte all’esodo dei cristiani dalla culla del cristianesimo o essere indifferenti alle ingiustizie subite dai ‘fratelli più piccoli’ del nostro Signore”.
Avvento. Tempo di attesa e di speranza: “la porta oscura del tempo, del futuro è stata spalancata – scrive Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi – chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”. Matteo, nel suo Vangelo, ci chiede di essere sempre pronti ad accogliere il Signore, di “custodire” la speranza. Si potrebbe dire, con le parole di papa Ratzinger che l’uomo “è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra statura morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo”.
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