Editoriale

Velate richieste di aiuto

02 Mag 2022

di Emanuele Carrieri

Due settimane fa, papa Francesco ha detto agli adolescenti italiani: “Voi avete “il fiuto”. E questo non perdetelo, per favore! Voi avete il fiuto della realtà, ed è una cosa grande. Il fiuto che aveva Giovanni: appena visto lì quel signore che diceva: “Buttate le reti a destra”, il fiuto gli ha detto: “È il Signore!”. Era il più giovane degli apostoli. Voi avete il fiuto: non perdetelo! Il fiuto di dire “questo è vero – questo non è vero – questo non va bene”; il fiuto di trovare il Signore, il fiuto della verità.” Il problema è che il fiuto, di tanto in tanto, non si lascia incardinare nei canoni che – lo si impara dall’esperienza – possono accompagnare verso la maturità, ossia l’equilibrio delle possibilità. L’adolescenza e la giovinezza sono sentieri talvolta impervi, faticosi, quasi mai scontati, spesso imprevisti e impensati, con dei fuoripista che possono portare a forme contraddittorie di ricerca di sé stessi. Questa è l’adolescenza, è la giovinezza: è la ricerca di sé in relazione all’altro, agli altri, ai molteplici contesti sociali, valoriali, agli interessi in campo. Gli episodi che di recente hanno riempito le cronache, e che tuttora le riempiono, relativi a forme di autolesionismo oppure a tipologie di incomunicabilità, di isolamento o di solitudine, fino a tentativi di suicidio, ci avvertono, a chiare lettere, che non si può e non si deve abbassare la guardia. Ciò significa stare allerta, essere in permanente stato di preallarme, significa riconoscere per tempo ogni campanello di allarme, magari a partire dai piccoli segnali nel comportamento e nel linguaggio, per la ragione che il disagio viene quasi sempre mascherato, a parte certe situazioni nelle quali invece assume forme estreme. Quasi come dire di una non sopportabilità, non tollerabilità dell’esistenza e dell’esistente. Si pensi alle forme di solitudine più estreme – in Giappone, gli hikikomori sono i ragazzi che scelgono di scappare dalla vita sociale, cercando livelli finali di isolamento e di confinamento – oppure di decisa riduzione di ogni impegno scolastico, atletico, musicale, ricreativo, di lavoro. Si pensi anche agli improvvisi, inaspettati, fulminei cambiamenti di umore, oppure a una comunicazione confusa, indecifrabile, ingarbugliata. E anche l’abbandono scolastico continua a fare paura, ovunque, al meridione come al settentrione, un fenomeno crescente e sempre più preoccupante, specchio implacabile di una società che fa fatica a occuparsi delle nuove generazioni. Comunque, gli adolescenti e i giovani, per lo più indirettamente, lanciano forme molto velate di richieste di aiuto. Come comprendere certi segnali, come decifrare alcuni messaggi? Si tratta di avere sempre la delicatezza, il garbo e l’accortezza, quando le situazioni si fanno problematiche, di aiutare ad aiutarsi, anzitutto a chiedere aiuto, superando anche il possibile senso di pudore o di vergogna. Chiedere aiuto è un passo in avanti, perché dice della volontà di ricerca di una possibile salvezza. E non si può improvvisare: è indispensabile l’intervento di persone molto competenti e capaci di dialogo. La pandemia – lo abbiamo detto e ridetto, ci è stato detto e ridetto – ha cambiati tutto e tutti. Ma è la salute mentale degli adolescenti e dei giovani, soprattutto, ad avere sofferto in maggior misura in questi due anni difficili e faticosi. Sono cresciuti gli accessi ospedalieri per malori neuropsichiatrici, rispetto al periodo precedente la pandemia. I problemi di gestione dell’ansia e i disturbi dell’umore sono più diffusi di quanto si pensi, assieme ad alti livelli di disordine, di sconvolgimento emotivo. Sono forme di disagio che affermano chiaro e tondo che la gestione delle sensazioni ed emozioni, incluse le sofferenze che possono tradursi in comportamenti autolesivi, non è affatto facile, non è mai facile. L’adolescenza, la giovinezza, oggi sono più complicate rispetto alle generazioni del passato, perché ci sono meno punti fermi. Non solo sul piano sociale, del lavoro, ma anche a livello di convinzioni, di un pensiero autonomo, di prospettive sull’avvenire. Ciò porta, anzitutto i giovani, a concentrarsi sull’immediato, sul presente, mettendo fra parentesi e fra virgolette (“ci penserò domani”) la risposta sul futuro possibile. Anche gli stessi legami sentimentali, per esempio, non possono più pretendere quel “finché morte non ci separi” in vigore ufficialmente nei decenni scorsi. Per cui si tende a vivere per l’oggi, e – leggere in continuità – per il domani («chi vivrà vedrà»). Questo tempo è l’età dei frammenti, ma senza fili conduttori visibili. Questi ultimi due anni, prima con l’immenso bisogno relazionale messo in crisi, oggi con una guerra ogni giorno riprodotta a livello di filmati, dicono a tutti noi che non solo “del domani non v’è certezza”, anche per l’oggi “non v’è certezza”. Gli adolescenti, i giovani sono la nostra speranza di futuro. Forse il vero problema per loro siamo noi adulti. Forse perché loro hanno bisogno di incontrare autorevolezza, non autorità. Quando c’è autorevolezza, in famiglia, a scuola, nel lavoro, in politica, nella società, loro non si tirano indietro. Si impegnano, si donano, si dedicano, si applicano. Ma hanno bisogno di avere punti di riferimento autentici, credibili, seri. Se, invece, non trovano adulti coerenti, che dicano anche alcune verità importanti, non sanno da che parte girare lo sguardo: si isolano, si deprimono, si arrendono – come i neet, i giovani non impegnati, nello studio, nella formazione, nel lavoro – e perdono la capacità di addentare la vita, di azzannare il mondo. Per cambiarlo, per migliorarlo.

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