Tracce

Le attese per l’Europa che verrà

La sede di Strasburgo (Foto SIR/Marco Calvarese tratta dal sito internet https://www.agensir.it/)
18 Mar 2024

di Emanuele Carrieri

A meno di cento giorni dall’apertura dei seggi, le elezioni europee sono avvolte da una cortina di incertezze, fra timori e speranze per come sarà il Parlamento in un contesto geopolitico assolutamente mutato. Sarà un voto che segnerà per sempre la storia dell’Unione. Gli europei diranno il loro parere su questioni che qualificheranno l’attività dei vari gruppi politici: le domande di entrata nell’Unione, la riforma dei Trattati, gli aiuti all’Ucraina, i cambiamenti del clima. Sarà un voto per tirare fuori l’Europa dal pantano dinanzi all’ascesa di estremismi e populismi, non solo di destra, che abrogherebbero lo sviluppo già fatto? C’è un malessere di fondo riferibile alla tanta, sempre più crescente disuguaglianza, alla permanente precarietà del lavoro, al problema della sicurezza e del sistema del benessere sociale, all’eccedenza di burocrazia dell’apparato di Bruxelles. È un malessere che ha le sue origini nel disorientamento di popolazioni sempre più invecchiate, nello smarrimento di milioni di donne che fanno fatica a trovare una collocazione sociale, negli impedimenti a giovani e non per accedere al mondo del lavoro, nella insicurezza della situazione geopolitica planetaria. In tale insofferenza sociale, si infilano i movimenti nazional-populisti, azzerando di fatto quella solidarietà che nel Vecchio Continente aveva riunito tutte le forze politiche alla fine della seconda guerra mondiale e su cui era stato ideato il sogno di una nuova Europa. Ora questa Europa non fa più sognare: alimenta preoccupazioni, crea smarrimenti, suscita paure e crisi di identità nazionali. Sta svanendo quel tasso di unità che ha tenuto finora in vita le tante diversità dell’Unione, ma, soprattutto, si sta dissolvendo lo spirito comunitario dei padri fondatori e pure la stessa coscienza europea. Si pagano i tanti, troppi compromessi al ribasso di una Europa intergovernativa, priva di un vero governo in grado di rispondere alle attese dei cittadini. Il problema di fondo resta la crisi di fiducia degli europei nei riguardi di Bruxelles e della politica comunitaria lontana dai bisogni delle persone, soprattutto nei processi deliberativi, relativi ai temi di impatto diretto sulla vita di ogni giorno, come la protesta degli agricoltori ha documentato. È la politica di una classe dirigenziale cieca e sorda, dei palazzi, dei poteri forti e delle stanze dei bottoni, della finanza internazionale e delle banche. L’Unione europea, oggi, non è un’Unione: si sente la assenza di un patto fondante in forza del quale il restare insieme, il vivere insieme, il ragionare insieme, il pensare insieme, lo scegliere insieme, il decidere insieme, l’agire insieme siano il sicuro collante. Prima che scivoli nel precipizio, l’Unione deve valorizzare la propria identità culturale, proporre vere politiche economiche espansive e di crescita, riavere una centralità politica del suo ruolo in termini di efficacia di azione. È essenziale un salto di qualità per fare fronte ai guasti della globalizzazione, per arrestare gli egoismi nazionali, per cancellare la cecità e la sordità politica di chi ha dimenticato i lutti e le distruzioni dei nazionalismi del ventesimo secolo e presume di portare indietro l’orologio della storia. Nessun Paese europeo può garantire, da solo, la sicura, vera indipendenza delle proprie scelte. Nessun regresso alle sovranità e ai nazionalismi potrà assicurare agli europei pace, sicurezza, benessere e prosperità. La vera sfida è evitare che l’oggi fermi il domani perché è in gioco la sostenibilità del sistema europeo. La centralità delle istituzioni comunitarie nel processo deliberativo è fondamentale, ma la sua realizzazione sarà assicurata solamente se gli Stati membri sapranno esprimere una ritrovata coesione. Ma ognuno dovrà fare la sua parte per l’Europa dell’avvenire, per una Europa unita nelle sue diversità. La sovranità europea condivisa e l’interdipendenza delle politiche, economiche e sociali, devono costituire i criteri essenziali di una espressione di un governo serio e capace: il proposito non è tutelare l’Europa che c’è, ma rifondarla per riaffermare, in un mondo del tutto cambiato, i valori dell’umanesimo democratico. È indispensabile un sobbalzo delle coscienze per scongiurare che il sogno di una Europa unita e solidale si trasformi nell’incubo del ventunesimo secolo. Quindi, in un mondo disorientato da guerre, crisi economica e cambiamenti climatici, l’Europa che verrà dovrà cominciare una nuova stagione costituente per l’Unione attraverso una maggiore integrazione dal punto di vista delle politiche economiche, fiscali e migratorie. Quel voto di giugno sarà un distinguo fra integrazione e disgregazione. Dal nuovo Parlamento e dalle sue politiche discenderanno le sorti dell’Unione e degli europei. Questo è un delicato momento storico che richiede una partecipazione responsabile delle forze politiche e dell’intero corpo elettorale affinché prevalga il senso della storia per creare un’Europa al livello della sua millenaria civiltà e cultura.

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