Viaggio apostolico

Papa in Canada: il programma dettagliato del “pellegrinaggio penitenziale”

Sarà l’incontro con le popolazioni indigene il “cuore” del viaggio apostolico di Francesco in Nord America, dal 24 al 30 luglio

foto Vatican media/Sir
21 Lug 2022

Sarà l’incontro con le popolazioni indigene il “cuore” del viaggio apostolico di Francesco in Canada, dal 24 al 30 luglio, definito dal papa stesso “un pellegrinaggio penitenziale”. Lo ha detto il direttore della sala stampa della Santa sede, Matteo Bruni, durante il briefing di presentazione svoltosi in Vaticano.

Domenica 24 luglio, papa Francesco partirà alle 8.10 da Santa Marta  a Fiumicino, per prendere alle 9 il primo volo aereo e compiere un viaggio di 10 ore e 20 minuti, con 8 ore di fuso orario. Alle 11.20  (ora locale) arriverà ad Edmonton, per l’accoglienza ufficiale. Sarà accolto dal governatore generale del Canada, Mary Simon, con il consorte. Dopo la presentazione delle delegazioni e la Guardia d’onore, un breve incontro in sala ‘vip’ prima del trasferimento dall’aeroporto al Saint Joseph Seminary, distante circa 30 chilometri.

Lunedì 25, alle 8.45, dopo la messa in privato il papa si trasferirà in auto a Maskwacis, il cui nome in lingua indigena significa “colline dell’orso”, dove alle 10 è in programma l’incontro con le popolazioni indigene First Nations, Mètis e Inuit. Francesco sarà accolto nella chiesa dedicata alla Madonna dei Sette Dolori dal parroco e da alcuni anziani, poi proseguirà su una golf car al Bear park Pow-Wow Grounds, dove sarà accolto da una delegazione di capi indigeni provenienti da tutto il Paese: qui terrà il suoi primo discorso, in lingua spagnola come tutti gli altri del viaggio, seguito dal saluto di alcuni capi. Alle 11.45 il rientro in seminario. Nel pomeriggio, alle 16.30, il papa si recherà in auto nella chiesa del Sacro Cuore, sede di una comunità mista di cattolici dei popoli indigeni e non. L’incontro con le popolazioni indigene e con i membri della comunità parrocchiale è previsto alle 16.45. Accolto dal parroco, Francesco entrerà insieme a lui nell’edificio accompagnato da suoni di tamburo. Dopo il benvenuto del parroco e di due parrocchiani, Francesco terrà il suo secondo discorso, preceduto da un canto indigeno: poi la preghiera del Padre nostro, il saluto ad alcuni fedeli e la benedizione della statua dedicata a santa Kateri Tekakwitha, la prima indigena del Nord America ad essere stata riconosciuta santa dalla Chiesa cattolica. Alle 17.45 il rientro seminario.

Il 26 luglio, alle 9, il Santo padre si trasferirà in auto al Commonwealth stadium, dove arriverà un quarto d’ora dopo e farà il giro in papamobile. Alle 10 la messa, con l’omelia del papa e al termine il saluto del vescovo di Edmonton, mons. Richard William Smith. Alle 12.15 il ritorno seminario. Nel pomeriggio, alle 16, il papa si recherà in auto al Lac Saint-Anne, ad ovest di Edmonton, dove arriverà verso le 17: un luogo di pellegrinaggio e di guarigione per migliaia di pellegrini, che venerano la figura di Sant’Anna, di rilevante importanza per gli anziani, e frequentato soprattutto a luglio in occasione della festa della santa. Accolto dal parroco, il papa proseguirà verso il lago su una golf car, passando accanto alla statua di Sant’Anna accompagnato da suoni di tamburo. Arrivato al lago, Francesco farà il segno della croce verso i quattro punti cardinali, secondo la consuetudine indigena, e benedirà l’acqua del lago. Infine proseguirà in golf car fino al palco, sempre benedicendo i fedeli con l’acqua del lago. Poi l’omelia del  papa, la preghiera fedeli, il Padre nostro, un’altra preghiera e la benedizione finale. Al termine Francesco salirà sulla papamobile per tornare alla chiesa parrocchiale e benedire la statua di Nostra Signora che scioglie i nodi. Il trasferimento al seminario è previsto per le 18.

Mercoledì 27 è il giorno della partenza per Québec. Dopo la messa in privato e il saluto al personale del St. Joseph Seminary, il papa alle 8.15 si trasferisce all’aeroporto di Edmonton: alle 9 la partenza, mentre l’arrivo in forma privata a Quebéc è previsto alle 15.05. Accolto dalle autorità locali, alle 15.20 il Santo padre si dirigerà dall’aeroporto alla Cittadella di Quebéc, residenza del governatore centrale. Per la cerimonia di benvenuto, Francesco verrà accolto dal governatore centrale e dalla consorte, poi la visita di cortesia governatore generale, con la presentazione della famiglia, e l’incontro con il primo ministro, Justin Trudeau, al termine del quale il governatore generale, il papa ed il primo ministro si recheranno sul terrazzo per la foto ufficiale. Alle 16.20 l’incontro con le autorità civili, i rappresentanti delle popolazioni indigene e il corpo diplomatico, con il discorso del papa, che tornerà in arcivescovado in auto aperta, arrivo previsto per le 17.40.

Giovedì 28 luglio, alle 8.40, Francesco si trasferirà al santuario nazionale di Sainte-Anne-de-Beaupré, luogo del primo incontro di Giovanni Paolo II con gli indigeni nel 1984, dove arriverà alle 9.20 e farà un giro in auto aperta. Alle 10 la messa, con l’omelia del papa e il saluto finale del card. Gerard Cuprien Lacroix, arcivescovo di Québec. Alle 12 il rientro in arcivescovado. Alle 17 il trasferimento alla cattedrale di Notre Dame, la più antica sede vescovile del Nord America, dove il papa reciterà i vespri con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, i seminaristi e gli operatori pastorali e pronuncerà l’omelia. Al termine, il cardinale accompagnerà il Santo padre davanti alla tomba di San Francesco de Laval, primo vescovo di Québec nel Settecento e figura importante per i rapporti con le popolazioni indigene: insieme reciteranno una preghiera silenziosa. Alle 17.15 il ritorno in arcivescovado.

Venerdì 29 luglio, dopo la messa in privato e l’incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presenti in Canada, Francesco alle 10.45 in arcivescovado incontrerà una delegazione di indigeni presenti in Québec, i cui membri saluterà personalmente. Alle 11.45 il  congedo arcivescovado e un quarto d’ora dopo il trasferimento all’aeroporto di Québec, direzione Iqualit, una stazione di pesca con poco meno di 8mila abitanti usata da sempre da questa popolazione indigena. Francesco raggiungerà l’aeroporto alle 15.50 e sarà accolto dal vescovo di Churchill-Hudson Bay, mons. Anthony Wieslav Kròtki. Alle 16 il Santo padre si trasferirà in una scuola elementare per l’incontro privato alcuni alunni delle ex scuole residenziali, che inizierà alle 16.15. Alcuni di loro gli diranno alcune parole, poi la preghiera e la benedizione. Alle 17, l’incontro con i giovani e gli anziani, durante il quale Francesco pronuncerà un discorso. Alle 18 il trasferimento all’aeroporto di Iqaluit, dove alle 18.15 si svolgerà la cerimonia di congedo, con un breve incontro con il governatore generale.

La partenza per Roma Fiumicino è prevista alle 18.45, l’arrivo alle 7.50 del 30 luglio, dopo sette ore di volo e sei di fuso orario.

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Cinema

Giffoni Film Festival, dal 21 luglio al via la 52ª edizione sul tema “Invisibili”

Sarà dedicata a chi opera in silenzio, a chi non ha voce, a chi resta dietro e non per scelta

foto: Giffoni Film Festival
21 Lug 2022

Parte giovedì 21 luglio, il Giffoni Film Festival! Sarà dedicata agli Invisibili la 52ª edizione, a chi opera in silenzio. A chi non ha voce, a chi resta dietro e non per scelta. Dal 21 luglio, sarà “questo il filo che unirà tutto, una traccia che ciascuno proverà a declinare secondo la propria sensibilità ed esperienza”, si legge in una nota. Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, darà il benvenuto e inaugurerà #Giffoni2022, alle 16.30, nella piazza della Cittadella.
“È con grande emozione – dichiara il direttore generale, Jacopo Gubitosi – che diamo il via a questa edizione. Dal 21 al 30 luglio il meglio delle risorse e delle energie italiane, i talenti di ogni campo, i rappresentanti delle istituzioni, uomini di scienza e di cultura si ritroveranno a Giffoni per dare vita a un dialogo costruttivo e sincero. È senza dubbio un anno speciale, segna il ritorno totalmente in presenza delle nostre attività, pur con tutte le cautele e le precauzioni. Sappiamo che, dentro un contesto internazionale di grande incertezza, dobbiamo offrire una testimonianza ancora più forte di quelli che sono i nostri valori fondanti, che parlano di inclusione, solidarietà, integrazione. Il tema di quest’anno, ‘Invisibili’, va proprio in questa direzione. Giffoni è sempre pronto a rinnovarsi, a cambiare pelle. Lo farà avendo come riferimento esclusivo le nuove generazioni, le nostre bambine e bambini, le ragazze e i ragazzi che, mai come in questo momento, hanno bisogno di sognare, essere rasserenati, confortati con quello strumento di felicità che Giffoni da sempre vuole essere”.
Oltre 5mila i giurati, da 33 Paesi, che parteciperanno al Festival. Body positivity, la scoperta dell’altro, il percorso per recuperare fiducia in se stessi, il passaggio all’età adulta sono alcuni dei temi raccontati dalle 118 opere in concorso. E ancora un focus speciale rivolto all’ambiente e ai cambiamenti climatici. Anche quest’anno numerose le anteprime e gli eventi speciali, i progetti oltre alle attività dedicate all’innovazione con il Dream Team.
“Un’edizione di infinite visioni e opportunità. Perché Giffoni è ogni cosa, storie e sguardi. Sogno e realtà. Dove i giurati trovano una dimensione, spazio e tempo. E con un carpet completamente rinnovato, che da quest’anno abbraccerà l’ingresso della Cittadella come un vero e proprio percorso delle emozioni, è tutto pronto per accendere le luci di un cielo pieno, colorato, vibrante. Vivo. Da oggi, finalmente Giffoni”, conclude la nota.

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Emergenze ambientali

Un serio cammino di riconciliazione con il Creato

È innegabile che i cambiamenti climatici alla base dell’innalzamento delle temperature, siano causati dall’uomo. Al di là delle scelte dei grandi, noi – come singoli cittadini – siamo disposti a modificare qualcosa del nostro stile di vita?

foto Sir/Marco Calvarese
21 Lug 2022

di Alessio Magoga

“I cambiamenti climatici ci sono sempre stati”. È questo il refrain che sento ripetere spesso da alcuni “amici” (anche da qualche prete) che spiegano così quanto sta accadendo in modo inequivocabile sul nostro pianeta ormai da anni. Non si nega che la temperatura complessivamente stia aumentando: il dato – purtroppo – è sotto gli occhi di tutti, con le sue evidenti conseguenze non solo in qualche lontana regione del mondo ma ormai anche dentro il nostro contesto vitale, “a casa nostra”. Pensiamo allo scioglimento dei ghiacciai delle nostre montagne ed al drammatico episodio della Marmolada di qualche giorno fa, oppure alla siccità che non dà tregua da settimane alle nostre campagne assetate. Secondo questi “amici”, tutto questo farebbe parte del normale avvicendarsi di periodi più freddi e poi più caldi nel pianeta. Non ci sarebbe null’altro da fare se non adeguarsi a quanto sta accadendo, accettando che la temperatura aumenti e prendendo le necessarie contromisure. Se il livello del mare per lo scioglimento dei poli si dovesse alzare – come ha detto qualcuno con un’ironia a dir poco imbarazzante – si costruiranno le case su delle palafitte oppure più in alto: “Vuoi mettere il panorama?”. Intanto, sempre secondo costoro, continuiamo pure a mantenere lo stile di vita attuale ed a consumare energia come abbiamo sempre fatto – soprattutto carbone e petrolio – perché l’innalzamento climatico “non dipende dall’uomo”. Ecco, questo è il punto. Se è del tutto vero che il clima del pianeta ha sempre subito delle variazioni, non lo ha mai fatto però con la velocità cui si sta assistendo oggi.

Il problema non è la variazione della temperatura globale – questa, sì, ha sempre conosciuto dei mutamenti – ma la rapidità con cui sta avvenendo. Ed è qui che si deve vedere la responsabilità dell’uomo che, dalla rivoluzione industriale in poi, sta introducendo nell’atmosfera quantità via via crescenti di anidride carbonica e di altri gas, responsabili, secondo la stragrande maggioranza degli scienziati, del cosiddetto “effetto serra” e quindi del rapido innalzamento climatico. L’azione dell’uomo, pur non essendo l’unico fattore, ha certo una responsabilità non piccola su quanto sta accadendo: se si vuole per lo meno rallentare gli effetti dell’innalzamento climatico, all’uomo è chiesto di rivedere il proprio modello di sviluppo e di approvvigionamento energetico. In poche parole, è necessario produrre meno anidride carbonica, cercando forme più sostenibili di produzione di energia e delle alternative a petrolio e carbone.

Da anni ormai, a livello mondiale, si discute di questi temi e si firmano “protocolli d’impegno” per ridurre la produzione di anidride carbonica ma con risultati, fino ad ora, piuttosto modesti. La pandemia da Covid e il conflitto in Ucraina non aiutano certo a focalizzare l’attenzione sull’urgenza di un cambio dei paradigmi energetici del pianeta, che anzi rischia di ritornare alle più rassicuranti ed economiche – ma più inquinanti – fonti di energia da combustibili fossili.

Al di là delle scelte dei grandi, però, noi – come singoli cittadini – siamo disposti a modificare qualcosa del nostro stile di vita e ad improntare le nostre scelte a maggiore sobrietà e rispetto dell’ambiente? Nella messa di suffragio per le vittime della Marmolada, il vescovo di Trento – mons. Lauro Tisi – ha usato parole di grande fede ed umanità ed ha concluso l’omelia con un appello che dobbiamo tutti prendere sul serio: «L’immagine della Marmolada, sfregiata dalla valanga, chiama l’intera umanità a intraprendere un serio cammino di riconciliazione con il creato per tornare a custodirlo e a proteggerlo, come si fa con i fratelli e le sorelle. Chiediamo, come San Francesco, di poter davvero tornare a chiamare fratello e sorella la creazione».

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Sport

Sognando il “triplete”: Benedetta Pilato campionessa italiana nei 100 rana

20 Lug 2022

di Paolo Arrivo

Ormai è la sua distanza. L’ha fatta propria per poter dire, vantare, riaffermare che in questa specialità non ha rivali: Benedetta Pilato si è laureata campionessa italiana nei 100 rana. La 17enne di Taranto ha avuto la meglio su Arianna Castiglioni e su Martina Carraro. L’ennesimo successo arricchisce il palmares di chi, talento precoce, consacrato tra i Grandi, non smette di sorprendere e di emozionare.

PAROLE DA LEADER. “Sono contenta del lavoro svolto. Ora ci concentriamo sugli Europei: non vediamo l’ora. E Martina a Budapest ci è mancata”. Così Benny ha commentato l’ultimo trionfo in vasca, arrivato agli Assoluti in corso al Polo Natatorio di Ostia. La Martina che è mancata è la rientrante Carraro, la quale ha fatto rientro alle gare dopo essersi sposata – al pari del marito, Fabio Scozzoli, si è qualificata agli Europei.

FORMA OTTIMALE. Facendo registrare un buon tempo (1’06”07), non affatto distante da quello che le ha consentito di diventare campionessa del mondo, la nuotatrice del CC Aniene entrata nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro della Polizia di Stato ha confermato di avere una condizione fisica invidiabile. Al netto della fatica, da lei stessa dichiarata, dovuta al calendario, alle prove ravvicinate. L’atleta allenata da Vito D’Onghia ha fatto poco meglio di Arianna Castiglioni (1’06”16) e di Martina Carraro (1’06”57). Il terzetto delle meraviglie, come è stato soprannominato, non poteva tradire le attese degli appassionati.

L’OBIETTIVO DA CENTRARE. L’appuntamento più importante, dopo il campionato mondiale, dista solo tre settimane: gli Europei si disputeranno a Roma dall’11 al 21 agosto. Il percorso di avvicinamento prosegue al meglio con la conquista del tricolore nei 100 rana. L’ambizione è alta, ovvero massima. Vincere gli Europei dopo il Mondiale, con in mezzo i campionati italiani, sarebbe come per il ciclista aggiudicarsi Giro d’Italia e Tour de France, nello stesso anno. Un’impresa che può riuscire solo agli assoluti fuoriclasse.

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Vita sociale

Fondazione con il Sud: il progetto di Casetta Lazzaro dove si coltivano ortaggi e… autonomia

A ‘Casetta Lazzaro’, nel leccese, gli ortaggi hanno un ‘sapore’ diverso: sanno di autonomia, autostima, inclusione e socialità. Sono coltivati da h.ortolani

foto Div.Ergo
20 Lug 2022

di Marina Luzzi

C’è un posto nel leccese dove gli ortaggi sono micro ma hanno un sapore diverso. Quello di chi prima che a coltivare sta imparando a vivere in autonomia, a proiettarsi nel futuro, a credere in sé stesso. Far recuperare terreni incolti e abbandonati ad un gruppo di giovani con disabilità intellettiva, è l’idea della fondazione Div.Ergo- onlus di Lecce. Un’idea sposata da Fondazione con il Sud, che l’ha finanziata così come per altri 242 progetti in Puglia, terza regione dopo Sicilia (332) e Campania (341). Dal 2007 ad oggi, Fondazione ha speso 40 milioni di euro per dare sostegno a progetti coraggiosi. Alcuni non sono decollati altre invece, come questo, camminano ormai con le loro gambe e sono stati raccontati in un tour, tra Taranto e Lecce, pensato in occasione dei festeggiamenti per il sedicesimo anno di attività di Fondazione con il Sud. “Casetta Lazzaro” è la struttura immersa nella pineta, cuore del percorso di inserimento lavorativo e sociale svolto da questi agricoltori in erba. Qui c’è la miniserra, qui c’è la compostiera che trasforma il compost in humus di lombrico, utilizzato come fertilizzante naturale. Qui presto potrebbe esserci un essiccatore, per chiudere la filiera, vendendo snack salutari per assumere altri h.ortolani. Perché qui ci sono soprattutto loro.

“Spesso queste persone non sopportano di stare al chiuso – spiega la presidente, Maria Teresa Pati –. Così abbiamo pensato, per quelli che non sono portati per l’artigianato o per l’arte e la creatività, ad un progetto di agricoltura sociale,chiamato ‘Utilità marginale’, che ci è stato finanziato da Fondazione con il Sud qualche anno fa”. “Come Div.ergo – continua la presidente – abbiamo acquistato nel 2015 questa casa nella pineta, con l’orto invernale e quello estivo e una piccola serra per la coltivazione dei micro ortaggi, che oggi vendiamo ad una quindicina di attività di ristorazione del leccese ed anche ad un ristorante stellato. Nella casetta ci sono, e lo diciamo alla latina, otto h.ortolani, un gruppo di sei volontari fissi e tanti altri aiutanti sporadici. Dentro la casetta svolgiamo anche un laboratorio di carta pesta e uno di cucina, per favorire l’autonomia dei nostri amici. Ad oggi tutti hanno svolto tirocini pagati e due di loro, Davide e Gabriele, sono stati assunti dalla cooperativa agricola legata alla nostra fondazione”.

Vito Paradiso, coordinatore dell’equipe che si occupa della gestione della struttura, smessi i panni del docente di enologia all’Università del Salento, indossa quelli del volontario: “Le due cose si illuminano reciprocamente.Le competenze lavorative le applico alle necessità del progetto ma allo stesso tempo non nego, e penso che sia l’esperienza di tutti quelli che fanno volontariato, che quello che imparo qui, anche nella gestione dei rapporti umani, nel lavoro serve. Nella casetta sono dal 2015, quando è partito il progetto ma il volontariato lo faccio da una vita. Sono cresciuto in oratorio”.

Tante le storie e gli aneddoti che Vito racconta.Alcuni sono impressi nella mente più di altri: “Ricordo l’esperienza di Marco, che quando è arrivato non sapeva guidare la carriola, la orientava nella direzione opposta rispetto a dove voleva andare. C’è chi ad esempio aveva paura e oggi utilizza attrezzatura a motore. La grande gioia è vedere come queste persone si siano abilitate, restituire loro una percezione di sé come di adulti, giovani ma non più bambini, in grado di avere un dominio sul mondo.La meraviglia è osservarli quando se ne rendono conto”.

Qui la voce diventa sottile, gli occhi lucidi. “Nel massimo rispetto delle famiglie, che dedicano amore e tempo ogni giorno e tutto il giorno, non possiamo nascondere che nell’esperienza familiare è più facile che queste persone vengano infantilizzate. Così come avviene talvolta nei contesti sociali. Per esempio si continua a chiamarli ragazzi, quando hanno 40 o 50 anni. C’è questa tendenza, in genere. Quando invece loro scoprono di poter esercitare la vita di un adulto, sia in termini di responsabilità che di cura, per esempio per una pianta, o di poter acquisire competenze, man mano si vedono con occhi diversi. Così possono cominciare a pensare ad un futuro in cui non siano la replica di quello che sono sempre stati, come se il tempo non esistesse. D’altra parte stare in un ambiente come questo è un’educazione costante al tempo. I cicli della natura, i suoi tempi, la lentezza, hanno da insegnarci”.

“Dopo questi due anni e mezzo di stop forzato a casa della pandemia – commenta Marco Imperiale, direttore di Fondazione Con il Sud – era importante far respirare ai colleghi delle fondazioni e ai giornalisti l’ossigeno dei nostri progetti, che sono luci in mezzo ad un territorio in cui ci sono tante zone d’ombra. E bisogna accenderne di queste luci, tante e tante, per cambiare il destino e il volto della Puglia”.“Le esperienze toccate con mano nel tour – conclude Imperiale – purtroppo sono ancora troppo poco diffuse e poco conosciute anche alla gente del posto e stiamo lavorando anche per questo, per accrescerne la visibilità”.

 

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8xmille

Riparatori di brecce, con la propria firma

449 sono stati gli interventi per il restauro di chiese finanziati in Italia, nel 2021, con i fondi dell’8xmille

20 Lug 2022

di Stefano Proietti

Dal 1° febbraio 2022 don Luca Franceschini è il nuovo direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei. Sacerdote della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, prende spunto dalla propria esperienza pastorale d’origine per riflettere sull’importanza dei fondi 8xmille nella manutenzione del patrimonio architettonico religioso e sul perché ogni firma che contribuisce a destinarli alla Chiesa cattolica sia fondamentale: chi firma, in qualche modo, si rende “riparatore di brecce”, come dice il profeta Isaia.

foto Cei

“Nelle diocesi come la mia – esordisce don Luca – ci sono spesso comunità molto piccole che da sole non avrebbero mai le risorse necessarie per mantenere in buone condizioni le proprie chiese. Edifici che conservano una fetta importante dell’identità culturale dell’intera comunità, non solo di quella ecclesiale. Mentre le chiese erano inagibili per il terremoto, ad esempio, ho visto famiglie voler celebrare i funerali dei propri cari magari in un garage vicino alla chiesa, pur di non spostarsi dal proprio paese d’origine”.

Quanti interventi per il restauro di chiese sono stati finanziati in Italia nel 2021 con i fondi dell’8xmille?

“Le richieste sono state 449, a fronte di uno stanziamento di 62 milioni di euro. È però importante precisare che il finanziamento non copre mai l’intero intervento di consolidamento e restauro: la comunità locale è chiamata sempre a fare la propria parte, provvedendo al 30% della spesa. Ciò significa che grazie al contributo erogato nel 2021 si sono potuti realizzare lavori per quasi 90 milioni di euro. Con tutte le ricadute positive, tra l’altro, a livello di occupazione delle maestranze locali e per l’indotto turistico dei territori, trattandosi spesso di beni di rilevanza artistica”.

Oltre agli edifici di culto, quali altre strutture beneficiano ogni anno di questi interventi?

“I fondi sono utilizzati da diocesi e parrocchie anche per le esigenze collaterali al culto, come le canoniche o i locali per il ministero pastorale, che spesso vengono messi a disposizione (in modo speciale durante il Covid) dell’intera comunità civile. Vengono inoltre finanziati i restauri degli organi a canne e la collocazione, a tutela delle opere d’arte, di impianti di allarme e videosorveglianza. Con l’8xmille contribuiamo anche a sostenere gli istituti culturali delle diocesi (musei, archivi e biblioteche), come pure le associazioni di volontariato che operano per l’apertura delle chiese e la valorizzazione del patrimonio culturale locale. Anche gli ordini e le congregazioni religiose che operano sul territorio possono usufruirne, per archivi e biblioteche di particolare interesse”.

La logica del co-finanziamento impedisce che vengano erogati finanziamenti a pioggia e poco controllati. Ma come fate ad essere sicuri di come vengono usati?

“L’iter di ogni singolo progetto è sottoposto a scrupolose verifiche a livello locale e regionale, e poi del Servizio nazionale a me affidato. È proprio in quest’ottica che si è deciso di rendere corresponsabile di ogni intervento la comunità locale, che deve reperire il 30% dei fondi necessari raccogliendo offerte e ricercando sponsor. L’attaccamento al patrimonio e la consapevolezza della sua importanza per tutti, fanno il resto”.

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Società

Diritti umani, Amnesty lancia la campagna “Proteggo la protesta”

L’iniziativa nasce dalla constatazione che mai come ora nel mondo il diritto a manifestare è minacciato

foto Siciliani-Gennari/Sir
20 Lug 2022

Mai come ora nel mondo il diritto a manifestare è minacciato. È la denuncia di Amnesty international, che ha lanciato oggi una nuova campagna globale, “Proteggo la protesta”, per sfidare i tentativi sempre più ampi e intensificati degli Stati di erodere un diritto fondamentale, quello di protesta, che sta subendo un attacco senza precedenti in ogni parte del mondo. Dalla Russia allo Sri Lanka, dalla Francia al Senegal, dall’Iran al Nicaragua, le autorità statali – secondo Amnesty — si stanno servendo di tutta una serie di misure per sopprimere il dissenso organizzato: leggi e provvedimenti che limitano il diritto di protesta; uso illegittimo della forza; espansione della sorveglianza illegale, di massa o mirata; chiusure di Internet e censura online; violenza e stigmatizzazione. I gruppi marginalizzati e discriminati vanno incontro a  ulteriori ostacoli.  “Negli ultimi anni abbiamo assistito ad alcune delle più grandi mobilitazioni da decenni a questa parte: Black Lives Matter, MeToo, i movimenti contro i cambiamenti climatici hanno ispirato milioni di persone a scendere in strada per chiedere giustizia razziale e climatica, uguaglianza, mezzi di sostentamento, fine della violenza e della discriminazione di genere. Ovunque, le persone si sono mobilitate contro la violenza e gli omicidi della polizia, la repressione di stato e l’oppressione”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty international. Una serie di temi – come la crisi ambientale, la crescente disuguaglianza, la minaccia ai beni di sussistenza, il razzismo e la violenza di genere  – hanno reso l’azione collettiva ancora più necessaria. In ogni parte del mondo, i governi giustificano le limitazioni alle proteste sostenendo che queste costituiscono una minaccia all’ordine pubblico e stigmatizzano le persone che vi prendono parte, definendole “provocatrici”, “rivoltose” o persino “terroriste”. Definendo in questo modo chi partecipa alle proteste, i governi giustificano strategie basate sulla “tolleranza zero”, ossia leggi repressive e dai contenuti vaghi, operazioni di ordine pubblico dal pugno di ferro e provvedimenti preventivi a scopo di deterrenza, come accaduto ad Hong Kong, attraverso la Legge sulla sicurezza nazionale e in India, mediante la Legge sulla prevenzione delle attività illegali e le accuse di “sedizione” contro manifestanti pacifici.

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Diocesi

Firmata la convenzione per il restauro e la gestione dell’auditorium della Concattedrale

foto Peppe Leva
20 Lug 2022

di Mimmo Laghezza
È stata firmata, lunedì 18 luglio in curia alla presenza dal vicario generale mons. Alessandro Greco, dal parroco don Ciro Alabrese e dalla presidente dell’Orchestra della Magna Grecia, prof.ssa Nunziata Aresta, la convenzione per il restauro e la gestione dell’auditorium della Concattedrale Gran Madre di Dio di Taranto.
Un ringraziamento particolare è stato rivolto all’arcivescovo mons. Filippo Santoro da don Ciro Alabrese e da Piero Romano, direttore artistico dell’Orchestra della Magna Grecia, per la sensibilità che mostra e la dedizione nel trovare sinergie con la città, con il suo tessuto solidale o culturale.
“Sono parroco della Concattedrale da otto anni – ci ha ricordato don Ciro – e l’auditorium era già inagibile prima che arrivassi. Don Giuseppe (D’Alessandro, ndr), mio predecessore, aveva tentato di rivitalizzarlo ma si era dovuto stoppare davanti ai rischi oggettivi per i fruitori, non essendo quasi nulla, a norma.
Dopo aver provato nel corso degli anni a reperire i fondi per il restauro, l’occasione del 50° anniversario dell’opera di Gio Ponti ha rappresentato un ulteriore tassello nella collaborazione con l’Orchestra della Magna Grecia che è culminata nella realizzazione del Map Festival e l’esecuzione del ‘quadro sonoro’ “Una Vela tra i Due mari” – dedicato proprio alla Concattedrale – del compositore e pianista Remo Anzovino, il 29 settembre 2021. Da questo rapporto di stima e amicizia reciproca è maturata l’idea della convenzione per il restauro e la gestione dell’auditorium.
Daremo notizie dettagliate nel corso di una conferenza stampa che stiamo organizzando; posso anticipare che avremo la possibilità di utilizzare l’auditorium per quattro volte al mese, cumulabili, – quindi 48 volte all’anno – per qualsiasi finalità liturgica o pastorale che il nostro arcivescovo ritenesse di svolgere in quello spazio, che potrà contenere almeno 250 persone”.

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Diocesi

Giussani 100: in piazza Santa Rita, una mostra nel centenario della nascita

Proposta dalla Fraternità di Comunione e Liberazione di Taranto, giovedì 21 luglio, alle 20,30

foto Francesco Leva
19 Lug 2022

Cento anni fa nasceva don Giussani, una delle figure più significative a cavallo degli ultimi due secoli. Questo grande educatore, per il quale è in corso la causa di beatificazione, viene ricordato e presentato nella mostra “Giussani 100”, proposta dalla Fraternità di Comunione e Liberazione a Taranto, in piazza Santa Rita 1, giovedì 21 luglio alle 20,30.

Si tratta di un percorso virtuale che si propone come una esperienza coinvolgente, dinamica e condivisibile. L’itinerario della visita, attraverso sale tematiche virtuali, offre la possibilità di conoscere la figura di don Giussani, alternando riflessioni e commenti sulla sua persona, testimonianze di chi è stato raggiunto dalla sua proposta di vita, personalità della Chiesa e della società, uomini e donne di ogni credo e appartenenza religiosa e politica, che in un modo o nell’altro lo hanno “trovato” sul proprio cammino, fino all’impatto diretto con il suo sguardo e la sua voce, con quel suo modo unico di parlare di Cristo, risposta alle attese più profonde del cuore dell’uomo.  Una conoscenza che passa attraverso momenti di ascolto diretto di brani audio e video ‑ alcuni inediti ‑ tratti da suoi interventi, discorsi, fotografie, immagini e riproduzioni digitali che documentano episodi e ambientazioni della sua vita.

Non manca uno spazio dedicato alle opere sociali, culturali e imprenditoriali che hanno voluto raccontare il proprio legame con don Giussani.

 È una proposta per far conoscere la persona di don Giussani, la sua modalità educativa e il suo indicare la fede come esperienza vissuta quotidianamente nella sua pienezza. In particolar modo oggi, nella situazione drammatica che stiamo vivendo, la mostra mette in evidenza che è possibile affrontare la vita e la fede come un avvenimento che accade ora, attraverso l’incontro con persone che seguono e vivono l’esperienza della Chiesa. Per don Giussani, il cristianesimo non è nato per fondare una religione, è nato come passione per l’uomo. Questa era la sfida nella quale si imbatteva chi lo incontrava e che attraverso questa mostra viene proposta ai visitatori.

La Fraternità di Comunione e Liberazione e mons. Gino Romanazzi, responsabile diocesano del movimento di CL, invitano tutta la cittadinanza a partecipare a questo evento.

L’accesso all’incontro è gratuito, si svolge all’aperto, nel rispetto delle vigenti normative per il contenimento della pandemia.

La mostra è visitabile anche online sul sito: https://mostra.luigigiussani.org.

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Società

Idealizzazioni crudeli e realistiche fragilità: il caso di Matilda De Angelis

(Foto ANSA/SIR)
19 Lug 2022

di Alessandro Di Medio

Matilda De Angelis, giovane attrice di successo, pochi giorni fa in un post su Instagram aveva confessato la sua fragilità, il suo problema con un’ansia schiacciante scaturita dal bisogno di controllo e dalle crudeli idealizzazioni di se stessa imposte dal mondo della visibilità mediatica; da qui, le crepe (espresse a suo dire dal sintomo dell’acne) e il bisogno di uno sfogo, di una confessione almeno virtuale: “Io sto imparando che non posso controllare tutto nella vita e che prefissarmi costantemente uno standard di perfezione irrealizzabile in ogni ambito (lavorativo, sentimentale ecc.) mi ha intossicato la mente”.

Controllo e smania di perfezione: le due forme tipiche della più rarefatta e insidiosa delle tre concupiscenze, cioè la superbia della vita, l’inclinazione, la tendenza a dover controllare tutto e tutti per poter riempire quel vuoto di fondo che le altre due concupiscenze, più ingenue, propongono di riempire rispettivamente con i piaceri sensibili (nel caso della concupiscenza della carne) e con le conferme e gli applausi da parte degli altri (e questa è la concupiscenza degli occhi). Naturalmente la promessa di risoluzione, come per tutte le tentazioni, è vana, e i vizi che scaturiscono dalle concupiscenze paradossalmente causano quanto promettevano di vincere; e così, nel caso della superbia della vita, quelle strategie che promettevano di far superare l’insicurezza attraverso il controllo (di sé e degli altri) di fatto alimentano la voragine dell’insicurezza, rendendo sempre più tesi, ansiosi, di fatto fragili. La superbia della vita propone un’idea di se stessi del tutto irreale perché altissima, priva di imperfezioni o limiti, e induce a realizzarla attraverso l’affermazione di se stessi anche a scapito di se stessi, come la De Angelis testimonia nel suo post… o meglio, come testimoniava, perché proprio ieri (14 luglio) il post l’ha cancellato, con la seguente motivazione: “Ho avuto voglia di cancellare tutto per non finire nel vortice del pietismo e della compassione, il mio post non aveva assolutamente quello scopo”.

La mentalità inveterata, che fa delle nostre concupiscenze e degli atti a cui esse ci inducono degli automatismi, quasi dei riflessi pavloviani, si è presa la rivincita su questa giovane donna che per un istante si era permessa di chiedere aiuto: il rifiuto della compassione è in fondo il rifiuto di un’immagine di sé, riflessa nello sguardo degli altri, che non si vorrebbe; e dunque va cancellato quanto stride con le pretese del nostro io ideale, per ridare di noi stessi un’immagine (anzitutto a noi stessi) vincente, forte, autonoma.

Autonomia che, in realtà, non è altro che un sinonimo di solitudine. Nessuno si salva da solo, come anche Matilda, nel suo sprazzo di libertà da se stessa e di sincerità, aveva scritto con grande lucidità: “Bisogna imparare ad essere vulnerabili, a cercare aiuto, ad aprirsi rispetto alle proprie fragilità, a rispettare i tempi e gli spazi che ci sono consoni, bisogna imparare a non essere nemici di noi stessi, a rispettarci nelle nostre zone di luce come in quelle d’ombra”. È nemico di se stesso l’uomo che si nega alle relazioni, e che non si riconosce bisognoso dell’aiuto altrui. La vita si basa sul carbonio, perché la vita richiede continui passaggi di informazione ed energia da altro, richiede comunicazione, relazione – mistero trinitario insito nella materia.

Chiedere aiuto, far accedere gli altri alle nostre zone d’ombra, come le chiama la giovane attrice nel suo primo post, significa anche permettere agli altri di esporre le loro, di zone d’ombra, senza sentirsi sbagliati. Se con il suo primo post Matilda aveva dato un bellissimo esempio di come della fragilità si può parlare, dando con la sua celebrità amplificazione all’importante tema dell’ansia da prestazione indotta nei più giovani dalle pressioni dei modelli virtuali, con la sua ritrattazione ha fatto un vero passo indietro, dando l’idea che la sofferenza e le difficoltà debbano rimanere un fatto privato, muto e silenzioso, tale da non attirare l’altrui compassione, peraltro da lei erroneamente accostata al deteriore pietismo.

Vince così ancora una volta la crudele idealizzazione dell’io, che pretende la donna mediaticamente esposta come qualcuno di adamantino, autonomo (appunto), imperturbabile, che non si sfoga e non si lamenta, bella e fatale come una lama affilata.

Con questa marcia indietro abbiamo perso la possibilità di una lezione costruttiva per tante ragazze sotto analoghe pressioni, e allora auguriamo alla brava Matilda De Angelis ogni bene, nella speranza che possa imparare a valorizzare sempre più se stessa nelle sue crisi come nelle sue vittorie, ricordandosi che uno dei doveri di chi ha un volto pubblico è accrescere il bene comune mediante l’esempio, anche a costo di qualche esposizione di sé che, anche se può mettere un po’ in difficoltà, può in ogni caso servire al bene di chi guarda e ascolta.

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Diocesi

Ritorna il weekend di condivisione e fraternità proposta dalla Pastorale giovanile

Si partirà sabato 10 settembre alle ore 4.30 da piazza Unicef, a Taranto, per San Giovanni Rotondo

foto: seminario Poggio Galeso - Taranto
19 Lug 2022

di Francesco Manisi

Il Servizio diocesano per la Pastorale giovanile, dopo due anni di fermo a causa della situazione pandemica, in occasione del pellegrinaggio diocesano a San Giovanni Rotondo, torna ad organizzare l’esperienza del weekend per giovani dai 15 ai 30 anni.

Si partirà sabato 10 settembre alle ore 4.30 da piazza Unicef, a Taranto. Dopo la partecipazione alla santa messa presieduta dall’arcivescovo nella chiesa di San Pio a San Giovanni Rotondo, ci si sposterà a Bisceglie (Bt), dove saremo ospitati nella struttura del seminario arcivescovile. Il rientro è previsto nel tardo pomeriggio del giorno successivo, domenica 11 settembre (ore 17.30 circa).

Tutti i parroci sono invitati a sensibilizzare le realtà giovanili delle proprie comunità alla partecipazione a questo significativo evento di condivisione e fraternità. È richiesta la presenza di almeno un responsabile maggiorenne per gruppo!

Le adesioni dovranno pervenire entro il 31 luglio, compilando il modulo allegato in basso e consegnandolo a don Francesco Maranò o a don Francesco Manisi oppure inviandolo tramite email all’indirizzo seguente: giovani@diocesi.taranto.it

La quota di iscrizione è di 45 euro (comprendente viaggio in pullman, pasti, pernotto, t-shirt, servizio navetta, assicurazione). Si è pregati di versare entro il 31 luglio, un acconto di 25 euro. La restante parte potrà essere versata entro il 5 settembre.

Per ulteriori info, contattare:

don Francesco Maranò (3409705114) oppure don Francesco Manisi (3287724556)

 

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L'argomento

Claudio Fiore, nipote di Paolo Borsellino: “La fede lo aiutava anche a essere quella persona gioiosa e cordiale che ho sempre conosciuto”

(Foto: ANSA/SIR)
19 Lug 2022

di Francesco Fisoni

Claudio Fiore, nipote di Paolo Borsellino e figlio di Rita Borsellino, aveva 22 anni il 19 luglio 1992, giorno dell’attentato in cui persero la vita, proprio sotto casa sua in via D’Amelio, lo zio Paolo e i cinque agenti della scorta. Fiore vive nella campagna di San Miniato in provincia di Pisa: in questa intervista a Toscana Oggi ricorda quei giorni e ci regala un ritratto a tutto tondo dello zio.

Claudio, tra la morte di Giovanni Falcone e l’attentato a tuo zio Paolo corrono 57 giorni. Che ricordi hai di quelle settimane e com’era il clima in famiglia?
Ai funerali, celebrati nella chiesa parrocchiale di Santa Luisa di Marillac, proprio di fronte alla sua abitazione c’era davvero tutta Palermo… Mi accorsi di non essere solo a vivere quel dolore. Il confronto con quelli che erano stati i 57 giorni precedenti è quasi impietoso, nel senso che nelle settimane successive all’attentato a Falcone, ricordo che lo zio Paolo aveva il volto particolarmente provato, con una fatica dettata soprattutto dal dolore di quello che aveva dovuto vivere: era stato l’ultimo a vedere Giovanni Falcone in vita, che gli era morto praticamente tra le braccia in ospedale. Era consapevole che da lì a poco sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte. Allora in quei 57 giorni cominciò a lavorare a testa bassa; diceva spesso: “Non ho più tempo, devo fare presto!”.Quando poi seppe dell’arrivo a Palermo del tritolo a lui destinato, paradossalmente, mi sembrò che cominciasse quasi a essere più sereno. Erano giorni estremamente concitati e complicati, non era più facile incontrarlo come prima. Vedevo anche mia madre Rita molto tesa rispetto a tutto quanto ci stava capitando… La mamma, come intuendo il peggio, non perdeva occasione per fare visita al fratello, almeno quando le circostanze glielo permettevano. In quei giorni critici si era poi intensificata la nostra attenzione rispetto ai movimenti sospetti sotto casa; io abitavo proprio in via D’Amelio dove era l’appartamento dei miei genitori e dove in quel periodo viveva anche mia nonna Pia, la mamma dello zio Paolo. Qualsiasi cosa notassimo, auto o persone sospette, lo segnalavamo immediatamente. In quell’ultimo periodo, per motivi di sicurezza, lo zio non ci faceva quasi mai sapere prima quando ci sarebbe venuto a trovare.

Ricordo la polemica che s’innesco nei giorni successivi all’attentato sul perché nessuno avesse vietato il parcheggio delle auto in Via D’Amelio.
Lo chiedevamo anche noi allo zio Paolo, e in linea con quello che lui stesso era, ci diceva: “Ci sono persone che hanno in carico la mia sicurezza, questo è compito loro”. Aveva una grande fiducia nello Stato e nel rispetto dei ruoli. Non puoi fare quel tipo di lavoro, per spirito di servizio, se non hai anche un forte senso dei compiti affidati a te e un rispetto massimo dei ruoli e delle responsabilità altrui, fino al punto di affidare la tua sicurezza alle persone che ce l’hanno in carico.

Cosa ricordi di quel 19 luglio?
La mattina di quella domenica io lasciai via D’Amelio per andare alla casa al mare di famiglia. A casa rimase la nonna che nel pomeriggio doveva essere accompagnata proprio dallo zio a una visita cardiologica. Passammo una giornata serena, finché non ci raggiunse un cugino che villeggiava vicino a noi, aveva gli occhi lucidi. Dopo ricordo mia madre accendere un piccolo televisore portatile a batterie e cadere subito in ginocchio davanti al monitor.Provai a vedere qualcosa da quel minuscolo schermo in bianco e nero e vidi passare la scritta in sovraimpressione che diceva che lo zio non c’era più. Tornammo di corsa a Palermo. In via d’Amelio c’erano ancora i pompieri, polizia dappertutto e una marea di gente. Facemmo molta fatica ad avanzare. Mio padre volle giungere fin sul punto dell’esplosione. Ricordo di averlo visto ritornare, poco dopo, con il viso e le mani annerite, e porgere una mano alla mamma: “Gli ho fatto un’ultima carezza”… E rivedo mia mamma Rita in lacrime baciare quella mano.

C’è un toccante scritto di tuo cugino Manfredi, il figlio di Paolo, che racconta gli ultimi giorni di tuo zio e in particolare quell’ultima sua domenica. Leggendolo si resta stupiti dalla forza d’animo e dal coraggio di tua cugina Lucia che volle essere all’Istituto di medicina legale di Palermo per ricomporre i resti del padre e per vestirlo. E poi il giorno dopo, lunedì 20 luglio, Lucia aveva un esame all’università e si presentò per sostenerlo davanti a una commissione incredula per così tanta forza d’animo. Da dove veniva questo coraggio?
Questo era lo zio Paolo… Lui era così. Fin da quando i suoi figli erano ragazzini, ricordo perfettamente che alle uscite con gli amichetti diceva loro scherzando: “Dimmi dove vai, lasciami un numero di telefono, perché se mi ammazzano come faccio sennò ad avvertirti”. Col senno di poi è una cosa veramente edificante: lui aveva cresciuto i suoi figli e abituato tutti noi in famiglia, fin dall’inizio, a quella che sarebbe stata la fine del percorso. Un distacco e un senso di responsabilità da parte sua che riconosco anche in altre vicende: quando gli venne ad esempio assegnata la scorta con l’auto blindata, era il periodo in cui era in servizio presso la procura di Marsala, pretese di guidare da solo l’auto; la scorta lo seguiva in un’altra auto dietro; diceva infatti: “Se deve succedere qualcosa, voglio che siano coinvolte meno persone possibile”. Lui, in buona sostanza, offriva coscientemente la possibilità a chi voleva ucciderlo, di farlo senza far male a nessun’altro. Ad esempio, quando era al mare prendeva di nascosto la vespa della figlia, indossava anche il suo casco rosa, ed eludendo la scorta, scappava in paese a prendere il pane; e lo sapevano tutti in paese che il giudice Borsellino andava a comprare il pane da solo.

Perché allora la mafia ha agito in modo così eclatante, con mezzi così roboanti, quando tuo zio poteva essere colpito in qualsiasi momento in modo quasi ordinario, viste le sue abitudini?
C’era una volontà di potenza in chi l’ha colpito, come a voler dare un messaggio. L’obiettivo secondo me era quello di seppellire definitivamente la memoria di Borsellino, Falcone e con loro di tutta Palermo. Ma sul momento il risultato che ottennero fu esattamente l’opposto, perché a Palermo mai si era vista una reazione popolare come quella che seguì alle due stragi.

In effetti le stragi del ‘92 e ‘93 misero in moto un grande fermento nella società civile. A distanza di trent’anni esiste ancora questa capacità di reazione nell’opinione pubblica o lo smalto iniziale si è un po’ affievolito?
È fuor di dubbio che negli ultimi anni questo fermento è andato scemando e non è stato supportato fino in fondo da chi di dovere, anche se occorre dire che ha avuto una spinta propulsiva di lungo periodo, durata almeno vent’anni. La politica, almeno inizialmente, è stata quasi costretta, tirata per i capelli, a gestire questa rabbia e questa voglia di verità e giustizia che proveniva dalla società civile; ma appena ne ha avuto l’occasione ha cercato di portare l’impegno semplicemente sulle celebrazioni. Poi ovviamente c’è un dato cronologico: stiamo parlando di eventi di trenta anni fa e tanti testimoni e protagonisti di quei giorni, oggi non ci sono più. Adesso, a ogni 19 luglio, in via D’Amelio siamo ridotti a essere poche centinaia di persone quando i primi anni eravamo migliaia.

Parliamo della fede di tuo zio… Un cristiano a visiera alzata, dalla fede profondissima ma mai ostentata.
Ricordo che si confessava spesso in quel periodo. Diceva che doveva essere sempre pronto. La domenica mattina si alzava presto per andare alle celebrazione della Messa. Davanti alla sua abitazione c’era un ingresso di servizio al retro della sua chiesa parrocchiale. Questa cosa mi ha sempre colpito: per lui era come un accesso diretto e discreto, da utilizzare tutte le volte che desiderava pregare e cercare la serenità di cui aveva bisogno. La fede lo aiutava, credo, anche a essere quella persona gioiosa e cordiale che ho sempre conosciuto.

Quanto dici mi fa venire in mente cose che ho letto riguardo ai modi garbati con cui tuo zio interagiva con gli indagati per mafia: il rispetto, la gentilezza, una capacità di contattare la persona al di là dell’etichetta malavitosa.
Questo spiega anche, secondo me, il motivo dei suoi successi investigativi e il perché tante tra le persone inquisite volessero parlare proprio con lui e Giovanni Falcone. C’è una storia che ancora oggi mi apre il cuore: è la vicenda di Vincenzo Calcara, un killer di mafia. Durante un interrogatorio Calcara raccontò allo zio che proprio lui era stato incaricato di ucciderlo. Un’altra persona forse si sarebbe spaventata o irrigidita a una confessione del genere. Lo zio Paolo no. Quella confidenza fu l’innesco di un’amicizia sincera tra loro due. Ricordo un particolare: un giorno lo zio doveva ascoltarlo e venne a sapere che pochi giorni prima del giorno fissato per l’interrogatorio, cadeva il compleanno di Calcara, per cui non ci pensò due volte: anticipò l’incontro andandolo a trovare proprio il giorno del compleanno. Lo trovò trascurato, con la barba lunga. Gli disse che era andato apposta, sì per interrogarlo, ma anche per fargli gli auguri e nella stessa circostanza lo invitò a farsi la barba, pregandolo di non trascurarsi e di avere cura di sé. Questo, come altri episodi – gli portava ad esempio sempre delle sigarette -, toccarono il cuore di Vincenzo Calcara che divenne collaboratore di giustizia.

Parliamo troppo poco degli “angeli custodi” di tuo zio, gli uomini e le donne della sua scorta che hanno perso la vita insieme a lui...
Il 19 luglio del ‘92 la nonna Pia venne soccorsa dai vigili del fuoco e trasferita in ospedale. Quando mia mamma Rita la raggiunse la prima cosa che la nonna le disse fu: “Non stare qui da me, vai a cercare le mamme dei ragazzi della scorta”. Con i congiunti dei ragazzi della scorta ci siamo così ritrovati a essere, piano piano, come dei familiari. Un vincolo profondissimo.Sono persone che non sento di frequente, ma quando le vedo è come fossero una parte di me. E ogni 19 luglio per noi è festa anche semplicemente per il fatto di stare insieme a loro.

Hai tre figlie, di cui una piccola… Cosa vorresti restasse e arrivasse loro della temperie morale e del coraggio di tuo zio Paolo e di tua mamma Rita?
Le due più grandi hanno conosciuto e vissuto l’impegno della nonna Rita, che per anni ha portato avanti, soprattutto nelle scuole e poi in politica, la testimonianza e il ricordo del fratello. Oggi loro hanno un rapporto molto forte con Palermo, nonostante siano nate in Toscana. La piccolina, che ha cinque anni e mezzo, è ancora troppo piccola. Piano piano, crescendo, arriverà anche a lei la storia dello zio e della nonna Rita.

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