Leone XIV e lo Spirito che abbatte le frontiere

“Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere”: l’omelia del papa, rivolta ai fedeli domenica 9 giugno, in occasione della santa messa nella solennità di Pentecoste, coincidente con il Giubileo dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità, è un invito a oltrepassare, uniti e guidati dallo Spirito santo, tutte quelle barriere presenti dentro e fuori di noi, in nome di una società costruita sull’incontro e sul dialogo, come fondamenti della giustizia.
“È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito santo”: con una citazione tratta dal Discorso 271 di Sant’Agostino, il papa ha introdotto la sua omelia, per poi soffermarsi sulla lettura tratta dagli Atti degli apostoli, per ricordare l’opera che lo Spirito santo ha compiuto sulla vita dei Dodici.
Questo è il punto di partenza della riflessione del pontefice sulle azioni che noi uomini siamo chiamati a compiere mediante il dono dello Spirito santo, le frontiere che egli ci invita a superare dentro e fuori di noi. Un soffio che ci apre a un nuovo incontro con noi stessi “oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale”. Solo abbattendo quei muri interiori, infatti possiamo rendere la nostra vita uno “spazio ospitale”, aprendoci a nuove prospettive.
Una volta oltrepassati i limiti nell’intimo del nostro essere, lo spirito ci permette di aprire “le frontiere anche nelle nostre relazioni”, perché quando l’amore di Dio vive in noi, abbiamo la possibilità di superare la paura dell’altro, dello straniero, del diverso, imparando ad abbracciare nostro fratello.
E ancora, il santo padre si sofferma sui pericoli nascosti all’interno delle relazioni: “Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio”.
Infine, proseguendo nella sua riflessione sul significato della Pentecoste, alla luce della relazione, il papa ci ricorda che lo Spirito santo “apre le frontiere anche tra i popoli” e “infrange i muri”, ripristinando l’unità laddove vi è divisione. Rifacendosi all’esperienza degli apostoli, che parlavano le lingue della gente, grazie allo spirito che dal caos di Babele riporta l’armonia, poiché “le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità”.
L’amore, comandamento universale che per papa Leone non lascia spazio ai pregiudizi; egli infatti denuncia “le distanze di sicurezza” e la “logica dell’esclusione”, e nel bel mezzo di un mondo “collegato ma scollegato”, nel giorno della festa della Pentecoste, invoca “lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli”.
Parole profonde, attuali, segno e simbolo di una Chiesa sempre più vicina al mondo contemporaneo e alle sue ferite. Solitudine, nazionalismi, femminicidi, relazioni fragili, temi al centro di un discorso che a partire dal mistero della Pentecoste, volge il suo sguardo attento verso i drammi del nostro tempo, confermando ancora una volta la volontà di essere una Chiesta attiva e in dialogo con l’umanità.
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