Dichiarazione del Santo padre

Leone XIV: “La gente non può morire a causa di fake news”

26 Giu 2025

“Oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima”. A lanciare il grido d’allarme è stato Leone XIV, che ricevendo in udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria della Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco) ha ribadito che il suo cuore “sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra”. “Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione”, l’appello alla pace finora più intenso del pontificato e intriso di riferimenti all’attualità, perché “la gente non può morire a causa di fake news”. Per Papa Leone è “veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi”.

“È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza”,

l’analisi della situazione internazionale: “Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?”.

“La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti”,

il richiamo alla saggezza dei popoli: “E mi chiedo: da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare?”, la domanda del Papa. “Credo che anzitutto occorra veramente pregare”, la prima risposta: “Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio. E poi aiutare, come fate voi e come molti fanno, e possono fare, attraverso di voi”. Ma prima di tutto c’è la testimonianza, che consiste nell’imitare Cristo, “che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile”. “Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione”, l’invito: “Seguiamo Cristo, che ha liberato i cuori dall’odio, e diamo l’esempio perché si esca dalle logiche della divisione e della ritorsione”.

“Seminate speranza nelle terre dell’Oriente cristiano, mai come ora sconvolte dalle guerre, prosciugate dagli interessi, avvolte da una cappa di odio che rende l’aria irrespirabile e tossica”,

l’omaggio iniziale ai presenti: “Voi siete la bombola di ossigeno delle Chiese Orientali, sfinite dai conflitti. Per tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di fede, siete una luce che brilla nelle tenebre dell’odio”. “La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita”, ha ricordato infatti il Pontefice: ”purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica”. “Nella notte dei conflitti siete testimoni della luce dell’Oriente”, ha affermato ancora il Pontefice: “Vorrei che questa luce di sapienza e di salvezza sia più conosciuta nella Chiesa cattolica, nella quale sussiste ancora molta ignoranza al riguardo e dove, in alcuni luoghi, la fede rischia di diventare asfittica anche perché non si è realizzato il felice auspicio espresso più volte da san Giovanni Paolo II, che 40 anni fa disse: ‘La Chiesa deve imparare di nuovo a respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale’”. “L’Oriente cristiano si può custodire solo se si ama; e si ama solo se si conosce”, ha concluso il Papa, secondo il quale “c’è bisogno di incontro e di condivisione dell’azione pastorale, perché i cattolici orientali oggi non sono più cugini lontani che celebrano riti ignoti, ma fratelli e sorelle che, a motivo delle migrazioni forzate, ci vivono accanto. Il loro senso del sacro, la loro fede cristallina, resa granitica dalle prove, e la loro spiritualità che profuma del mistero divino possono giovare alla sete di Dio latente ma presente in Occidente”.

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Diocesi

L’arcivescovo Miniero benedice il nuovo portone del monastero delle clarisse di Grottaglie

26 Giu 2025

di Silvano Trevisani

“Una porta che si apre diventa soglia di grazia: incontro con Dio, abbraccio di fraternità, respiro di pace. Segno di una comunità che accoglie, si laccia trasformare e vive dello Spirito”. Sono le parole impresse sulla locandina invito che le clarisse del Monastero Santa Chiara di Grottaglie hanno predisposto in vista della la Benedizione del Portone della Chiesa. Venerdì 27 giugno, alle ore 18,30, infatti, il Monastero di Santa Chiara vivrà questo evento di profonda grazia, presieduto dall’arcivescovo Ciro Miniero. Si tratterà di una liturgia della Parola che avrà luogo all’esterno del monastero.

Segnato dal tempo, il vecchio portone era ormai inefficiente e così le clarisse hanno dovuto provvedere alla sua sostituzione, rivolgendosi all’unica ditta di carpenteria in legno che nel territorio fosse in grado di realizzare un’opera così impegnativa: la ditta di Giuseppe Leneve di Carosino. La sua sostituzione diventa, allora, momento di riflessione e di scambio con la comunità locale che da secoli ospita il monastero, punto di riferimento spirituale fondamentale. Per la preghiera e i momenti di approfondimento sui temi della pace e dell’unità dei cristiani. Ma anche per il ruolo che svolgeva nelle funzioni sociali, educative, nella produttività che consentiva alle suore di clausura di portare all’esterno il frutto del loro lavoro.

Un semplice gesto diventa segno: una porta che si apre diventa soglia di luce, di incontro, di pace.
Nel cuore della città, il monastero custodisce la presenza orante e operosa di 14 sorelle, donne appassionate di Dio e dell’umanità, che con amore silenzioso e instancabile fanno del loro “sì” quotidiano un dono per tutti. Attraverso la loro preghiera, il loro ascolto e la loro accoglienza, questo luogo si fa faro spirituale, spazio di grazia che illumina non solo Grottaglie, ma ogni cuore che cerca verità, bellezza e speranza.

Fu, quella delle clarisse, una comunità un tempo numerosa, ma le trasformazioni sociali in atto, se da un lato hanno portato le suore a una maggiore apertura all’esterno, ad esempio con la realizzazione di uno studio medico, gestito dei medici per San Ciro, a disposizione delle persone più disagiate, dall’altro hanno reso più impegnativa la scelta claustrale, come ci conferma la badessa, suor Pierpaola.

“Il mondo è cambiato, si va scristianizzando e questo incide negativamente sulle vocazioni. Tuttavia, ciò che oggi emerge con forza è che la scelta della vita consacrata – tanto maschile quanto femminile – richiede una fedeltà sempre più matura, una libertà interiore profonda e un discernimento lucido e perseverante. In particolare, la clausura femminile non è un rifugio, ma una risposta radicale e luminosa, che interpella nel profondo e diventa segno profetico di amore assoluto e totalizzante”.

Ma ci sono giovani donne che bussando alla vostra porta?

“Non mancano. Però si tratta, in genere, di persone che sono spinte da problemi personali più che da scelte di fede. Alla lunga le motivazioni personali o psicologiche non possono reggere. All’esterno, poi, vi è una sovrabbondanza di falsi profeti che hanno gioco facile, anche se di breve respiro. Solo la scelta dei valori spirituali più autentici può dare una svolta alla vita”.

“Le Clarisse – conclude suor Pierpaola, che abbiamo anche conosciuto e apprezzato per la sensibilità artistica che pone nella realizzazione di icone straordinarie – vi attendono per condividere questo momento, nella preghiera, nella gioia e nello spirito di fraternità”.

(Nelle foto: le clarisse in preghiera al passaggio del Corpus Domini e il nuovo portone)

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A Taranto

‘Il Melograno’ a tutela delle persone vedove

26 Giu 2025

di Angelo Diofano

Lunedì 23 giugno si è celebrata la Giornata internazionale delle persone vedove, istituita dall’Onu nel 2011. In tale circostanza a Taranto sezione locale de ‘Il Melograno’, l’associazione per i diritti civili delle persone vedove, dal 2020 organizza in piazza Immacolata, un tavolo divulgativo sulla realtà delle famiglie vedove, troppo spesso ignorata. Si tratta di circa 5 milioni di persone in Italia, 276.000 in Puglia e 16.000 a Taranto: sono numeri – evidenzia l’associazione – che meritano attenzione anche per le problematiche economico fiscali che le afferiscono. Fra queste, la reversibilità non corrisposta se il defunto non ha almeno 15 anni di contributi, la riduzione del trattamento di reversibilità fino al 30% della pensione originaria se il coniuge lavora,  li orfani studenti devono laurearsi in tempo altrimenti perdono la loro quota. Si tratta solo di alcune fra più eclatanti penalizzazioni, non ultima quella della carta ‘Dedicato a te’ che esclude molte famiglie composte da un coniuge superstite e un figlio, avendo il requisito delle tre persone. Molte persone – ribadisce l’associazione – si sono avvicinate lunedì al tavolo, ma ancora manca piena consapevolezza di una condizione trasversale ad ogni ceto ed età e spesso non se ne parla per esorcizzare la morte. Il lavoro de ‘Il Melograno’ verte perciò a far conoscere  ogni aspetto della famiglia vedova e a proporre miglioramenti nelle sedi governative opportune mediante azioni di divulgazione, convegni e momenti ludici.

Per informazioni, tel. 370.7073188.

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Rigenerazione di Taranto

Bocciato il mega impianto fotovoltaico galleggiante sul Mar piccolo

Decisivi i contenuti scientifici presenti nelle osservazioni del Wwf Taranto

ph Gladys Spiliopoulos
26 Giu 2025

Il futuro si costruisce dal basso: con questa convinzione il Wwf di Taranto ha lavorato per avversare la creazione di un mega-impianto fotovoltaico galleggiante sul Mar piccolo, connesso a produzione di idrogeno verde, mitilicoltura e turismo.
Si è appena appreso che, con il decreto n. 367 del 24 giugno 2025, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, di concerto con il ministero della Cultura, ha espresso giudizio negativo di compatibilità ambientale sul progetto da 100 MW di impianto per la creazione di energia.
Una decisione che accoglie in pieno le osservazioni scientifiche presentate dal comitato scientifico del Wwf Taranto, a tutela di uno degli ecosistemi marino-costieri più delicati e straordinari del Mediterraneo.
«Questa non è solo una vittoria ambientale – dichiarano i referenti del Wwf Taranto –, è una vittoria culturale e collettiva. Il Mar piccolo non è una superficie da occupare, ma un mondo vivo che va curato. Ora possiamo davvero parlare di rinascita.
Il Mar piccolo è un patrimonio bioculturale, non una superficie di sacrificio. Questa decisione rappresenta un precedente fondamentale: anche le rinnovabili devono rispettare la biodiversità e la vocazione dei luoghi.
Il Wwf Taranto ringrazia tutte le associazioni, i tecnici, gli attivisti, i mitilicoltori e i cittadini che hanno lottato e sostenuto per difendere il diritto alla bellezza, alla conoscenza e alla vita.
È tempo di pensare a una vera transizione giusta, che parta dalle comunità e non imponga soluzioni calate dall’alto.
È tempo di immaginare una transizione diversa: dal basso, partecipata, giusta.
È tempo di bellezza per Taranto»
Nel percorso che ha portato al giudizio dei ministeri coinvolti ha avuto un peso l’unanime rigetto da parte dei seguenti organi tecnici:
• commissione tecnica Pnrr–Pniec del Mase: gravi impatti su biodiversità, paesaggio, ambiente idrico, rumore, cumulo con altri impianti e vulnerabilità del contestoMase_2025-0064247;
• Soprintendenza speciale per il Pnrr: contrasto con il Piano paesaggistico regionale (Pptr), danni irreversibili al paesaggio identitario, inidoneità dell’areaMase-2025-0084449 (1);
• Soprintendenza subacquea: rischio archeologico e presenza di vincoli lungo il cavidotto sottomarino;
• Direzione generale Abap (MiC): impossibilità di procedere con autorizzazione paesaggistica.
In tutto questo sono stati decisivi i contenuti scientifici presenti nelle osservazioni del Wwf Taranto che, nel corso dello scorso anno, aveva trasmesso una nota formale al Mase seguita da una contro-analisi tecnica dettagliata nel marzo 2025, che denunciava la valutazione metodologicamente inadeguata: assenza di indagini dirette, uso di dati obsoleti, mancanza di protocolli Ispra per habitat prioritari;
gli effetti gravi dell’ombreggiamento: la copertura dei pannelli solari avrebbe alterato la colonna d’acqua in tutta la sua profondità, riducendo la fotosintesi del fitoplancton, fondamentale per l’ossigenazione, la catena alimentare e il sequestro del carbonio;
l’accumulo e rilascio di biomassa organica: la crescita di fouling sulle strutture galleggianti, seguita da distacco e decomposizione, avrebbe generato picchi di anossia e alterazione del fondo marino, aggravati da potenziali vernici antivegetative tossiche;
L’impatto sulla mitilicoltura: il progetto, incompatibile con la vocazione produttiva storica del bacino, avrebbe sottratto spazi e alterato condizioni chimico-fisiche alla base della mitilicoltura tradizionale tarantina;
la negligenza nei confronti dell’avifauna e della Palude La Vela: ignorata la presenza di una riserva regionale e la funzione del Mar piccolo come corridoio ecologico e trofico per centinaia di specie, tra cui uccelli migratori, anfibi e piccoli mammiferi;
la mancanza di valutazione sull’idrogeno verde e delle opere a terra;
la violazione del principio Dnsh: l’impianto non garantiva il rispetto degli obiettivi della Tassonomia Ue su tutela delle acque, prevenzione dell’inquinamento, salvaguardia della biodiversità;
l’esplicita incompatibilità con il Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr) e con la legge regionale istitutiva del Parco naturale regionale Mar piccolo (L.R. 10/2020).

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Lavoro

Le due verità sul futuro dell’acciaio: una “professata”, l’altra… sussurrata

26 Giu 2025

di Silvano Trevisani

Avanti con decisione ma in ordine sparso. Sul futuro dell’ex Ilva si ha l’impressione di vivere una doppia realtà. Nella prima, quella ufficiale, tutti sono impegnati, diversamente e con toni e accenti a volte opposti, a elaborare un possibile futuro. Nella seconda, sotterranea, molti di più sono scettici, appartenenti anch’essi alle stesse categorie, che sussurrano: l’acciaio ormai ha le ore contate. Non lo dicono apertamente, perché non sta bene e perché, a livello governativo, bisogna proteggere un settore strategico, a livello politico bisogna assecondare i propri elettori, a livello sindacale, bisogna proteggere a tutti i costi i posti di lavoro. Che sono già diminuiti e continuano a decrescere, mentre, di contro, la cassa integrazione cresce, anche per i guai impiantistici di Taranto. E per blandire la classe lavoratrice, si studiano anche palliativi per attenuare i disagi economici di migliaia di famiglia, quelle sostenute dalla cassa integrazione, con corsi di formazione e integrazioni salariali.

Ma gli incontri che, a vari livelli si svolgono, danno sempre risposte parziali e sembrano rimandare ad altre risposte.

Dopo gli incontri istituzionali, quelli di ieri coordinati da Regione e Comune, conclusisi con l’insoddisfazione nei confronti del piano siderurgico riformulato dal governo, e che propone nuovi cambiamenti, oggi si è svolto un nuovo confronto a Roma sulla cassa integrazione. Dal quale apprendiamo che, a causa dell’incendio e al sequestro dell’altoforno 1, si conferma l’aumento di 1.000 unità di cassa, portate a 4.050 (di cui 3.500 a Taranto) rispetto alle 3.062 unità ad oggi autorizzate. Una richiesta, che riviene sulla falsa riga dell’accordo del 26 luglio 2024 con un assetto impiantistico con un solo altoforno che si è appreso durare almeno sino a febbraio 2026.

Non è il caso di dettagliare ulteriormente ai nostri lettori, ma è sicuro che la produzione sarà limitata, fino al prossimo febbraio, a un solo altoforno: il 4, che a sua volta si fermerà a febbraio quando sarà ripartito il 2. Si produrrà poco e con l’impiego di carbone e minerale. E saranno in pochi a lavorare.

Mentre per il futuro dello stabilimento, sul quale pende l’interrogativo della vendita agli azeri, anche dopo che il ministro Urso si è recato in visita nel loro paese, pendono tanti interrogativi. Che dal governo calano sugli interlocutori, lasciando poco spazio all’ottimismo.

Per il prossimo futuro non si procederà con l’idrogeno verde (almeno per 15 anni), ma col gas, che però richiede l’attracco di una nave rigassificatrice. Ma non più fissa, ma temporanea. Anche se l’aggettivo temporaneo è uno dei più evanescenti che si conoscano in politica. Si costruiranno i forni elettrici, ma non subito. Tutto è vago, a cominciare dall’Aia, per proseguire con il secondo dissalatore, mentre cresce il coro degli indisponibili a tollerare sull’ambientalizzazione. E tra loro si arruola a pieno titolo anche il sindaco Piero Bitetti, con tutta la sua maggioranza.

Ma l’intolleranza che gli ambienti politici, ora anche moderati, mostrano verso la pratica del rinvio del governo Meloni, preoccupa gli imprenditori. Se è vero com’è vero che l’associazione Aigi, che raggruppa diverse imprese dell’indotto siderurgico tarantino, è uscita allo scoperto, chiarendo la propria posizione e bacchettando la schiera di contrari all’accordo di programma. “La decarbonizzazione della fabbrica siderurgica e la sostenibilità economica della stessa sono le due facce della stessa medaglia. I due punti di una medesima retta. Senza l’uno non può esserci l’altro”. E ancora: “chiamarsi fuori dall’accordo di programma da parte di qualcuno dei soggetti interessati, come alcuni rumors giornalistici vanno rilanciando in queste ore, significa ritardare ancora una volta la soluzione del problema. Destinarlo ad un immobilismo pericoloso. E spegnere sul nasce il sogno prossimo venturo di una fabbrica de-carbonizzata”. E così conclude: “Lo Stato faccia lo Stato. Si vari una legge speciale per Taranto. Dotando il decisore di poteri eccezionali. La nostra zona rossa di pericolosità è stata abbondantemente oltrepassata”.

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Ecclesia

Giubileo dei sacerdoti: “Ci vuole uno sguardo, una presenza di Gesù che mi conosce, mi commuove e interpreta”

La meditazione dell’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini su ‘Sacerdoti, annunciatori della speranza’

26 Giu 2025

“Questo Giubileo pretende che ci mettiamo in cammino, di non stare seduti: c’è una grazia da ricevere”: così mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, durante la meditazione sul tema ‘Sacerdoti, annunciatori della speranza’, nella chiesa di San Salvatore in Lauro a Roma, curata in occasione del Giubileo dei sacerdoti. L’arcivescovo ha esordito sottolineando la stima che nutre verso i parroci e ha proseguito soffermandosi sulla chiamata di San Matteo nel Vangelo.

mons. Mario Delpini foto Siciliani Gennari-Sir

“Gesù – ha ricordato – vede un uomo seduto al banco delle imposte, vincolato alla sua professione, un uomo che forse si riteneva arrivato e rassegnato alla sua posizione. Gesù lo chiama e gli dice ‘seguimi’. Dovremmo interrogarci e dire: non è che per caso anch’io sono un uomo seduto? Uno che ormai si è assestato in un ministero, in una professione che si ripete tutti i giorni? È un’immagine un po’ deprimente – ha avvertito – ma credo che ciascuno di noi si chieda di cosa siamo appassionati. A volte ai preti capita di essere guardati secondo uno schema, come dei funzionari, rinchiusi in una casella. La parola ‘seguimi’ e la risposta di Matteo significa, secondo me, che pur essendo assestato nella sua professione, Matteo aveva un’inquietudine, una nostalgia di qualcosa di meno sicuro, capace di dare un senso. La storia di Matteo comincia con uno sguardo: Gesù lo vede e interpreta quello che lui non si decide a fare. Se non c’è uno sguardo che legge dentro e interpreta il bisogno di santità che abbiamo fin dall’inizio del percorso di consacrazione che un po’ si è appannato per cui siamo diventati dei funzionari. Ci vuole uno sguardo, una presenza di Gesù che mi conosce, mi commuove e interpreta”.

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Ecclesia

Cei: la via italiana al dialogo interreligioso

ph Daniele Rocchi-Sir
26 Giu 2025

di Daniele Rocchi

È stato un quadro di Edward Hopper, artista nordamericano del secolo scorso, dipinto nel 1951, a fare da sfondo alla “Conversazione spirituale fra credenti di diverse religioni in Italia” che si è svolta oggi, a Roma, per iniziativa dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della Cei e della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo. All’evento hanno partecipato leader e rappresentanti delle principali fedi e religioni presenti in Italia, tra cui cattolici, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, sikh, induisti, baha’i. Con loro anche diversi delegati di movimenti giovanili delle rispettive denominazioni. Si è trattato di una tappa di avvicinamento ad un simposio delle religioni che sono in Italia previsto nel 2026, come annunciato in apertura dei lavori da don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio Cei, promotore dell’incontro. È stata formata, per questo, una segreteria organizzativa che redigerà una carta di intenti che dovrà essere sottoscritta dai tutti i componenti del tavolo dei leader e rappresentanti delle principali fedi e religioni presenti in Italia.

Trascendenza e quotidianità

Il quadro si intitola ‘Rooms by Sea’, stanze in riva al mare, ha spiegato mons. Derio Olivero, presidente della già citata Commissione, e “rappresenta bene la fatica a trovare un senso nella nostra società occidentale, e la sua solitudine. L’impressione, guardandolo, è quella di essere dentro una stanza da soli in riva al mare dove non ci sono né barche, né persone. La stanza guarda sul mare ma non ha una scaletta per raggiungerlo. È impossibile arrivarci”. Il mare, ha annotato il vescovo, “per credenti e non credenti rappresenta l’infinito, che poi possiamo chiamare Dio, trascendenza”, mentre la casa, presumibilmente del pittore, “racconta la quotidianità”. Trascendenza e quotidianità “sono più vicine di quanto non ci accorgiamo e dunque Dio è più vicino di quanto sembri nella nostra società”. Ciò che manca è “la piattaforma che ci permette di arrivare a questo mare”. E se un tempo questa piattaforma era rappresentata dalle religioni, con i loro riti, tradizioni, “oggi è necessario chiederci se le nostre religioni sono davvero piattaforme per incontrare la trascendenza o piuttosto sono diventate autoreferenziali”. Altro aspetto evidenziato da mons. Olivero è legato alla ‘luce’ del quadro dipinta come se arrivasse sia da dentro la casa che da fuori cioè dal mare. E questo dice che “è la luce che arriva dall’infinito e che Dio non solo è più vicino, anzi è dentro la casa”.
E allora un’altra grande sfida per le religioni oggi è “dare forma alla presenza del divino nella nostra società, diventare portatori di luce nella quotidianità degli umani, credenti non credenti, diversamente credenti”.

Ritrovarsi come credenti

Per affrontare queste sfide, ha detto la teologa Giuseppina De Simone, “occorre aprire un dialogo e riconoscere che abbiamo in comune l’esperienza di Dio. È questa che rende possibile il trovare spazi per l’incontro e la collaborazione agendo insieme per il bene comune. Condividiamo, infatti, valori etici e morali fondamentali come la pace, la giustizia, la carità, la cura del creato, che rendono possibili azioni congiunte per affrontare le sfide sociali e ambientali”. “Ritrovarci come credenti in questo tempo e in questo Paese – ha aggiunto – ci permette di essere quella piattaforma che conduce all’incontro con la trascendenza.
La nostra opzione per il dialogo è irreversibile ed è una via del modo di stare delle nostre religioni all’interno del territorio italiano”. Questo vuole dire, ha sostenuto la teologa, “perseverare anche quando le posizioni divergono e quando le pressioni interne o esterne alimentano fratture e conflitti tra noi. Siamo in un tempo di profondo disorientamento, in un tempo in cui sperimentiamo anche la solitudine. Avvertiamo tutta la necessità e l’urgenza dell’essere insieme. Questa è una priorità, un valore irrinunciabile. Il bene comune più grande che dobbiamo costruire è la pace”. Urgenza condivisa dall’imam della grande Moschea di Roma, Nader Akkad, che ha citato Igino Giordani: “Se vuoi la pace, prepara la pace e se vuoi la guerra, prepara la guerra. Si parla ogni giorno di guerre preventive ma perché – ha domandato – non parliamo mai di pace preventiva?”.

Alfabeto comune

Il dialogo deve avvalersi di “un alfabeto comune – ha affermato il rabbino di Firenze, Gadi Piperno – i leader religiosi devono fare attenzione all’uso delle parole, soprattutto in dichiarazioni pubbliche, perché dobbiamo renderci conto che siamo tutti dentro la stessa zattera. Il dialogo non è semplicemente parlarsi, ma è comprensione dell’altro, il riconoscimento della liceità del suo punto di vista e naturalmente anche delle sofferenze dell’altro. In un mondo in fiamme dobbiamo agire come una sorta di porta tagliafuoco ed evitare le fiamme attecchiscano anche qui”. Da Piperno è arrivata anche la proposta di pubblicazioni dedicate a temi come l’accoglienza, la cittadinanza, il diritto, per mostrare il contributo propositivo che le religioni e l’insieme delle religioni possono dare alla società. Concorde anche Svamini Shuddhananda della Segreteria dell’Unione induista italiana (Uii) per la quale “l’educazione alla conoscenza reciproca può e deve passare anche attraverso esperienze concrete, di condivisione, di laboratori, di esperienze nel fare insieme qualcosa”. Di “cittadinanza responsabile in quanto credenti” ha parlato l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente del Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana. Si tratta di “un percorso che pone anche la questione dell’appartenenza alla società senza discriminazioni, senza essere considerati figli di un Dio minore”. Concetto ripreso anche da Cristin Cappelletti, dell’Assemblea spirituale nazionale dei Bahà’i: “Il ruolo della religione è fare da collante, ovvero ispirare ogni persona a scegliere l’altro e non se stesso. La religione è il potenziale di ogni individuo nel contribuire alle grandi domande del nostro tempo e quindi a guardare al futuro”. Sul tema del linguaggio è tornato Yassine Baradai, segretario dell’Ucoii, l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, che ha ricordato che “il dialogo è composto da sentimenti ma anche da parole. Spesso sono proprio le parole che ci dividono perché vengono mal interpretate. Spesso diciamo una cosa per dirne un’altra e purtroppo questo crea risentimento verso l’altra parte”. La parola, ha sottolineato, “è la cosa più bella che Dio ci ha dato e dobbiamo in qualche modo darle nuovo valore”.

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Confraternite

Novità per i festeggiamenti della Madonna del Carmine, a Taranto

foto Pasquale Reo
26 Giu 2025

di Angelo Diofano

Come anticipato da Nuovo Dialogo, ci sono delle novità a Taranto per i solenni festeggiamenti della Madonna del Carmine che quest’anno coincidono con i 350 anni della fondazione dell’omonima arciconfraternita. Per tale importante anniversario, ricordiamo, papa Francesco concesse l’anno santo giubilare particolare che si concluderà il 16 luglio con la santa messa dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero in piazza Giovanni XXIII, prima della processione.

Le celebrazioni inizieranno nella serata di sabato 28 con oltre trenta sodalizi di Puglia, Basilicata e Calabria (per complessivi quattrocento confratelli e consorelle) che saranno a Taranto per partecipare alla solenne intronizzazione del simulacro della Madonna del Carmine. “Si tratta – ha detto il priore, Antonello Papalia, durante la presentazione del ricco programma di celebrazioni e iniziative varie, svoltasi mercoledì 25 al Castello aragonese – di sodalizi che in varie circostanze hanno condiviso un po’ del nostro cammino. È veramente bello che ci siano state tante adesioni, superando ogni nostra aspettativa. Sarà un momento imperdibile per confrontarsi, approfondire la reciproca conoscenza, rinsaldare i vincoli di amicizia e camminare insieme per le vie del Signore. Ciò costituirà anche un momento di promozione del territorio dato che le confraternite, giungendo sin dal mattino, avranno così modo di ammirare gli scorci di maggior pregio della nostra città e in particolare del centro storico”.

“Quelli scaturiti dall’anno giubilare – ha successivamente rimarcato mons. Marco Gerardo, padre spirituale dell’arciconfraternita – sono stati innanzitutto frutti di grazia, con tante persone che hanno avuto l’occasione di accostarsi alla Parola di Dio, alla preghiera, al sacramento della confessione e della comunione, ritrovando quella pace interiore che nasce dal legame con il Signore. E quando si ha questo dono è possibile vivere riflessioni pacificate con gli altri: penso che sia questa una delle urgenze più grandi del nostro tempo, cioè di avere un animo pacificato capace di costruire relazioni pacificate”.

Il programma di sabato 28 prevede  alle ore 17.30 nella chiesa di San Francesco di Paola, in via Regina Elena, la solenne celebrazione eucaristica. Al termine muoverà il grande corteo con il simulacro della Madonna del Carmine per via Regina Elena, via Di Palma, piazza Immacolata, via D’Aquino fino alla chiesa del Carmine dove avrà luogo la cerimonia della intronizzazione. Presteranno servizio i complessi bandistici ‘Lemma’ di Taranto (m° Giuseppe Pisconti), ‘Grande Orchestra di fiati Santa Cecilia-Città di Taranto (m° Giuseppe Gregucci) e ‘Giuseppe Chimienti-Città di Montemesola’ (m° Lorenzo De Felice).

Al termine della processione le confraternite parteciperanno a un momento di convivialità nell’atrio dell’università in via Duomo (ex convento di San Francesco) allietato dalle musiche di un rinomato complesso bandistico.

Mons. Marco Gerardo ha sottolineato che le celebrazioni programmate “ci consentiranno di entrare nel cuore della devozione del popolo tarantino nei confronti della Madonna del Carmine, guidati, durante le funzioni della novena, dalle parole e dalle riflessioni di papa Leone XIV, facendo esperienza di come la fede possa cambiarci la vita, ovviamente con l’aiuto di Maria. Vivremo anche momenti importanti di fraternità del nostri sodalizio, ad esempio con la consegna delle medaglie a quanti compiono 50 e 60 anni di aggregazione e delle borse di studio ai confratelli o ai loro figli che si distinguono per merito scolastico. Infine il 16 luglio ci sarà la messa di chiusura dell’anno santo presieduta dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero e la processione per le vie del Borgo”.

L’altra importante novità sarà la sostituzione del consueto spettacolo pirotecnico, che si tiene durante la sosta della processione in corso Due mari, con un artistico volo di droni luminosi dal Castello aragonese, “occasione – ha evidenziato mons. Gerardo – per lanciare un segnale di sostenibilità ambientale ed acustica che possa riaccendere una riflessione nella nostra città, stimolando il processo di ricerca di soluzioni tecniche per il miglioramento della qualità dell’aria, dell’ambiente, del mare e della vita di tutti noi e nel rispetto degli animali domestici”.

“Siamo ben lieti – ha detto il comandante Cosimo Visconti, capo ufficio del presidio di Marina Sud, in rappresentanza dell’amm. Vincenzo Montanaro, comandante del Comando Marittimo Sud – di offrire anche questa volta la nostra disponibilità all’arciconfraternita, mettendo a disposizione il castello aragonese (vero valore aggiunto per i festeggiamenti) per lo spettacolo dei droni. Si tratta di una collaborazione che ha avuto quale momento significativo la sera del Giovedì Santo con l’arrivo dei ‘perdoni’ alla cappella giubilare di nave Vespucci, che nel corso della sua permanenza a Taranto ha registrato ben 78mila visitatori”.

La suggestiva e singolare iniziativa del 16 luglio sarà possibile grazie all’apporto di Confapi Taranto, il cui presidente Fabio Greco ha partecipato alla conferenza stampa, che supporterà l’evento  con i propri fondi per cultura e turismo, “contribuendo così – ha detto – al cambiamento della nostra città pur mantenendo la tradizione”

Lo spettacolo dal castello aragonese sarà curato da un’impresa specializzata, la ‘Allumee’ di Milano, che organizza esibizioni di droni per varie manifestazioni in tutt’Italia, presente alla conferenza stampa con il direttore generale Luigi Onesti: “Fra tecnologia, innovazione e creatività, con modalità ecosostenibili e materiale riciclabile – ha detto –  non mancheremo di stupire quanti interverranno disegnando nel cielo immagini religiose e di angoli della vostra città”.

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Ecclesia

Padre Francesco Ielpo nominato nuovo Custode di Terra santa

foto Custodia di Terra santa
25 Giu 2025

di Daniele Rocchi

Martedì 24, papa Leone XIV ha confermato l’elezione di padre Francesco Ielpo, a Custode di Terra santa e Guardiano del monte Sion, avvenuta da parte del ministro generale dell’Ordine dei frati minori con il suo Definitorio. Il Ministro generale, fra Massimo Fusarelli, ha comunicato la notizia con una lettera ufficiale inviata ai frati della Custodia di Terra Santa.
Padre Ielpo succede a padre Francesco Patton, che è stato Custode dal 20 maggio 2016 ad oggi. Abbiamo intervistato il nuovo Custode.

Con quale spirito ha accolto la notizia della sua nomina a Custode?
Il primo grande sentimento è quello di una profonda, enorme sproporzione tra quello che mi viene chiesto dal mio Ordine e dalla Chiesa e la mia misera persona. Soltanto un pazzo potrebbe pensare di essere all’altezza di un compito così. Ma come mi ha detto il mio padre spirituale ‘è bella questa sproporzione, questo non sentirsi all’altezza perché lascia spazio all’agire di qualcun Altro, all’agire dello Spirito Santo. Quindi il lavoro più grande sarà sulla mia persona per lasciare spazio a un altro con la A maiuscola. E poi un’altra cosa…

Quale?
È evidente che oggi non è più il tempo dei leader solitari.
Un compito come questo, un servizio come questo per la Chiesa bisogna farlo da fratelli. La fraternità è un po’ la radice del nostro carisma. La fraternità è ciò di cui abbiamo bisogno, soprattutto in Terra Santa. I fratelli che camminano insieme e che testimoniano che esiste un altro modo di poter vivere, un altro modo di poter affrontare anche le difficoltà e le tensioni.

A proposito di tensioni: la sua nomina arriva in un momento segnato da gravi conflitti in tutta l’area e in Terra Santa. Con quali ‘armi’ lei e la Custodia pensate di poter fare fronte a questi tragici eventi?
Seguendo Francesco. Sicuramente c’è un grande senso di impotenza di fronte alla tragicità, alla gravità e alla drammaticità del tempo presente. Ma io credo che quello che mi viene chiesto, quello che ci viene chiesto come frati minori è proprio seguire Francesco. Francesco di Assisi nel 1219 si è recato pellegrino in Terra Santa durante un altro grande conflitto, eravamo al tempo della Crociata. Francesco non andò per risolvere i problemi perché un piccolo uomo come lui non poteva certo risolverli. Così come anch’io non ho la pretesa, anzi neanche l’idea di dover risolvere i problemi. Seguire Francesco andando disarmato e testimoniando che c’è un’altra possibilità, che c’è un’altra via.

Francesco non ebbe paura del momento tragico…
Quando Francesco andò in Terra santa c’era un conflitto tra due eserciti che si stavano contendendo quel pezzo di terra. Francesco semplicemente ruppe tutte le barriere e passò da un campo all’altro, da uno schieramento all’altro, disarmato, desideroso soltanto di mostrare che poteva esserci un’altra via. E l’altra via è quella che ci indica la Chiesa da sempre. Prima con papa Francesco e adesso con papa Leone continuiamo a dire che ‘la guerra non è la soluzione dei problemi e la pace non è mai il risultato di una vittoria bellica’. Testimoniare, restando accanto a chi soffre, non solo ai cristiani, a tutta la popolazione che c’è davvero un altro modo per vivere e per affrontare le difficoltà.

Il ministro generale dell’Ordine, padre Fusarelli nel messaggio che accompagna la sua nomina, scrive che ‘questo particolare contesto di conflitto che proprio in Terra santa e nel Medio Oriente viola la dignità della vita umana, rende ancor più urgente e ‘martiriale’ la nostra missione in quei luoghi e ci richiama alla nostra vocazione di testimoni e operatori di riconciliazione e di pace’. Come portare avanti, allora, l’opera di Francesco?
La strada che dobbiamo perseguire è quella di continuare a servire grazie anche alle opere che da secoli i frati, con sacrificio e con spirito martiriale portano avanti; pensiamo alle scuole, all’assistenza dei più vulnerabili, al sostegno alle famiglie, alla formazione. Ma c’è anche un’altra testimonianza, che magari fa meno rumore ma che è enorme: il restare, l’esserci.

In che senso?
Le racconto un episodio. Durante gli anni di guerra in Siria, ho avuto modo diverse volte nel 2016, 2017, 2018 di andare e stare con i frati che vivevano e di incontrare anche delle famiglie. Rimasi colpito da una famiglia di giovani sposi di Aleppo che si erano innamorati sotto le bombe. Ma invece che fuggire e sposarsi altrove decisero di rimanere. E quando chiesi loro il motivo per cui erano rimasti ad Aleppo, nonostante la gravità della situazione, questi fu la loro risposta: “Abbiamo visto che i frati non sono scappati e sono rimasti. Così siamo rimasti anche noi “. Ecco, io credo che in questi 800 anni, i frati della Custodia sono stati quella presenza che è rimasta ‘sempre e comunque’. Questo è quello che forse più di ogni altra cosa, siamo chiamati a continuare a svolgere: testimoniare grande amore a questa Terra e alla sua gente.

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Inclusione

Statte, percorsi di recupero con la lavorazione della ceramica e la cura dell’orto

25 Giu 2025

di Angelo Diofano

Al centro diurno e riabilitativo per persone diversabili di Statte ha preso il via il percorso di ceramicoterapia e ortoterapia promosso dall’associazione ‘Torniamo aps’, presieduta dal m° Fabio Lenti. Sono due percorsi complementari che si incontrano nel cuore di un presidio sanitario, trasformandolo in uno spazio di comunità e cura. L’iniziativa, che ha riscontrato un’ampia partecipazione, nasce con l’intento di promuovere il benessere integrato della persona, mettendo al centro l’arte, la natura e il valore delle relazioni umane, attraverso attività manuali, creative e di contatto con la natura, inserite in un contesto pubblico e accessibile.

La ceramicoterapia ha offerto momenti di rilassamento e stimolazione sensoriale, grazie alla manipolazione dell’argilla e alla guida esperta degli operatori. Lavorare l’argilla diventa, infatti, gesto terapeutico in quanto si stimolano creatività, rilassamento, concentrazione e socializzazione in un’attività che consente di esprimere emozioni, ricucire silenzi e coltivare autostima.

L’ortoterapia ha permesso ai partecipanti di avvicinarsi al mondo del verde, sperimentando la cura delle piante come pratica di ascolto, responsabilità e connessione con sé e con gli altri. La cura dell’orto e del verde favorisce calma, memoria, manualità e connessione con il tempo naturale in una metafora concreta del prendersi cura di sé e degli altri. Questo progetto si inserisce in una visione più ampia di sanità relazionale in cui i luoghi della salute diventano bellezza abitata, capaci di accogliere, generare legami e restituire senso di appartenenza.

Tutto ciò segna l’inizio di un percorso strutturato e continuativo, volto a rendere i luoghi della salute pubblica spazi sempre più inclusivi, accoglienti e centrati sulla persona.

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Percorsi di pace

Emiliano Manfredonia (presidente Acli): “È il momento di istituire un ministero della Pace”

foto Vatican media-Sir
25 Giu 2025

«La pace non può restare un ideale astratto. Deve diventare una scelta politica concreta, un impegno quotidiano»: con queste parole Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, ha rilanciato, insieme alla Fondazione Fratelli Tutti, all’Azione Cattolica e alla Comunità papa Giovanni XXIII, la proposta di istituire in Italia un Ministero della Pace.
«Viviamo in un’epoca davvero difficile, la spirale della guerra sembra non fermarsi, le tensioni internazionali e un crescente clima di paura rischiano di normalizzare il conflitto e la violenza come strumenti di gestione politica. Dobbiamo smettere di farci ingannare da chi sostiene che la guerra sia necessaria per difendere la pace – ha sottolineato Manfredonia –. La pace non si costruisce con la paura e il riarmo, ma con il dialogo, la cooperazione e la giustizia sociale».
Il nuovo ministero avrebbe il compito di coordinare le politiche di pace oggi frammentate tra vari enti e iniziative, valorizzare le scuole e le università come luoghi di formazione alla nonviolenza, promuovere la cultura della riconciliazione e sostenere la diplomazia dei popoli e delle comunità locali. «Non vogliamo un’istituzione simbolica, ma uno strumento concreto per affrontare in modo strutturale la costruzione della pace» ha spiegato il presidente delle Acli.
La proposta si inserisce in un percorso più ampio che guarda anche all’Europa e alle Nazioni Unite. Le Acli chiedono che l’Unione europea si doti di un “Dipartimento per la pace e la riconciliazione” e che l’Onu nomini un relatore speciale per il monitoraggio del diritto alla pace.
«Non si tratta di un sogno irrealizzabile, ma di una scelta urgente e possibile. Mentre parliamo continuano i bombardamenti in Ucraina, i morti nella Striscia di Gaza crescono vertiginosamente. Le guerre nascono spesso dalla disumanizzazione dell’altro, dall’ignoranza, dalla paura. Serve un’educazione alla pace che parta dalle scuole, dalle comunità, dalle istituzioni locali e nazionali. Solo così possiamo cambiare la cultura dominante e costruire un futuro fondato sulla dignità, sul rispetto e sulla giustizia» ha concluso Manfredonia.

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