Ecclesia

Leone XIV celebra oggi i 43 anni di sacerdozio

Abbiamo intervistato mons. Marín de San Martín che ne evidenzia spiritualità agostiniana, stile sinodale, ascolto dei segni dei tempi e passione missionaria: “La sinodalità è il suo stile quotidiano di Chiesa”

foto Agostiniani
19 Giu 2025

di Riccardo Benotti

“È un uomo di Dio, di profonda preghiera, che vive il sacerdozio come servizio alla Chiesa e al popolo”: mons. Luis Marín de San Martín, sottosegretario del Sinodo dei vescovi, ricorda così i 43 anni di ordinazione sacerdotale di papa Leone XIV, che si celebrano oggi, 19 giugno. Agostiniano come lui, ne ha condiviso la spiritualità e il cammino ecclesiale. Ne racconta la visione di Chiesa, l’anima missionaria, la passione per la sinodalità e la fiducia in una fede vissuta con semplicità, ascolto e carità.

foto Siciliani Gennari-Sir

Eccellenza, che sacerdote ha conosciuto nel corso di questi anni?
È un uomo di Dio. Vive l’esperienza di Cristo risorto con forza e autenticità. È un uomo di profonda preghiera, che celebra l’eucaristia con intensità, al centro della sua vita. Il suo sacerdozio è indissolubilmente legato a quello di Cristo, vissuto come servizio, disponibilità e amore per la Chiesa. Vive la dimensione agostiniana del “Cristo totale”, cioè capo e membra in unità inscindibile: non c’è Cristo senza Chiesa, né Chiesa senza Cristo.

Quanto è presente l’impronta agostiniana nel suo modo di essere prete?
Papa Leone si è presentato sin dall’inizio come “figlio di Sant’Agostino, agostiniano”. È dal carisma agostiniano che viene il suo servizio sacerdotale. Soprattutto per quanto riguarda la comunione con Cristo e, in Cristo, con tutti i fratelli e le sorelle.

La sua è una spiritualità incarnata, che si traduce in amore concreto per la comunità e in un servizio vissuto con umiltà e dedizione.

Nella vita agostiniana, la comunità è centrale ma intesa in un senso molto forte: quello di avere una sola anima e un solo cuore protesi verso Dio. Da qui il discernimento si fa insieme, la corresponsabilità è vissuta, la fraternità è concreta. Tutto questo si riflette nel suo stile pastorale, profondamente ecclesiale e comunitario.

Chi è mons. Luis Marín de San Martín

Nato a Madrid nel 1961, è sacerdote agostiniano dal 1988. Dopo un dottorato in teologia alla Pontificia Comillas e incarichi di formazione e governo nell’Ordine, nel 2008 viene chiamato a Roma da Robert Prevost, per collaborare nella Curia generalizia. Dal 2021 è sottosegretario del Sinodo dei Vescovi e vescovo titolare di Suliana. Esperto di spiritualità agostiniana e figura di collegamento tra tradizione e sinodalità, è autore di numerose pubblicazioni.

È un Papa che colpisce per la sua semplicità. Da dove nasce questa sensibilità?
È un uomo semplice ma non ingenuo, gentile ma non insicuro, paziente ma non debole. È il suo carattere, ma coltivato nella preghiera e nell’attività pastorale. La sua grande sensibilità nasce dall’esperienza di Cristo Buon Pastore. Ha una forte dimensione sociale, che lo avvicina a chi soffre, a chi è ai margini. È un uomo che ama la giustizia, che cammina con il popolo, che ascolta. Il suo sacerdozio è popolare nel senso più profondo: stare con, servire, condividere, accompagnare.

In questi primi passi da Pontefice, ha parlato spesso di sinodalità. Perché è un tema così centrale per lui?
Perché la sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa e anche fa parte del modo di essere dell’Ordine agostiniano.
Camminare insieme, praticando l’ascolto reciproco e la corresponsabilità, è per lui una realtà quotidiana, non uno slogan. Lo ha vissuto da religioso e da vescovo, lo vive oggi da Papa. È convinto che una Chiesa sinodale sia più fedele al Vangelo.

La sinodalità è diventata anche uno stile di governo?
Sì, lo è sempre stata. Come priore generale lavorava in équipe e rispettava il principio di sussidiarietà. A Chiclayo esistevano strutture di corresponsabilità e coinvolgeva tutti nella redazione del programma pastorale. Come prefetto ha partecipato attivamente al processo sinodale, con interventi mirati e concreti, anche in due dei gruppi di lavoro sinodale. Anche oggi non lavora in maniera individualistica e solitaria, ma ascolta, non accentra e, dopo aver riflettuto, decide con responsabilità e risoluzione.

Uno degli aspetti centrali del suo ministero sembra essere l’attenzione ai “segni dei tempi”.
Il Verbo si fa carne, il Vangelo si incarna nella storia. È necessario conoscere il nostro tempo per poter rispondere alle sue sfide, per poter evangelizzare.
Papa Leone non è un uomo astratto né teorico, ma è immerso nel mondo. Ha parlato di intelligenza artificiale, di pace, di guerra, di vita concreta delle persone. Sa leggere la realtà per servire meglio, per portare il Vangelo là dove ancora non è arrivato.

 

foto Afp-Sir


Quanto ha inciso il suo essere missionario?

Profondamente. Ha un’anima missionaria e sente molto forte la chiamata ad evangelizzare. Pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale è andato in Perù, alla zona di missione. Ha vissuto in realtà molto diverse: Chicago, Chiclayo, Roma. Quando è stato superiore generale, ha visitato le comunità agostiniane sparse in tutto il mondo. Ha un cuore grande e una mente aperta, conosce le lingue, le culture, le persone. È un uomo che costruisce ponti, che unisce.

Che tipo di pastore è?
Sereno, riflessivo, instancabile. Lavora tanto, con metodo e precisione. È teologo, canonista, matematico. Ma soprattutto è uomo di ascolto.
Papa Leone non è un uomo astratto né teorico, ma è immerso nel mondo. È una guida che accompagna, non che domina. Ha una grande capacità di leadership.

E rispetto al ruolo dei laici?
Si parte dal battesimo, non da un’ottica clericale. Tutti i battezzati sono corresponsabili nella missione della Chiesa. Non è un “dono” o una “concessione” che si fa ai laici, è la loro vocazione. Possiamo parlare di corresponsabilità differenziata, mai di assemblearismo. Ognuno partecipa con ciò che è proprio, senza confondere ruoli, ma valorizzando tutti. È la sinodalità vissuta.

Stemma Papa Leone XIV

Ordinazione e formazione di papa Leone XIV

Dopo aver emesso i voti solenni il 29 agosto 1981, Robert Prevost riceve la formazione teologica alla Catholic Theological Union di Chicago e viene poi inviato a Roma per approfondire il Diritto canonico alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum). È ordinato sacerdote il 19 giugno 1982 nella Cappella di Santa Monica, a Roma, da mons. Jean Jadot. Nel 1984 ottiene la licenza e l’anno successivo, mentre prepara la tesi di dottorato, parte per la missione agostiniana di Chulucanas, in Perù. Nel 1987 discute la tesi su “Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino” e viene nominato direttore delle vocazioni e delle missioni della Provincia “Madre del Buon Consiglio” in Illinois.

Si diceva che servisse un Papa “di sintesi”. Crede che Leone XIV lo sia?
Papa Leone non alimenta polarizzazioni. La Chiesa non è un’arena di confronto ma una comunione dove tutti siamo fratelli e sorelle, non nemici. E tutti in collaborazione cerchiamo il bene della Chiesa. È un pontefice, nel senso più profondo: costruttore di ponti. Cerca l’unità, la comunione, ma valorizza le differenze. La chiave? La carità. Se c’è carità, la diversità ci arricchisce. Se manca, ci divide.

Quale immagine di Chiesa può sintetizzare la visione del Papa?
Quella di Chiesa come famiglia di Dio, perché nella Chiesa, come in una famiglia, ognuno ha un ruolo, ma tutti partecipano con amore. Il padre, la madre, i figli: ognuno è diverso, ma nessuno è escluso. È l’immagine di una Chiesa viva, inclusiva, affettuosa, corresponsabile. Un corpo in cui ogni membro è importante.

In questo tempo segnato dalla guerra, Leone XIV porta un messaggio di pace.
Un cristiano vive di speranza. La pace non è un’utopia: è Cristo risorto. La fede del Papa è profonda, ed è da lì che nasce la speranza. La guerra, la morte, non hanno l’ultima parola. L’ultima parola è la risurrezione. Ed è questa la pace che dobbiamo testimoniare, a partire dalla nostra vita quotidiana.

In definitiva, che Papa sarà?
Un credente, uomo di fede, che ama profondamente la Chiesa e conosce molto bene il nostro mondo. Che crede nella carità come chiave per vivere insieme. Tranquillo e riflessivo, dinamico e coraggioso. Leone XIV porterà avanti con serenità e profondità una storia di servizio e di comunione. Sarà un grande Papa, ne sono sicuro.

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Scuola e università

Nel segno di Borsellino: i giovani e la speranza

foto Ansa-Sir (archivio della famiglia Borsellino)
19 Giu 2025

di Giada Di Reda

“Sono stato più volte portato a considerare quali sono gli interessi e i ragionamenti dei miei tre figli, oggi tutti sui vent’anni, rispetto a quello che era il mio modo di pensare e di guardarmi intorno quando avevo quindici-sedici anni. A quell’età io vivevo nell’assoluta indifferenza del fenomeno mafioso, che allora era grave quanto oggi. […] Invece i ragazzi di oggi (per questo citavo i miei figli) sono perfettamente coscienti del gravissimo problema col quale noi conviviamo. E questa è la ragione per la quale, allorché mi si domanda qual è il mio atteggiamento, se cioè ci sono motivi di speranza nei confronti del futuro, io mi dichiaro sempre ottimista”: in queste parole, pronunciate da un uomo passato alla storia per aver incarnato con fermezza i valori della giustizia e della responsabilità civile, riecheggia tutto l’ottimismo e la speranza nei riguardi dei giovani, a cui Paolo Borsellino ha dedicato tutta la vita.

La statura morale del magistrato siciliano, vittima di Cosa nostra, che aveva intravisto nei giovani la luce della speranza di un futuro migliore nel segno della legalità, è stata ricordata attraverso una delle tracce della prima prova della maturità 2025, che ha coinvolto 524.415 studenti in tutta Italia.

Borsellino ha riconosciuto, sin dal principio, la necessità di una lotta alla mafia che partisse dalla prevenzione, offrendo ai giovani l’opportunità di scoprire e coltivare la bellezza, la cultura, e di orientarsi verso scelte consapevoli. Egli ha creduto sempre nell’antimafia oltre la semplice repressione, nell’ottica di un’educazione alla legalità, in cui a entrare in gioco fossero le istituzioni, le agenzie di socializzazione, gli operatori culturali, tutti chiamati a cooperare per affrontare insieme queste nuove sfide.

“Se i giovani oggi cominciano a crescere e a diventare adulti, non trovando naturale dare alla mafia questo consenso e ritenere che con essa si possa vivere, certo non vinceremo tra due-tre anni. Ma credo che, se questo atteggiamento dei giovani viene alimentato e incoraggiato, non sarà possibile per le organizzazioni mafiose, quando saranno questi giovani a regolare la società, trovare quel consenso che purtroppo la mia generazione diede e dà in misura notevolissima. È questo mi fa essere ottimista”.

Un cammino a lungo termine che oggi più che mai prosegue attraverso un impegno condiviso in cui ognuno è chiamato ad una grande responsabilità; un percorso che oltre ai giovani coinvolge l’intera società, nell’ottica del bene comune. Scuole, associazioni, istituzioni, media, continuano a svolgere un ruolo fondamentale, proseguendo il loro impegno educativo e culturale, per promuovere la bellezza della cultura, della legalità e del rispetto, per arginare il fenomeno mafioso.

Pur non essendo un uomo di fede in senso stretto, ed avendo un rapporto con la Chiesa piuttosto complesso, la dimensione etica e morale della vita di Borsellino è sempre stata improntata su valori vicini a quelli del cristianesimo. In particolare, il senso della giustizia, del dovere, l’impegno per il bene comune, che hanno accompagnato tutto il suo percorso di vita, sono aspetti centrali anche nella dottrina sociale della Chiesa.

Egli ha stimato profondamente figure come don Pino Puglisi, vittima della mafia nel 1993, colpevole di aver denunciato il sistema mafioso radicato nei quartieri popolari di Palermo. In particolare a unire i due “eroi” è stata la lotta condivisa alla cultura dell’omertà e della sottomissione.

La testimonianza di vita di Paolo Borsellino, è ancora oggi riconosciuta come esemplare anche nel mondo della Chiesa; la sua figura è stata più volte richiamata anche all’interno dei pronunciamenti papali da parte di Giovanni Paolo II, nel suo storico appello alla mafia nel 1993; oppure da papa Francesco che in più occasioni, come il discorso ai membri della commissione parlamentale antimafia del 21 settembre 2017, oppure l’omelia tenuta a Palermo in occasione del 25° anniversario dell’uccisione di don Pino Puglisi il 15 settembre 2018, ha esaltato il valore civile e morale delle azioni del magistrato, quale esempio di vita per le nuove generazioni.

“Questo duplice livello, politico ed economico, ne presuppone un altro non meno essenziale, che è la costruzione di una nuova coscienza civile, la sola che può portare a una vera liberazione dalle mafie. Serve davvero educare ed educarsi a costante vigilanza su sé stessi e sul contesto in cui si vive, accrescendo una percezione più puntuale dei fenomeni di corruzione e lavorando per un modo nuovo di essere cittadini, che comprenda la cura e la responsabilità per gli altri e per il bene comune”.

Con queste parole, papa Francesco, nel 2017, richiamava alla necessità di un profondo impegno culturale e formativo, in armonia con la visione di Borsellino, strettamente improntata sulla coscienza civica e la corresponsabilità sociale. Seppur in modo diversi, entrambi hanno riconosciuto nella formazione delle coscienze, nella cultura e nella guida alle nuove generazioni, il vero antidoto alla criminalità organizzata.

La scelta di dedicare una delle tracce dell’esame di maturità a colui che ha rappresentato uno dei baluardi della legalità, rappresenta un forte segnale in merito all’urgenza di proseguire il cammino da egli tracciato, ed un invito a non fermarsi di fronte alle difficoltà del tempo, ricordando che la bellezza, la giustizia e l’educazione rappresentano l’antidoto contro la violenza, l’indifferenza e la sopraffazione, per una società davvero libera, consapevole e fondata sulla giustizia.

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Diocesi

Il Corpus Domini a Grottaglie

foto G. Leva
19 Giu 2025

Grottaglie si appresta a celebrare domenica 22 giugno la solennità del Corpus Domini. L’appuntamento è alle ore 19 in Chiesa madre per la santa messa solenne; seguirà la grande processione eucaristica con la partecipazione di tutte le comunità parrocchiali (Collegiata Maria SS.Annunziata, Carmine, Madonna delle Grazie, San Francesco di Paola, Maria ss.ma del Rosario, Santa Maria in Campitelli e SS. Sacramento), delle confraternite (SS. Sacramento, Rosario, Carmine, SS.Nome di Gesù e Purgatorio), Ordine francescano secolare, suore clarisse, suore missionarie del Sacro Costato e congregazione Figlie della Madonna del Divino Amore. Questo l’itinerario: piazza Regina Margherita, via San Francesco De Geronimo, via Arciprete Maranò, via Castello, via delle Torri, via Marconi, via Catalani, via Calò, via Fratelli Bandiera, piazza Principe di Piemonte, via Battisti, piazza Vittorio Veneto, via Garibaldi, via Mastropaolo, via Lupoli, piazza Santa Lucia, via Bucci, via Vittorio Emanuele II con conclusione in piazza Regina Margherita, dove sarà impartita la solenne benedizione con il Santissimo Sacramento.

Gli abitanti delle vie interessate al passaggio della processione sono invitati ad adornare i balconi e illuminare le strade per l’accoglienza del Santissimo Sacramento.

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Diocesi

La solennità del Corpus Domini a Taranto

foto di G. Leva
19 Giu 2025

di Angelo Diofano

Ricorre domenica 22 giugno la solennità del Corpus Domini. Nel Nuovo Tempio di Sant’Antonio, in via Duca degli Abruzzi, alle ore 19 ci sarà la solenne celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero con tutto il clero diocesano e religioso. Subito dopo muoverà la processione con il Santissimo Sacramento, con la partecipazione del Capitolo Metropolitano, del clero diocesano e religioso, dei diaconi dei ministri istituiti, dei ministranti, degli scout, di tutte le confraternite, dell’Unitalsi, del Centro volontari della Sofferenza, dei Cavalieri del Santo Sepolcro e di quelli dell’Ordine di Malta con tutte le altre  realtà ecclesiali. Questo l’itinerario: via Duca degli Abruzzi, via Di Palma, piazza Immacolata, via D’Aquino fino a piazza della Vittoria, sul cui palco l’arcivescovo terrà l’allocuzione e, al termine, impartirà la solenne benedizione eucaristica.

Per permettere la massima partecipazione dei fedeli, in tutte le chiese la santa messa vespertina verrà opportunamente anticipata. Gli abitanti delle vie comprese nell’itinerario sono invitati ad addobbare e illuminare i balconi, così come i commercianti, nelle loro possibilità, a lasciare accese le insegne dei loro negozi per un degno omaggio al passaggio del Santissimo Sacramento.

L’apposita segnaletica renderà evidente il divieto di sosta su entrambi i lati delle strade interessate alla processione.

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Arcivescovo

Auguri, mons. Ciro Miniero

19 Giu 2025

Il giornale diocesano ‘Nuovo Dialogo’ si unisce a tutta l’arcidiocesi nel porgere gli auguri a mons. Ciro Miniero per due importanti anniversari che cadono oggi, giovedì 19 giugno: quello dell’ordinazione presbiterale (il 19 giugno 1982, dal cardinale Corrado Ursi) e quella episcopale (fu consacrato vescovo il 19 giugno 2011 dal cardinale Crescenzio Sepe).

Nato a Napoli il 31 gennaio 1958 e nominato nostro arcivescovo il 19 ottobre 2022 da papa Francesco, precedentemente mons. Ciro Miniero ha guidato la diocesi  di Vallo di Lucania distinguendosi in alcune battaglie per la tutela dei diritti più importanti, come il lavoro, e la vicinanza alle persone più disagiate, ai poveri e agli ammalati.

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Drammi umanitari

Il toccante racconto da Gaza di un medico e scrittore: La gente muore e nessuno lo sa

18 Giu 2025

Riprendiamo da twitter il messaggio di un giovane medico e scrittore di Gaza: Ezzideen Shehab. Un messaggio a dir poco drammatico che tutti dovremmo leggere, perché rende l’idea di ciò che sta avvenendo a Gaza. Dove l’umanità sta dando il peggio di se stessa e la vita è ridotta a penosa e labile sopravvivenza. Non avremmo mai immaginato che ancora nel terzo millennio si potessero trattare gli essere umani peggio degli animali.

“Non c’è internet, nessun segnale, nessun suono. Nessun mondo fuori da questa gabbia. Ho camminato 30 minuti tra le macerie e la polvere. Non in cerca di una fuga, ma per un frammento di segnale, giusto per sussurrare: «Siamo ancora vivi».

Non perché qualcuno stia ascoltando, ma perché morire inascoltati è la morte finale.
Gaza è in silenzio ora. Non per pace, ma per annientamento. Non un silenzio di quiete, ma di soffocamento. Hanno tranciato l’ultimo cavo. Nessun messaggio esce, nessuna immagine entra. Anche il lutto è stato vietato. Ho sorpassato cadaveri di edifici, di case, di uomini. Qualcuno respirava, qualcuno no.

Tutti cancellati dalla stessa mano che ha cancellato le nostre voci. Questo non è semplicemente un assedio di bombe, è un assedio della memoria. Una guerra contro la nostra capacità di dire «Siamo qui».
I bombardamenti non si sono mai fermati, soprattutto a Jabalia. Hanno bombardato le strade dove i bambini supplicavano per del cibo. Hanno bombardato le file dove le mamme aspettavano la farina. Hanno bombardato la fame stessa. Niente cibo. Niente acqua. Niente via di fuga. E quelli che ci provano, quelli che raggiungono gli aiuti, vengono abbattuti. La gente muore qui, e nessuno lo sa. Non perché le uccisioni si sono fermate, ma perché l’uccisione della connessione ha avuto successo.
Internet era il nostro ultimo respiro. Non era un lusso, era l’ultima prova della nostra umanità. E ora è andata. E nel buio, massacrano senza conseguenze. Ho trovato questo tenue segnale con la eSim come un uomo morente trova un bagliore di luce. Sto sotto questo cielo spezzato, rischiando la morte non per salvarmi, ma per mandare questo messaggio. Un singolo messaggio, un’ultima resistenza.

Se state leggendo questo, ricordatelo: abbiamo camminato in mezzo al fuoco per dirlo. Non siamo stati in silenzio. Noi siamo stati silenziati. E quando la connessione sarà ristabilita, la verità sanguinerà attraverso i cavi, e il mondo saprà quello che ha deciso di non vedere”.

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Canonizzazioni

Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis saranno santi il 7 settembre

18 Giu 2025

Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis saranno canonizzati il 7 settembre prossimo: lo ha annunciato il Papa, durante il suo primo Concistoro, in cui è stata ufficializzata anche la canonizzazione di Bartolo Longo e di altri sette beati, prevista per il 19 ottobre. Diversamente da quanto era stato annunciato da papa Francesco, non sono previste dunque canonizzazioni durante i prossimi appuntamenti giubilari degli adolescenti e dei giovani. Secondo il calendario dei grandi eventi, infatti, la canonizzazione di Frassati era prevista il 3 agosto, mentre quella di Acutis, prevista ad aprile, era stata sospesa proprio a causa della morte di papa Francesco. Pier Giorgio Frassati, studente e terziario domenicano, membro della San Vincenzo de’ Paoli, della Fuci e di Azione Cattolica, è stato beatificato nel 1990 da papa Giovanni Paolo II. Durante l’udienza generale in piazza San Pietro, il 4 giugno scorso, Leone XIV lo aveva citato nei saluti ai fedeli polacchi. “Vi esorto a seguire con coraggio il Signore, rispondendo alla chiamata che Egli rivolge a ciascuno di voi”, l’invito del Papa: “Possano i santi e beati essere guide in questo cammino. Tra loro vi è il beato Pier Giorgio Frassati, patrono dell’Incontro dei Giovani di quest’anno in Polonia, nei Campi di Lednica”.

Gli altri beati che verranno canonizzati il 19 ottobre, insieme a Bartolo Longo, sono: Ignazio Choukrallah Maloyan, arcivescovo armeno cattolico di Mardin, martire; Peter To Rot, laico e catechista, martire; Vincenza Maria Poloni, fondatrice dell’Istituto delle Sorelle della Misericordia di Verona; Maria del Monte Carmelo Rendiles Martínez, fondatrice della Congregazione delle Serve di Gesù; Maria Troncatti, religiosa professa della Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice; José Gregorio Hernández Cisneros, fedele laico.

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Ministero episcopale

Mons. Angelo Panzetta nuovo arcivescovo di Lecce

18 Giu 2025

Sua Eccellenza reverendissima mons. Ciro Miniero, arcivescovo metropolita di Taranto, insieme a tutta la Chiesa diocesana, si unisce alla gioia dell’arcidiocesi di Lecce per la nomina di Sua Eccellenza reverendissima mons. Angelo Raffaele Panzetta oggi nominato da papa Leone XIV, arcivescovo metropolita di Lecce; succede così a mons. Michele Seccia del quale è stato coadiutore. Monsignor Panzetta è nativo di Pulsano, figlio di questa terra tarantina. A lui le felicitazioni e la preghiera per un fecondo ministero

 

Mons. Angelo Raffaele Panzetta è nato il 26 agosto 1966 a Pulsano, in provincia ed arcidiocesi metropolitana di Taranto. Ha frequentato il seminario minore e successivamente è entrato nel Pontificio seminario regionale pugliese Pio XI di Molfetta concludendo gli studi con il baccalaureato in Teologia.

Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 14 aprile 1993.

Ha ricoperto i seguenti incarichi e svolto ulteriori studi: dottorato in Teologia morale alla Pontificia Accademia Alfonsiana di Roma (2000); viceparroco a Pulsano; segretario particolare dell’arcivescovo, mons. Benigno Papa; assistente ecclesiastico dei Medici cattolici e dell’Istituto secolare delle missionarie della Regalità di Cristo per la Metropolia di Taranto; ha diretto l’ufficio diocesano poi quello regionale per la Pastorale familiare; docente di Teologia morale all’istituto di Scienze religiose metropolitano San Giovanni Paolo II di Taranto e all’Istituto teologico Santa Fara di Bari e l’Istituto teologico pugliese Regina Apuliae di Molfetta; padre spirituale nel seminario interdiocesano di Poggio Galeso (2000-2002); assistente spirituale diocesano della Comunità Gesù Ama del Rinnovamento Carismatico Cattolico (2006-2019); collaboratore pastorale a Martina Franca, Montemesola, Taranto e Carosino; padre spirituale nel Pontificio seminario regionale pugliese Pio XI di Molfetta (2008-2011); docente, vicepreside (2008-2011) e preside alla Facoltà teologica pugliese (2011-2019).

Il 7 novembre 2019 è stato nominato arcivescovo di Crotone-Santa Severina, ricevendo la consacrazione episcopale il 27 dicembre successivo. Tra il 2021 e il 2022 è stato anche amministratore apostolico di Catanzaro-Squillace.

In seno alla Conferenza episcopale italiana è membro della Commissione episcopale per l’Educazione cattolica, la scuola e l’università.

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Scuola e università

Maturità 2025, Affinati: “Tre parole per prepararsi al viaggio della vita”

ph Ansa-Sir
18 Giu 2025

di Giovanna Pasqualin Traversa

Con la prova scritta di italiano – uguale per tutti – hanno preso oggi il via gli esami di maturità. Domani la seconda prova scritta, specifica per indirizzo di studio; a seguire gli orali. Con qualche novità rispetto all’anno precedente: l’importanza del voto in condotta, determinante per l’ammissione all’esame, preclusa per chi ha meno di 6. Con la sola sufficienza è necessaria una tesina su temi di cittadinanza attiva e solidale; per il massimo del credito scolastico occorre avere un 9. Abbiamo incontrato Eraldo Affinati (nella foto), scrittore romano e appassionato educatore, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi nel 2008 della scuola Penny Wirton (oggi quasi una settantina di realtà in tutta Italia) per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati. Qualche settimana fa Affinati ha concluso a Roma il Cammino della pace partito da Milano con i ragazzi delle Penny Wirton disseminate lungo il percorso, ed è appena uscito in libreria il suo ultimo volume, “Testa, cuore e mani. Grandi educatori a Roma” (Libreria Editrice Vaticana 2025).

Eraldo Affinati foto Sir

Professore, adolescenti sempre più fragili, sfiduciati verso le proprie capacità e il futuro, iperconnessi ma sempre più soli. Questo il volto della maggior parte dei nostri maturandi. Lei incontra quotidianamente alla Penny Wirton ragazzi immigrati da tutto il mondo: in che cosa sono simili o diversi rispetto ai nostri, e che cosa possono insegnare loro?
Mohamed e Ibrahim, minorenni non accompagnati provenienti da Dacca e Banjul, hanno la stessa energia vitale di Giovanni e Marco, i liceali che noi formiamo come piccoli docenti di lingua italiana, ma rispetto a loro sembrano microadulti, visto che prima di arrivare in Europa, hanno già vissuto esperienze molto intense: il distacco dalla famiglia, il trauma del viaggio spesso pericoloso, la necessità di doversi inventare un’esistenza nuova in un mondo sconosciuto, essendo chiamati a coniugare due culture, due modi di vivere, due sistemi verbali. Ciò li rende, allo stesso tempo, più forti e più vulnerabili. Per i nostri figli, ma in fondo anche per tutti noi, questi giovani migranti incarnano la volontà di ricrescita anche dopo essere caduti a terra. Non siamo in pochi a credere che abbiamo bisogno della speranza che rappresentano.
Ti basta guardarli per capire che, attraverso di loro, la pianta umana rinasce sempre, là dove meno te l’aspetti.

Quest’anno il voto in condotta è determinante per l’ammissione o meno all’esame. Lo ritiene un mezzo efficace per rafforzare l’autorità degli insegnanti e promuovere negli studenti la cultura del rispetto?
Posso capire le ragioni che hanno spinto i nostri governanti a muoversi in questa direzione, ma dopo quarant’anni di insegnamento, fra tanti dubbi che mi restano almeno una certezza credo di averla: il rispetto profondo e autentico da parte dei ragazzi i docenti non lo ottengono comminando una sanzione. Così, nella migliore delle ipotesi, potranno semmai ottenere un timore reverenziale e non duraturo.

Ciò che bisogna fare è conquistare la fiducia preliminare degli alunni, puntando tutto sulla qualità della relazione umana.

foto Ansa-Sir

Nel mio ultimo libro racconto come si comportavano i grandi educatori: san Filippo Neri era maestro e amico dei suoi piccoli ribelli, san Giuseppe Calasanzio riusciva a intercettare gli adolescenti più turbolenti, don Giovanni Bosco agiva assai prima della malefatta, Maria Montessori sapeva come rendere protagonisti i bambini, don Luigi Orione seppe guadagnarsi la stima di un ragazzino davvero difficile com’era Ignazio Silone a quindici anni, mons. Carroll Abbing, il creatore della Città dei Ragazzi, non aveva bisogno di minacciare i suoi allievi più indocili, riusciva a portarli dalla sua parte giocando a carte scoperte: e non stiamo parlando di stinchi di santo!

Stiamo assistendo ad un’impressionante escalation di violenza: dopo oltre due anni di guerra in Ucraina e 20 mesi in Israele, è scoppiato un nuovo conflitto tra Israele e Iran. Come educare i nostri ragazzi a non assuefarsi alla violenza, ma ad impegnarsi per la pace, il rispetto e la convivenza tra diversi?
A noi piace far studiare insieme scolari che provengono da Paesi nemici oppure in tensione: russi e ucraini, arabi ed ebrei, etiopi ed eritrei. Basta una sola coppia in azione didattica per mostrare a chi guarda che si può uscire, magari soltanto una volta in modo simbolico, dalla contesa che rischia di avvelenare i pozzi per diverse generazioni. Molte associazioni lo stanno facendo, stipulando nel loro piccolo tante paci invisibili, fuori dal cono di luce dei riflettori. Nel mio ultimo Cammino della pace, da Milano a Roma, ho raccolto numerose testimonianze di giovani profughi: mi resta negli occhi una ragazza yemenita che vive a Viterbo. Alla sua giovane età patisce la condizione di esule, ma quando sorride è come se riuscisse a dimenticare tutto. Vorrei portare quelle come lei nelle scuole italiane a parlare ai nostri studenti: questo dovremmo fare.

Quale, allora, dovrebbe essere il ruolo della scuola?
Favorire gli incontri fra persone ferite, in modo da far capire ai ragazzi il valore di chi resta indietro perché non può tenere il ritmo degli altri: io che vado spesso in giro nelle scuole so che in molti istituti questo si fa già, dobbiamo incrementarlo. E quando accade un atto di violenza, non dobbiamo mai dimenticare tutte le volte che invece le cose vanno bene e nessuno dice niente.

Da docente, ma soprattutto da scrittore: come insegnare ai giovani che anche le parole possono diventare pietre, scintille in grado di innescare un’esplosione, e che quindi vanno “disarmate” e maneggiate in modo responsabile?
Dobbiamo mostrare che le parole hanno sempre una conseguenza e non possono restare prive di riscontro: questo vecchio obiettivo pedagogico, nella civiltà digitale è diventato molto più difficile da raggiungere rispetto al passato. Oggi purtroppo si ha l’impressione che ciò che diciamo o scriviamo possa risultare gratuito. E invece no: se sbagli, ad esempio insultando una persona, devi pagare. Non puoi credere di poter passare indenne. Imparare la scienza dei limiti è fondamentale nel percorso verso la maturità. Dico di più: soltanto nell’accettazione del limite, quale che sia, diventi veramente libero e adulto.

foto Siciliani Gennari-Sir

Stiamo celebrando il Giubileo della speranza, la grande “assente” del nostro tempo. Se dovesse “consegnare” tre parole per il futuro ai ragazzi impegnati in una prova che rappresenta la fine di un percorso e uno spartiacque nella loro esistenza, quali sarebbero e perché?
La prima parola da consegnare ad un giovane è scelta. Non si può restare sempre aperti a tutte le possibili opzioni. Arriva un punto in cui diventa necessario saper rinunciare a qualcosa anche di prezioso che potremmo fare, in nome di qualcos’altro in cui crediamo di più. La seconda parola a cui penso è memoria: soltanto se capisci da dove vieni, puoi comprendere in quale direzione andare. Da ragazzi è difficile rendersi conto che spesso la stazione da cui partiamo risulta anteriore alla nostra nascita, quasi sempre riguarda i genitori: se ad esempio questi non hanno fatto bene i compiti (esistenziali), saranno i figli a doverli affrontare. La terza parola è responsabilità, da non intendersi in senso solo giuridico. Essere responsabili dei contesti nei quali operiamo resta fondamentale, non basta eseguire il mansionario per sentirsi a posto con la coscienza. Mettere insieme queste tre parole vuol dire prepararsi al viaggio della vita. Ma prima di poterlo iniziare, dobbiamo imparare i fondamentali: cose molto semplici, come ad esempio saper prendere bene gli appunti. In tanti anni di esperienza nel ruolo di commissario interno ed esterno agli esami di Stato, ho scoperto che non sempre i ragazzi erano stati addestrati a farlo. Ecco, come docenti non dovremmo mai dare niente per scontato.

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Diocesi

In preparazione della festa comunitaria alla parrocchia Sacro Cuore a Taranto

18 Giu 2025

Venerdì 20 la parrocchia del Sacro Cuore, in via Dante a Taranto, si prepara a vivere l’ultima tappa prima della grande festa della comunità.

Ecco il programma: alle ore 18 ci sarà la recita del santo rosario e alle ore 18.30 il parroco don Francesco Venuto celebrerà la santa messa, durante la quale la comunità rinnoverà l’atto di consacrazione al Sacro Cuore di Gesù. Al termine della celebrazione, ognuno riceverà in dono un quadretto raffigurante la nuova tela del Sacro Cuore presente in chiesa: “Un segno da custodire nelle vostre case, per ricordare che il Cuore di Gesù è sempre vicino a ciascuno di noi” – dice il parroco.

Infine alle ore 20.30 nei locali parrocchiali, concerto del ‘Francesco Greco Ensemble’ dal titolo ‘Quattro mani in magia e voce – Un viaggio tra suoni, emozioni e bellezza” con Francesco Greco (violino), Antonello De Bartolomeo (pianoforte), Valeria Palmieri (voce) e Vito Colapietro (timpani).

Ticket, 5 euro, con possibilità di cenare. Info e prenotazioni: 320.0374127.

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Diocesi

Soggiorno in diocesi dei piccoli ucraini:
dopo i batticuori iniziali, alla fine tanta gioia

18 Giu 2025

di Annibale Strada

Accogliere a San Marzano un gruppo di 14 bambini ucraini più due accompagnatrici è stata una  vera maratona di solidarietà. Quando abbiamo iniziato a muovere i primi passi, sembrava come se tutto ciò fosse del tutto irraggiungibile. Lungo il percorso non sono mancate le difficoltà ed i momenti di scoramento, soprattutto quando i risultati della ricerca  di contributi non arrivavano, poiché dopo la prima mail inviata alla città di Berestin, nella quale riferivamo che il viaggio era a loro carico, gli amministratori mi rispondevano che le famiglie non ne avevano la possibilità. Puntualmente il parroco don Cosimo Rodia mi tranquillizzava dicendomi di non preoccuparmi. Così, agli inizi di marzo, la nostra parrocchia ha fatto il bonifico di 4200 euro necessari per il viaggio. Il resto è storia recente, con un progetto portato a termine nel modo migliore possibile. Insieme alle associazioni parrocchiali e alle tante sul territorio abbiamo creato un calendario di attività per i piccoli ospiti al cui interno c’era di tutto: dai giochi in oratorio alle visite al santuario rupestre Maria Santissima delle Grazie, dalle giornate passate in masseria a quelle al mare, dal torneo di calcetto alle nuotate nelle piscine in campagna, dalla gita in catamarano alla ricerca dei delfini ai tre giorni ospiti della Caritas diocesana. Quali momenti clou, le due sante messe alle quali i bambini hanno preso parte con la premiazione della giornata nazionale dello sport. Infine domenica 15 giugno  in oratorio si è tenuto il pranzo comunitario con tutte le associazioni che hanno partecipato al programma ed in serata la partenza per l’Ucraina dei ‘nostri’ ragazzi: sì, perché loro sono ormai diventati nostri figli e nipoti, sono entrati nel cuore a tutti noi e vi resteranno.

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