Ecclesia

Preti in crisi? Servono ricerche serie sulla loro condizione psicologica

Il suicidio di don Matteo Balzano riaccende l’attenzione sul disagio dei sacerdoti, in particolare i più giovani

ph Midjourney-Sir
07 Lug 2025

di Giorgio Ronzoni

La notizia del suicidio di don Matteo Balzano sta generando, comprensibilmente, molte emozioni e commenti sui social. Non si sa nulla dei motivi che hanno spinto a questo gesto estremo un giovane sacerdote descritto come entusiasta e dedito al ministero, perciò mi astengo dal commentare ciò che è successo. Colgo però questa triste occasione per una riflessione sul malessere che può colpire anche i sacerdoti, in particolare quelli giovani.

Ormai più di vent’anni fa ho condotto con altri una ricerca sul burnout dei preti della mia diocesi. I risultati sono stati pubblicati su varie riviste e alla fine sono confluiti in un libro che ho curato: ‘Ardere, non bruciarsi’.
La ricerca ebbe poi molta risonanza: nel 2018 fu citata addirittura da José Tolentino Mendonça (creato cardinale l’anno successivo) quando tenne gli esercizi spirituali a papa Francesco. Pochi mesi fa una giornalista mi ha telefonato per chiedermi dati aggiornati su questo tema, ma ho dovuto risponderle con un po’ di vergogna che di queste ricerche, in Italia, non ne sono state condotte altre. I vescovi francesi nel 2020 hanno coraggiosamente pubblicato i risultati dello ‘Studio sulla salute dei sacerdoti in attività’, senza nascondere problemi come per esempio un certo abuso di alcol da parte di due quinti del clero. In Italia, invece, si è finora preferito non intraprendere ricerche di tale portata. È probabile che le ragioni siano molteplici, e non certo legate a indifferenza: forse un certo timore, forse la convinzione che l’esperienza pastorale quotidiana permetta già una conoscenza sufficiente della realtà, forse una fiducia minore nelle ricerche di ambito socio-religioso. Qualunque sia il motivo, resta il fatto che la teologia pastorale, senza un’adeguata base di dati, rischia di restare ancorata più a impressioni che a evidenze. E questo, oggi, appare come una mancanza da colmare con umiltà e coraggio.

La mia ricerca, condotta a costo zero, mise in luce un dato tutt’altro che sorprendente: il disagio diffuso tra i sacerdoti nei primi anni di ministero. Passare dalla vita di seminario – regolare e regolata – a quella della parrocchia è un cambiamento che può mettere in crisi. In fin dei conti, anche alcuni confratelli più sperimentati soffrono parecchio quando cambiano incarico: quanto più chi inizia una vita complessa come lo è quella del prete oggi.

Inoltre, non dimentichiamo che i giovani preti sono presbiteri – cioè anziani – solo sacramentalmente: per il resto sono giovani, e se il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali, un motivo ci sarà. Un prete giovane è diverso dai suoi coetanei? Sì, ma non troppo.
Come quelli della sua età può sentire il bisogno di conferme da parte dei superiori e dei fedeli e per ottenerle può arrivare a spendersi oltremisura, magari con il timore – infondato, certo, ma per lui reale – di non essere più apprezzato se non riesce a raggiungere certe performance. Si potrà obiettare che un uomo di Dio non dovrebbe dipendere dal giudizio degli altri, rispondendo solo al Signore e alla propria coscienza. Ma ciascuno è quel che è, e per arrivare a essere quel che dovrebbe, se mai ci arriva, prima deve imparare a conoscere sé stesso attraversando molte prove e prendendosi cura seriamente della propria formazione. Non tutti ce la fanno: qualcuno abbandona il ministero, qualcuno viene a patti con una mediocrità tutt’altro che aurea, qualcuno si sente sopraffatto dalla vergogna di non essere all’altezza dei propri ideali, qualcun altro cade in depressione o si ammala.

Fare un po’ di ricerca su come stanno i preti oggi magari non risolverà i loro problemi, ma sarebbe un segno di ascolto serio e molto apprezzabile.

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Diocesi

Martedì 8 in Concattedrale i funerali di don Franco Bonfrate

07 Lug 2025

Martedì 8 alle ore 11 in concattedrale Gran Madre di Dio l’arcivescovo mons. Ciro Miniero presiederà la messa esequiale per don Franco Bonfrate, deceduto domenica mattina all’ospedale ‘Miulli’ di Acquaviva delle Fonti all’età di 79 anni.
La salma attualmente è esposta nella chiesa inferiore dove sta ricevendo l’omaggio di numerosi fedeli.

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Dipartita

Un ricordo di don Franco Bonfrate sacerdote dalla profonda umanità

I funerali saranno celebrati domani, martedì 8, alle ore 11 in Concattedrale dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero

foto G. Leva
07 Lug 2025

di Silvano Trevisani

La scomparsa di un sacerdote è sempre uno iato che si apre nel ‘dialogo’ della chiesa locale, nella storia e nella vita della gente con cui ha interagito. La scomparsa di don Franco Bonfrate è un momento doloroso per tutti, soprattutto per coloro che lo hanno conosciuto e frequentato, hanno compreso i suoi carismi e la sua singolarità di uomo e sacerdote. Io ho avuto la fortuna di crescere, in tutti i sensi, in quella parrocchia del Carmine di Grottaglie che fu (ma lo è rimasta fino ad oggi) fucina di vocazioni, umane e sacerdotali. In quella parrocchia, che aveva visto maturarsi, negli anni Sessanta, la vocazione di sacerdoti con don Fiorenzo Spagnulo, che ci ha lasciato a febbraio a 84 anni, maturavano, proprio in quegli anni, numerosi seminaristi, divisi tra il seminario minore, maggiore, tra Martina Franca e Taranto e il teologico di Molfetta. Alcuni coetanei di don Fiorenzo, li ricordo bene, si ritirarono quando erano ormai prossimi all’ordinazione, ma altri giunsero al sacerdozio. A Molfetta erano arrivati don Franco Bonfrate, don Salvatore Ligorio, futuro arcivescovo, e don Vincenzo Conserva, prematuramente scomparso.

La parrocchia centrale e vitale, guidata in quegli anni dal ‘mitico’ don Dario Palmisano, coadiuvato dall’altrettanto ‘mitico’ don Cosimo Occhibianco, era frequentata da centinaia di bambini, adolescenti, giovani, che allora si dividevano in: fanciulli cattolici, aspiranti, giovani, chierichetti, tarcisiani… E i seminaristi erano un punto di riferimento. Aspettavamo con ansia il loro ritorno per le vacanze, che coincidevano con i festeggiamenti della Madonna del Carmine, perché le serate si trascorrevano insieme. La calde sere d’estate si saliva tutti insieme, recitando il rosario, verso il santuario della Madonna del Rosario, con la guida di don Dario, per godere un po’ di fresco e ascoltare racconti e suggestioni.

Una vita semplice, in cui le gerarchie erano persino auspicate e i futuri sacerdoti per noi tutti giovani erano fratelli maggiori ed esempi tangibili, poiché la gran parte del tempo la si trascorreva in chiesa e nelle sale parrocchiali.

Ecco, don Franco, coetaneo di uno dei miei fratelli maggiori, era per me e per i miei amici, un fratello acquisito. Al quale ero orgoglioso di essere legato da una lontana parentela per parte di mia madre (una famiglia, la sua, che ha dato altri sacerdoti: i nipoti Giuseppe ed Eligio). Ci ammoniva e guidava e poi, divenuto sacerdote nel 1970, al suo primo incarico nella concattedrale appena inaugurata, con la sua prima macchinetta veniva prenderci a Grottaglie per portarci al mare. Oppure organizzava partite di calcio, tra grottagliesi e tarantini, nel campetto di San Pio X, dove intanto don Dario era stato trasferito.

Il legame non si è mai interrotto. Anche negli anni in cui scelse la strada della missione, negli anni Ottanta chiedendo di essere inviato in Africa, sacerdote fidei donum. Sempre austero, serio potrei dire, poco incline alle piaggerie, ha vissuto il sacerdozio con quell’umanità che lo sempre caratterizzato. Senza mai tirarsi indietro, anche nel suo delicatissimo incarico di esorcista, che ha svolto con competenza e dedizione fino alla fine. Proprio per il suo modo di essere, non era uso parlare con facilità delle esperienze, a volte modo delicate, maturate nella sua funzione, ma ricordo lucidamente alcune sue testimonianze, con le quali avvertiva di non sottovalutare l’insinuarsi del Maligno, che non va ridimensionato a un’accezione generica di “Male”, nella vita degli uomini.

La sobrietà, la misura, la serena cordialità mi permetto di ricordarle, assieme alla solida formazione, come sue straordinarie doti umane, che hanno lasciato un segno in chi ha potuto fruire della sua missione sacerdotale.

La messa esequiale per don Franco Bonfrate, deceduto domenica mattina all’ospedale ‘Miulli’ di Acquaviva delle Fonti all’età di 79 anni, sarà celebrata martedì 8 alle ore 11 in concattedrale Gran Madre di Dio dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero.
La salma attualmente è esposta nella chiesa inferiore dove sta ricevendo l’omaggio di numerosi fedeli.

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Ricordo

Ricordando Maria Bomba, una vita come catechista

07 Lug 2025

di Paolo Simonetti

Ha trascorso gli ultimi anni della sua vita con seri problemi di salute che però non le hanno fatto perdere il sorriso. Maria Bomba, scomparsa alcune settimane fa, ha accompagnato alla fede intere generazioni nelle varie comunità parrocchiali che l’hanno vista sempre protagonista.
La sua nota caratteristica è stata la serietà con cui ha vissuto l’incontro con la Parola di Dio. L’ascolto e l’annuncio di questa Parola sono stati il suo programma di vita. Si è spesa per lunghi anni nel servizio catechistico nella parrocchia San Pio X sempre con la massima docilità e obbedienza ai sacerdoti che si sono susseguiti
Una pedagogia concreta, quella di Maria, forse non innovativa ma efficace e pronta a lasciarsi contaminare da idee valide.
Maria è appartenuta a quella generazione di credenti che hanno sempre dato una testimonianza silenziosa nel tessuto vivo della Chiesa locale e della nostra città. Con lei, tantissimi altri uomini e donne che abbiamo conosciuto e che ci hanno formati e che si sono lasciati sempre coinvolgere dalla passione per il Vangelo. Quando parliamo di Concilio Vaticano II, di ‘Documento base’ per la catechesi in Italia, quando facciamo riferimento ai ‘Catechismi per la vita cristiana’ che circolano da tanti anni nelle nostre parrocchie, non possiamo trascurare il fatto che persone come Maria Bomba si sono spese senza sosta per conoscere questi testi e per promuoverli in modo da attuare quel passaggio da una catechesi solo basata sulla dottrina a una orientata alla vita del discepolo.

Maria Bomba è nata a Salice Salentino (Lecce) il 20 marzo 1942 ed è vissuta sin da piccola nella parrocchia di San Francesco di Paola, a Taranto. I suoi genitori con lei sono stati sempre devoti al patrono della gente di mare, che Maria ha subito imparato ad amare.
Racconta Mariella Adamo che per tanti anni ha condiviso con Maria l’impegno nell’annuncio: “Maria ha fatto parte del gruppo dei catechisti sin da giovanissima, ha preparato ai sacramenti e alla vita cristiana tanti fanciulli e ragazzi, ha curato il gruppo degli allievi catechisti, con incontri di formazione settimanali, ha fatto parte dell’Ufficio catechistico di Taranto, che la inviava in diverse parrocchie della diocesi per aiutare i catechisti nella programmazione annuale. Spesso ha incontrato i genitori dei fanciulli e ragazzi che si preparavano a ricevere i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e della Confermazione”.
“Si nutriva quotidianamente del cibo eucaristico – continua Mariella – e ogni giorno pregava la Madonna con il santo rosario. Fin quando ha potuto si è recata ogni giorno in chiesa per partecipare alla santa messa e per fare la visita a Gesù sacramentato”.
Maria Bomba ha operato poi a lungo in San Pio X, dove ha curato la formazione dei catechisti ed è sempre stata un punto di riferimento per grandi e piccoli. È stata insegnante della scuola dell’infanzia e ha donato la sua vita al Signore, servendo i fratelli anche in quella catechesi occasionale che era capace di suscitare grazie alla sua franchezza e simpatia. Ha frequentato la scuola di teologia per laici, a Taranto, quando aveva la durata di tre anni, perché desiderava essere competente in quel campo.

Durante il rito funebre, il direttore dell’ufficio catechistico, don Simone Andrea De Benedittis, ha voluto sottolineare di Maria: “L’Apocalisse ci parla di Gerusalemme come della città santa che poggia su 12 fondamenta, che sono i 12 Apostoli; ma anche le nostre comunità poggiano su delle rocce e Maria, per le parrocchie di San Francesco di Paola e di San Pio X, per la nostra Chiesa diocesana è stata una di queste rocce incrollabili, perché ha fondato la sua vita, anche nella sofferenza, sulla vera roccia, Cristo Signore. In ogni momento non ha perso la speranza di incontrarlo, con la fiducia del suo slancio missionario, con la sua consacrazione in tutto l’arco del suo pellegrinaggio terreno”.

Come Missionaria della Parola di Dio, ella ha amato molto i bambini, i fanciulli e i giovani, che aiutava nel discernimento vocazionale. Ha compiuto la sua missione anche attraverso la sofferenza, offerta per riparare ai propri peccati, per la conversione dei peccatori più ostinati e per i sacerdoti.

A nome della comunità parrocchiale di San Pio X, così l’ha voluta ricordare Gianfranco Schirano che con lei ha condiviso il lavoro in parrocchia: “Chi l’ha conosciuta sa quanto Maria fosse disponibile e accogliente, sempre pronta ad ascoltare, a consolare, a tendere una mano a chiunque ne avesse bisogno. Il suo sorriso semplice e sincero, la sua parola discreta ma sempre incoraggiante, erano una carezza per chiunque le stesse affianco”.

“Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37): grazie, Signore Gesù, per il dono di Maria Bomba, che ha saputo vegliare e ha insegnato a molti a fare altrettanto. Tutti speriamo che ora possa godere nel cielo della ricompensa promessa ai servi fedeli.

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Angelus

La domenica del Papa – Non siate “cristiani delle occasioni”

ph Vatican media-Sir
07 Lug 2025

di Fabio Zavattaro

Prima di recarsi a Castelgandolfo per un breve periodo di riposo, papa Leone si è affacciato dallo studio del Palazzo apostolico per benedire e recitare la preghiera mariana dell’angelus con in fedeli presenti in piazza San Pietro: “nel gran caldo di questo periodo il vostro cammino per attraversare le Porte sante è ancora più coraggioso e ammirevole” ha detto loro.

Domenica in cui il tema centrale del Vangelo è la missione, i settantadue discepoli che vengono inviati a due a due. Soffermiamoci un momento sul numero: 72 sono le nazioni secondo il testo in greco della Genesi, 70 in quello ebraico; 70 i popoli che, secondo la tradizione rabbinica, hanno ascoltato la legge proclamata sul monte Sinai e 70, ancora, gli anziani scelti da Mosè, e 70, infine, i saggi che hanno tradotto la Bibbia in greco, detta appunto “dei settanta”. E questo è un ulteriore legame da sottolineare come continuità tra Antico e Nuovo Testamento.

Semplici numeri? Tutt’altro. In primo luogo, è come se Luca con quel numero indicasse l’ampiezza dei popoli cui è destinata la parola di Dio: numero “simbolico” afferma il vescovo di Roma, in quanto indica “come la speranza del Vangelo sia destinata a tutti i popoli”, affinché “tutti i suoi figli siano raggiunti dal suo amore e siano salvati”.

Altro elemento da sottolineare è lo stile del missionario che va, avendo fiducia nel Signore; Luca ricorda le parole di Gesù: “vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, non portate né borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada”.

Altro aspetto i pochi operai impegnati nella messe. Spiega il Papa: “da una parte Dio, come un seminatore, ha messo nel cuore dell’uomo e della storia il desiderio dell’infinito, di una vita piena, di una salvezza che lo liberi”. Ma pochi sono gli operai che “vanno a lavorare nel campo seminato dal Signore”; c’è qualcosa di grande, afferma Leone XIV, che il Signore “vuole fare nella nostra vita e nella storia dell’umanità, ma pochi sono quelli che se ne accorgono, che si fermano per accogliere il dono, che lo annunciano e lo portano agli altri”.

La Chiesa, il mondo, afferma ancora il Papa, “non hanno bisogno di persone che assolvono i doveri religiosi mostrando la loro fede come un’etichetta esteriore”; hanno bisogno di “operai desiderosi di lavorare il campo della missione, di discepoli innamorati che testimoniano il Regno di Dio ovunque si trovano”.

Non cristiani “di pasticceria, belle torte” avrebbe detto papa Francesco; non “cristiani delle occasioni” dice papa Leone, che “ogni tanto danno spazio a qualche buon sentimento religioso o partecipano a qualche evento”, ma cristiani pronti a lavorare “ogni giorno nel campo di Dio”, per portare il seme del Vangelo “nella vita quotidiana, in famiglia, nei luoghi di lavoro e di studio, nei vari ambienti sociali e a chi si trova nel bisogno”. Per fare questo “non servono troppe idee teoriche su concetti pastorali; serve soprattutto pregare il padrone della messe”.

Nelle parole che pronuncia dopo la recita della preghiera mariana e la benedizione, papa Leone ricorda il disastro, la “catastrofe” causata dall’esondazione del fiume Guadalupe in Texas e esprime vicinanza alle famiglie “che hanno perso i propri cari, in particolare le figlie che si trovavano in un campo estivo”. Quindi nuovo appello per la pace “desiderio di tutti i popoli”, e “grido doloroso di quelli straziati dalla guerra. Chiediamo al Signore di toccare i cuori e ispirare le menti dei governanti, affinché alla violenza delle armi sostituiscano la ricerca del dialogo”.

Infine, nel pomeriggio, ha raggiunto in auto Castel Gandolfo dove trascorrerà, fino al 20 luglio, un breve periodo di riposo, alloggiando non nel Palazzo Apostolico, aperto al pubblico per volere di Papa Francesco, ma a Villa Barberini, edificio voluto da Papa Urbano VIII e realizzato su disegno di Carlo Maderno; nel parco c’è il Borgo Laudato sì realizzato per volere di Bergoglio. Domenica prossima messa e angelus nella parrocchia di San Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo, e il 20 celebrerà nella Cattedrale di Albano, mentre l’angelus sarà recitato in Piazza della Libertà.

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Angelus

Leone XIV: “La pace è un desiderio di tutti i popoli, chiediamo al Signore di toccare i cuori dei governanti”

ph Vatican media-Sir
07 Lug 2025

di Riccardo Benotti

“Cari fratelli e sorelle, la pace è un desiderio di tutti i popoli, ed è il grido doloroso di quelli straziati dalla guerra”. Dopo la preghiera dell’angelus, Leone XIV ha rivolto un appello per la pace, chiedendo di pregare il Signore “di toccare i cuori e ispirare le menti dei governanti, affinché alla violenza delle armi sostituiscano la ricerca del dialogo”.
Il Papa ha salutato i fedeli presenti in piazza San Pietro nonostante il caldo: “Il vostro cammino per attraversare le Porte sante è ancora più coraggioso e ammirevole”. Ha quindi salutato le suore francescane missionarie del Sacro Cuore, gli alunni e i genitori della scuola di Strzyzow e i fedeli di Legnica, in Polonia, oltre al gruppo greco-cattolico dall’Ucraina.
Rivolgendosi poi in inglese ai pellegrini di lingua inglese, il Papa ha espresso “sincere condoglianze a tutte le famiglie che hanno perso persone care, in particolare le loro figlie, che si trovavano al campo estivo, nella tragedia causata dall’alluvione del fiume Guadalupe in Texas negli Stati Uniti”. Infine Leone XIV ha annunciato: “Oggi pomeriggio mi recherò a Castel Gandolfo, dove conto di rimanere per un breve periodo di riposo. Auguro a tutti di poter trascorrere un tempo di vacanza per ritemprare il corpo e lo spirito”.

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Diocesi

Una sedia per la chiesetta di Sant’Anna

ph ND
07 Lug 2025

di Angelo Diofano

Il 25 luglio riaprirà un luogo di culto caro ai tarantini: la chiesetta di Sant’Anna, in vico Civitanova (nei pressi di piazza Fontana) in città vecchia. Mamma Sant’Anna, ricordiamo, è patrona delle mamme in dolce attesa e dei bambini.

Nei lavori di manutenzione straordinaria si è provveduto all’acquisto di nuove sedie e pertanto l’Opera Pia Ancelle di Sant’Anna lancia un appello: “Se vuoi contribuire, dona anche tu una sedia per Sant’Anna. Il costo di ciascuna sedia (che è possibile dedicare alle proprie intenzioni con una targhetta) è di 50 euro”.

Per informazioni, rivolgersi a Tonino Gigante, tel. 333.4122066.

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Diocesi

Don Franco Bonfrate ha concluso la sua esistenza terrena

06 Lug 2025

Ha concluso la sua esistenza terrena don Franco Bonfrate, già parroco della parrocchia Madonna della Fiducia di Taranto e attualmente collaboratore parrocchiale della Concattedrale Gran Madre di Dio.
Nato a Grottaglie nel 1946, era stato ordinato sacerdote nel 1970. Don Franco ha svolto per molti anni l’incarico di Esorcista Diocesano. La comunità diocesana esprime il suo cordoglio affidandolo con la preghiera a Gesù Buon Pastore perché lo accolga nella Sua misericordia infinita.

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A Taranto

‘Cielo nell’Isola’: oggi, venerdì 4, parte il progetto di mappatura della toponomastica popolare

04 Lug 2025

La città vecchia è un tesoro di storie che affiorano in vicoli poco conosciuti e slarghi maltenuti. È nelle tradizioni, nei detti, negli aneddoti che gli stessi abitanti dell’isola talvolta perdono nel passaggio da una generazione ad un’altra, che trova casa una memoria autentica, non viziata, necessaria per guardare al futuro senza snaturarsi.
Da qui, nell’ambito di una serie di attività di rigenerazione urbana, l’idea promossa dagli archeologi di Ethra e subito sposata da Symbolum ets, capofila del progetto finanziato da Fondazione con il Sud chiamato “L’Isola che accoglie”: una mappatura della toponomastica popolare della Città vecchia.

Per il progetto ‘Cielo nell’Isola’, sono stati mappati dagli archeologi di Ethra e dall’artista tarantina Simona Anna Gentile una ventina di luoghi, a cui sono stati assegnati altrettanti qr-code con la storia del luogo e il suo nome tradizionale per un vero e proprio tour di due ore, con gli abitanti della città vecchia a fare da guida e fruibile ai visitatori da oggi, venerdì 4 luglio.

Poi Simona Anna Gentile, supportata da Franca Lenti, Marianna Bolognini, Rita Valente, Samia e Adriana Ressa, ha fatto il resto, raccogliendo le testimonianze di residenti in città vecchia e creando bozzetti con i nomi dei luoghi ‘riscoperti’, anche questi visibili sul posto in digitale, fino alla realizzazione, nella fase finale, di un suggestivo dipinto murale fortemente identitario, realizzato su uno dei muri perimetrali del centro san Gaetano da lei e dai bambini e della bambine di piazzetta san Gaetano, che ne hanno dipinto la cornice con vernici ad acqua.

Oggi, venerdì 4 luglio, alle ore 19 da piazza Fontana, dopo i saluti di don Emanuele Ferro, ci sarà la presentazione del progetto, chiamato ‘Cielo nell’Isola’, con un percorso tra vicoli e racconti, accompagnati dall’artista Simona Anna Gentile, da Antonio Solito, da Nicoletta Lenti e dagli archeologi di Ethra, fino al Centro San Gaetano dove verrà scoperto il murale e spiegato il suo significato.

Un evento gratuito con prenotazione obbligatoria al: 379 118 2464

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Diocesi

Il ‘grazie’ dell’arciconfraternita del Carmine di Taranto alle confraternite del grande raduno di sabato 28 giugno

04 Lug 2025

A margine del grande raduno confraternale svoltosi sabato scorso, 28 giugno, a Taranto in occasione del 350° anniversario dell’arciconfraternita del Carmine e per la solenne intronizzazione del simulacro della Beata Vergine del Carmine, con la partecipazione di trenta confraternite e di quasi cinquecento confratelli provenienti da Puglia Basilicata e Calabria, il priore Antonello Papalia ha voluto inviare a tutti i sodalizi che vi hanno preso parte questa sentita lettera di ringraziamento che pubblichiamo:

“Scrivo queste righe con profonda commozione e gratitudine, ancora avvolto dall’intensa emozione che tutti insieme abbiamo vissuto il 28 giugno, in occasione della grande processione di intronizzazione per il 350° anniversario della nostra amata confraternita. È difficile trovare le parole giuste per raccontare ciò che i nostri occhi hanno visto e che i nostri cuori hanno sentito. Trenta confraternite, quasi cinquecento persone in corteo, unite da uno stesso spirito, da una stessa fede, da un’unica grande famiglia. Un popolo in cammino, che ha saputo parlare senza parole, perché già il solo esserci era preghiera, era testimonianza, era liturgia viva. E proprio per questo mi permetto di riportare le parole pronunciate dal nostro padre spirituale mons. Marco Gerardo, durante la messa solenne celebrata nella chiesa di San Francesco di Paola: «Non faccio l’omelia oggi, perché l’omelia l’avete fatta voi con la vostra presenza.» Mai frase fu più vera. Il vostro cammino, la vostra compostezza, i vostri occhi, i vostri stendardi mossi dal vento e dalla fede… Tutto ha parlato, tutto ha predicato, tutto ha scaldato il cuore della nostra comunità. Conosco personalmente quasi tutti voi. E forse anche per questo, ciò che abbiamo vissuto insieme ha per me un valore ancora più profondo. È stato un abbraccio sincero, un segno tangibile di affratellamento vero, quello che nasce non solo dalla ritualità, ma da una storia condivisa, da una passione autentica, da un legame che supera il tempo e le distanze. Siete stati testimoni viventi di una fede che si incarna nei gesti, nei colori, nei simboli, nelle marce che parlano di umiltà e dedizione. E in quei momenti di silenzio e marce, di sudore e preghiera, abbiamo sperimentato il miracolo dell’affratellamento vero. Quello che nasce dal rispetto, dalla condivisione, dalla passione comune per qualcosa che va ben oltre ciascuno di noi. Quello che custodiamo attraverso i nostri Sodalizi non è solo un’eredità, ma un’anima viva, quella della pietà popolare, che affonda le sue radici nel cuore delle nostre famiglie, nei vicoli dei nostri paesi, nelle mani callose dei confratelli che con devozione portano avanti tradizioni secolari. La pietà popolare è la forma più pura e concreta con cui il popolo si avvicina a Dio, non è semplice devozione, ma è cultura, identità, appartenenza, preghiera incarnata nella vita quotidiana. Ieri, questo valore è esploso in tutta la sua bellezza. Abbiamo visto confraternite diverse per origini e storie, marciare come un solo corpo, animate dalla stessa fiamma interiore. E in quello stare insieme, in quel cammino condiviso, in quei gesti lenti ma carichi di significato, abbiamo toccato con mano il volto più vero della Chiesa, quella che si muove tra la gente, che cammina con il popolo, che si fa prossima con cuore e mani. Non dimenticheremo questa giornata. Mai. Resterà impressa nei nostri cuori come un sigillo di grazia. E a ciascuno di voi, fratelli e sorelle, giunga il mio grazie più sincero e fraterno. Avete onorato la nostra Confraternita e il nostro anniversario con la vostra presenza, ma ancor più con la vostra anima. Questa comunione che sabato abbiamo vissuto possa continuare a crescere e rafforzarsi negli anni a venire. Con affetto, stima e gratitudine profonda”.

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Leone XIV

Appello Celam-Fabc-Secam: “I Paesi ricchi paghino il debito ecologico al Sud”

04 Lug 2025

di Bruno Desidera

“Sono passati dieci anni dalla pubblicazione della Laudato Si’ e dalla firma dell’Accordo di Parigi. I Paesi del mondo non hanno risposto con la necessaria urgenza. La Chiesa non resterà in silenzio. Continueremo ad alzare la voce insieme alla scienza, alla società civile, ai più vulnerabili e con verità e coerenza, fino a quando non sarà fatta giustizia”. È categorico e solenne l’impegno che sale dalle Chiese del cosiddetto “Sud globale”, dagli organismi ecclesiali continentali di America Latina e Caraibi (Celam), Asia (Fabc) e Africa (Secam), in vista della prossima Conferenza sul cambiamento climatico, la Cop30, che si terrà in Brasile, a Belém, in terra amazzonica, dal 10 al 21 novembre.

L’invito a una profonda conversione ecologica

Il documento “Un appello per la giustizia climatica e la casa comune: conversione ecologica, trasformazione e resistenza alle false soluzioni” è stato presentato oggi, in Vaticano, a papa Leone XIV e, pubblicamente, alla presenza dei cardinali Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre (Brasile) e presidente del Celam, Filipe Neri Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão (India) e presidente della Fabc, Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) e presidente della Secam. Con loro, Emilce Cuda, segretaria esecutiva della Pontificia Commissione per l’America Latina. I firmatari del documento si dicono “ispirati sia dalla Laudato Si’ di Papa Francesco, sia dall’appello di papa Leone XIV a vivere un’ecologia integrale con giustizia”. Da qui, l’invito a una profonda conversione ecologica.
Lo stile stesso del documento, la concretezza dei problemi trattati e delle soluzioni, rivelano che non si tratta di una presa di posizione isolata, ma, piuttosto, di un primo risultato di un lungo lavoro di “rete”, sia a livello ecclesiale che di società civile, associazioni, popolazioni indigene.
Partito dall’Amazzonia, questo cammino ha portato la Chiesa del “Sud globale” a parlarsi, a coordinarsi, a creare vaste reti ecologiche regionali, a essere significativa nei rispettivi territori. A buon titolo, oggi, può alzare la voce rispetto al cruciale appuntamento di novembre.

No a ‘false soluzioni’, sì a scelte di equità e giustizia

“La crisi climatica – si legge nel documento presentato in Vaticano – è una realtà urgente, con un riscaldamento registrato di 1,55 °C nel 2024. Non è solo un problema tecnico: è una questione esistenziale, di giustizia, dignità e cura della nostra casa comune”. In effetti, la scienza è chiara e afferma che il riscaldamento globale va limitato a 1,5 °C per evitare effetti catastrofici. “Non dobbiamo mai abbandonare questo obiettivo. Sono il Sud del mondo e le generazioni future che ne subiscono già le conseguenze. Rigettiamo le false soluzioni come il capitalismo ‘verde’, la tecnocrazia, la natura trasformata in merce e l’estrattivismo, che perpetuano lo sfruttamento e l’ingiustizia”. Al loro posto, gli episcopati chiedono, anzitutto, equità: “Le nazioni ricche devono pagare il loro debito ecologico, con un finanziamento climatico equo, senza indebitare ulteriormente il Sud, per recuperare le perdite e i danni e favorire la resilienza in Africa, America Latina e Caraibi, Asia e Oceania”.

Quindi, giustizia, che significa anche non promuovere una crescita economica incontrollata e “porre fine ai combustibili fossili, e alle infrastrutture a essi collegati, e tassando adeguatamente coloro che ne hanno beneficiato, inaugurando una nuova era di governance che includa e dia priorità alle comunità più colpite dalle crisi climatiche e naturali”. Infine, la richiesta di protezione e, quindi, “difendere le popolazioni indigene e tradizionali, gli ecosistemi e le comunità impoverite; riconoscere la maggiore vulnerabilità delle donne, delle ragazze e delle nuove generazioni; e considerare la migrazione climatica come una sfida di giustizia e diritti umani”.

Gli impegni della Chiesa e le proposte

La Chiesa, però, non vuole limitarsi alle parole, e Celam, Fabc e Secam affermano di volersi assumere dei precisi impegni. “Difenderemo i più vulnerabili in ogni decisione sul clima e sulla natura”, si legge nel documento, che propone, quindi, di “educare all’ecologia integrale e promuovere economie basate sulla solidarietà, la ‘felice sobrietà’ della Laudato Si’ e il ‘buon vivere’ (‘buen vivir’, in spagnolo) delle saggezze ancestrali”. Ancora, la Chiesa è chiamata a “rafforzare l’alleanza intercontinentale tra i Paesi del Sud del mondo, per promuovere la cooperazione e la solidarietà”. Con lo sguardo rivolto alla COP 30, i firmatari si impegnano a monitorare “i risultati delle Cop, attraverso un Osservatorio sulla giustizia climatica”. E propongono “una coalizione storica tra attori del Nord e del Sud del mondo, per affrontare le crisi in modo solidale”.
Non senza rinunciare a chiedere che “i Paesi ricchi riconoscano e si assumano la loro responsabilità sociale ed ecologica, in quanto principali responsabili storici dello sfruttamento delle risorse naturali e delle emissioni di gas serra e si impegnino a garantire un finanziamento equo, accessibile ed efficace per la lotta ai cambiamenti climatici, che non generi ulteriore debito, al fine di recuperare le perdite e i danni esistenti e la capacità di resilienza nel Sud del mondo”.

Non mancano dei precisi appelli ai governanti: “Rispettare l’Accordo di Parigi e implementare contributi determinati a livello nazionale, per essere all’altezza dell’urgenza della crisi climatica; mettere il bene comune al di sopra del profitto; trasformare il sistema economico verso un modello rigenerativo, che dia priorità al benessere delle persone e garantisca condizioni di vita sostenibili sul pianeta; promuovere politiche climatiche e ambientali fondate sui diritti umani”. “Che la Cop30 non sia solo un altro vertice, ma una pietra miliare della resistenza, dell’articolazione intercontinentale e della trasformazione reale. Che sia guidata dalla forza viva delle comunità, dalla speranza che sgorga dai margini e da una Chiesa in uscita, profondamente sinodale, che cammina con i popoli”, l’appello finale.

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Tracce

La sfida di vivere fino al calar del sole

Dal film “Settimo sigillo”
04 Lug 2025

di Emanuele Carrieri

La Striscia di Gaza ormai esiste soltanto sulle carte geografiche. È una fetta di terra che offre un senso di desolazione, di tristezza, di squallore, dopo oltre un anno e otto mesi di assalti, di incursioni e di offensive, concretizzati contro la popolazione civile palestinese. È la rappresaglia su tutto un popolo, all’indomani dell’agguato di Hamas del 7 ottobre del 2023 contro civili israeliani, in cui furono uccise oltre milleduecento persone e duecentocinquanta furono prese in ostaggio. La risposta del governo guidato da Netanyahu non è stata di legittima difesa, non è stata strutturata all’insegna del diritto di difesa, ma all’insegna del crimine della rappresaglia, della vendetta. Scelleratezze, queste, che rendono qualsiasi stato distante anni luce dall’essere una democrazia, specialmente se si tratta di uno stato “non laico”. Quella sulla Striscia di Gaza è stata ed è tuttora una sistematica azione di uccisioni di donne, vecchi e bambini. Inchieste delle Nazioni Unite e di molte altre fonti più che autorevoli, parlano di quasi sessantamila palestinesi uccisi, di cui quasi ventimila minori, e di oltre centomila feriti. Così come è stato detto da Yair Golan, generale in congedo dell’IDF, l’esercito israeliano, e leader del maggiore partito di opposizione: “Ormai si uccidono i bambini per hobby”. Le bombe cadono senza sosta su quel che resta di campi profughi, di ospedali, di scuole. Il sistema sanitario è ormai demolito, la popolazione è intrappolata, mentre i convogli di aiuti sono bloccati ai valichi. La fame viene usata dal governo di Netanyahu come strumento di guerra – dopo aver, in pratica, raso al suolo il tessuto agricolo e produttivo palestinese – insieme alla calcolata, colpevole, volontaria mancata consegna di farmaci e di strumenti sanitari. Come definire tutto ciò, se non la mefistofelica azione di una setta diabolica? Come chiamare tutto questo? Già nel gennaio dell’anno scorso, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja aveva deliberato che le incriminazioni mosse dal Sudafrica e da molti altri Paesi contro Israele per le violazioni della Convenzione sul Genocidio erano “plausibili” e aveva aperto un fascicolo di indagine, imponendo a Israele di “adottare subito tutte le misure possibili per prevenire atti di genocidio”. Ma senza esito. Netanyahu ha fatto l’opposto e ancora peggio. Contractors privati americani, militarizzati e armati, a cui il governo israeliano ha commissionato la distribuzione di aiuti, hanno attirato in zone recintate i civili palestinesi che chiedono acqua e cibo. Sottoposti a sistemi di profilazione digitale (dati biometrici, riconoscimento facciale, ecc.), vengono schedati. E quando a Rafah una massa di persone disperate ha sfondato le recinzioni, è stata allontanata a sventagliate di mitra e non sempre sparate verso l’alto. Secondo le Nazioni Unite, quasi due milioni di persone sono stati costrette a lasciare le proprie case ormai trasformate in cumuli di macerie a causa sia delle operazioni militari che delle evacuazioni forzate. Adesso saranno attratte in specie di enclave con questo sistema a “calamita”. Per poi essere deportati? Il disegno è stato illustrato da Netanyahu in un incontro con i riservisti. “Abbiamo bisogno di paesi ospitanti disposti ad accoglierli. Su ciò, stiamo lavorando in questo momento”. Netanyahu stesso, in tante occasioni, ha detto che l’obiettivo è il “completo annientamento di Hamas”, anche se comporterà l’eliminazione dell’intera popolazione di Gaza, anche a costo della vita degli ostaggi. Si identifica quindi l’intero popolo palestinese con l’organizzazione che governa la striscia dal 2007, non considerando che la gran parte della popolazione odierna è nata dopo il loro trionfo alle elezioni del 2006. Eppure Netanyahu è incurante delle proteste che, a rischio della vita, i gazawi hanno portato avanti in questi mesi, e di quelle degli attivisti israeliani di B’Tselem, Breaking the Silence e il New Israel Fund che avallano le tesi dell’apartheid e del genocidio. Messo alla sbarra da accuse di corruzione e per la voragine nella sicurezza del 7 ottobre 2023, sorpassate solo da quella americana dell’11 settembre 2001, ormai ascolta solamente per l’estrema destra fondamentalista religiosa che sostiene i coloni armati e che con l’appoggio militare hanno intensificato gli attacchi in Cisgiordania. Interi villaggi palestinesi sono stati svuotati, agricoltori palestinesi uccisi, perché giudicati un intralcio alla “giudeizzazione” totale dei territori, in linea con la “ebraizzazione” dello Stato di Israele avvenuta il 18 luglio del 2018 quando, nella Costituzione è stato definito “Stato esclusivamente ebraico”. Netanyahu si sente forte, soprattutto ora dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Si sente le spalle protette dai suoi aiuti militari e dai suoi annunci di voler prendere possesso di Gaza per farne un resort di lusso, deportando la popolazione palestinese in Libia. Tanto lì, basta pagare per trattenere profughi e migranti in campi lager. Lo sa bene l’Europa, e specialmente il nostro Paese, che nel 2017 siglò il Memorandum di intesa con la Libia, durante il governo Gentiloni, che prevedeva sostegni alla Guardia costiera libica per il contrasto all’immigrazione irregolare. Per questo l’Ue rimane immobile? Cosa fa Bruxelles? Si nasconde dietro formule diplomatiche vuote, non censura con forza le violazioni dei diritti umani, i crimini di guerra e contro l’umanità delle forze armate di Netanyahu. Che cosa potrebbe fare? Tanto per iniziare, potrebbe affermare un embargo militare, bloccare gli accordi commerciali sulle armi, decidere sanzioni, collaborare alle indagini delle Corti internazionali sui crimini commessi, costituire una missione per garantire l’accesso agli aiuti umanitari, favorire una conferenza di pace, tipo Helsinki, difendere e finanziare gli operatori umanitari sul campo. Peggio di Bruxelles fa soltanto il governo italiano che ha non ha sospeso il tacito rinnovo di un accordo con Israele per la cooperazione militare. Mentre a Gaza si scavano fosse comuni. È proprio vero che, dopo il peggio, viene solo il peggio, perché al peggio non c’è mai fine.

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