Mostra del cinema di Venezia

Clooney e Stone, duello di stelle a Venezia82

ph Peter Mountain-Netflix
29 Ago 2025

Secondo giorno all’82a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, e si entra subito nel vivo della gara con due nomi di peso. Lo statunitense Noah Baumbach con “Jay Kelly” ha confezionato un film su misura per il talento di George Clooney: il ritratto di un attore hollywoodiano sui sessant’anni assalito da una crisi esistenziale tra professione e vita reale. Un divo dalla carriera scintillante ma con crepe e rimorsi sul versante personale, in primis la latitanza come padre. Una commedia elegante con pennellate stilistiche che omaggiano la Hollywood classica, impreziosito da un ottimo cast.Torna poi a Venezia l’autore greco Yorgos Lanthimos con “Bugonia” interpretato dalla sua musa Emma Stone e dall’altrettanto incisivo Jesse Plemons. Una potente suggestione drammatico-grottesca, un’istantanea macabra della società statunitense contemporanea, divisiva, impantanata in una cultura annacquata da social media e dalle fake news. Acuto, ma disturbante.

“Jay Kelly”
“Racconta la storia di un uomo che ripensa alla sua vita e riflette sulle scelte, i sacrifici, i successi, gli errori commessi. Quando è troppo tardi per cambiare il corso della nostra vita?”. Il regista-sceneggiatore Noah Baumbach (“Frances Ha”, 2012; “Storia di un matrimonio”, 2019; “Rumore bianco”, 2022) racconta così il nuovo progetto giocato nel mondo dell’industria hollywoodiana, pedinando la crisi esistenziale e creativa di un divo. Il personaggio di Jay Kelly è stato pensato e scritto – dallo stesso Baumbach con Emily Mortimer – appositamente per George Clooney, che lo abita con grande eleganza e incisività. Un uomo allo specchio che rilegge la sua carriera e tutte le omissioni, soprattutto in ambito familiare, per realizzare il suo sogno di gloria. Nel cast insieme a Clooney gli altrettanto ottimi Adam Sandler, Laura Dern, Billy Crudup, Riley Keough, Jim Broadbent e Alba Rohrwacher. Targato Netflix, il film uscirà a dicembre 2025.

La storia. Los Angeles oggi, Jay Kelly è una star del cinema sui sessant’anni. Assalito da malinconia e dai rimorsi per non essere stato vicino alle figlie nella loro crescita, decide di sospendere i suoi progetti e seguire la più piccola, in età da college, in un viaggio-studio tra Parigi e la Toscana. L’occasione la offre anche una serata di gala in suo onore a Pienza…

Jay Kelly. George Clooney as Jay Kelly in Jay Kelly. Cr. Peter Mountain/Netflix © 2025.


Una commedia elegante dai rimandi alla Hollywood classica. “Jay Kelly” è un viaggio da Los Angeles alla Toscana, passando per Parigi, dove un attore sessantenne all’apice della carriera pesa i suoi trionfi e fallimenti. Per diventare il fascinoso volto glamour del cinema a “stelle e strisce” ha perso molto di sé, a cominciare dal ruolo paterno. Ha due figlie, ma entrambe gli rinfacciano superficialità e assenza. Jay Kelly si chiede allora cosa resti dell’uomo al di là della maschera del cinema.Si interroga sulle allucinazioni del successo e sulla loro inconsistenza nell’imboccare gli ultimi tornanti della vita.

Un’opera brillante, con ritmo e valide intuizioni narrative (dall’originale incipit alla splendida sequenza in treno), che trova la sua summa nei valzer finali, in cui l’attore continua sì a guardarsi allo specchio con occhio critico, severo, facendo la lista delle sue colpe, ma scoprendo anche – riflesso negli occhi emozionati del suo pubblico – il valore sociale dell’arte, dell’attore, il suo donarsi al pubblico. Jay Kelly capisce che i suoi film, le sue interpretazioni, seppur apparentemente “effimere”, sono diventate preziosi ricordi ed emozioni per il pubblico che l’ha sempre seguito. Comprende che ciò che ha fatto ha lasciato qualcosa al prossimo, ha significato molto per i tanti che hanno affollato i cinema. La sua vita, la sua carriera, non sono stati vani. Certo, c’è da richiamare un’amara verità: l’attore ha infiniti ciak per realizzare la scena perfetta, per mettere a punto la sua interpretazione migliore; l’uomo, la vita vera, dispone di una sola occasione. E tutto ciò che è perso purtroppo non torna. Non si può replicare. Un film acuto, gentile, raffinato, che strappa sorrisi ma anche dolce malinconia, commozione, soprattutto in chiusura. Un’ottima prova per Clooney.

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Tracce

Una guerra combattuta con le menzogne

Foto Reuters/Avvenire
29 Ago 2025

di Emanuele Carrieri

Se non avesse paura della verità, Netanyahu lascerebbe entrare i giornalisti nella Striscia di Gaza. E non si affiderebbe alla banda di dieci influencer che hanno intrecciato le lodi di come Israele stia distribuendo aiuti ai palestinesi con una mano, mentre con l’altra preme il grilletto dei bombardamenti. Proprio di recente su tante piattaforme social una decina di influencer americani e israeliani ha diffuso una sfilza di video in cui mostra “come stanno le cose”. Come stanno secondo loro, ossia secondo il governo Netanyahu che li ha invitati e portati in giro dove alla stampa internazionale, da quasi due anni, è proibito entrare. Poi, però, la linea dell’abisso è stata spostata ancora più in fondo: il mondo intero ha assistito, quasi in diretta, all’ennesima mattanza degli unici giornalisti che continuano a fare il loro lavoro a Gaza, ossia gli unici che possono muoversi perché lì sono nati: i palestinesi. Abbiamo visto cadere i primi morti, arrivare i soccorsi, correre sulle scale dell’ospedale di Khan Younis, e per la seconda detonazione abbiamo visto morire cinque giornalisti. È la tecnica del doppio colpo, illegittima per le norme internazionali, ma non per Netanyahu. L’IDF ha affermato che ha colpito la telecamera “ritenendo che fosse stata piazzata lì da Hamas per monitorare i movimenti dei combattenti”. Questa è l’ennesima menzogna di una propaganda senza freni inibitori. Sono duecentottanta gli operatori dei mezzi di comunicazione e di informazione morti, nella Striscia di Gaza, dal 7 ottobre del ’23. È una cifra da Guinness dei primati, ma di quello stampato nelle tipografie dell’inferno. Ciò che è avvenuto nell’ospedale Nasser di Khan Younis non è una disgrazia, non è un incidente: è un’azione predeterminata, un pluriomicidio premeditato. Il rischio che pian piano si sta profilando all’orizzonte è che la menzogna ripetuta in maniera insistente e dilagante diventi la verità. Le dimensioni del massacro dei palestinesi, la devastazione della Striscia di Gaza, la carestia utilizzata come arma di guerra, l’assassinio dei giornalisti e dei testimoni non sono opinioni, sono fatti, veri, concreti e reali. Eppure c’è ancora in giro chi sostiene, senza vergogna, che tutto questo è una falsità, che tutto questo orrore accade per colpa dei palestinesi che non defenestrano i leader di Hamas. Che, poi, è la stessa accusa che si potrebbe rivolgere agli israeliani. Malgrado i dissensi, le manifestazioni, le contestazioni, le dimostrazioni, tutti i cortei, tutti gli scioperi, c’è gente incline a credere a Netanyahu, inseguito, come Putin, da un mandato come criminale di guerra della Corte penale internazionale, il quale sostiene che la carestia è una bufala e la maggior parte dei morti sono terroristi. Perfino i suoi servizi di sicurezza lo smentiscono: più dell’ottanta per cento delle vittime nella Striscia di Gaza sono civili. Tuttavia Netanyahu, non solo bolla tutti come bugiardi – dagli operatori umanitari alle ong, dal personale medico e sanitario ai sopravvissuti – ma cerca di eliminare tutte le fonti con la strage sistematica e stabilita dei giornalisti palestinesi. La strategia di chi ripete che la carestia e la fame sono una invenzione, nega ogni responsabilità, ripete che i morti sono terroristi o scudi umani, mette in dubbio tutte le cifre, contesta la veridicità di video e contraddice quanto scritto su un certificato di morte, è una strategia così assurda e tanto bizzarra che si fa fatica a credere al suo successo. E invece di successo ne ha, eccome. Ci si potrebbe accontentare della banale e sbrigativa spiegazione che una menzogna, presentata e ripetuta all’infinito, diventa verità, ma in un certo senso non basterebbe. L’idea e poi l’azione di colpire con un secondo attacco l’ospedale dove medici e paramedici tentano di strappare alla morte vite umane mentre giornalisti arrivano per raccontarlo, e poi dire con sfacciataggine, con sfrontatezza, con spudoratezza, che si è trattato di un errore, non possono far parte nemmeno delle prese in giro più illogiche e folli. È la conseguenza della impunità assoluta, completa che è stata concessa a Netanyahu. Le imboscate e i trabocchetti verso gli operatori dei mezzi di comunicazione e di informazione sono la causa e la conseguenza di tale concessione: è evidente che se si vuole mettere in atto la deportazione o la decimazione di una popolazione con operazioni che non lascino margini di reazione, bisogna non avere testimoni importuni sul terreno. In sostanza si uccidono i giornalisti per poter attuare tali operazioni. Nei giorni, nelle settimane e nei mesi immediatamente dopo il 7 ottobre del 2023 era praticamente impossibile citare la Nakba, cioè l’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi del 1948: erano sommersi dalle offese i post relativi all’argomento, mentre la stampa occidentale si presentava come un monolite con rarissime eccezioni di parte. Si rischiava di essere criminalizzati: chi si permetteva l’uso di tale parola doveva poi dichiarare la propria lontananza dal terrorismo islamico. Ma quella diga non poteva tenere i milioni di metri cubi di quella ondata di carneficine, di eccidi, di massacri, di stermini. Talvolta sembra quasi impossibile fermare quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza, soprattutto perché nessun governo appare avere la forza delle decisioni importantissime e indispensabili. E a fondamento del loro immobilismo e della loro inattività forse c’è una opinione, diffusa in settori della classe politica mondiale, che accetta, presta fede e lascia spazio alle menzogne più indecenti. Questa è la vittoria della propaganda di Netanyahu: la indolenza e la indifferenza della maggior parte dei governi del mondo per quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza e adesso anche nella Cisgiordania, con l’effetto dell’ispessimento della sua impunità. E che nome dare a quel che succede laggiù? Soluzione finale?

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Gaza sotto assedio

Striscia di Gaza, card. Pizzaballa: “Trasferire le popolazioni è immorale, oltre che contrario alle convenzioni internazionali”

ph Abouna.org
29 Ago 2025

“La situazione che si sta vivendo oggi a Gaza è molto grave. La parte sud della città è stata quasi completamente rasa al suolo, al nord l’80% è distrutto. Manca il cibo. Inoltre, e non ne parla nessuno, per il terzo anno i bambini non potranno andare scuola. Non arrivano le medicine: senza antibiotici è complicato curare i feriti. Molti vivono nelle tende, senza nulla, senza privacy”. Lo ha raccontato il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, intervenendo in diretta via streaming a un incontro svoltosi nella chiesa del Carmine a Pavia. Un appuntamento organizzato dalla diocesi pavese che, insieme alla Caritas, ha promosso una iniziativa di solidarietà per sostenere le popolazioni di Gaza, con una raccolta di fondi che ha superato i 120mila euro. Il card. Pizzaballa sarebbe dovuto essere presente a Pavia anche per presiedere oggi la celebrazione di chiusura della festa di S. Agostino, ma ha dovuto rinunciare al viaggio per l’aggravarsi della situazione in Medio Oriente. A riportare la notizia è il settimanale diocesano “Il Ticino”. “La gente si sente perduta – ha aggiunto il patriarca – non c’è una strategia di uscita. Si vuole distruggere Hamas: ma si potrà al limite distruggere l’attuale dirigenza, non l’ideologia che la sostiene. Trasferire le popolazioni, come si vuol fare a Gaza, è immorale, oltre che contrario alle convenzioni internazionali.
Queste situazioni hanno un grande impatto sulla vita della gente – ha aggiunto il cardinale -. Sono stato tre volte a Gaza dall’inizio delle guerra e l’ultima é stata la più complicata; le persone con il passare del tempo perdono la speranza, c’é un grande senso di disorientamento. Per me e per la mia comunità é importante avere uno sguardo di fede su ciò che sta accadendo, non ci si può limitare alla cronaca di quello succede. La fine della guerra non sarà la fine del conflitto: noi dobbiamo fare tutto il possibile per tenere viva l’umanità”. Il vescovo Corrado Sanguineti ha ringraziato il card. Pizzaballa per il suo intervento, seguito da una platea che ha gremito la chiesa del Carmine e da circa mille spettatori che hanno visto la diretta sul canale Youtube della diocesi di Pavia.

 

 

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Ecclesia

Settimana liturgica nazionale, mons. Maniago: “Diventare ciò che celebriamo”

ph Sir
29 Ago 2025

di Doriano Vincenzo De Luca

La 75ª Settimana liturgica nazionale si chiude a Napoli con una grande partecipazione di studiosi, pastori e fedeli. Sono stati giorni intensi, segnati da tre parole chiave — contemplazione, azione e speranza — che hanno fatto da filo conduttore ai lavori. Abbiamo chiesto a mons. Claudio Maniago, presidente del Centro di Azione liturgica, di tracciare un bilancio di questa edizione, che si è svolta nel cuore della città partenopea, sotto il segno della liturgia e della testimonianza di San Gennaro.

Monsignor Savino, vice presidente della Cei, ci ricordava ieri che la Settimana liturgica non si conclude, ma apre laboratori di riflessione e azione. Le tre parole-chiave sono state contemplazione, azione e speranza. Come le interpreta?
La Settimana liturgica vive dello stesso dinamismo della liturgia, che il Concilio Vaticano II definisce “fonte e culmine” della vita cristiana. Non è una settimana in cui si danno nuove regole o si lanciano mode liturgiche. Lo scopo è approfondire, e in questi giorni è stato detto con chiarezza: la liturgia non è uno spettacolo da guardare, ma un’esperienza che coinvolge tutta la vita. Partecipare non significa semplicemente chiedere una grazia o ricevere qualcosa di utile, ma entrare in un incontro vivo con il Signore. La contemplazione non è evasione dalla realtà, ma capacità di guardare più a fondo, per leggere la vita alla luce di Dio. E da questa esperienza scaturisce sempre un’azione, un impegno concreto che continua anche quando si torna a casa, nelle comunità, nelle relazioni quotidiane.

 

Molti interventi hanno insistito sulla “trasformazione” che nasce dalla liturgia. Cosa significa concretamente?

Vuol dire diventare ciò che si celebra. La liturgia è un incontro con Cristo vivo, non un rito astratto. Benedetto XVI lo aveva espresso chiaramente: non celebriamo un’idea, ma una persona. Per questo la liturgia trasforma la nostra vita, ci rende più vicini agli altri, soprattutto ai più fragili e smarriti. Ogni celebrazione ci ricorda che è “veramente cosa buona e giusta” conformare le nostre parole e le nostre scelte al Vangelo, non come dottrina teorica ma come vita. In questo modo ognuno, con la propria originalità, diventa testimone del Signore.

Questa Settimana liturgica è stata segnata anche dal prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro. Per un non napoletano, che esperienza è stata?
Avvicinarsi a questo evento straordinario significa farlo con rispetto e quasi in punta di piedi. Ho percepito quanto questo segno sia importante per i napoletani, come conferma e sostegno della fede. Devo ammettere che ho vissuto anch’io un momento di emozione: mi hanno detto che sul mio volto si vedeva la tensione, quasi aspettando che il miracolo avvenisse, e poi il sollievo quando il sangue si è sciolto. Non è un fatto scontato. La pietà popolare, se ben vissuta, non si contrappone alla liturgia ma la sostiene: i santi, con le loro reliquie, ci ricordano che sono accanto a noi, ci rimandano a Cristo. E San Gennaro, per Napoli, è un grande testimone di Gesù.

Il cardinale Parolin ha parlato dello ‘stupore’ da riscoprire nella celebrazione. Altri relatori hanno sottolineato il valore del silenzio e della trasfigurazione. Ma come può tutto questo conciliarsi con la vita frenetica dei parroci e delle comunità, sempre pressati da richieste e scadenze?
Viviamo in un mondo che corre troppo, e questo ci impoverisce. La liturgia ha una forza terapeutica: ci guarisce dalla frenesia che rischia di renderci superficiali, incapaci di fermarci accanto alle persone e alle loro ferite. Non è un rifugio che ci allontana dal mondo, ma una spinta a viverlo in profondità.
La liturgia ci ricorda che è sempre il Signore a guidare la nostra vita: non possiamo lasciarci travolgere dagli impegni, ma imparare a ritrovare nel silenzio e nella celebrazione lo sguardo contemplativo che ci permette di riconoscere Cristo all’opera nel volto di chi soffre e chiede la nostra vicinanza. Come diceva don Tonino Bello, il contemplativo è colui che sa vedere Dio nella vita di tutti i giorni, nei fratelli e nelle sorelle che incrociamo.

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Diocesi

Festa di santa Teresina, a Specchia tarantina (Martina Franca)

29 Ago 2025

di Angelo Diofano

I residenti e i villeggianti di contrada Specchia tarantina (fra Martina Franca e Villa Castelli, strada provinciale 66) festeggiano santa Teresina, venerata nella omonima chiesetta.
In preparazione alla festa (che verrà anticipata all’ultima domenica di agosto, secondo vecchia tradizione) fino a sabato 30 agosto, alle ore 19 ci sarà la recita del santo rosario e alle ore 19.30 la santa messa celebrata dal parroco del santuario della Madonna della Sanità, don Damiano Nigro, di cui dipende la chiesetta.

Domenica 31, la santa messa delle ore 9.30 sarà presieduta dal nostro arcivescovo, mons. Ciro Miniero;  alle ore 17.45 ci sarà la processione per le vie della contrada, accompagnata dalla banda musicale di Villa Castelli. Al rientro, alle ore 19.30, la santa messa verrà celebrata da don Damiano Nigro. Seguirà, alle ore 20.45, sul piazzale della chiesa illuminato a festa dalla ditta Paciello di Monopoli, lo spettacolo di musica e danze popolari della band ‘Giumentaro Ensemble’, momento di gioia per permettere alle famiglie di stare insieme e fare comunità. Alle ore 22.30, infine, spettacolo pirotecnico della ditta Itria Fireworks di Martina Franca.

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Diocesi

Veglia al seminario per la canonizzazione di Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis

29 Ago 2025

di Angelo Diofano

L’équipe giovani di Azione Cattolica della nostra diocesi invita a partecipare alla celebrazione di canonizzazione congiunta dei beati Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che avverrà domenica 7 settembre in piazza San Pietro, presieduta da papa Leone XIV. 
L’evento era stato originariamente previsto in date separate sempre in questo Anno santo, ma poi è stato riprogrammato per una cerimonia unificata.
In preparazione alla cerimonia, sabato 6 alle ore 20 o giovani e i loro educatori si ritroveranno al seminario minore di Poggio Galeso per una veglia da vivere tutti insieme dal titolo ‘Diventiamo santi insieme’. Al termine, per chi ne avrà dato l’adesione, si partirà per Roma per la celebrazione della canonizzazione.

Per ogni informazione e per l’iscrizione al pellegrinaggio (dai 15 anni in su, aperto anche ad adulti ed educatori), compilare il modulo cliccando sul link https://forms.gle/iTUUocESoPHdiRhR8.

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Presentazione libro

A Grottaglie la presentazione de “La ballata di Alda e Michele” di Silvano Trevisani

28 Ago 2025

Giovedì 28 agosto, alle ore 19, sulla Terrazza Caretta, via Caravaggio 2 (Quartiere delle Ceramiche) a Grottaglie, sarà presentato il libro di Silvano Trevisani: “La ballata di Alda e Michele”, che ha per sottotitolo: “L’intelletto e la carne” (da un verso di Michele Pierri), Giuliano Ladolfi editore. Si tratta di un poemetto che indaga sulla storia d’amore tra due grandi poeti: Alda Merini e Michele Pierri.

Introduce e coordina il presidente del circolo culturale “Giuseppe Battista”, Ciro Marseglia. Dialoga con l’autore, Lilli D’Amicis, giornalista e direttore di Oraquadra.info. Leggeranno alcuni brani gli attori Imma Naio e Lino Basile.

L’iniziativa è del circolo culturale “Giuseppe Battista”, da molti anni attivo nel territorio, nell’ambito del programma culturale 2025, in collaborazione con alcuni enti e associazioni.

Fu un grande, intenso amore tra due poeti quello tra Alda Merini e Michele Pierri. Breve perché la vita di Pierri era avanzata, ma fondamentale per entrambi. Per quattro anni si amarono a distanza, con un interminabile dialogo fatto di lunghe telefonate e dense lettere. Per altri quattro furono sposi e vissero insieme a Taranto. In quel periodo videro la luce le opere fondamentali della produzione poetica di Alda. Su quel loro grande, drammatico amore, è poi calato un velo di dimenticanza. In parte voluto, in parte naturale. Ed è proprio attraverso la poesia, strumento unificante, che Silvano Trevisani, loro amico negli anni di Taranto, dà ancora voce alla loro storia d’amore.

Il volume si apre con una poesia inedita che la poetessa dei Navigli scrisse per Trevisani quando, giovano giornalista del “Corriere del giorno di Puglia e Lucania” di Taranto, ebbe modo di frequentare la loro casa.

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Eventi culturali in provincia

Il libro di Angelo Campo sulla storia della chiesa madre di Carosino

28 Ago 2025

di Floriano Cartanì

Nei giorni scorsi l’atrio del castello D’Ayala Valva ha ospitato un importante momento culturale fatto di storia, emozioni e memoria: la presentazione del libro di Angelo Campo intitolato “S. M. de Carosino per divin miraculi”, dedicato alla storia della chiesa madre di Santa Maria delle Grazie. Si è trattato di un vero e proprio viaggio nel cuore spirituale storico di Carosino, dove la devozione mariana si intreccia con la storia, l’arte e la voce stessa del popolo carosinese. L’atrio interno del castello, gremito in ogni ordine di posti, ha accolto con grande calore l’autore del libro assieme al parroco don Filippo Urso, al sindaco Onofrio Di Cillo e Cosimo Monteleone, in un evento che ha saputo unire con garbo istituzioni, comunità e cultura. Angelo Campo nel parlare del libro ha catalizzato l’attenzione dei presenti, con una narrazione che ha superato la dimensione della semplice cronaca dei fatti per farsi testimonianza viva attraverso la sua ricerca. Campo ha parlato con la passione di chi ha vissuto ogni pagina del suo libro scritto, quasi fosse un atto di restituzione alla sua comunità di ciò che, come storia religiosa e come certificazione fatta da evidenze documentate sul suo passato, già gli apparteneva, il santuario mariano ad esempio. Proprio per tali motivi, questo volume di Angelo Campo è sembrato nascere dal bisogno di dare voce più completa a una storia locale che rischiava di perdersi, riportando alla luce documenti importanti, immagini e memorie che raccontano non solo il culto e l’edificio sacro di una chiesa, ma l’anima stessa di Carosino e del suo popolo. Con tono pacato ma competente, vibrante e intenso, Campo ha ripercorso le tappe salienti della propria ricerca, sottolineando gli anni e le fatiche costategli.

Dagli archivi, partendo da quello parrocchiale, alle testimonianze orali, dalle fotografie d’epoca e documenti storici di un certo rilievo, si è passati alle iscrizioni evidenziate sull’effige della Madonna di Carosino, conservata al centro dello stupendo dossale iconico intagliato in pietra leccese: ogni elemento è stato trattato, documentato, con rigore e rispetto storici. Il cuore del libro sono ovviamente gli avvenimenti che hanno interessato la chiesa di Santa Maria delle Grazie: un’antica cappella divenuta poi santuario mariano, noto per i miracoli attribuiti alla Vergine e per il culto che ha saputo attraversare diversi secoli. Campo attraverso questo studio ha anche evidenziato come la devozione popolare abbia plasmato non solo la spiritualità di questo luogo, ma anche la sua identità sociale, divenendo rifugio, speranza, punto di riferimento: è lì che si sono intrecciati i destini di generazioni intere dell’antico casale carosinese. L’autore ha inoltre sottolineato il valore artistico e architettonico dell’edificio sacro in parola, soffermandosi su dettagli spesso trascurati o non completamente e giustamente decifrati: affreschi, altari, ex voto, elementi che raccontavano una fede concreta, vissuta anche dalla nobiltà del tempo.

Da Campo, l’invito alla comunità a custodire la memoria, valorizzare il patrimonio, continuare a raccontare: “Questo libro – ha detto – è solo un altro punto di partenza per gli studiosi che vorranno interessarsi di questa chiesa”. La presentazione si è conclusa lasciando in chi ha assistito la sensazione di aver partecipato a qualcosa di più grande e importante: un rito collettivo di riconoscimento e gratitudine. Il libro di Angelo Campo non è allora solo un’opera di studio, ma può rappresentare validamente un ponte tra passato e presente, tra fede e cultura: una sorta di tributo alla memoria locale, “per divin miraculi” e per umana devozione alla Madre Celeste.

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Ecclesia

Serata sulla legalità a Torricella

28 Ago 2025

di Angelo Diofano

Domenica 31 agosto, a Torricella, Francesco Mandoi, già sostituto procuratore nazionale antimafia, presenterà il libro ‘Né eroe né guerriero’. L’evento, dal titolo ‘Serata d’autore’, avrà luogo alle ore 20 alla cantina vinicola Cicella a cura dell’Associazione viticoltori indipendenti e del circolo Mcl ‘Torricella nel Cuore’, in collaborazione con l’operatore culturale Giuseppe Semeraro.

 Il programma della serata prevede i saluti istituzionali di Michele Schifone, presidente dell’Associazione viticoltori indipendenti, e di Grazia Pignatelli, presidente del circolo Mcl di Torricella. Dialogherà con il dott. Francesco Mandoi, il dott. Remo Epifani, sostituto procuratore della Repubblica di Taranto, e modererà l’incontro l’avv. Maria Antonietta d’Elia, vicepresidente del Circolo Mcl di Torricella.

Presenzieranno l’arcivescovo emerito di Scutari, il sammarzanese mons. Angelo Massafra, il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Eugenia Pentassuglia, autorità civili, militari e religiose e associazioni del territorio.
“Continua il nostro impegno sui temi della legalità e nella formazione alla cittadinanza attiva – afferma Grazia Pignatelli, presidente di Mcl di Torricella –. La condivisione con l’Associazione dei viticoltori indipendenti e con altre associazioni del territorio è la testimonianza che la rete fa costruire cantieri di legalità”.

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Fede & cultura

Tra inquietudine e speranza: oggi, 28 agosto, ricorre Sant’Agostino d’Ippona

28 Ago 2025

di Giada Di Reda

Oggi, 28 agosto, la Chiesa celebra la memoria di Sant’Agostino, padre e dottore della Chiesa, la cui eredità risuona sempre più attuale e vicina al cuore dell’uomo. Una conversione avvenuta in età adulta, un pensatore instancabile e cercatore di verità, egli è testimone di un cuore inquieto che trova pace solo in Dio. È eloquente il fatto che oggi, a guidare la Chiesa ci sia Leone XIV, un agostiniano, custode e portatore di questa preziosa eredità nel mondo.
Il suo percorso spirituale verso la conversione è raccontato nelle Confessiones, opera che ancora oggi ha tanto da raccontare ad un’umanità che nel pieno del XXI secolo, vive nel pieno di una ricerca di senso, sperimentando quotidianamente il vuoto e la solitudine di un mondo le cui connessioni spesso sono solo virtuali.

Agostino nacque a Tagaste nel 354, fu educato da sua madre Monica (la cui memoria liturgica ricorre il 27 agosto) alla fede cristiana, che esso abbandonò in gioventù per inseguire i piaceri, il successo, la vita dissoluta e le filosofie di moda in quel tempo. Fu proprio il suo cuore inquieto a spingerlo ad aderire a diverse correnti, tra cui il manicheismo, quest’ultimo basato sull’esistenza nel mondo di due sostanze o principi contrapposti, impegnati in una eterna lotta: una sostanza divina, il bene, che, come la luce, illumina il mondo e ne è lo spirito vivificatore; una sostanza materiale, il male, che, come le tenebre, è presente nel mondo come materia bruta. L’incontro a Milano con il vescovo Ambrogio, lo porterà ad una nuova riscoperta del Vangelo e successivamente al battesimo nel 387.
Ci hai fatti per Te, e inquieto è il nostro cuore finchè non riposa in Te” (Confessiones, I,1,1).
L’inquietudine con cui l’ipponate apre la sua opera, supera la chiusura di un’esperienza personale, ponendosi come verità universale. Una condizione che conduce l’uomo verso una ricerca costante, continua. Una tensione che lo spinge verso il desiderio di un bene più grande.
Seppur scritta tra il 397 e il 400 d.C., l’opera riporta alla dimensione in cui oggi abita l’uomo contemporaneo. In un mondo complesso, veloce, in cui il cambiamento è all’ordine del giorno e lo spazio per i pensieri e la riflessione va sempre diminuendo, l’essere umano avverte un bisogno insaziabile di senso.
In questo contesto, il pontificato di Leone XIV si carica di ulteriori significati. Egli ha posto sin dal principio, al centro della sua missione, la pace, la verità e la fraternità; valori guidati dai pilastri della spiritualità agostiniana, ovvero la ricerca interiore, la vita comunitaria e l’amore nella sua forma assoluta: l’Agape.

Un’eredità, quella di Sant’Agostino, riproposta in una chiave attuale e apertura al mondo da papa Leone, che può offrire delle risposte concrete alle sfide attuali. Un’azione pastorale guidata da un sentimento che non rappresenta un limite, ma una spinta ad andare oltre: a ricercare e proporre al mondo concreti cammini speranza.

 

 

 

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Diocesi

Seminaristi e diaconi in cammino

Formazione e fraternità nel suggestivo golfo di Sorrento

28 Ago 2025

Dal 21 al 25 agosto si è tenuto il campo estivo dei seminaristi dell’arcidiocesi di Taranto, un’importante occasione che li ha visti impegnati in incontri di fraternità e discernimento, vissuti sotto la guida attenta del rettore del seminario minore di Poggio Galeso, don Francesco Maranò, e del nostro arcivescovo, monsignor Ciro Miniero.
Destinazione è stata la costiera di Sorrento, una località di elevato valore naturalistico e spirituale, dove il Vesuvio che domina con la sua imponenza il golfo ha fatto da sfondo a giornate dedicate all’ascolto delle condivisioni personali sull’anno formativo concluso.

L’esperienza si è sviluppata attraverso diverse fasi significative. In primo luogo, il campo ha rappresentato un’opportunità per i seminaristi di approfondire la reciproca conoscenza e consolidare legami che un giorno si vedranno concretizzarsi all’interno del presbiterio diocesano.
Nei giorni trascorsi insieme i giovani, hanno avuto modo di far visita al Santuario della Madonna del Rosario di Pompei, approfondendo la figura del Beato Bartolo Longo, apostolo del Rosario e fondatore del Santuario, che il prossimo ottobre sarà proclamato santo. Proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di Maria Regina, oltre a consegnare il loro cammino vocazionale alla Vergine, hanno condiviso l’eucaristia presieduta da don Francesco Maranò d’innanzi alla venerata icona posta sull’altare maggiore. Durante la celebrazione è risuonato forte il grido della pace: tutti uniti nella supplica per le vittime della guerra e per i popoli che ancora oggi sono traviati da violenza e conflitti. Particolarmente significativa è stata la visita alla Basilica di Santa Croce a Torre del Greco, nella quale oltre ad ammirare le bellezze storico-artistiche i giovani hanno potuto conoscere la significativa figura di San Vincenzo Romano, noto al popolo torrese come il ‘prete faticatore’. Un’autentica figura di sacerdote che ha speso le sue energie e la sua vita di instancabile parroco, vicino ai poveri e a tutti coloro che erano fuori dalla chiesa. Visitando la sua casa è stato possibile notare l’attaccamento della cittadina verso il suo curato e il profondo amore che San Vincenzo ha nutrito per Cristo e per i sacerdoti della diocesi. Questa testimonianza ha acceso nei seminaristi un rinnovato desiderio di servire il Vangelo con umiltà e dedizione.Accanto a questi momenti di profonda riflessione non sono mancati spazi di gioia e condivisione fraterna, come la giornata trascorsa al parco acquatico “Valle dell’Orso” e la visita guidata ai luoghi caratteristici della città di Sorrento, curati da suor Teresa direttrice dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Taranto.
Il tutto ha trovato il culmine nella celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo nella Cattedrale segno di comunione e di riconsegna a Cristo del cammino vissuto insieme.

Non è mancato da parte dell’arcivescovo un momento di ascolto dei desideri e delle fatiche di ciascuno, incoraggiandoli a proseguire il loro percorso. Le sue parole hanno richiamato i giovani all’essenzialità di testimoniare il Regno di Dio. I seminaristi e i diaconi hanno avuto modo di esprimere più volte la gratitudine per questi giorni, riconoscendoli come segno che il cammino verso il ministero ordinato non è un percorso solitario, ma un viaggio condiviso, nella convinzione che il Signore continui a chiamare e a guidare la sua Chiesa con la forza dello Spirito.

a cura di Francesco Scolozzi 5° anno e Gianluca Dioguardi 1° anno

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Ecclesia

Retrouvaille: un aiuto per le coppie in crisi

28 Ago 2025

Quest’anno il ‘Programma Retrouvaille’ per le coppie in crisi della Puglia sarà ospitato dal 25 al 27 settembre a Casa S. Paolo-Martina Franca (per iscrizioni, 800123958 – numero verde solo da fisso – 3518566874 – da mobile).
Il programma è nato in Canada negli anni settanta e opera in Italia dal 2002 su richiesta e supporto dell’ufficio famiglia della Cei. Retrouvaille è un’esperienza cristiana cattolica, il cui nome in francese significa “ritrovarsi”, che si occupa specificatamente ed esclusivamente delle crisi di coppia. Si basa su due pilastri fondamentali: una tecnica di dialogo e la testimonianza della vita data da coniugi, a loro volta passati attraverso il recupero di una relazione compromessa. Si tratta di un servizio esperienziale offerto a coppie sposate sacramentalmente o civilmente, conviventi, a coppie separate o divorziate che intendono seriamente ricostruire la relazione d’amore, destinato anche a sacerdoti o religiosi che vogliono conoscere ed eventualmente impegnarsi nell’accompagnamento delle coppie in crisi.

Retrouvaille è strutturato in 3 fasi. La prima è l’iscrizione, che esprime la volontà di entrambi di voler tentare di guarire la relazione.La seconda è il weekend (tenuto da tre coppie presentatrici ed un sacerdote) dove si apprende una tecnica di dialogo e si ascoltano le testimonianze delle coppie presentatrici e del sacerdote. Il tutto inizia con la cena del venerdì e si conclude la domenica pomeriggio con la celebrazione eucaristica; i partecipanti non parlano in pubblico di questioni personali. La terza fase consiste nel cammino successivo al weekend (inizia normalmente la domenica seguente), con 12 incontri a cadenza settimanale, ognuno della durata di circa due ore.

Nel 2021 Papa Francesco, accogliendo l’associazione in udienza privata, ha apprezzato l’impegno delle coppie del servizio provenienti da tutto il mondo ed ha messo in evidenza l’importanza dell’accompagnamento alle coppie “che vivono una crisi seria nella loro relazione”. Ha poi riconosciuto che l’esperienza Retrouvaille “È un dono prezioso sia sul piano personale sia sul piano ecclesiale. Oggi c’è tanto bisogno di persone, di coniugi che sappiano testimoniare che la crisi non è una maledizione, fa parte del cammino, e costituisce un’opportunità”.

La testimonianza di Dario e Pina

“Siamo di Taranto, sposati da 40 anni, con 3 figlie e 5 nipotini. Abbiamo conosciuto e vissuto l’esperienza Retrouvaille nel 2007 e da allora, dopo aver tratto grandi benefici per la nostra relazione, prestiamo servizio nell’associazione. Retrouvaille è un percorso alla pari tra coppie che hanno sperimentato difficoltà nel loro matrimonio superandole e altre coppie che stanno vivendo le loro stesse difficoltà. Nella nostra esperienza di vita abbiamo attraversato la crisi di coppia ma abbiamo scelto di sperare che un futuro insieme era ancora possibile e abbiamo provato la gioia di ricostruire un rapporto di coppia ancor più saldo di prima. Anche noi all’inizio della nostra storia ci sentivamo attratti e coinvolti l’uno dall’altro, entusiasti nel vivere il nostro amore in piena libertà e carichi di energia. Tra noi c’era complicità ed entusiasmo. Poi è arrivata la delusione, abbiamo cominciato a guardarci con distacco, a giudicarci e criticarci, a perdere la fiducia e a darci per scontati. I figli, il lavoro, le famiglie d’origine non erano più valori comuni di cui insieme prendersi cura, ma problemi che ognuno affronta e risolve a suo modo. Ognuno faceva la sua vita e coltivava i suoi hobby. All’esterno continuavamo ad apparire una coppia felice, ma tra noi si era innalzato un muro che ci allontanava ogni giorno di più dalla promessa matrimoniale. Non siamo stati capaci di condividere questa nostra situazione con la comunità e con gli amici. Poi è arrivata anche la disperazione che è stata il frutto di tutte le nostre reciproche mancanze quotidiane, del malessere a cui era giunta la nostra relazione. Il tradimento, le chiusure, la depressione fino alla convinzione che non c’era altra via d’uscita che la separazione, che non c’era più spazio per la misericordia. Ci siamo allontanati dai sacramenti e da Dio. Abbiamo perso il contatto con la vocazione per cui ci siamo impegnati nel sacramento del matrimonio e rotto l’alleanza con Gesù sposo della nostra relazione d’amore. Di fronte alla crisi e alle conseguenze sulla nostra relazione ci vedevamo disarmati e spaventati: A chi veramente poteva stare a cuore la nostra situazione? Dove trovare la forza? Chi poteva darci ancora il coraggio di sperare in un futuro diverso dalla disperazione di oggi?  Poi una luce in quel buoi pesto: nostro amico un sacerdote ci ha indicato la possibilità di partecipare al programma Retrouvaille. Da lì tutto è cambiato, da lì la rinascita. Il programma Retrouvaille ci ha dato il coraggio, nel nostro periodo più buio, per andare avanti non solo per resistere, ma per cominciare a perdonarci e ad accettarci nelle nostre fragilità; il coraggio di trasformarci piuttosto che conformarci alla mentalità della separazione e di chi dice che la crisi non si può superare. È stata una grazia ma anche una decisione di entrambi nonostante le ferite e i sentimenti spiacevoli che provavamo. Tutto ciò non è stato immediato, ma un percorso, un cammino, un’esperienza di vita e di crescita. Non ci siamo indignati e chiusi nel nostro orgoglio ferito. Abbiamo chiesto aiuto a Dio nella preghiera e anche se con evidenti difficoltà e sofferenza ci siamo predisposti ad aprire il cuore alla comprensione. Abbiamo capito che in forza del sacramento del matrimonio che ci univa dovevamo restare e combattere per salvare noi e le nostre figlie dal dolore di una separazione. Abbiamo riconosciuto di nuovo la nostra vocazione sponsale e la nostra alleanza con Gesù, sposo della nostra relazione d’amore. Le coppie che ci hanno accolto nel percorso di ricostruzione della relazione hanno rappresentato la nostra speranza e, per aver sperimentato loro stesse la nostra sofferenza, ci hanno compresi e accolti e con l’aiuto di strumenti qualificati ci hanno aiutato a guarire la nostra relazione ferita. Con la Grazia di Dio ci siamo infine “ritrovati”.
Retrouvaille ci ha fornito gli strumenti per ricostruire, partendo dal dialogo e l’ascolto, come gestire in maniera sana i nostri conflitti, il perdono, il ridarsi fiducia. E abbiamo capito che la crisi è un’opportunità, per crescere nella relazione, per trasformare il sentimento d’amore iniziale in un sentimento d’amore più profondo e maturo”.

 

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