Giubileo2025

Giubileo dei giovani: il diario di bordo dei ragazzi tarantini

foto istituto Maria ausiliatrice
08 Ago 2025

di Valentina Franzese

Esistono le parole giuste per descrivere e raccontare tutto ciò che ho, e abbiamo, vissuto a Roma dal 28 luglio al 3 agosto? Esiste il modo più corretto per rendere davvero l’idea di quanta gioia abbia portato nel mio cuore vivere queste giornate, diventando parte di questa grande felicità collettiva? Probabilmente no. Essere lì, in mezzo a quel miliardo di ragazzi provenienti da tutto il mondo, pronti a vivere l’uno di fianco all’altro, con il cuore puro e aperto al prossimo, come se ci conoscessimo da sempre, è stato uno dei doni più grandi e preziosi che potessi ricevere nella mia vita. Mai, un anno fa, avrei pensato di riuscire ad esserne parte viva e pulsante. Ben presto la fatica, il caldo, la stanchezza per i tanti chilometri percorsi sono stati immediatamente sostituiti e ripagati da grandi sorrisi smaglianti e occhi pieni di luce, in uno scintillio destinato a durare nel tempo. Il Giubileo dei Giovani non è stato solo un evento, non è stato solo un raduno di ragazzi: è stata un’esperienza di vita e di cuore destinata a cambiarmi e a cambiarci da dentro. Un viaggio, un cammino fisico e spirituale che ci ha toccati in profondità.

foto istituto Maria ausiliatrice

Se provo a chiudere per qualche secondo gli occhi sento ancora le voci, i tamburi di Tor Vergata, i canti nella metro e per le strade di Roma, le preghiere del mattino, prima di partire verso la nuova avventura del giorno o della sera, prima di ricaricare le batterie in vista del nuovo giorno. Sento ancora Roma che respira e vive al ritmo caotico, allegro e gioioso, dei passi di un miliardo di giovani, arrivati da ogni angolo del mondo con un unico obiettivo: vivere insieme, in comunione, la fede. Quello vissute da me e da tutto il gruppo della Pastorale giovanile di Taranto, è stato un incontro colmo di grazia, una festa dell’animo, un grande abbraccio universale. Ed io ero proprio lì, insieme a tutti quei ragazzi, e porto con me ogni istante vissuto.

Lunedì 28 (primo giorno): tra partenza e arrivo, la Chiesa Santa Maria Consolatrice di Casal Bertone ci accoglie con curiosità e affetto sincero

Non è ancora alba quando la mia sveglia inizia a suonare. Il cuore batte forte, e non solo per l’agitazione: sta per iniziare qualcosa di grande che, nonostante i racconti di chi prima di me era stato a Tor Vergata nel 2000 con Giovanni Paolo II, si è rivelato ancora più grande e inaspettato. Sono un po’ in pensiero, conosco le mie compagne di viaggio provenienti come me dall’oratorio delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Taranto ma non conosco nessuno degli altri ragazzi anche loro si riveleranno, pian piano, una sorpresa da scoprire. Il cuore è pieno di aspettative per ciò che vivrò nei giorni successivi, così come le nostre borse e i nostri zaini. Il viaggio in pullman è fatto di canti, battute, attese e bracciali da intrecciare e scambiare successivamente con i pellegrini di tutto il mondo. Ma è stato una volta arrivati nella parrocchia Santa Maria Consolatrice, a Casal Bertone, in cui ho pensato, per la prima volta: “ci siamo, ci siamo davvero! Il nostro viaggio sta iniziando!”. Al nostro arrivo ci hanno accolti tanti volti nuovi sorridenti che, con il passare delle giornate sarebbero diventati familiari. È stato come ritrovarsi immersi in una grande famiglia che, pur non conoscendosi ancora, parlava già la stessa lingua: quella dell’amore cristiano.

Una volta sistemati in struttura, distesi i nostri materassini e nostri sacchi a pelo, abbiamo percepito immediatamente il forte senso di accoglienza e affetto, sinceri, da parte di chi ci ospitava. Il parroco, don Luigi, le signore che nei giorni successivi ci hanno spesso preparato la cena, e Matteo, che dalle mattine seguenti è diventato la nostra guida e punto di riferimento preziosissimo, non hanno mai esitato dal farci sentire a casa e di casa. La cena è dunque proseguita tutti insieme, in grande momento di convivialità con un altro gruppo di pellegrini provenienti dall’Argentina, con la comunità parrocchiale e i suoi giovani animatori. Tutti insieme ci siamo uniti tra canti e balli scoprendoci, per la prima volta, più vicini che mai, tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Era solo l’inizio, ma già si respirava un’aria diversa. Un’aria che sapeva di fraternità, di pace, di gioia vera e palpabile. E intanto, Roma ci guardava con il suo sguardo antico e secolare pronta ad accoglierci con un sorriso nuovo.

Martedì 29 (secondo giorno): il mio abbraccio a papa Francesco, il mio personale momento per dirgli grazie

Non dimenticherò mai quanto sia stato importate ed emozionante per me entrare a Santa Maria Maggiore, una delle basiliche papali più antiche e belle di Roma. È proprio lì che si trova l’icona della Salus popoli romani, “la protettrice del popolo romano”, che papa Bergoglio tanto amava e visitava prima di ogni viaggio apostolico. La lunga fila sotto il caldo sole romano è stata ripagata da un momento per fondamentale in questo viaggio, la visita alla tomba di Papa Francesco. Questo rappresentava per me una delle cose a cui mai e poi mai avrei voluto rinunciare, il mio personale momento per ringraziarlo per tutto ciò che è stato il suo pontificato. Un momento carico di memoria e gratitudine sincera. Un istante che mi ha ricordato quanto possa essere grande l’eredità di un uomo che, fino alla fine dei suoi giorni terreni, ha amato la Chiesa e i giovani facendosi portatore di pace e speranza nell’avvenire, senza esitazioni e senza tentennamenti nonostante il dolore e la sofferenza fisica. L’omaggio a papa Francesco è stato importante per me anche dal punto di vista più strettamente personale e spirituale. Se al momento di pensare e scrivere la mia tesi di laurea nel 2022 non mi fossi mai approcciata, quasi per caso, ai suoi scritti e ai suoi discorsi, probabilmente non avrei mai percorso tutti quei passi che mi hanno portato a riavvicinarmi a Dio e alla fede. È partito tutto così: seguendo un suggerimento del mio relatore che mi ha portato a leggere le encicliche di papa Francesco – Laudato sì, Querida Amazzonia, Fratelli Tutti -; poi, dopo la laurea il Servizio civile universale all’istituto Maria Ausiliatrice, ed ecco che mi sono ritrovata anche io – proprio io che non pensavo potessi mai vivere un’esperienza del genere – ad essere parte di questo cammino di rinascita e fede che è il Giubileo.

La giornata è poi proseguita con la messa inaugurale del Giubileo dei giovani, o per meglio dire nel nostro caso, con la fila per superare i varchi di sicurezza ed accedere a piazza San Pietro. Se questa, da un lato, ha avuto per noi un esito infruttuoso, dato che la piazza aveva raggiunto la capienza massima e non siamo riusciti ad accedere alla piazza, dall’altro è diventata uno dei primi momenti in cui il nostro gruppo di Taranto si è compattato. Durante la fila ho avuto l’opportunità di conoscere meglio i miei compagni di viaggio delle altre realtà diocesane, i sacerdoti che ci hanno accompagnato e, soprattutto, di conoscere i giovani provenienti da altre realtà geograficamente distanti da noi.

Mercoledì 30 (terzo giorno): la nostra esperienza di servizio al centro diurno per minori della Caritas di Roma

Il terzo giorno ci ha portati a contatto con una Roma diversa, forse più silenziosa ma sicuramente non meno viva. Un gruppo di dieci ragazzi tra cui me, ha avuto la possibilità di visitare un centro diurno per minori gestito e coordinato dalla Caritas di Roma. Una grande opportunità che ci ha permesso di scambiarci sorrisi veri e sinceri con i minori non accompagnati della struttura e allo stesso tempo ha portato il nostro piccolo gruppo, la nostra delegazione ristretta, ad unirsi di più. Durante la mattinata ho avuta la possibilità sia di visitare la struttura, vedere con i miei occhi le attività svolte e osservarne l’organizzazione e, allo stesso tempo, ascoltare le storie dei ragazzi che erano partiti con me da Taranto. Ciò mi ha permesso di raccontare la realtà da cui provengo, ascoltare sogni e aspettative degli altri ragazzi, contemporaneamente, riflettere su quanto spesso si è portati a farsi sommergere dai problemi senza osservarli dalla giusta prospettiva.

La giornata è poi proseguita all’insegna della fraternità, portando me e la piccola delegazione a cui mi ero unita a pranzare tutti insieme e fare festa fino alla volta della Basilica del Sacro Cuore. Un luogo di grande importanza per tutti coloro i quali sono cresciti all’interno degli ambienti salesiani. Il luogo in cui il fondatore dell’ordine, don Bosco, scrisse la “Lettera da Roma” nel 1884. Ed è proprio con l’incipit della “Lettera da Roma” «Miei carissimi figlioli in Gesú Cristo.
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità
» che il direttore della struttura ci ha accolti. È stato un pomeriggio ricco di gioia in cui abbiamo potuto ascoltare le commoventi storie di chi ha avuto un’opportunità di riscatto grazie all’associazione Banca dei Talenti, operativa nelle vicinanze della stazione Termini.

Giovedì 31 (quarto giorno): l’abbraccio di Piazza San Pietro ai pellegrini italiani

Roma sembrava trasformata. Pronta a vivere una nuova giornata di festa. I sampietrini vibravano sotto i nostri passi, le vie della città erano colme di bandiere, chitarre, risate come in una grande festa collettiva. Ovunque ci recassimo trovavamo occhi che guardavano con sincero stupore e benevolenza. Negli interscambi delle metro abbiamo incrociato ragazzi di tutto il mondo: Francia, Germania, Spagna, Cuba, Messico e con ciascuno di loro era come se ci conoscessimo da sempre. La lingua era diversa, ma i nostri cuori e i nostri sguardi parlavano tutti lo stesso linguaggio. Le strade erano brulicanti e, anche in questo caso, le file interminabili ma la fatica è stata ben presto rimpiazzata dall’entusiasmo di essere lì per vivere la nostra professione di fede in Piazza San Pietro guidati dal cardinale Matteo Zuppi. Il cardinale Zuppi ci ha parlato con parole semplici, giuste e commisurate per noi giovani senza dimenticare mai la realtà e il mondo dei nostri giorni che ci vorrebbe in guerra e il lotta, gli uni contro gli altri. L’omelia è stata particolarmente densa di significato: «Ci sentiamo a casa. È la mia e la nostra casa, inadeguati e peccatori come siamo, ma famiglia universale, cattolica dove tutti, tutti, tutti, siamo accolti come le braccia del colonnato ci stringono e ci definiscono. Sono braccia che proteggono dal caos del mondo, per insegnarci a vivere il Vangelo e per andare nel mondo pieni di speranza e di pace. Al centro non c’è il nostro io. Al centro c’è sempre e solo Cristo, nostra speranza e pace. Cristo che rende l’altro, qualunque esso sia, il mio e nostro prossimo e non un estraneo o un nemico. E se amiamo il prossimo anche lui scoprirà il volto di Cristo nello sconosciuto che si è preso cura di lui e lo ha preso con sé! […] Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con false propagande di riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? Disarmiamo i nostri cuori per disarmare cuori e mani di un mondo violento, per guarire le cicatrici, per impedire nuovi conflitti! […]È la notte di ingiustizie terribili e inaccettabili, di violenze che colpiscono sempre per primi i poveri e che in realtà rendono tutti poveri. Chi uccide un uomo, uccide il mondo intero! Nel nostro mondo diventa normale l’uno sopra l’altro, gli uni contro gli altri, gli uni senza gli altri, e non crediamo più che siamo sulla stessa barca e che l’umanità debba porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità». Il cardinal Zuppi ci ha, poi, salutato con un accorato messaggio di speranza per noi e per le nostre realtà chiamate a farsi portatrici di tutto quello che durante il Giubileo dei giovani avevamo vissuto fino ad allora e avremmo vissuto. «Le nostre comunità diventino case di pace, piccole ma mai mediocri, grandi perché umili, libere perché legate dall’amore, capaci di lavorare gli uni per gli altri e di pensarsi insieme. Confessiamo la nostra fede e farlo individualmente e insieme ci aiuta a sostenerci a vicenda, a nutrirci con la forza della fraternità, cioè dell’amicizia e del volerci bene tra noi, diversi come siamo, perché crediamo che si possa amare per sempre perché l’amore ripara, ripara tutto, sempre, molto più di quello che crediamo, perché l’amore vince ogni divisione e ci rende gli uni per gli altri, come siamo fatti. Ecco la nostra speranza, in un mondo nel quale la notte della rassegnazione riempie di felicità individuali e spegne i sogni»[1]. Ritrovarsi in quella piazza San Pietro, circondati da un’umanità giovane e in festa unita dalla fede mi ha permesso, proprio come diceva Zuppi, di sentirmi avvolta in un abbraccio metaforico dal colonnato del Bernini e da quella grande moltitudine. E la mia, e la nostra gioia, è stata così tangibile e palpabile che al momento conclusivo tutti avevamo voglia di stringerci in un gigantesco abbraccio collettivo. Le parole che ho ascoltato mi sono entrate dritte nel cuore e nella mente: parlavano a noi e di noi, giovani spesso confusi e disorientati da un mondo che facciamo fatica a comprendere, in continuo cammino, in continua ricerca, inquieti ma anche pieni di sogni e sete di vita. È stato quel giorno in cui ho capito che non ero da sola. Che la fede non è una cosa “vecchia” o “da adulti”, è nostra. È quando la viviamo insieme, prende vita davvero.

Venerdì 1 agosto (quinto giorno): un’occasione di rinascita, un’occasione di ripartenza

Il nostro ultimo giorno romano prima del cammino verso Tor Vergata mi, e ci, ha portato a vivere una nuova giornata particolarmente carica sul piano emotivo. La mattinata è stata particolarmente soleggiata e l’attesa faticosa ma ogni passo si è rivelato carico di significato: camminare verso la Porta santa della Basilica di San Pietro, attraversarla in silenzio, in preghiera. Un gesto semplice ma denso di significato, un cammino verso un’occasione di rinascita, verso una nuova vita. Attraversare quella soglia non è stato un puro gesto simbolico. Ho lasciato alle mie spalle paure, angosce, dubbi e timori su me stessa e sugli altri. Ho sentito, in maniera forte e lampante, la misericordia e l’affetto di un Dio che mi accoglieva senza giudizi e senza condizioni. Poco dopo abbiamo avuto l’opportunità di seguire la Messa con i sacerdoti che ci hanno accompagnato durante questo viaggio e le lacrime di commozione sono state tante e difficili da tenere a freno. Anche questo è stato un dono immenso, un’occasione per ringraziare e per lasciarci guidare. È stato allora che mi sono resa conto davvero, forse più di tutte le altre volte, di quello che stavo vivendo in quella settimana. E piangere è stata, per me la più naturale delle conseguenze. Non ho potuto fare a meno di ripensare alla me stessa che, il 24 dicembre 2024, aveva seguito in tv la messa di apertura dell’Anno santo con papa Francesco. Mai avrei pensato di riuscire davvero ad essere lì presente, di poterne avere anche io l’opportunità. Eppure è accaduto, ed è stato grandioso.

Sabato 2 e domenica 3 (sesto e ultimo giorno): in cammino verso Tor Vergata “con il cuore oltre le nuvole e le scarpe nella polvere”

Il cammino verso Tor Vergata è stato, e non esito a dirlo, uno dei più faticosi che abbia mai fatto nella mia vita. Tor Vergata ci ha accolti sotto un sole cocente e una fila di ragazzi che si faceva via via, sempre più consistente. La paura e il timore di non farcela o di sentirsi male è stata tanta, ma alla fine siamo riusciti, con tanta stanchezza e fatica, a raggiungere la postazione a noi assegnata. Non c’era spazio per il lamento, c’era solo spazio per la gratitudine e la gioia di essere un puntino in mezzo a quel miliardo di ragazzi in attesa di papa Leone XIV. La sera a Tor Vergata si è immediatamente trasformata in un abbraccio collettivo profondo. In silenzio abbiamo pregato per chi soffre e chi non c’è più, come quei ragazzi partiti – proprio come noi – con il loro bagaglio di speranze e sogni, che hanno perso la vita durante questa settimana. Abbiamo dormito tutti insieme lì, sotto le stelle e un po’ di pioggia, in un clima di fraternità che difficilmente si può spiegare a chi non ha mai vissuto un’emozione collettiva così forte e intensa.

Sotto un cielo carico di nubi e stelle e accompagnati da un vento leggero che sembrava accarezzarci l’anima, l’immensa spianata è piombata durante l’adorazione in un silenzio che ci ha uniti; i tamburi dei pellegrini spagnoli si sono fermati e la quiete l’ha fatta da padrona. Durante la veglia Papa Leone XIV ha dato voce alle nostre inquietudini, rispondendo con dolcezza e calma alle domande di tre giovani. Una, in particolare, mi ha toccato il cuore: quella di Gaia, una ragazza italiana di 19 anni, che ha chiesto al Santo padre dove è possibile trovare il coraggio di scegliere, come è possibile essere coraggiosi compiendo anche scelte radicali e cariche di significato. Sebbene sia un po’ più grande di lei mi sono rivista tanto nei suoi dubbi, nelle sue perplessità e nella sua angoscia per il futuro. Proprio come aveva fatto il cardinale Zuppi a San Pietro, anche il Santo padre non ha esitato, rispondendo con parole dirette ed efficaci. «Quando scegliamo, in senso forte, decidiamo chi vogliamo diventare. La scelta per eccellenza, infatti, è la decisione per la nostra vita; quale uomo vuoi essere? Quale donna vuoi essere? Carissimi giovani, a scegliere si impara attraverso le prove della vita, e prima di tutto ricordando che noi siamo stati scelti. Abbiamo ricevuto la vita gratis, senza sceglierla! All’origine di noi stessi non c’è stata una nostra decisione, ma un amore che ci ha voluti.[…] Per essere liberi, occorre partire da una base solida: la roccia che sostiene i nostri passi è l’amore di Dio. Perciò davanti a Lui, la scelta diventa un giudizio che ci porta sempre al meglio». Quelle parole sono risuonate come una carezza: parlavano alla mente e toccavano il cuore. Sembravano scritte proprio per ciascuno di noi. In quel momento mi sono sentita vista, raggiunta, capita. Non c’erano riflessioni generiche ma tutto parlava di me, di noi tutti riuniti in quel momento. Successivamente, papa Leone ha parlato di qualcosa che sperimentiamo sempre nella vita quotidiana e che in questa settimana abbiamo toccato direttamente con mano in prima persona: l’amicizia. «Amati giovani, vogliatevi bene tra di voi! […] L’amicizia può veramente cambiare il mondo. L’amicizia è un cammino verso la pace»[2]. Quella notte non ci siamo solo riuniti. Ci siamo scoperti fratelli e sorelle, diversi anzi diversissimi eppure uniti, fragili eppure amati.

La notte è passata molto velocemente a Tor Vergata e sin dalle prime ore del mattino ci siamo messi in moto, operativi e pronti per raccogliere materassini, sacchi a pelo e coperte stropicciate che avevamo con noi. Quella mattina nella spianata, sebbene avesse piovuto e l’aria fosse carica di umidità, tutto era leggero e in armonia. Ero stanca, anzi stanchissima, ma con il cuore pieno e l’animo felice. Carica, sufficientemente riposata e totalmente desiderosa di non perdere neppure un secondo di ciò che sta accadendo e sarebbe accaduto da lì a poco. Alle 9, puntuale, Papa Leone è arrivato e ci ha salutati con parole che hanno lasciato trasparire tanta sincerità. Non c’erano barriere, non c’era distanza ma solo vicinanza sincera. Stavamo vivendo qualcosa di memorabile. Non per la folla oceanica, non per le luci o le notevoli misure di sicurezza applicate, ma per quello che sentivamo nel profondo di ognuno di noi. Durante l’omelia Papa Leone ha citato il suo predecessore, papa Francesco, ricordandoci che nonostante le nostre inquietudini «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre, a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro. Non siamo malati, siamo vivi!». Proprio in quel momento ho sentito che parlava anche a me e di me. Di tutte quelle volte in cui mi sono sentita delusa, confusa, senza certezze e piena di dubbi. «C’è una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia della mediocrità? Nei giorni scorsi avete fatto molte belle esperienze. Vi siete incontrati con coetanei provenienti da varie parti del mondo, vi siete scambiati conoscenze, condiviso aspettative. In tutto questo potete cogliere una risposta importante: la pienezza delle nostre esistenze non dipende da ciò che accumuliamo né da ciò che possediamo. È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere. Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, “alle cose di lassù”». Sono state parole che mi hanno colpito molto con uno schiaffo benevolo, che ti sveglia e ti riporta alla realtà. Mi sono resa conto di quanto tempo, possa talvolta passare rincorrendo cose che non contano. E che invece, forse, la felicità è nel saper condividere, anche solo un po’ di silenzio, un pezzo di strada, un cammino di rinascita o un abbraccio sincero. Poi è arrivato uno dei passaggi che più mi è rimasto nel cuore e che mi sono portata a casa: «Aspirate a cose grandi, alla santità ovunque voi siate. Non accontentatevi di meno»[3]. Parole semplici che mi hanno colpito e mi hanno fatto pensare che la “santità” si possa trovare anche in quelle piccole azioni quotidiane che magari siamo portati a dare per scontate. Ascoltare gli altri, portare un po’ di luce a chi ne ha bisogno, essere altruisti e pronti a donarsi agli altri sono quelle azioni in grado di renderci pienamente umani e veri.

Alla fine della celebrazione, papa Leone ci ha salutati con un messaggio semplice, quasi un mandato destinato a coinvolgere tutte le nostre piccole comunità: «Chiedo a voi di portare un saluto anche ai tanti giovani che non sono potuti venire e stare qui con noi, in tanti Paesi da dove era impossibile uscire. Ci sono posti da dove i giovani non hanno potuto venire, per le ragioni che conosciamo. Portate questa gioia, questo entusiasmo a tutto il mondo. Voi siete sale della terra, luce del mondo: portate questo saluto a tutti i vostri amici, a tutti i giovani che hanno bisogno di un messaggio di speranza. E buon viaggio!».[4]

Il ritorno a casa: una gioia che continua

Il ritorno a casa, a Taranto, ha avuto un sapore dolceamaro, dolce ma contemporaneamente malinconico perché un’esperienza così intensa come quella vissuta dal 28 al 3 agosto è giunta al termine. So, però, che il vero Giubileo non è terminato, e la vera sfida arriva adesso: portare tutta quella gioia, tutto quell’entusiasmo, tutti quei sorrisi – che tanto ci hanno scaldato il cuore – e tutta quella fraternità, nel mondo di tutti giorni per migliorarsi e migliorarci, gli uni di fianco agli altri.  Io c’ero, e sono fiera di aver fatto parte di quel miliardo di cuori pronti a battere all’unisono come fossimo un unico grande cuore. Una Chiesa giovane, viva, in cammino. E io, con lei.

 

[1] https://www.diocesipatti.it/2025/07/31/omelia-del-cardinale-matteo-zuppi-presidente-della-cei-che-ha-presieduto-la-professione-di-fede-dei-giovani-italiani-riuniti-in-piazza-san-pietro-in-occasione-del-loro-giubileo/.

[2] https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/august/documents/20250802-veglia-tor-vergata.html.

[3] https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2025/08/03/0541/00962.html.

[4] https://www.avvenire.it/papa/pagine/nessun-surrogato-puo-spegnere-la-sete-di-dio-il-papa-incoraggia-i-giovani.

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Emergenze sociali

Femminicidi: occorre lavorare a una scuola dei sentimenti

ph Ansa-Sir
07 Ago 2025

di Gigliola Alfaro

Ancora un femminicidio. Una donna di 46 anni di origini marocchine residente a Foggia è stata uccisa a coltellate nel corso della notte. A quanto si apprende, aveva presentato una denuncia nei confronti dell’ex compagno, suo connazionale, ed era protetta dalla normativa codice rosso. Ma questo non l’ha salvata. Sul fronte opposto, ieri pomeriggio si è suicidato, nel carcere di Messina, Stefano Argentino, 27 anni, detenuto con l’accusa di avere ucciso il 31 marzo scorso Sara Campanella, dopo mesi di stalking. Argentino aveva già manifestato intenti suicidari dopo l’arresto, ma sembrava aver superato la crisi grazie al supporto medico. Secondo quanto si apprende da fonti dei sindacati di polizia penitenziaria, gli era stata tolta la sorveglianza 15 giorni fa. Sui due casi abbiamo sentito Isolina Mantelli, presidente del Centro calabrese di solidarietà, che ha sede a Catanzaro e ha attivato il centro antiviolenza e casa rifugio ‘Mondo Rosa’, per accogliere donne vittime di violenza di genere con i loro figli.

 

ph Ansa-Sir

Pare che la donna uccisa a Foggia fosse protetta dal codice rosso, ma neanche questo è servito…

Il problema è che il divieto di avvicinamento deve essere controllato e i braccialetti elettronici non funzionano bene.
Noi in casa rifugio abbiamo avuto una donna con il braccialetto e suonava dappertutto, anche se non c’era stato davvero un avvicinamento. Noi ci occupiamo anche di tossicodipendenza e avevamo un maltrattante con braccialetto nella comunità terapeutica e anche in questo caso il braccialetto suonava, ma lui era chiuso nella comunità terapeutica, non si avvicinava alla donna. Quindi è un problema serio questo dei braccialetti elettronici, non si capisce come funzionano. C’è un problema tecnico che andrebbe risolto, se vogliono usare i braccialetti devono migliorarne il prototipo. E non solo: non c’è in tutta Italia la rete; questo significa che ci saranno donne protette e altre no, a seconda della zona dove vivono. Poi dietro a un braccialetto ci deve essere un poliziotto, se non c’è un poliziotto il braccialetto suona inutilmente.

Al di là della questione dei braccialetti elettronici, secondo lei perché non si riesce proprio a porre un freno a questo drammatico fenomeno?

Continuiamo a lavorare sulla parte legale e amministrativa, mentre dovremmo cominciare a fare prevenzione, cioè la cultura oppressiva di genere, la cultura maschilista e patriarcale può essere sconfitta solo attraverso la costruzione di un’altra cultura.
Più perdiamo tempo più avremo femminicidi, prima lavoreremo con una “scuola di sentimenti” dappertutto e, forse, avremo ragione di questo fenomeno. Devo dire che peraltro il livello di violenza che si sta generando è spaventoso, e non è solo violenza di genere, ma violenza anche adolescenziale, vediamo adolescenti che fanno di tutto e di più. Il problema è sta passando il messaggio che la violenza dà dei risultati. Del resto viviamo un tempo in cui ci sono due guerre terribili. Pensiamo alla distruzione di Gaza, è duro da accettare l’idea che ci siano bambini che stanno morendo di fame e di sete e che vengono sparati quando vanno a prendere il pane. C’è una tale violenza a cui forse ci stiamo abituando e quindi i femminicidi sono la faccia di una di queste violenze su un elemento debole e fragile come la donna.

Purtroppo, di fronte a queste violenze, siano femminicidi o guerre, c’è il rischio di assuefarsi?

Sì, ci stiamo abituando a tutto, ci stiamo abituando alla cattiveria, alla malignità, alla crudeltà, ci siamo abituati ai femminicidi, ormai non fanno più notizia, tanto ammazzano donne continuamente. C’è anche un problema sul fronte comunicativo: il problema dei media è di vedere se lui era innamorato, se lui era geloso, di trovare delle giustificazioni a lui oppure vittimizzare ancora di più la donna. Insomma è anche sbagliato il livello di comunicazione che c’è, è sempre più sbagliato e non riusciamo a trovare una soluzione.

Ieri pomeriggio è arrivata anche la notizia del suicidio di Stefano Argentino, in carcere per l’assassino di Sara Campanella…

Si ammazzano sempre troppo tardi e comunque dopo aver fatto danno! Continuo a dire che se vogliono proprio ammazzarsi perché non lo fanno prima? È crudele quello che sto dicendo, è cinico, però io penso che il fatto che poi si pentano fino a voler morire oppure che, pur non pentendosi, non riescano a vivere senza l’oggetto del loro desiderio non è possibile, non è accettabile, non provo pietà per gente che ha distrutto vite né una giustificazione per quello che hanno fatto.

Ma, secondo lei, c’è un metodo per recuperare persone che fanno atti di questa gravità?

Noi stiamo lavorando anche con uomini maltrattanti: ho aperto un servizio e in questo momento abbiamo 19 uomini maltrattanti che ci arrivano dal codice rosso, ovviamente non hanno compito femminicidi, perché per gli assassini c’è il carcere.
Penso che si possa lavorare sempre e comunque su tutti perché la speranza è il dono più grande che ci ha fatto Dio.

In che modo si può lavorare con uomini che hanno compiuto violenze su donne?

Intanto, si tratta di far prendere loro atto di che cosa hanno compiuto e farli entrare in un programma di giustizia riparativa. Non guardiamo a quello che hanno compiuto, ma a quello che possono ritornare ad essere, dobbiamo noi sperare al di là della loro disperazione.

È difficile che questi uomini maltrattanti riescano ad ammettere quello che hanno fatto?

I primi sei mesi passano con l’idea, da parte loro, che la colpa è della donna perché loro sono stati provocati, per sei mesi proprio non si riesce a trovare il bandolo della situazione, poi lentamente, soprattutto con l’aiuto di altri uomini maltrattanti che hanno già finito il percorso e diventano testimoni si arriva alla comprensione che non è vero, cioè che loro non sono stati provocati, loro hanno avuto l’idea che la donna era un loro oggetto e quindi potevano anche romperlo, perché un oggetto personale si può anche rompere. È un cammino lungo.Il protocollo che abbiamo sottoscritto con le procure e con la polizia è di un anno, ma talvolta un anno non basta per avere risultati. Stiamo lavorando in stretto contatto con la polizia, a cui abbiamo anche fatto un corso di formazione a partire dall’esperienza maturata nel centro antiviolenza e con il gruppo degli uomini maltrattanti, proprio per far comprendere la doppia faccia del sistema.

Per chi ha compiuto un femminicidio c’è il carcere, per loro si può tentare qualche cammino?

Noi abbiamo tentato anche di lavorare in carcere con i sex offender, ma in carcere è molto difficile che ci diano la possibilità di fare un percorso. Penso, comunque, che si debba lavorare anche nelle carceri, la violenza va contrastata in tutti i suoi sistemi, in tutte le sue manifestazioni, va gestita in maniera diversa, non soltanto con un livello punitivo ma con un livello profondo di recupero. Nella speranza che ci sia un filo di umanità che continua ad esistere al di là della crudeltà espressa dalle azioni compiute.

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Associazionismo cattolico

Gli incontri dell’associazione di volontariato penitenziario ‘Noi & Voi’

07 Ago 2025

di Angelo Diofano

“Costruire ponti è il nostro motto ma anche monito e intento. Cerchiamo sempre di rendere possibile l’incontro, poiché siamo convinti che solo attraverso la conoscenza le distanze si possono accorciare e i pregiudizi cadere”. Così l’associazione di volontariato penitenziario ‘Noi & Voi’ commenta le iniziative della settimana di preparazione spirituale ma anche di consapevolezza civile in vista del Giubileo dei detenuti che si terrà a dicembre a Roma.

Un gruppo di detenuti in permesso dalla casa circondariale di Taranto, ospiti alla Casa Madre Teresa, sta quindi affrontando questo percorso con i volontari di questa preziosa realtà associativa.

Nei giorni scorsi nel consueto appuntamento ‘Caffè con esperto’, ‘Noi & Voi’ ha accolto la dott.ssa Monica Sammati, dirigente della Divisione Anticrimine della Questura di Taranto, e l’agente di P.S. Fabrizio Santoro per parlare di legalità. Grazie alla loro generosa disponibilità, è stato possibile avere un confronto aperto in uno spazio non giudicante che ha fatto nascere connessioni.

È emerso quanto sia importante il dialogo attuato come fondamentale misura di prevenzione, sia come strumento (per esempio, l’avviso o il monito orale a chi si trova in una situazione ambigua) sia come mezzo (per esempio, la sensibilizzazione nelle scuole,  nei gruppi di giovani ecc.) che deve essere condiviso nei contesti educativi.

“In una società dove la solitudine la fa da padrona è stato ribadito –  facilmente possiamo essere indotti all’errore e altrettanto ricadere se non abbiamo alle spalle una rete familiare o amicale con principi e valori solidi”.

Al termine, il ringraziamento di ‘Noi & Voi’ alla dirigente Monica Sammati, all’agente Fabrizio Santoro (oltre che idealmente al questore Michele Davide Sinigaglia, in rappresentanza di tutto il corpo della Polizia di Stato) che hanno fatto sì che questa volontà di incontrarsi diventasse realtà.

“Finalmente – hanno detto i due ospiti – possiamo dare un volto a quello che altrimenti resterebbe un fascicolo, con la stessa professionalità che ci impone la sospensione del giudizio ma che umanamente ci avvicina a voi”.

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Salute

Regione Puglia e Lum firmano protocollo d’intesa per il Polo didattico del policlinico Miulli

07 Ago 2025

Si sta tenendo oggi, giovedì 7 agosto, nella biblioteca dell’ospedale ‘Miulli’ di Acquaviva delle Fonti, la firma del protocollo d’intesa fra Regione Puglia e la Lum – Libera Università Mediterranea ‘Giuseppe Degennaro’ per il regolamento dei rapporti in materia di attività sanitaria fra Università e Ssn. Il protocollo va inoltre a definire il Polo didattico del policlinico Miulli – di futura costituzione – come sede del corso di laurea in medicina e chirurgia.
Intervengono mons. Giuseppe Russo, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva e governatore dell’ospedale Miulli, Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, Emanuele Degennaro, presidente del consiglio di amministrazione dell’Università Lum, Raffaele Piemontese, vicepresidente della Giunta regionale della Puglia e assessore alla sanità, Antonello Garzoni, rettore dell’Università Lum, Vito Montanaro, direttore del Dipartimento salute della Regione Puglia, mons. Domenico Laddaga, delegato del governatore dell’ospedale Miulli, Vitangelo Dattoli, direttore sanitario dell’ospedale Miulli e responsabile dell’Organismo di coordinamento e promozione dei rapporti con l’Università, Antonella Rago, direttore generale dell’Università Lum, Bruno Moncharmont, direttore del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università Lum.
Il protocollo d’intesa andrà a definire un quadro di collaborazione strategica per lo sviluppo congiunto di attività assistenziali, formative e di ricerca in ambito sanitario, finalizzate alla nascita del policlinico Miulli. L’accordo si fonda su principi condivisi quali la governance integrata, la trasparenza, la legalità e la sostenibilità, garantendo l’autonomia delle istituzioni coinvolte.

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Percorsi di pace

Sos villaggi dei bambini: “L’Italia non resti a guardare: è ora di agire per la pace in Palestina”

foto Ansa-Avvenire
07 Ago 2025

di Gigliola Alfaro

Sos villaggi dei bambini sollecita il Governo italiano “ad assumere una posizione chiara, coraggiosa e concreta rispetto alla crisi umanitaria in Palestina. È giunto il momento che tutte le istituzioni italiane si facciano promotrici di una diplomazia audace, ferma nella richiesta di pace e giustizia per il popolo palestinese, in particolare per i bambini di Gaza”.
Dopo quasi due anni di conflitto, “la popolazione è allo stremo, intrappolata nella morsa della fame, della paura e dell’abbandono. Il costo umano di questa guerra è diventato insopportabile e rappresenta una grave violazione del diritto internazionale umanitario e, purtroppo, la comunità internazionale resta troppo spesso in silenzio”.
La presenza di Sos Children’s villages Palestine sul territorio da oltre mezzo secolo, a Betlemme dal 1968 e nella Striscia di Gaza dal 2000, ha reso l’organizzazione un punto di riferimento per la popolazione locale. Il lavoro di Sos Children’s villages Palestine in questo contesto disastroso va ben oltre il soddisfacimento dei bisogni di base: include supporto psicosociale, cura dei traumi, tracciamento familiare per bambini che si trovano ad aver perso tutto.
“Stiamo assistendo a livelli di insicurezza alimentare davvero allarmanti, le nostre stesse riserve di cibo sono esaurite e, con i principali fornitori umanitari impossibilitati a operare, le famiglie restano affamate e senza speranza – afferma Reem Alreqeb, direttrice del Programma di Gaza per Sos Children’s villages Palestine -. Stiamo facendo tutto ciò che è in nostro potere per proteggere e aiutare i bambini che hanno perso tutto: casa, famiglia e senso di sicurezza. Il nostro team sta lavorando sotto estrema pressione per garantire che ognuno di loro continui a ricevere assistenza, anche mentre le loro stesse vite vengono sconvolte”.
In linea con quanto richiesto dal Cini, Sos villaggi dei bambini chiede al Governo italiano un intervento deciso e immediato di fronte alla catastrofe umanitaria in corso nel territorio palestinese occupato. In particolare al Governo italiano “chiediamo – si legge in una nota – di condannare con fermezza la macchina di morte messa in atto dal Governo israeliano e si impegni fattivamente per fermare le atrocità in corso;
di esigere con ogni mezzo diplomatico dal Governo di Israele immediato accesso degli aiuti umanitari e delle agenzie Onu e ong internazionali;
di riconoscere uguaglianza a israeliani e palestinesi, riconoscendo lo Stato palestinese rendendo così effettivo il diritto all’autodeterminazione e creando il pre requisito necessario alla costituzione di due Stati;
di attivarsi per la revisione dell’Accordo di associazione tra l’Ue e Israele, sospendendo tutti gli accordi preferenziali con Israele;
di sospendere immediatamente le autorizzazioni all’esportazione di materiali di armamento verso Israele, compresi quelli a uso duale o difensivo, anche se rilasciati prima del 7 ottobre 2023, e di monitorare con attenzione il rispetto di tale divieto;
di vietare il commercio con gli insediamenti illegali israeliani nei territori palestinesi occupati.

Non possiamo fermarci ora nel denunciare quanto è sotto gli occhi di tutti, in particolare dopo le ultime dichiarazioni del Governo di Israele di occupare Gaza, perché la distruzione di civili, un terzo dei quali bambini innocenti, sta andando avanti e si è configurata come genocidio. Non possiamo tacere perché a Gaza bambini e operatori sono impossibilitati a vivere. Occorre sanzionare l’azione del governo di Israele con tutti i mezzi a disposizione del nostro Governo”, ha dichiarato Samantha Tedesco, responsabile dell’Accademia Sos villaggi dei bambini.

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Ricordo

Ricordando Laura Suma, la giovane volontaria della Comunità Emmanuel

07 Ago 2025

La Comunità Emmanuel, in prima linea nella lotta alle dipendenze di ogni genere, ha ricordato, domenica scorsa, i 19 anni in Cielo della sua più giovane volontaria, Laura Suma. Quest’ultima, appena 14enne, in procinto di partire per un campo scuola in Sila con un gruppo di ragazze della medesima realtà nell’agosto del 2006 rimase vittima di un incidente stradale sulla Bari-Taranto. Ma numerose circostanze fecero sì che la memoria di Laura non rimanesse sepolta dallo scorrere del tempo, a partire da un torneo di basket, lo sport da lei praticato. La manifestazione, dal titolo ‘I believe I can fly’ (tradotto, ‘Credo di poter volare’), fu organizzata nello scorso gennaio dal fratello di Laura, Adriano, e da Carmine Marangi, fratello di Donato, anche lui giocatore di basket e prematuramente scomparso;. Sia Adriano sia Carmine al torneo militarono nella stessa compagine, la Dynamic Basket Taranto. Al termine del torneo, svoltosi nell’impianto coperto affianco alla chiesa dei Santi Medici, al rione Salinella, i due atleti furono ricordati durante la santa messa celebrata dal giovane sacerdote don Mattia Santomarco, con grande commozione delle squadre partecipanti e del folto pubblico.

La vicenda di Laura colpì profondamente una loro coetanea Clementina De Rosa, che volle contribuire generosamente al completamento di un campo di basket della parrocchia di San Vito, progettato proprio dal padre, l’architetto Mimmo Suma. Deceduta dopo una lunga malattia, Clementina non vide l’inaugurazione della struttura sportiva, svoltasi nel giugno scorso alla presenza dell’arcivescovo mons. Ciro Miniero, e che fu intitolata ai due giovani deceduti, con l’apposizione di una targa in loro ricordo. Proprio in tale circostanza fu aperto in parrocchia il gruppo scout, in cui figura fra i principali animatore un altro fratello di Laura, Marcello, e l’amica di scuola Francesca Bianco. E tutti loro, insieme con la mamma della giovane volontaria, Maria Anna Carelli, il capo scout del gruppo di San Vito, Mimmo Persico, e il marito di Francesca, Francesco Panarelli, nella serata di domenica hanno partecipato alla santa messa in suffragio di Laura, celebrata da padre Mario Marafioti, fondatore della Emmanuel, nel centro di prima accoglienza in via Pupino, alla presenza di numerosi amici della comunità, ai quali al termine è stata distribuita una immaginetta ricordo della ragazza, con la foto scattata durante un incontro di basket.

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Diocesi

Maria Ss. del Monte Carmelo, festa in contrada Ferrari (Martina Franca)

07 Ago 2025

di Angelo Diofano

Sabato 9 e domenica 10 agosto si svolgono in contrada Ferrari, in agro di Martina Franca, le celebrazioni in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo, a cura della parrocchia Regina Mundi. Così il parroco don Martino Mastrovito annuncia il programma: “Carissimi fratelli e sorelle, con grande gioia annunciamo i festeggiamenti in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo, venerata nella nostra contrada Ferrari presso l’omonima cappella. Le feste sono occasione di incontro e di giubilo. Si fondano sulla collaborazione di tutti e rappresentano un elevato momento di condivisione, durante il quale e per il quale ci sentiamo lieti di appartenere al nostro territorio. Invitiamo tutti coloro che lo desiderano a unirsi alla nostra preghiera di lode e di ringraziamento o anche, semplicemente, alla nostra gioia di stare insieme nel festeggiare”.

Il programma prevede per sabato 9 il santo rosario alle ore 19 la santa messa alle ore 19.30; a seguire, l’inaugurazione dell’ex scuola rurale (ottenuta dalla parrocchia in comodato d’uso del Comune) che sarà uno spazio a disposizione della comunità per incontri, ritiri spirituali e momenti di convivialità. Alle ore 20.30 la festa prosegue con panzerottata con musiche popolari e danze a cura di Gerardo Deicarri.

Domenica 10, alle ore 8, ‘Prima camminata a Ferrari’, aperta a grandi e piccoli; alle ore 9, ‘Giochi in contrada’ con torneo di scopa, calciobalilla e ‘Giochi della Gioventù’, con djset e musica per tutta la mattinata; alle ore 18.30, processione per le strade della contrada con la partecipazione della banda ‘Città di Martina Franca’ diretta dal m° Caterina Santoro e il coro parrocchiale; al rientro (ore 20) santa messa sul piazzale antistante la chiesetta; alle ore 21, spettacolo musicale con il gruppo dei ‘Bandita’ e premiazione dei giochi in contrada; alle ore 22.45, fuochi pirotecnici della ditta Truppa di Latiano-Brindisi.

Nell’occasione il parroco don Martino Mastrovito informa che nella chiesetta di Ferrari in estate le sante messe sono celebrate il sabato alle ore 18 mentre in inverno la domenica alle ore 10.

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Diocesi

Maria Ss. del Monte Carmelo, festa in contrada Ferrari (Martina Franca)

07 Ago 2025

di Angelo Diofano

Sabato 9 e domenica 10 agosto si svolgono in contrada Ferrari, in agro di Martina Franca, le celebrazioni in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo, a cura della parrocchia Regina Mundi. Così il parroco don Martino Mastrovito annuncia il programma: “Carissimi fratelli e sorelle, con grande gioia annunciamo i festeggiamenti in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo, venerata nella nostra contrada Ferrari presso l’omonima cappella. Le feste sono occasione di incontro e di giubilo. Si fondano sulla collaborazione di tutti e rappresentano un elevato momento di condivisione, durante il quale e per il quale ci sentiamo lieti di appartenere al nostro territorio. Invitiamo tutti coloro che lo desiderano a unirsi alla nostra preghiera di lode e di ringraziamento o anche, semplicemente, alla nostra gioia di stare insieme nel festeggiare”.

Il programma prevede per sabato 9 il santo rosario alle ore 19 la santa messa alle ore 19.30; a seguire, l’inaugurazione dell’ex scuola rurale (ottenuta dalla parrocchia in comodato d’uso del Comune) che sarà uno spazio a disposizione della comunità per incontri, ritiri spirituali e momenti di convivialità. Alle ore 20.30 la festa prosegue con panzerottata con musiche popolari e danze a cura di Gerardo Deicarri.

Domenica 10, alle ore 8, ‘Prima camminata a Ferrari’, aperta a grandi e piccoli; alle ore 9, ‘Giochi in contrada’ con torneo di scopa, calciobalilla e ‘Giochi della Gioventù’, con djset e musica per tutta la mattinata; alle ore 18.30, processione per le strade della contrada con la partecipazione della banda ‘Città di Martina Franca’ diretta dal m° Caterina Santoro e il coro parrocchiale; al rientro (ore 20) santa messa sul piazzale antistante la chiesetta; alle ore 21, spettacolo musicale con il gruppo dei ‘Bandita’ e premiazione dei giochi in contrada; alle ore 22.45, fuochi pirotecnici della ditta Truppa di Latiano-Brindisi.

Nell’occasione il parroco don Martino Mastrovito informa che nella chiesetta di Ferrari in estate le sante messe sono celebrate il sabato alle ore 18 mentre in inverno la domenica alle ore 10.

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Udienza generale

Leone XIV: No alla “devastazione causata dalle guerre e dalle armi nucleari”

ph Marco Calvarese-Sir
06 Ago 2025

Per ciascuno di noi c’è “una stanza al piano superiore già pronta”, che “ci dice che Dio ci precede sempre” e che la passione di Gesù non è frutto del caso: così Leone XIV, riprendendo il ciclo di catechesi giubilari su “Gesù Cristo, nostra speranza”, ha commentato l’episodio del Vangelo di Marco in cui si racconta la preparazione alla Pasqua. Al termine dell’udienza, il Papa ha ricordato l’80° anniversario dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, definiti “un monito universale contro la devastazione causata dalle guerre, e in particolare dalle armi nucleari”. “Auspico che nel mondo contemporaneo, segnato da forti tensioni e sanguinosi conflitti, l’illusione basata sulla reciproca distruzione ceda il passo agli strumenti della giustizia, alla pratica del dialogo, alla fiducia nella fraternità”.

“L’amore non è frutto del caso, ma di una scelta consapevole

Non si tratta di una semplice reazione, ma di una decisione che richiede preparazione”, ha esordito Prevost soffermandosi sul verbo “preparare”, essenziale nella vita del cristiano. “Gesù non affronta la sua passione per fatalità, ma per fedeltà a un cammino accolto e percorso con libertà e cura”, ha spiegato Leone XIV: “È questo che ci consola: sapere che il dono della sua vita nasce da un’intenzione profonda, non da un impulso improvviso. Quella ‘sala al piano superiore già pronta’ ci dice che Dio ci precede sempre.
Ancor prima che ci rendiamo conto di avere bisogno di accoglienza, il Signore ha già preparato per noi uno spazio dove riconoscerci e sentirci suoi amici. Questo luogo è, in fondo, il nostro cuore: una ‘stanza’ che può sembrare vuota, ma che attende solo di essere riconosciuta, colmata e custodita”.

“La grazia non elimina la nostra libertà, ma la risveglia”, ha affermato il pontefice: “Il dono di Dio non annulla la nostra responsabilità, ma la rende feconda”, ha precisato: “La Pasqua, che i discepoli devono preparare, è in realtà già pronta nel cuore di Gesù. È Lui che ha pensato tutto, disposto tutto, deciso tutto. Tuttavia, chiede ai suoi amici di fare la loro parte”. “Anche oggi, come allora, c’è una cena da preparare”, l’appello di Papa Leone: “Non si tratta solo della liturgia, ma della nostra disponibilità a entrare in un gesto che ci supera.

L’Eucaristia non si celebra soltanto sull’altare, ma anche nella quotidianità, dove è possibile vivere ogni cosa come offerta e rendimento di grazie”. Per il Papa, il segreto della vita spirituale non sta nel “fare di più”, ma nel “lasciare spazio”: “Significa togliere ciò che ingombra, abbassare le pretese, smettere di coltivare aspettative irreali”, ha detto Leone XIV entrando nel dettaglio: “Troppo spesso, infatti, confondiamo i preparativi con le illusioni. Le illusioni ci distraggono, i preparativi ci orientano. Le illusioni cercano un risultato, i preparativi rendono possibile un incontro”. “L’amore vero – ci ricorda il Vangelo – si dà prima ancora che venga ricambiato”, ha affermato il pontefice: “È un dono anticipato. Non si fonda su ciò che riceve, ma su ciò che desidera offrire. È ciò che Gesù ha vissuto con i suoi: mentre loro ancora non capivano, mentre uno stava per tradirlo e un altro per rinnegarlo, Lui preparava per tutti una cena di comunione”.

“Anche noi siamo invitati a preparare la Pasqua del Signore. Non solo quella liturgica: anche quella della nostra vita”, l’esortazione finale: “Ogni gesto di disponibilità, ogni atto gratuito, ogni perdono offerto in anticipo, ogni fatica accolta pazientemente è un modo per preparare un luogo dove Dio può abitare”, ha detto il Papa: “Possiamo allora chiederci: quali spazi nella mia vita ho bisogno di riordinare perché siano pronti ad accogliere il Signore? Cosa significa per me oggi preparare? Forse rinunciare a una pretesa, smettere di aspettare che l’altro cambi, fare il primo passo. Forse ascoltare di più, agire di meno, o imparare a fidarmi di ciò che già è stato predisposto”. “Se accogliamo l’invito a preparare il luogo della comunione con Dio e tra di noi, scopriamo di essere circondati da segni, incontri, parole che orientano verso quella sala, spaziosa e già pronta, in cui si celebra incessantemente il mistero di un amore infinito, che ci sostiene e che sempre ci precede”, ha assicurato Leone: “Che il Signore ci conceda di essere umili preparatori della sua presenza. E, in questa disponibilità quotidiana, cresca anche in noi quella fiducia serena che ci permette di affrontare ogni cosa con il cuore libero. Perché dove l’amore è stato preparato, la vita può davvero fiorire”.

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Giornata di preghiera per la pace

6 agosto: nell’anniversario della bomba atomica, 75 ore di preghiera per la pace nel mondo

06 Ago 2025

È cominciata ieri sera alle 19 di Nagasaki, nella cattedrale di Urakami, rasa al suolo dalla bomba atomica che devastò la città la veglia di preghiera di 75 ore, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio di New York in collaborazione con l’arcidiocesi di Nagasaki, il Movimento dei Focolari in Giappone e varie associazioni. Sull’altare della cappella dove è custodita la statua della Madonna di Urakami, il cui volto venne bruciato dalla bomba, ma si salvò, si alternano momenti di silenzio, di riflessione e di preghiera. Su questo altare si invoca la pace per il Congo, per il Sudan, per l’Ucraina, per Gaza e si leggono le preghiere in giapponese, scritte dai fedeli che passano in cappella e quelle inviate per mail. Sono trascorsi 80 anni da quel tragico 6 agosto quando la prima bomba atomica venne lanciata su Hiroshima, seguita il 9 agosto da quella sganciata su Nagasaki. Dal 2022, la Comunità di Sant’Egidio commemoraa i due bombardamenti nucleari con una veglia di preghiera per 75 ore consecutive, il tempo intercorso tra le due esplosioni. La preghiera di quest’anno unisce Nagasaki e New York, dove la preghiera si terrà nella Cappella dei Sacri Cuori di Maria e Gesù. Qui ad alternarsi saranno le voci dei rappresentanti dei Catholic Worker, di Pax Christi, del Movimento cattolico per il clima, della comunità di Taizè, della parrocchia di Our Savior e di altre organizzazioni della città. “Mi auguro e spero che questa preghiera acceleri la pace e che il bisogno di pace sia rafforzato da questa preghiera”. Paola Piscitelli, responsabile della Comunità di Sant’Egidio negli Usa, ricorda che anche papa Leone XIV ne ha parlato ai giovani, durante il loro giubileo perchè “la pace è il bisogno del nostro tempo”. Per Paola commemorare l’80 anniversario dei bombardamenti con una veglia significa ricordare a tutti che “la guerrà è sempre un orrore e può diventare un disastro atomico ancora oggi”. Preparando per la preghiera a New York, Paola, mi legge alcune delle oltre 200 intenzioni arrivate online, prima ancora di cominciare la celebrazione a New York. Scorrendo i nomi e i paesi di chi le ha inviate, si conferma quanto globale sia la supplica per la pace e la richiesta di proteggere chi ancora oggi vive sotto altre bombe. Anche il presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo ha inviato la sua preghiera, in cui chiede di disarmare “il cuore di chi combatte, di chi crede nella forza delle armi, di chi ha il potere di usarle, di chi le finanzia”. Nella preghiera scritta, invece, dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, si ricorda che quanto accaduto in Giappone 80 anni fa è “un ammonimento drammatico e decisivo”. Il cardinale Zuppi chiede a Dio di insegnarci “a rimettere nel fodero la capacità di distruggere l’umanità (…) e l’intera casa comune minacciata da armi che la distruggono” e di insegnarci “a distanziare i cuori da ogni logica di forza, dall’odio, dall’ignoranza, dalla violenza, dalla mancanza di rispetto” per essere “coraggiosi operatori di pace perché l’umanità possa sopravvivere e gli arsenali svuotati”.

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Diocesi

Domenica 10, San Donato in festa

06 Ago 2025

di Angelo Diofano

La piccola parrocchia di San Donato (Talsano, sulla via per Faggiano) si appresta ad accogliere villeggianti e devoti per i festeggiamenti in onore del santo titolare, che avranno luogo domenica 10 agosto. Visitando questa amena località ci si trova immersa in un’atmosfera di tranquillità, quiete e silenziosa, tipica della vita di campagna di una volta, dove la natura dà ancora il meglio, fra ulivi secolari, vigneti, alberi di fichi e mandorle. Casali e masserie fortificate non mancano, quale testimonianza di una vita molto attiva e laboriosa di tempi passati, ma ora spesso malinconicamente abbandonate. È qui che mons. Giuseppe Ricciardi (vescovo di Nardò – Lecce e tarantino di nascita), dove era solito trascorrere le vacanze estive, volle realizzare a proprie spese, agli inizi del ’900, l’attuale chiesetta, un tempo famosa per l’elevato numero di matrimoni, in particolare della borghesia tarantina, celebrati tutto l’anno, ma ora, come altrove, drasticamente calati. Sono diminuiti anche i residenti, a causa dell’abbandono delle campagne: dai 1800 residenti degli anni cinquanta-sessanta agli attuali cento. Immutata resta la cordialità degli abitanti, così come quella dei parroci che vi si sono succeduti (ora in questo incarico, don Riccardo Milanese), all’insegna della massima accoglienza per un colloquio o per il sacramento della Riconciliazione.

I festeggiamenti prevedono per giovedì 7 alle ore 18.30 l’intronizzazione della venerata immagine e alle ore 19 la santa messa presieduta da don Armando Imperato, parroco al Rosario di Talsano. Venerdì 8 e sabato 9, sempre alle ore 19, le celebrazioni saranno presiedute rispettivamente da don Francesco Mànisi (prossimo vicario parrocchiale alla Santa Maria La Nova, a Pulsano) e da don Paolo Martucci (vicario parrocchiale alla San Francesco De Geronimo).

Domenica 10, alle ore 18.30, la statua di San Donato sarà traslata a Casal Pineto dove alle ore 19 la santa messa sarà presieduta dal parroco don Riccardo Milanese. Alle ore 20 muoverà la processione lungo via San Donato, con la partecipazione delle confraternite del Carmine e del Rosario di Talsano.

Una fantasia di fontane luminose saluterà il rientro della sacra immagine, cui seguirà lo spettacolo musicale della tribute band ‘Lupi del Bronx 883’. Presterà servizio la banda musicale “Maria SS.Addolorata” di Talsano diretta dal m° Vito Bucci.

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