Giubileo dei giovani: il diario di bordo dei ragazzi tarantini
Esistono le parole giuste per descrivere e raccontare tutto ciò che ho, e abbiamo, vissuto a Roma dal 28 luglio al 3 agosto? Esiste il modo più corretto per rendere davvero l’idea di quanta gioia abbia portato nel mio cuore vivere queste giornate, diventando parte di questa grande felicità collettiva? Probabilmente no. Essere lì, in mezzo a quel miliardo di ragazzi provenienti da tutto il mondo, pronti a vivere l’uno di fianco all’altro, con il cuore puro e aperto al prossimo, come se ci conoscessimo da sempre, è stato uno dei doni più grandi e preziosi che potessi ricevere nella mia vita. Mai, un anno fa, avrei pensato di riuscire ad esserne parte viva e pulsante. Ben presto la fatica, il caldo, la stanchezza per i tanti chilometri percorsi sono stati immediatamente sostituiti e ripagati da grandi sorrisi smaglianti e occhi pieni di luce, in uno scintillio destinato a durare nel tempo. Il Giubileo dei Giovani non è stato solo un evento, non è stato solo un raduno di ragazzi: è stata un’esperienza di vita e di cuore destinata a cambiarmi e a cambiarci da dentro. Un viaggio, un cammino fisico e spirituale che ci ha toccati in profondità.

Se provo a chiudere per qualche secondo gli occhi sento ancora le voci, i tamburi di Tor Vergata, i canti nella metro e per le strade di Roma, le preghiere del mattino, prima di partire verso la nuova avventura del giorno o della sera, prima di ricaricare le batterie in vista del nuovo giorno. Sento ancora Roma che respira e vive al ritmo caotico, allegro e gioioso, dei passi di un miliardo di giovani, arrivati da ogni angolo del mondo con un unico obiettivo: vivere insieme, in comunione, la fede. Quello vissute da me e da tutto il gruppo della Pastorale giovanile di Taranto, è stato un incontro colmo di grazia, una festa dell’animo, un grande abbraccio universale. Ed io ero proprio lì, insieme a tutti quei ragazzi, e porto con me ogni istante vissuto.
Lunedì 28 (primo giorno): tra partenza e arrivo, la Chiesa Santa Maria Consolatrice di Casal Bertone ci accoglie con curiosità e affetto sincero
Non è ancora alba quando la mia sveglia inizia a suonare. Il cuore batte forte, e non solo per l’agitazione: sta per iniziare qualcosa di grande che, nonostante i racconti di chi prima di me era stato a Tor Vergata nel 2000 con Giovanni Paolo II, si è rivelato ancora più grande e inaspettato. Sono un po’ in pensiero, conosco le mie compagne di viaggio provenienti come me dall’oratorio delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Taranto ma non conosco nessuno degli altri ragazzi anche loro si riveleranno, pian piano, una sorpresa da scoprire. Il cuore è pieno di aspettative per ciò che vivrò nei giorni successivi, così come le nostre borse e i nostri zaini. Il viaggio in pullman è fatto di canti, battute, attese e bracciali da intrecciare e scambiare successivamente con i pellegrini di tutto il mondo. Ma è stato una volta arrivati nella parrocchia Santa Maria Consolatrice, a Casal Bertone, in cui ho pensato, per la prima volta: “ci siamo, ci siamo davvero! Il nostro viaggio sta iniziando!”. Al nostro arrivo ci hanno accolti tanti volti nuovi sorridenti che, con il passare delle giornate sarebbero diventati familiari. È stato come ritrovarsi immersi in una grande famiglia che, pur non conoscendosi ancora, parlava già la stessa lingua: quella dell’amore cristiano.
Una volta sistemati in struttura, distesi i nostri materassini e nostri sacchi a pelo, abbiamo percepito immediatamente il forte senso di accoglienza e affetto, sinceri, da parte di chi ci ospitava. Il parroco, don Luigi, le signore che nei giorni successivi ci hanno spesso preparato la cena, e Matteo, che dalle mattine seguenti è diventato la nostra guida e punto di riferimento preziosissimo, non hanno mai esitato dal farci sentire a casa e di casa. La cena è dunque proseguita tutti insieme, in grande momento di convivialità con un altro gruppo di pellegrini provenienti dall’Argentina, con la comunità parrocchiale e i suoi giovani animatori. Tutti insieme ci siamo uniti tra canti e balli scoprendoci, per la prima volta, più vicini che mai, tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Era solo l’inizio, ma già si respirava un’aria diversa. Un’aria che sapeva di fraternità, di pace, di gioia vera e palpabile. E intanto, Roma ci guardava con il suo sguardo antico e secolare pronta ad accoglierci con un sorriso nuovo.

Martedì 29 (secondo giorno): il mio abbraccio a papa Francesco, il mio personale momento per dirgli grazie
Non dimenticherò mai quanto sia stato importate ed emozionante per me entrare a Santa Maria Maggiore, una delle basiliche papali più antiche e belle di Roma. È proprio lì che si trova l’icona della Salus popoli romani, “la protettrice del popolo romano”, che papa Bergoglio tanto amava e visitava prima di ogni viaggio apostolico. La lunga fila sotto il caldo sole romano è stata ripagata da un momento per fondamentale in questo viaggio, la visita alla tomba di Papa Francesco. Questo rappresentava per me una delle cose a cui mai e poi mai avrei voluto rinunciare, il mio personale momento per ringraziarlo per tutto ciò che è stato il suo pontificato. Un momento carico di memoria e gratitudine sincera. Un istante che mi ha ricordato quanto possa essere grande l’eredità di un uomo che, fino alla fine dei suoi giorni terreni, ha amato la Chiesa e i giovani facendosi portatore di pace e speranza nell’avvenire, senza esitazioni e senza tentennamenti nonostante il dolore e la sofferenza fisica. L’omaggio a papa Francesco è stato importante per me anche dal punto di vista più strettamente personale e spirituale. Se al momento di pensare e scrivere la mia tesi di laurea nel 2022 non mi fossi mai approcciata, quasi per caso, ai suoi scritti e ai suoi discorsi, probabilmente non avrei mai percorso tutti quei passi che mi hanno portato a riavvicinarmi a Dio e alla fede. È partito tutto così: seguendo un suggerimento del mio relatore che mi ha portato a leggere le encicliche di papa Francesco – Laudato sì, Querida Amazzonia, Fratelli Tutti -; poi, dopo la laurea il Servizio civile universale all’istituto Maria Ausiliatrice, ed ecco che mi sono ritrovata anche io – proprio io che non pensavo potessi mai vivere un’esperienza del genere – ad essere parte di questo cammino di rinascita e fede che è il Giubileo.
La giornata è poi proseguita con la messa inaugurale del Giubileo dei giovani, o per meglio dire nel nostro caso, con la fila per superare i varchi di sicurezza ed accedere a piazza San Pietro. Se questa, da un lato, ha avuto per noi un esito infruttuoso, dato che la piazza aveva raggiunto la capienza massima e non siamo riusciti ad accedere alla piazza, dall’altro è diventata uno dei primi momenti in cui il nostro gruppo di Taranto si è compattato. Durante la fila ho avuto l’opportunità di conoscere meglio i miei compagni di viaggio delle altre realtà diocesane, i sacerdoti che ci hanno accompagnato e, soprattutto, di conoscere i giovani provenienti da altre realtà geograficamente distanti da noi.
Mercoledì 30 (terzo giorno): la nostra esperienza di servizio al centro diurno per minori della Caritas di Roma
Il terzo giorno ci ha portati a contatto con una Roma diversa, forse più silenziosa ma sicuramente non meno viva. Un gruppo di dieci ragazzi tra cui me, ha avuto la possibilità di visitare un centro diurno per minori gestito e coordinato dalla Caritas di Roma. Una grande opportunità che ci ha permesso di scambiarci sorrisi veri e sinceri con i minori non accompagnati della struttura e allo stesso tempo ha portato il nostro piccolo gruppo, la nostra delegazione ristretta, ad unirsi di più. Durante la mattinata ho avuta la possibilità sia di visitare la struttura, vedere con i miei occhi le attività svolte e osservarne l’organizzazione e, allo stesso tempo, ascoltare le storie dei ragazzi che erano partiti con me da Taranto. Ciò mi ha permesso di raccontare la realtà da cui provengo, ascoltare sogni e aspettative degli altri ragazzi, contemporaneamente, riflettere su quanto spesso si è portati a farsi sommergere dai problemi senza osservarli dalla giusta prospettiva.
La giornata è poi proseguita all’insegna della fraternità, portando me e la piccola delegazione a cui mi ero unita a pranzare tutti insieme e fare festa fino alla volta della Basilica del Sacro Cuore. Un luogo di grande importanza per tutti coloro i quali sono cresciti all’interno degli ambienti salesiani. Il luogo in cui il fondatore dell’ordine, don Bosco, scrisse la “Lettera da Roma” nel 1884. Ed è proprio con l’incipit della “Lettera da Roma” «Miei carissimi figlioli in Gesú Cristo.
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità» che il direttore della struttura ci ha accolti. È stato un pomeriggio ricco di gioia in cui abbiamo potuto ascoltare le commoventi storie di chi ha avuto un’opportunità di riscatto grazie all’associazione Banca dei Talenti, operativa nelle vicinanze della stazione Termini.
Giovedì 31 (quarto giorno): l’abbraccio di Piazza San Pietro ai pellegrini italiani
Roma sembrava trasformata. Pronta a vivere una nuova giornata di festa. I sampietrini vibravano sotto i nostri passi, le vie della città erano colme di bandiere, chitarre, risate come in una grande festa collettiva. Ovunque ci recassimo trovavamo occhi che guardavano con sincero stupore e benevolenza. Negli interscambi delle metro abbiamo incrociato ragazzi di tutto il mondo: Francia, Germania, Spagna, Cuba, Messico e con ciascuno di loro era come se ci conoscessimo da sempre. La lingua era diversa, ma i nostri cuori e i nostri sguardi parlavano tutti lo stesso linguaggio. Le strade erano brulicanti e, anche in questo caso, le file interminabili ma la fatica è stata ben presto rimpiazzata dall’entusiasmo di essere lì per vivere la nostra professione di fede in Piazza San Pietro guidati dal cardinale Matteo Zuppi. Il cardinale Zuppi ci ha parlato con parole semplici, giuste e commisurate per noi giovani senza dimenticare mai la realtà e il mondo dei nostri giorni che ci vorrebbe in guerra e il lotta, gli uni contro gli altri. L’omelia è stata particolarmente densa di significato: «Ci sentiamo a casa. È la mia e la nostra casa, inadeguati e peccatori come siamo, ma famiglia universale, cattolica dove tutti, tutti, tutti, siamo accolti come le braccia del colonnato ci stringono e ci definiscono. Sono braccia che proteggono dal caos del mondo, per insegnarci a vivere il Vangelo e per andare nel mondo pieni di speranza e di pace. Al centro non c’è il nostro io. Al centro c’è sempre e solo Cristo, nostra speranza e pace. Cristo che rende l’altro, qualunque esso sia, il mio e nostro prossimo e non un estraneo o un nemico. E se amiamo il prossimo anche lui scoprirà il volto di Cristo nello sconosciuto che si è preso cura di lui e lo ha preso con sé! […] Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con false propagande di riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? Disarmiamo i nostri cuori per disarmare cuori e mani di un mondo violento, per guarire le cicatrici, per impedire nuovi conflitti! […]È la notte di ingiustizie terribili e inaccettabili, di violenze che colpiscono sempre per primi i poveri e che in realtà rendono tutti poveri. Chi uccide un uomo, uccide il mondo intero! Nel nostro mondo diventa normale l’uno sopra l’altro, gli uni contro gli altri, gli uni senza gli altri, e non crediamo più che siamo sulla stessa barca e che l’umanità debba porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità». Il cardinal Zuppi ci ha, poi, salutato con un accorato messaggio di speranza per noi e per le nostre realtà chiamate a farsi portatrici di tutto quello che durante il Giubileo dei giovani avevamo vissuto fino ad allora e avremmo vissuto. «Le nostre comunità diventino case di pace, piccole ma mai mediocri, grandi perché umili, libere perché legate dall’amore, capaci di lavorare gli uni per gli altri e di pensarsi insieme. Confessiamo la nostra fede e farlo individualmente e insieme ci aiuta a sostenerci a vicenda, a nutrirci con la forza della fraternità, cioè dell’amicizia e del volerci bene tra noi, diversi come siamo, perché crediamo che si possa amare per sempre perché l’amore ripara, ripara tutto, sempre, molto più di quello che crediamo, perché l’amore vince ogni divisione e ci rende gli uni per gli altri, come siamo fatti. Ecco la nostra speranza, in un mondo nel quale la notte della rassegnazione riempie di felicità individuali e spegne i sogni»[1]. Ritrovarsi in quella piazza San Pietro, circondati da un’umanità giovane e in festa unita dalla fede mi ha permesso, proprio come diceva Zuppi, di sentirmi avvolta in un abbraccio metaforico dal colonnato del Bernini e da quella grande moltitudine. E la mia, e la nostra gioia, è stata così tangibile e palpabile che al momento conclusivo tutti avevamo voglia di stringerci in un gigantesco abbraccio collettivo. Le parole che ho ascoltato mi sono entrate dritte nel cuore e nella mente: parlavano a noi e di noi, giovani spesso confusi e disorientati da un mondo che facciamo fatica a comprendere, in continuo cammino, in continua ricerca, inquieti ma anche pieni di sogni e sete di vita. È stato quel giorno in cui ho capito che non ero da sola. Che la fede non è una cosa “vecchia” o “da adulti”, è nostra. È quando la viviamo insieme, prende vita davvero.

Venerdì 1 agosto (quinto giorno): un’occasione di rinascita, un’occasione di ripartenza
Il nostro ultimo giorno romano prima del cammino verso Tor Vergata mi, e ci, ha portato a vivere una nuova giornata particolarmente carica sul piano emotivo. La mattinata è stata particolarmente soleggiata e l’attesa faticosa ma ogni passo si è rivelato carico di significato: camminare verso la Porta santa della Basilica di San Pietro, attraversarla in silenzio, in preghiera. Un gesto semplice ma denso di significato, un cammino verso un’occasione di rinascita, verso una nuova vita. Attraversare quella soglia non è stato un puro gesto simbolico. Ho lasciato alle mie spalle paure, angosce, dubbi e timori su me stessa e sugli altri. Ho sentito, in maniera forte e lampante, la misericordia e l’affetto di un Dio che mi accoglieva senza giudizi e senza condizioni. Poco dopo abbiamo avuto l’opportunità di seguire la Messa con i sacerdoti che ci hanno accompagnato durante questo viaggio e le lacrime di commozione sono state tante e difficili da tenere a freno. Anche questo è stato un dono immenso, un’occasione per ringraziare e per lasciarci guidare. È stato allora che mi sono resa conto davvero, forse più di tutte le altre volte, di quello che stavo vivendo in quella settimana. E piangere è stata, per me la più naturale delle conseguenze. Non ho potuto fare a meno di ripensare alla me stessa che, il 24 dicembre 2024, aveva seguito in tv la messa di apertura dell’Anno santo con papa Francesco. Mai avrei pensato di riuscire davvero ad essere lì presente, di poterne avere anche io l’opportunità. Eppure è accaduto, ed è stato grandioso.
Sabato 2 e domenica 3 (sesto e ultimo giorno): in cammino verso Tor Vergata “con il cuore oltre le nuvole e le scarpe nella polvere”
Il cammino verso Tor Vergata è stato, e non esito a dirlo, uno dei più faticosi che abbia mai fatto nella mia vita. Tor Vergata ci ha accolti sotto un sole cocente e una fila di ragazzi che si faceva via via, sempre più consistente. La paura e il timore di non farcela o di sentirsi male è stata tanta, ma alla fine siamo riusciti, con tanta stanchezza e fatica, a raggiungere la postazione a noi assegnata. Non c’era spazio per il lamento, c’era solo spazio per la gratitudine e la gioia di essere un puntino in mezzo a quel miliardo di ragazzi in attesa di papa Leone XIV. La sera a Tor Vergata si è immediatamente trasformata in un abbraccio collettivo profondo. In silenzio abbiamo pregato per chi soffre e chi non c’è più, come quei ragazzi partiti – proprio come noi – con il loro bagaglio di speranze e sogni, che hanno perso la vita durante questa settimana. Abbiamo dormito tutti insieme lì, sotto le stelle e un po’ di pioggia, in un clima di fraternità che difficilmente si può spiegare a chi non ha mai vissuto un’emozione collettiva così forte e intensa.
Sotto un cielo carico di nubi e stelle e accompagnati da un vento leggero che sembrava accarezzarci l’anima, l’immensa spianata è piombata durante l’adorazione in un silenzio che ci ha uniti; i tamburi dei pellegrini spagnoli si sono fermati e la quiete l’ha fatta da padrona. Durante la veglia Papa Leone XIV ha dato voce alle nostre inquietudini, rispondendo con dolcezza e calma alle domande di tre giovani. Una, in particolare, mi ha toccato il cuore: quella di Gaia, una ragazza italiana di 19 anni, che ha chiesto al Santo padre dove è possibile trovare il coraggio di scegliere, come è possibile essere coraggiosi compiendo anche scelte radicali e cariche di significato. Sebbene sia un po’ più grande di lei mi sono rivista tanto nei suoi dubbi, nelle sue perplessità e nella sua angoscia per il futuro. Proprio come aveva fatto il cardinale Zuppi a San Pietro, anche il Santo padre non ha esitato, rispondendo con parole dirette ed efficaci. «Quando scegliamo, in senso forte, decidiamo chi vogliamo diventare. La scelta per eccellenza, infatti, è la decisione per la nostra vita; quale uomo vuoi essere? Quale donna vuoi essere? Carissimi giovani, a scegliere si impara attraverso le prove della vita, e prima di tutto ricordando che noi siamo stati scelti. Abbiamo ricevuto la vita gratis, senza sceglierla! All’origine di noi stessi non c’è stata una nostra decisione, ma un amore che ci ha voluti.[…] Per essere liberi, occorre partire da una base solida: la roccia che sostiene i nostri passi è l’amore di Dio. Perciò davanti a Lui, la scelta diventa un giudizio che ci porta sempre al meglio». Quelle parole sono risuonate come una carezza: parlavano alla mente e toccavano il cuore. Sembravano scritte proprio per ciascuno di noi. In quel momento mi sono sentita vista, raggiunta, capita. Non c’erano riflessioni generiche ma tutto parlava di me, di noi tutti riuniti in quel momento. Successivamente, papa Leone ha parlato di qualcosa che sperimentiamo sempre nella vita quotidiana e che in questa settimana abbiamo toccato direttamente con mano in prima persona: l’amicizia. «Amati giovani, vogliatevi bene tra di voi! […] L’amicizia può veramente cambiare il mondo. L’amicizia è un cammino verso la pace»[2]. Quella notte non ci siamo solo riuniti. Ci siamo scoperti fratelli e sorelle, diversi anzi diversissimi eppure uniti, fragili eppure amati.
La notte è passata molto velocemente a Tor Vergata e sin dalle prime ore del mattino ci siamo messi in moto, operativi e pronti per raccogliere materassini, sacchi a pelo e coperte stropicciate che avevamo con noi. Quella mattina nella spianata, sebbene avesse piovuto e l’aria fosse carica di umidità, tutto era leggero e in armonia. Ero stanca, anzi stanchissima, ma con il cuore pieno e l’animo felice. Carica, sufficientemente riposata e totalmente desiderosa di non perdere neppure un secondo di ciò che sta accadendo e sarebbe accaduto da lì a poco. Alle 9, puntuale, Papa Leone è arrivato e ci ha salutati con parole che hanno lasciato trasparire tanta sincerità. Non c’erano barriere, non c’era distanza ma solo vicinanza sincera. Stavamo vivendo qualcosa di memorabile. Non per la folla oceanica, non per le luci o le notevoli misure di sicurezza applicate, ma per quello che sentivamo nel profondo di ognuno di noi. Durante l’omelia Papa Leone ha citato il suo predecessore, papa Francesco, ricordandoci che nonostante le nostre inquietudini «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre, a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro. Non siamo malati, siamo vivi!». Proprio in quel momento ho sentito che parlava anche a me e di me. Di tutte quelle volte in cui mi sono sentita delusa, confusa, senza certezze e piena di dubbi. «C’è una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia della mediocrità? Nei giorni scorsi avete fatto molte belle esperienze. Vi siete incontrati con coetanei provenienti da varie parti del mondo, vi siete scambiati conoscenze, condiviso aspettative. In tutto questo potete cogliere una risposta importante: la pienezza delle nostre esistenze non dipende da ciò che accumuliamo né da ciò che possediamo. È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere. Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, “alle cose di lassù”». Sono state parole che mi hanno colpito molto con uno schiaffo benevolo, che ti sveglia e ti riporta alla realtà. Mi sono resa conto di quanto tempo, possa talvolta passare rincorrendo cose che non contano. E che invece, forse, la felicità è nel saper condividere, anche solo un po’ di silenzio, un pezzo di strada, un cammino di rinascita o un abbraccio sincero. Poi è arrivato uno dei passaggi che più mi è rimasto nel cuore e che mi sono portata a casa: «Aspirate a cose grandi, alla santità ovunque voi siate. Non accontentatevi di meno»[3]. Parole semplici che mi hanno colpito e mi hanno fatto pensare che la “santità” si possa trovare anche in quelle piccole azioni quotidiane che magari siamo portati a dare per scontate. Ascoltare gli altri, portare un po’ di luce a chi ne ha bisogno, essere altruisti e pronti a donarsi agli altri sono quelle azioni in grado di renderci pienamente umani e veri.
Alla fine della celebrazione, papa Leone ci ha salutati con un messaggio semplice, quasi un mandato destinato a coinvolgere tutte le nostre piccole comunità: «Chiedo a voi di portare un saluto anche ai tanti giovani che non sono potuti venire e stare qui con noi, in tanti Paesi da dove era impossibile uscire. Ci sono posti da dove i giovani non hanno potuto venire, per le ragioni che conosciamo. Portate questa gioia, questo entusiasmo a tutto il mondo. Voi siete sale della terra, luce del mondo: portate questo saluto a tutti i vostri amici, a tutti i giovani che hanno bisogno di un messaggio di speranza. E buon viaggio!».[4]
Il ritorno a casa: una gioia che continua
Il ritorno a casa, a Taranto, ha avuto un sapore dolceamaro, dolce ma contemporaneamente malinconico perché un’esperienza così intensa come quella vissuta dal 28 al 3 agosto è giunta al termine. So, però, che il vero Giubileo non è terminato, e la vera sfida arriva adesso: portare tutta quella gioia, tutto quell’entusiasmo, tutti quei sorrisi – che tanto ci hanno scaldato il cuore – e tutta quella fraternità, nel mondo di tutti giorni per migliorarsi e migliorarci, gli uni di fianco agli altri. Io c’ero, e sono fiera di aver fatto parte di quel miliardo di cuori pronti a battere all’unisono come fossimo un unico grande cuore. Una Chiesa giovane, viva, in cammino. E io, con lei.
[1] https://www.diocesipatti.it/2025/07/31/omelia-del-cardinale-matteo-zuppi-presidente-della-cei-che-ha-presieduto-la-professione-di-fede-dei-giovani-italiani-riuniti-in-piazza-san-pietro-in-occasione-del-loro-giubileo/.
[2] https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/august/documents/20250802-veglia-tor-vergata.html.
[3] https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2025/08/03/0541/00962.html.
[4] https://www.avvenire.it/papa/pagine/nessun-surrogato-puo-spegnere-la-sete-di-dio-il-papa-incoraggia-i-giovani.
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