Affossando il negoziato …
Il proposito è evidente: alzare sempre più l’asticella, segnare una svolta alla strategia politica e militare dello stato di Israele e dare vita a un estremismo a poco a poco più radicale, a un radicalismo a mano a mano più estremista. Scacciare con minacce di morte i palestinesi dalle loro case, sparare a vista sui profughi affamati e alla ricerca di cibo, uccidere volutamente giornalisti, massacrare bambini, bombardare ospedali e scuole, ironizzare e minimizzare massacri, sostenere coloni armati che si appropriano, contro ogni logica legalitaria e rispetto di ogni principio liberale, illegalmente delle ricchezze altrui, impedire che un popolo possa proclamarsi tale e pretendere che tale metodo assuma agli occhi del mondo connotati di diritto che non potrà mai avere e non avrà mai. E poi martedì l’asticella è stata alzata, ancora una volta: preparare una trappola e agire come sicari verso chiunque, fingere di negoziare e poi uccidere i negoziatori. Il 9 settembre un raid dei caccia con la stella di David ha colpito un villino a Doha, in Qatar. Obiettivo: annientare i vertici di Hamas, radunati nell’edificio. Non ha e non capisce limiti: il diritto internazionale è un dettaglio trascurabile per il governo israeliano tenuto in ostaggio da Netanyahu, a sua volta ostaggio della paura di dover scontare tanti anni di carcere per corruzione e frode ma soprattutto degli estremisti religiosi e degli ultraortodossi, fra cui Ben Gvir e Smotrich. Trump rispetto a Netanyahu è sempre indietro di un passo – debole e pauroso più di don Abbondio il primo, deciso e impudente come Perpetua il secondo – e fino a questo momento ha accettato senza replicare la sua agenda di sterminio, arrivando a spalleggiare proposte folli come Gaza Riviera. A quel negoziato in Qatar partecipano anche gli inviati americani: gli Stati Uniti sono d’accordo con Netanyahu in tutto e per tutto ma a Doha, Casa Bianca e Trump hanno fatto una figura meschina e penosa. A Netanyahu non importa niente degli ostaggi, se no avrebbe già siglato un accordo. Le vite stesse degli israeliani sono subordinate ai suoi obiettivi: il primo è quello di restare al potere e di sfuggire alla giustizia, grazie a una guerra infinita. Alla fin fine, a conti fatti è lui il primo, il principale agente dell’antisemitismo. Il suo cinismo è illimitato: gli ostaggi vivi sono un motivo per continuare la mattanza e l’occupazione di territori, morti diventano una ragione in più per cercare di raggiungere la soluzione finale. Tutto ciò lo fa violando ogni legge internazionale e umiliando anche i paesi che in avvenire dovrebbero entrare nel Patto di Abramo, vale a dire la resa senza riserve delle monarchie arabe del Golfo e dei loro alleati. Solo gli stolti potevano supporre che quella mattanza riguardasse solamente i palestinesi: fa parte di un piano di controllo più ampio del Grande Israele, il territorio che si estende dal Nilo all’Eufrate. È quello che già aveva in testa Trump durante il primo mandato, cioè fare di Israele il gendarme della regione. Ma oggi Trump è disorientato e spiazzato: l’allievo Netanyahu ha surclassato il maestro. Ciò che è avvenuto in Qatar è già accaduto nel corso di questi ultimi due anni: contro Hamas, contro Hezbollah nel Libano, contro l’Iran, contro gli Houthi nello Yemen, in Cisgiordania, in Iraq, in Siria. Netanyahu, che ormai ha solo avversari e nemici, pretende che ci sia qualche stato pronto a ospitare centinaia di migliaia di palestinesi in fuga. Ecco il nodo centrale: cosa accade con lo sgombro di Gaza? Per i gazawi non c’è via di fuga e alternativa e l’esercito israeliano ha ripetuto che l’unica soluzione è ammassarli in campi di concentramento dove ogni tentativo di uscirne verrà punito con la morte. Poi bisognerà trovare il modo di fare accettare almeno in parte il loro esodo. La destra israeliana al potere vede, come candidati, i paesi arabi del Golfo che dovranno finanziarlo e trovare delle soluzioni. L’azione in Qatar è un ammonimento ai capi arabi su quello che potrebbe succedere se non collaborano. Questa è una logica di ricatto che Israele applica all’Europa. Dopo diciannove pacchetti di sanzioni alla Russia, nessuno ha il coraggio di esporne uno contro Israele: è chiaro che tutti sono ricattati da Israele e dagli Stati Uniti. Ecco in questo momento storico, di fronte a tutto quello che accade, è sempre più lontana la soluzione dei “due popoli due stati” perché è minata dalla riduzione del territorio, dal quarantatré per cento del 1947 al dodici per cento della Striscia di Gaza di oggi. Talvolta appare come un modo per giustificare e far guadagnare tempo al governo di Benjamin Netanyahu, alle prese con quel processo penale dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme e, in più, inseguito, come Vladimir Putin, da un ordine di cattura emanato dalla Corte penale internazionale dell’Aia. Fra poco salirà a più di centocinquanta su duecento il numero dei paesi del mondo che riconoscono la Palestina come stato e se, come dice qualcuno, la maggioranza ha sempre ragione … Nel frattempo, Netanyahu e il suo governo strepitano all’accomodamento e all’aggiustamento, e parla dell’ennesima ricompensa per Hamas. È proprio come un disco graffiato che gracchia ogni qualvolta qualcuno prenda una posizione a favore della causa palestinese, dei diritti umani e del diritto internazionale e contro i crimini ingiustificabili perpetrati dal governo israeliano. In Italia il ritornello è diverso: a sproposito vengono invocati di volta in volta, antigiudaismo, antisemitismo, antiebraismo, antisionismo, antisraelismo, …
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