Inclusione

Aifo: “Costruire un mondo più giusto, accessibile e solidale”

ph Aifo
30 Ott 2025

di Gigliola Alfaro

Nel segno del proprio impegno storico per la salute, la dignità e i diritti di tutte e tutti, Aifo (Associazione italiana Amici di Raoul Follereau) si fa promotrice di una campagna per l’inclusione che nasce per stimolare la coscienza collettiva, sensibilizzare le istituzioni e mobilitare la società civile affinché “nessuno sia lasciato indietro, nella convinzione che l’inclusione delle persone con disabilità non sia una concessione ma un diritto umano fondamentale”.
Da oltre sessant’anni Aifo lavora in Italia e nel mondo per garantire accesso alle cure, riabilitazione e inclusione sociale alle persone con disabilità e fragilità, sempre con un approccio integrato e partecipativo. La campagna rappresenta un’occasione per rendere visibile questo percorso e, soprattutto, chiedere un cambiamento profondo: non si tratta solo di offrire assistenza, ma di trasformare mentalità, sistemi e pratiche, in modo che l’esclusione non sia più tollerata.

Il cuore della campagna è il Manifesto dell’inclusione, che raccoglie i principi e le richieste rivolte a istituzioni, comunità e cittadini. Rappresenta un appello a impegnarsi concretamente per politiche più giuste, accessibili e inclusive, affinché la giustizia sociale diventi un orizzonte condiviso.La campagna invita ognuno a dare il proprio contributo, attraverso la firma del Manifesto, la condivisione del messaggio o la partecipazione diretta agli eventi. Allo stesso tempo, si rivolge alle istituzioni affinché gli impegni si traducano in azioni concrete nei campi della salute, dell’accessibilità, dell’istruzione, del lavoro e della vita sociale.

In occasione della campagna, che si svolgerà fino a dicembre 2025, ci sono eventi, incontri e iniziative culturali dedicati al tema dell’inclusione. “All’interno del nostro percorso troveranno spazio anche riflessioni sulla guerra e sulle sue conseguenze – spiega l’Aifo -. Crediamo infatti che una società veramente inclusiva non possa prescindere dal rifiuto di ogni forma di violenza, emarginazione e conflitto armato: per questo la nostra organizzazione si dichiara fermamente contraria alla guerra, che non solo genera nuove disabilità fisiche e psicologiche, ma produce anche processi di emarginazione per milioni di persone costrette a vivere ai margini. Ogni appuntamento è un’opportunità per conoscere, partecipare e sostenere un futuro senza barriere”. Da Bologna ad Ostuni, passando per diverse città italiane (Imperia, Ventimiglia, Cagliari, Piano di Sorrento, Lozzo Atestino, Oristano, Carpi e Vedano al Lambro) e per alcuni Paesi del mondo (Liberia, Tunisia e Mozambico) la campagna per l’inclusione 2025 unisce comunità, associazioni e istituzioni sotto un unico messaggio: “Costruire un mondo più giusto, accessibile e solidale”. Tra eventi, cortei e incontri, la campagna sta raccontando l’impegno di chi lavora per una società in cui le persone con disabilità siano protagoniste attive, animando da ottobre a dicembre scuole, piazze e centri culturali in Italia grazie alla collaborazione tra Aifo, enti del Terzo settore e realtà locali. La campagna e gli eventi diffusi in tutta Italia sono resi possibili grazie al supporto di istituzioni e partner, associazioni, istituzioni e realtà locali che credono nel valore dell’inclusione.

 

foto Aifo


Emilia-Romagna e Puglia sono le due regioni più attive, dal Disability Pride al Festival della Cooperazione internazionale. Il 28 settembre, le vie del centro di Bologna si sono riempite di musica, cartelli e orgoglio. Il Disability pride 2025 ha sfilato con uno slogan chiaro: “Facciamoci una vita”, una richiesta concreta a cui anche Aifo ha preso parte per chiedere di poter vivere pienamente, lavorare, uscire con gli amici, muoversi liberamente. Tra i temi centrali della marcia: vita indipendente, disabilità e migrazione, accessibilità urbana. Ad arricchire il percorso, nei mesi di ottobre e novembre, tre aperitivi inclusivi, una proiezione cinematografica e la presenza dei volontari di Aifo alla partita di serie A del Bologna Fc, stanno portando al centro libri, podcast e corti dedicati ai diritti e all’autonomia.

La campagna ha trovato eco al IX Festival della Cooperazione internazionale ad Ostuni, che ha acceso i riflettori sulla Dichiarazione di Amman-Berlino 2025, documento che impegna i Paesi firmatari – Italia compresa – a includere la disabilità nelle politiche di cooperazione internazionale (entro il 2028, il 15% dei programmi di cooperazione dovrà includere progetti di inclusione); e sulla figura del Garante dei diritti delle persone con disabilità, figura territoriale ancora poco diffusa ma cruciale in Italia. I diversi eventi del Festival sono stati essenziali per aprire un confronto tra comunità, Terzo settore ed istituzioni, ricordando quanto sia importante rendere effettive le politiche e le convenzioni internazionali per ottenere un cambiamento reale. Il coordinatore del Festival della Cooperazione internazionale Francesco Colizzi, socio di Aifo, chiarisce: “Abbiamo voluto affrontare un tema ambizioso, cercando di portare nel nostro territorio la riflessione su come il mondo stia ripensando il concetto stesso di diritti umani e di convivenza pacifica tra i popoli. Siamo riusciti a offrire momenti di confronto di alto livello, senza mai perdere il legame con la nostra comunità e con la dimensione umana che anima da sempre questo progetto”.

In Lombardia, diritti umani e empowerment. A Vedano al Lambro (Mb) è stata presentata alla comunità e alle istituzioni la ricerca emancipatoria sulla disabilità in Tunisia, riconosciuta come una buona pratica di cooperazione inclusiva di Aifo dove le persone con disabilità diventano protagoniste della ricerca, non più oggetto di studio. Individuano barriere, propongono soluzioni e condividono conoscenze per promuovere una reale partecipazione alla vita sociale. Un cambio di paradigma da utilizzare non solo nella cooperazione ma potenziale strumento di cambiamento anche nelle comunità italiane. In Sardegna l’impegno per l’inclusione e la solidarietà ha preso forma in tanti modi. A Cagliari, una tavola rotonda con i capi scout e un incontro con l’Ordine dei medici hanno aperto un dialogo su educazione inclusiva e salute globale come temi di giustizia sociale.

foto Aifo

Il 3 dicembre a Bologna l’evento “L’inclusione diventa vita – Un viaggio tra Mongolia e Italia per conoscere storie di vita rivoluzionarie”chiude le iniziative della campagna per il 2025. Un aperitivo solidale per condividere esperienze e sostenere i progetti di Aifo in Italia e in Mongolia. Durante la serata, Simona Venturoli (Aifo) e il giornalista Paolo Lambruschi di Avvenire racconteranno il loro recente viaggio, moderati da Lucia Bellaspiga, in un percorso di storie vere che parlano di inclusione, dignità e cambiamento. La campagna per l’inclusione 2025 porta un messaggio chiaro: l’inclusione non è un tema di nicchia, ma una scelta urgente e concreta che riguarda tutti. Dalle piazze alle biblioteche, dai teatri alle scuole, dai laboratori di ricerca ai luoghi di comunità, Aifo mostra che costruire un Paese più accessibile è possibile e significa migliorarlo per tutti.

L’inclusione non è una concessione, ma un diritto

“Il termine ‘inclusione’ è ampio e può acquisire molti significati, ma acquista una chiarezza inequivocabile quando lo si affianca alla cura. L’associazione ‘cura e inclusione’ definisce infatti un percorso preciso e mirato”, afferma il presidente di Aifo, Antonio Lissoni, che spiega: “La cura, intesa come l’atto di prendersi cura dell’altro, rappresenta il passo fondamentale. Che si tratti di assistenza sanitaria, supporto riabilitativo o sostegno sociale, essa non è un punto di arrivo, ma il primo stadio di un cammino che mira a riportare la persona vulnerabile a pieno titolo nel tessuto della propria comunità”. Per Lissoni, “la piena dignità di un individuo non si esaurisce nell’affermazione formale di un diritto. Essa si realizza pienamente attraverso la costruzione di comunità autenticamente accoglienti. In tali contesti, le persone vulnerabili non sono viste solo come destinatarie passive di aiuto o assistenza, ma come soggetti attivi, capaci di autodeterminazione e di prendere decisioni sulla propria vita”. Il presidente di Aifo conclude: “Il vero obiettivo è superare la semplice garanzia del diritto: in un cammino comune, dobbiamo creare concretamente le opportunità per una vita libera e partecipata”.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Diocesi

Celebrazioni per i defunti a Talsano

30 Ott 2025

di Angelo Diofano

A Talsano ci si prepara ad onorare i defunti con celebrazioni al cimitero ‘Porta del Cielo’.

Nella mattinata di sabato primo novembre, secondo convenzione stipulata con l’amministrazione comunale, la banda musicale cittadina ‘Giovanni Paisiello’ diretta dal m° Vincenzo Simonetti girerà per i vialetti del cimitero talsanese.

Domenica 2, alle ore 15.30, sul piazzale antistante la cappella comunale, i sacerdoti della vicaria di Talsano celebreranno la santa messa in suffragio di tutti i defunti.

Sabato 8 novembre, infine, le confraternite talsanesi del Carmine e del Rosario si ritroveranno alle ore 9.30 sulla via che conduce al cimitero (all’incrocio con la strada per San Donato) per dar vita, alle ore 10, accompagnate dalla banda musicale, al pellegrinaggio al luogo sacro assieme agli altri gruppi parrocchiali e alle realtà di volontariato del territorio.
Il corteo si concluderà al piazzale antistante la cappella comunale dove don Armando Imperato, padre spirituale delle due confraternite, assieme al diacono Antonio Acclavio, celebrerà la santa messa.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Drammi umanitari

Naufragio al largo della Tunisia, Forti (Caritas Italiana): “Occorre investire per consentire a queste persone di raggiungere l’Europa in sicurezza”

ph Laurin Schmid/Sos Mediterranée
30 Ott 2025

“Proviamo sgomento per l’ennesimo naufragio al largo delle coste tunisine. Purtroppo continua questa mattanza che ormai da oltre un decennio sta interessando un numero crescente di migranti, soprattutto dell’Africa subsahariana, che cercano di raggiungere l’Europa”: così Oliviero Forti, responsabile ufficio Immigrazione di Caritas Italiana, commenta il naufragio di migranti nel Mediterraneo. Questa volta al largo della Tunisia con 40 morti: tra questi anche alcuni bambini come ha riferito un portavoce della magistratura tunisina. Trenta persone presenti sull’imbarcazione sono state salvate. Per la Caritas, che ancora una volta si schiera a favore dei migranti, “non sono serviti gli accordi con la Tunisia. Non sono serviti – spiega Forti – neanche gli accordi con la Libia, peraltro recentemente rinnovati dal Governo italiano per trovare una soluzione all’apertura di vie legali e sicure di ingresso”. Per questo è necessario “urgentemente” rafforzare i presidi di salvataggio nel Mediterraneo centrale e “al tempo stesso investire risorse per consentire a queste persone di raggiungere l’Europa in sicurezza. Diversamente, conclude Forti, dovremo assistere ancora una volta a quello che è accaduto oggi di fronte alle coste tunisine”.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Chiusura assemblea sinodale

Mons. Busca (Cei): “Più corresponsabilità, formazione e ministerialità per una Chiesa davvero sinodale”

ph Siciliani Gennari-Sir
30 Ott 2025

di Riccardo Benotti

“La sinodalità è una mentalità e una metodologia: ora serve passare all’attuazione”: mons. Gianmarco Busca, vescovo di Mantova e presidente della Commissione episcopale per la Liturgia, sintetizza così il cammino che attende la Chiesa italiana. Alla vigilia della terza Assemblea sinodale, il presule richiama corresponsabilità, formazione e unità di sguardo come criteri decisivi per tradurre il Documento di sintesi in scelte pastorali concrete, capaci di rinnovare la vita delle comunità ecclesiali.

Eccellenza, qual è la priorità da cui partire perché il Documento di sintesi non resti solo programmatico ma diventi realmente operativo?
Occorre distinguere tra valore e urgenza. Mi sembra importante partire da tutto ciò che amplia il soggetto attivo della Chiesa. Non solo il clero, ma tutti gli organismi di comunione, chiamati a una rinnovata responsabilità di leadership e di governance delle comunità. Penso ai consigli pastorali e presbiterali, ma anche a nuove forme di gestione condivisa.

ph Siciliani Gennari-Sir

Quale ruolo può avere la formazione in questo processo di rinnovamento?
È fondamentale ridefinire la formazione in senso unitario e integrale. Nelle diocesi esistono molte proposte formative, ma spesso non si muovono come un corpo unico: molte attività, poca visione. Serve unità di sguardo e di progetto, per evitare dispersioni e sovrapposizioni.

E le ministerialità? Quale spazio possono trovare oggi nella vita ecclesiale?
È un ambito prioritario. Le ministerialità, anche quelle nuove istituite, sono strumenti preziosi di corresponsabilità. Solo valorizzandole il Documento potrà tradursi in un agire trasformativo. Dobbiamo far passare il messaggio che la Chiesa è tutta la comunità, non solo i ministri ordinati.

Che immagine di Chiesa emerge da questa terza Assemblea sinodale?
Il fatto stesso che si celebri una terza Assemblea, in continuità con le precedenti, è segno di unità e condivisione. Il Documento è organico, radicato nella Scrittura e nel Concilio Vaticano II, fedele al percorso compiuto. Non è stato semplice armonizzare i contributi, ma il risultato è equilibrato e restituisce una visione realistica e plurale della Chiesa italiana.

Ci sono temi che ritiene maturi per scelte più rapide?
Sì, alcuni non possono attendere. Penso all’iniziazione cristiana e, più in generale, ai percorsi di introduzione alla fede.
Dopo decenni di sperimentazioni, è tempo di delineare orientamenti comuni su padrini, sacramenti e collaborazione tra parrocchie e famiglie.

Un’altra urgenza riguarda la gestione dei beni e delle strutture. In che direzione muoversi?
Serve una gestione più condivisa e trasparente, con il coinvolgimento di laici competenti ai quali riconoscere corresponsabilità effettiva. Il calo dei sacerdoti impone nuove forme di collaborazione. Penso a figure di supporto economico-amministrativo accanto ai parroci e a deleghe specifiche ai laici per sostenere le comunità nel modo giusto.

Passiamo alla liturgia. È spesso percepita come questione di linguaggi: lei concorda?
No, bisogna evitare che sia ridotta a un problema comunicativo. La liturgia è un atto di fede, non una forma estetica o emozionale.
Le richieste di maggiore accessibilità sono legittime, ma devono integrarsi con un autentico approfondimento del mistero.

La liturgia può diventare una via per rigenerare la fede?
Certamente. Papa Francesco, in Desiderio desideravi, invita a formare “alla liturgia e dalla liturgia”. Ma serve un approccio sistemico: valorizzare parola, canto, gesti, ministerialità. Occorre una formazione liturgica diffusa, cura dell’ars celebrandi, attenzione agli stili della presidenza e accompagnamento dei giovani alla preghiera comunitaria.

ph Marco Calvarese-Sir

Come educare le nuove generazioni alla partecipazione liturgica?
È una sfida culturale e pedagogica. La messa è una soglia alta della vita ecclesiale e si raggiunge per gradi, con percorsi propedeutici. Dobbiamo alfabetizzare alla fede i giovani immersi nella cultura digitale, accogliendo i linguaggi contemporanei senza banalizzarli, per condurli a un’autentica esperienza di preghiera.

Molti temono che il lavoro sinodale non trovi continuità nelle diocesi. Condivide questa preoccupazione?
La comprendo, ma oggi è il tempo della sussidiarietà. I livelli più ampi devono sostenere la creatività dei livelli locali. Il confronto sinodale ha mostrato una buona alleanza tra Chiesa italiana e Chiese locali. Sarebbe utile istituire un organismo permanente che accompagni questa sinergia.
Nella mia diocesi, ad esempio, abbiamo scelto di dedicare un biennio alla ricezione coordinata dei processi sinodali, con delegati formati.

Questa Assemblea segna la conclusione del percorso di ascolto o l’inizio di una nuova fase?
Direi entrambe le cose. Dopo anni di ascolto e discernimento, si apre la fase dell’attuazione. La sinodalità è una mentalità e una metodologia: ora dobbiamo passare “dalla testa alle gambe”, dare concretezza a ciò che lo Spirito ha ispirato. La vera sfida è la ricezione, perché il Documento diventi lievito nella vita delle comunità.

Tutto questo avendo sempre Cristo al centro, come ribadisce papa Leone XIV.
Esatto. Rimettere al centro la liturgia significa rimettere al centro Cristo, non l’esperienza rituale in sé. È nella celebrazione che la Chiesa nasce e lascia agire il suo Signore. Senza il volto di Cristo, ogni valore si riduce a ideologia. Il Documento lo ricorda chiaramente: «Porre Cristo al centro per rinnovare l’incontro personale e comunitario con Lui oggi».

Un auspicio per il futuro del Cammino sinodale?
Che si consolidi uno stile di comunione, meno particolarismi e più corresponsabilità. La sinodalità non è un progetto da archiviare, ma un modo di essere Chiesa. È un percorso che coinvolge tutti e che, se vissuto con fede, può aprire una stagione nuova per le nostre comunità.

 

Il Cammino sinodale in Italia

Avviato nel 2021, il Cammino sinodale della Chiesa italiana si articola in quattro fasi: narrativa, sapienziale, profetica e attuativa. Dopo due Assemblee nazionali (2023 e 2024), la terza Assemblea completa la fase profetica, consegnando al Consiglio permanente della Cei le proposte per l’attuazione nelle diocesi. L’obiettivo è promuovere una Chiesa più missionaria, corresponsabile e unita nella diversità dei carismi e dei ministeri.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Diocesi

Riprendono gli incontri per gli anziani all’istituto M. Immacolata

30 Ott 2025

di Angelo Diofano

All’istituto Maria Immacolata (ingresso da via Mignogna 9, nei pressi di piazza Immacolata) riprendono gli incontri settimanali per gli anziani di tutti i quartieri finalizzati a creare momenti di amicizia, ascolto e condivisione.

L’appuntamento è per ogni giovedì dalle ore 16 alle ore 19 a cura della Famiglia Vincenziana i cui aderenti cureranno l’accoglienza e l’animazione a base di giochi, conversazioni, balli e, perché no, con la degustazione di un buon dolce fatto in casa. Tutto questo, prendendo spunto e realizzando le parole di papa Francesco: “L’amicizia di una persona anziana aiuta il giovane a non appiattire la vita sul presente e a ricordarsi che non tutto dipende dalle sue capacità…  Per i più anziani, invece, la presenza di un giovane apre alla speranza che quanto hanno vissuto non vada perduto e che i loro sogni si realizzino… Lasciamoci plasmare dalla grazia di Dio che, di generazione in generazione, ci libera dall’immobilismo nell’agire e dai rimpianti del passati”.

Nell’occasione viene lanciato un appello per quanti volessero prestare opera di volontariato in favore dei nostri anziani, presentandosi il giovedì pomeriggio al centro di via Mignogna.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Diocesi

Rete mondiale di preghiera, incontro all’istituto Maria Immacolata

29 Ott 2025

Giovedì 30 ottobre alle ore 16.30 all’istituto Maria Immacolata (via Mignogna, a Taranto)  si ritroveranno tutti i gruppi diocesani della Rete mondiale di preghiera-Apostolato della preghiera per l’incontro sul tema ‘La spiritualità del Sacro Cuore di Gesù’. Dopo introduzione dell’assistente diocesano mons. Tonino Caforio, la relazione sarà tenuta da don Giuseppe D’Alessandro, parroco all’Immacolata di San Giorgio jonico.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Eventi in diocesi

Rinascere donna: incontro culturale alla parrocchia del Rosario di Talsano

29 Ott 2025

di Angelo Diofano

Giovedì 30 ottobre alle ore 19 alla parrocchia Maria Santissima del Rosario di Talsano il parroco don Armando Imperato dialogherà con suor Palmarita Guida sui temi del suo ultimo libro intitolato ‘Rinascere donna – Oltre il femminismo una nuova libertà’ (Antonio Dellisanti editore).

Collaboratrice di Radio Maria, Famiglia Cristiana e Maria con te, nonché pittrice e autrice di numerose pubblicazioni, la religiosa vincenziana affronta nel suo lavoro editoriale un percorso di riflessione che va oltre il femminismo tradizionale, invitando le donne – e i lettori sensibili alla dignità umana – a un cammino di rinascita interiore, fondato sulla dignità, la spiritualità vissuta e la memoria storica.

Nella prefazione, il vescovo di Castellaneta mons. Sabino Iannuzzi scrive che ‘Rinascere donna’ non offre ricette semplici né soluzioni preconfezionate; al contrario, pone domande, apre sentieri, invita a una riflessione personale e comunitaria. L’autrice parla con franchezza e dolcezza insieme, quasi prendendo per mano chi legge. Ci invita a guardare dentro di noi con onestà, a confrontarci con la nostra eredità culturale e spirituale senza paura, e soprattutto ad aprirci alla speranza di un cambiamento possibile”.

 

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Editoriale

Migranti, Pietro Bartolo: “Non far cadere l’oblio sui morti e sui vivi”

ph Ansa-Sir
29 Ott 2025

“Una volta sognai di essere una tartaruga gigante con scheletro d’avorio che trascinava bimbi e piccini e alghe e rifiuti e fiori e tutti si aggrappavano a me, sulla mia scorza dura. Ero una tartaruga che barcollava sotto il peso dell’amore molto lenta a capire e svelta a benedire. Così, figli miei, una volta vi hanno buttato nell’acqua e voi vi siete aggrappati al mio guscio e io vi ho portati in salvo perché questa testuggine marina è la terra che vi salva dalla morte dell’acqua”: sono i versi di “Una volta sognai”, la poesia dedicata a Lampedusa scritta da Alda Merini e letta alla vigilia dell’inaugurazione della Porta d’Europa (28 giugno 2008), il monumento di Mimmo Paladino dedicato ai migranti morti nel Mar Mediterraneo. Pietro Bartolo li cita a memoria, un modo tutto personale per rievocare la sua storia quotidiana di medico di Lampedusa, per oltre 25 anni responsabile delle prime visite ai migranti sbarcati sull’isola su barconi fatiscenti. L’incontro con Bartolo avviene a margine di un evento che si è svolto nei giorni scorsi a Subiaco (Rm), chiamato dai giovani della locale associazione “Subiaco letteraria” per parlare del suo libro “Lacrime di sale” (Mondadori, 2016), appuntamento inserito nel programma “Subiaco Capitale italiana del libro 2025”. Un volume denso di ricordi e di storie nel quale il medico cerca di ridare un nome, un volto e un’umanità a migliaia di corpi senza nome arrivati sull’isola.

Persone, non numeri

“Sono persone, non numeri – precisa subito il medico – persone alla ricerca di un futuro migliore e che sono morte nel mio mare Mediterraneo”. Si commuove quando rievoca i terribili momenti del naufragio del 3 ottobre 2013, quando 368 persone persero la vita proprio davanti alle coste di Lampedusa. Senza immaginare, allora, che altre tragedie avrebbero avuto esiti ancora peggiori: “Oggi a 12 anni di distanza il mio incubo è un bambino che stava nel primo sacco che ho aperto, ogni notte mi chiede in sogno perché non l’ho salvato. Mi sveglio con questa immagine, poi mi riaddormento ma torna di nuovo. Io faccio le ispezioni cadaveriche perché non restino dei numeri, ma i numeri li ho dovuti mettere, purtroppo, perché non sai chi sono, non hanno documenti.
Quel 3 ottobre ho messo 368 numeri, ma non erano numeri.
Le ispezioni dei cadaveri servono per dare una identità a quelle persone, la dignità. Non ho mai amato fare le ispezioni dei cadaveri, ho sofferto tanto per farle, ma tanto. Io che avevo studiato ginecologia e ostetricia per dedicarmi della vita nascente mi sono ritrovato ad avere a che fare con la morte. A volte ho avuto paura, molte volte ho pianto, ho vomitato, però era giusto farlo e lo facevo proprio per dare dignità a queste persone perché non restassero solo dei numeri”. I morti come i vivi, perché, ricorda il medico, “coloro che vengono tratti in salvo, o che muoiono annegati o per le violenze e le torture subite dai trafficanti di esseri umani, hanno legami familiari come ciascuno di noi. E su di loro non può cadere l’oblio. Molti di noi che vivono in questa sponda del Mediterraneo possono pensare: ‘Vabbè, se sono morti nessuno li cerca’. Invece vengono i parenti a cercarli, genitori, figli, mogli e questo accade perché dietro questi numeri, dietro questi cadaveri ci sono delle storie di forti legami personali e familiari”.

Rischio dell’oblio

Al rischio di oblio Bartolo risponde con il racconto di queste storie, delle sofferenze, delle umiliazioni, delle torture, delle sevizie, delle violenze, degli abusi patiti nei lager della Libia e di altri Paesi da dove i migranti partono per affrontare veri e propri viaggi della speranza. Storie che riempiono le pagine dei suoi libri, del documentario “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi (Orso d’oro a Berlino nel 2016) cui ha preso parte, del film Nour (2019) liberamente tratto dal suo libro “Lacrime di sal”. E sono storie che giacciono in fondo a quel mare dove Bartolo è nato, lui lampedusano, figlio di pescatori.

“Nel mio mare – dice con voce fioca – hanno perso la vita più di 50-60mila persone, che sono quelli di cui abbiamo contezza, ma saranno almeno il doppio, un genocidio, una mattanza che avviene nell’indifferenza generale. Certo – aggiunge – ci indigniamo, piangiamo, se vediamo un bambino esanime tra le braccia di un soccorritore o riverso sulla spiaggia come avvenne per il piccolo Alan Kurdi, il 2 settembre di 10 anni fa. La sua foto scatenò l’indignazione a livello globale. Ma sono reazioni destinate a scemare in breve tempo. Poi ritorna l’indifferenza, come diceva Papa Francesco. Magari fosse solo indifferenza”, insiste Bartolo. “Purtroppo, c’è contrarietà, ostilità nei confronti di queste persone. C’è chi fa accordi con Paesi terzi (Turchia, Libia, Tunisia, Albania, ndr.) per poter, pagando fior di miliardi, far fare il lavoro sporco agli altri. Così mentre ci laviamo le mani, ci sporchiamo la coscienza. E io di questa cosa sento tutta la responsabilità e la colpa perché conosco ciò che succede per averlo visto con i miei occhi”.

Il fallimento della politica

Un senso di impotenza sentito dal medico e amplificato anche dal suo impegno nel Parlamento europeo dove è stato eletto nel 2019, “ma senza incidere come avrei voluto”, riconosce Bartolo. “L’Europa sta sbagliando, e anche io ho sbagliato, perché continua a utilizzare un sistema inefficace, il cosiddetto regolamento di Dublino che è lo strumento che governa il fenomeno della migrazione. È un fallimento se dopo 30 anni si continua a parlare ancora di migrazione, di sbarchi, di morte, di problemi. Ma non è con la deterrenza, con il rimpatrio, con il farli morire che puoi fermare queste persone”.

Per Bartolo “bisogna cambiare visione sulla migrazione e cominciare a capire che può rappresentare un’opportunità e una risorsa anche alla luce dei problemi demografici certificati solo pochi giorni fa dall’Istat. L’Europa è diventata una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale, ndr.), siamo tutti vecchi. I migranti ci possono aiutare dal punto di vista culturale, sociale, economico. Tra loro ci sono anche professionisti, artisti, musicisti, medici, ingegneri, persone preparate. E per chi non ha una preparazione serve pensare a corsi di formazione lavorativa e di apprendimento della lingua. Regolarizzarli, trattandoli con dignità – senza schiavizzarli come molti casi di cronaca, vedi Rosarno per esempio, hanno dimostrato – i migranti possono aiutarci a risolvere i nostri problemi. Noi non abbiamo più giovani che vanno a lavorare in settori come l’agricoltura, l’edilizia, l’alberghiero”.
“Queste persone devono arrivare attraverso i canali regolari. Invece, per mero riscontro elettorale, una certa politica crea il mostro, promettendo di ricacciarlo indietro”.

Il dna dei pescatori

Intanto Lampedusa continua ad accogliere: “Lampedusa è la mia isola, ci sono nato. È un’isola di pescatori, un’isola di gente che ha sempre accolto, perché l’accoglienza è nel dna dei pescatori. Spesso qualche giornalista mi chiede ‘Ma come mai, dottore, dopo 30 anni i lampedusani non si sono stancati, non hanno mai protestato?’ La risposta è facile: ‘Perché noi siamo un popolo di mare e tutto quello che viene dal mare è benvenuto’”.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Lettera apostolica

Leone XIV: “L’educazione cattolica ha il compito di ricostruire fiducia”

ph Vatican media-Sir
29 Ott 2025

“Disarmate le parole, alzate lo sguardo, custodite il cuore”, per “ricostruire fiducia in un mondo segnato da conflitti e paure”: si conclude con questo triplice appello la lettera apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza”, pubblicata a 60 anni dalla Gravissiumum educationis. Per le “costellazioni” che compongono la rete educativa cattolica, la stella polare, oltre alla dichiarazione conciliare e al Patto educativo globale promosso da papa Francesco, è San John Henry Newman, che sabato prossimo, 1° novembre, verrà proclamato co-patrono dell’educazione cattolica insieme a San Tommaso d’Aquino. “Un’educazione alla pace disarmata e disarmante insegna a deporre le armi della parola aggressiva e dello sguardo che giudica, per imparare il linguaggio della misericordia e della giustizia riconciliata”, assicura Leone XIV: “Disarmate le parole, perché l’educazione non avanza con la polemica, ma con la mitezza che ascolta”, scrive il Papa: “Alzate lo sguardo. Sappiate domandarvi dove state andando e perché. Custodite il cuore: la relazione viene prima dell’opinione, la persona prima del programma”. Nel testo, Leone non nasconde le “fatiche” dell’educazione: “l’iper-digitalizzazione può frantumare l’attenzione; la crisi delle relazioni può ferire la psiche; l’insicurezza sociale e le disuguaglianze possono spegnere il desiderio”. Eppure, proprio qui, “l’educazione cattolica può essere faro: non rifugio nostalgico, ma laboratorio di discernimento, innovazione pedagogica e testimonianza profetica”. “Siate servitori del mondo educativo, coreografi della speranza, ricercatori infaticabili della sapienza, artefici credibili di espressioni di bellezza”, la richiesta ai pastori, ai consacrati, ai laici, ai responsabili delle istituzioni.

“Le tecnologie devono servire la persona, non sostituirla; devono arricchire il processo di apprendimento, non impoverire relazioni e comunità”, ribadisce il Papa, secondo il quale “un’università e una scuola cattolica senza visione rischiano l’efficientismo senza anima, la standardizzazione del sapere, che diventa poi impoverimento spirituale”. Per abitare questi spazi occorre creatività pastorale: “rafforzare la formazione dei docenti anche sul piano digitale; valorizzare la didattica attiva; promuovere service-learning e cittadinanza responsabile; evitare ogni tecnofobia”. “Il nostro atteggiamento nei confronti della tecnologia non può mai essere ostile”, precisa Leone XIV, ma “nessun algoritmo potrà sostituire ciò che rende umana l’educazione: poesia, ironia, amore, arte, immaginazione, la gioia della scoperta e perfino, l’educazione all’errore come occasione di crescita”. 

“Il punto decisivo non è la tecnologia, ma l’uso che ne facciamo”, spiega infatti il pontefice: “L’intelligenza artificiale e gli ambienti digitali vanno orientati alla tutela della dignità, della giustizia e del lavoro; vanno governati con criteri di etica pubblica e partecipazione; vanno accompagnati da una riflessione teologica e filosofica all’altezza”, perché “una persona non è un profilo di competenze, non si riduce a un algoritmo previsibile, ma un volto, una storia, una vocazione”. In questo contesto, le università cattoliche hanno “un compito decisivo: offrire diaconia della cultura, meno cattedre e più tavole dove sedersi insieme, senza gerarchie inutili, per toccare le ferite della storia e cercare, nello Spirito, sapienze che nascano dalla vita dei popoli”.

“I mutamenti rapidi e profondi espongono bambini, adolescenti e giovani a fragilità inedite”, sottolinea il Papa: sessant’anni dopo la Gravissimum educationis e a cinque dal Patto Educativo globale, “non basta conservare: occorre rilanciare”: “Chiedo a tutte le realtà educative di inaugurare una stagione che parli al cuore delle nuove generazioni, ricomponendo conoscenza e senso, competenza e responsabilità, fede e vita”. Per Prevost, sono ancora attuali i sette percorsi del Patto Educativo Globale consegnatoci da papa Francesco: “porre al centro la persona; ascoltare bambini e giovani; promuovere la dignità e la piena partecipazione delle donne; riconoscere la famiglia come prima educatrice; aprirsi all’accoglienza e all’inclusione; rinnovare l’economia e la politica al servizio dell’uomo; custodire la casa comune. Queste ‘stelle’ hanno ispirato scuole, università e comunità educanti nel mondo, generando processi concreti di umanizzazione”. A queste sette vie, Leone aggiunge tre priorità: “ La prima riguarda la vita interiore: i giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio, discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio. La seconda riguarda il digitale umano: formiamo all’uso sapiente delle tecnologie e dell’Ai, mettendo la persona prima dell’algoritmo e armonizzando intelligenze tecnica, emotiva, sociale, spirituale ed ecologica. La terza riguarda la pace disarmata e disarmante: educhiamo a linguaggi non violenti, riconciliazione, ponti e non muri”.

“La famiglia resta il primo luogo educativo”, ribadisce inoltre il Papa: “le scuole cattoliche collaborano con i genitori, non li sostituiscono”. “L’educazione non è solo trasmissione di contenuti, ma apprendistato di virtù”: “Si formano cittadini capaci di servire e credenti capaci di testimoniare, uomini e donne più liberi, non più soli. E la formazione non si improvvisa”. Di qui la necessità di “un cammino di formazione comune, iniziale e permanente, capace di cogliere le sfide educative del momento presente e di fornire strumenti più efficaci per poterle affrontare”. No alla “subordinazione dell’istruzione al mercato del lavoro e alle logiche spesso ferree e disumane della finanza”. “Dimenticare la nostra comune umanità ha generato fratture e violenze; e quando la terra soffre, i poveri soffrono di più”, l’appello sulla responsabilità verso il creato: “L’educazione cattolica non può tacere: deve unire giustizia sociale e giustizia ambientale”. “Perdere i poveri equivale a perdere la scuola stessa”, il monito valido anche per l’università.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Diocesi

Commemorazione dei defunti: il 2 novembre santa messa dell’arcivescovo al ‘San Brunone’

ph G. Leva
29 Ott 2025

Domenica 2 novembre, l’arcivescovo mons. Ciro Miniero presiederà nella cappella monumentale del cimitero San Brunone la celebrazione eucaristica in suffragio dei defunti nella ricorrenza loro dedicata. La giornata inizierà con il raduno delle autorità civili e militari all’ingresso del luogo sacro da dove alle ore 9.30 partirà il corteo preceduto dalla banda musicale cittadina ‘Giovanni Paisiello’. Lungo il viale principale saranno effettuati momenti di preghiera davanti alla tomba del vigile urbano Francesco Gallo, tragicamente scomparso negli anni sessanta, alla cappella del Capitolo metropolitano, omaggiando idealmente la memoria di tutti i sacerdoti deceduti della nostra diocesi, con deposizione di una corona d’alloro davanti al monumento a Gesù Redentore, nella piazza centrale.
Alle ore 10 nella cappella monumentale sarà celebrata la santa messa cui seguirà il consueto omaggio, con deposizione di corone d’alloro, al Famedio dell’Esercito italiano, ai resti del sommergibile tedesco UC12, affondato in Mar grande, e al Camposanto degli inglesi.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO

Sinodo

Intervista a monsignor Romanazzi: dal Sinodo una Chiesa più accogliente

ph G. Leva
28 Ott 2025

di Silvano Trevisani

La parola ‘Sinodo’ deriva da due parole greche che significano insieme e strada, quindi la combinazione trasmette l’idea di “camminare insieme”. Oggi nella Chiesa cattolica, il termine ‘sinodo’ significa molto di più. Seguendo l’insegnamento di papa Francesco, che si basa sul Concilio Vaticano II, la sinodalità indica la partecipazione attiva di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa. Per quattro anni tutta la Chiesa italiana si è interrogata, a vari livelli, a partire dalle singole comunità, sulla propria dimensione e, al termine di questo lungo percorso, è stato prodotto un documento conclusivo che recepisce questa lunga elaborazione facendone sintesi. E porgendola ai vescovi, perché siano loro a darle in qualche modo pratica e sostanza.

Abbiano ascoltato, all’indomani dell’approvazione del Documento di sintesi del cammino sinodale, il referente diocesano, monsignor Gino Romanazzi, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Cos’ha significato per la Chiesa italiana questo cammino sinodale?

Il sinodo è un cammino che si fa insieme e che coinvolge il popolo di Dio, tutti i battezzati. Li sollecita a tenere vivo il pensiero che è stata affidata loro una missione: diffondere la propria esperienza di Cristo e della salvezza. Anche a livello diocesano abbiamo avuto la possibilità di incontrarci e incontrare anche persone che non erano molto coinvolte nella vita di Chiesa. Ebbene, in tutti gli incontri abbiamo registrato una grande attenzione all’accoglienza, anche da parte di coloro che potevano sembrare indifferenti. Si è verificato, potremmo dire, un contagio, la testimonianza di un entusiasmo che ci ha investiti e ha reso ciascuno di noi consapevole della responsabilità che si assume nei confronti degli altri. Non solo da punto di vista religioso, ma anche da quello strettamente umano. Un cristiano che vive nel mondo testimonia la bellezza della propria fede in tutti i modi e in tutti i campi: nella vita quotidiana, nella pratica religiosa, nel lavoro, nella politica, nella malattia e così via. La nostra vita si innesta nella storia precedente e in quella che verrà ancora nel mondo. Il cui cammino è anche illuminato dalla vita dei santi, testimoni reali.

È noto che i lavori dell’assemblea hanno anche avuto dei momenti di difficoltà, come dimostra lo slittamento del documento di sintesi.

I lavori dell’assemblea sono stati intensi e complessi, per questo hanno richiesto un supplemento di lavoro che limasse e perfezionasse la sintesi. Gli osservatorri esterni, però, e una parte dei mass media, hanno dato a questo una spiegazione non aderente alla realtà. Noi abbiamo avuto la possibilità di stare con i vescovi, compreso il nostro arcivescovo Miniereo, e abbiamo dialogato approfonditamente sulla vita della Chiesa. Una realtà che, nel complesso, non è fatta di pantofolai ma di uomini e donne che affrontano le difficoltà dell’uomo, che si interrogano sulle questioni. E del confronto sanno fare sintesi.

Una delle questioni centrali in questo dibattito è stata quella dell’affettività e dei cosiddetti omoaffettivi, cui si sono dati giudizi diversi e diverse interpretazioni sull’apertura nei loro confronti.

É così. La Chiesa per sua natura è madre e in quanto tale accoglie tutti impegnandosi all’educazione e all’accoglienza della verità che gli uomini sono chiamati a rappresentare, essendo creati a immagine e somiglianza di Dio. Ma accogliere non significa accettare ideologicamente di adeguarsi. Poiché la dottrina della Chiesa non cambia: non si tratta di approvare i comportamenti di chi si pone in modo diverso, ma di accoglierlo comunque e di accompagnarlo.

Una delle conclusioni più importanti del Documento riguarda la partecipazione dei laici alla vita delle parrocchie, la valorizzazione dei consigli pastorali, e così via….

Il coinvolgimento dei laici è un problema molto sentito. Abbiamo sperimentato come gli organismi di partecipazione, a livello parrocchiale come a livello diocesano, testimonino un impegno all’autenticità, alla disponibilità, a una partecipazione più coinvolta, che è perfezionamento della propria missione di credente. E credo che la valorizzazione di questo dato sia ulteriore compimento del cammino sinodale.

Ora anche la diocesi farà sintesi del suo cammino sinodale.

Il 4 novembre la Chiesa di Taranto è convocata in assemblea in Concattedrale, per ascoltare la relazione di sintesi e comprendere, così, lo stato attuale della Chiesa diocesana e cogliere quelli che saranno i punti cardini che dovremo affrontare in questo anno pastorale appena iniziato.

La Chiesa diocesana si è coinvolta pienamente nel percorso ma è anche scontato che, quando si cammina, c’è chi ha un passo più veloce e chi lo ha più lento. Tuttavia si coglie una realtà viva e un segnale di rinascita quando si è insieme. E l’indicazione del nostro vescovo è proprio l’invito a essere accoglienti.

VISITA IL MENÙ DEL GIUBILEO