Diocesi

Migrantes: la tradizione delle pettole all’insegna dell’integrazione

25 Nov 2025

di Anna Giordano

Alla parrocchia intitolata alla Madonna delle Grazie, a Taranto, la Migrantes diocesana, nel giorno di Santa Cecilia, ha inaugurato il periodo natalizio con la distribuzione delle pettole svoltasi sul sagrato della chiesa, trasformando così un gesto tradizionale in un forte segno di integrazione.

Infatti, accanto ai volontari italiani, hanno partecipato alla preparazione delle specialità gastronomiche tradizionali anche una giovane marocchina e una giovane siriana, testimonianza di una collaborazione che supera differenze culturali e religiose. Alla serata erano presenti, oltre ai parrocchiani, anche pakistani, nigeriani, congolesi e georgiani, in rappresentanza delle rispettive comunità

L’iniziativa ha evidenziato il valore della condivisione e dell’accoglienza, offrendo un’immagine concreta di una comunità capace di dialogare e costruire legami attraverso piccoli gesti.

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Elezioni

Decaro nuovo governatore di Puglia ma l’astensione arriva al 60 per cento

24 Nov 2025

di Silvano Trevisani

È stato tra il 13 e il 18 per cento, nelle città pugliesi, il calo di affluenza, che per l’intera regione ha fermato l’asticella al 41,83%, con una differenza complessiva di quasi meno 15%, rispetto al 56,43% di cinque anni fa. Taranto è penultima (col 40,6%), seguita da Foggia.

Questo è il dato più importante, poiché la vittoria quasi plebiscitaria di Decaro era scontata. Ma anche la stessa vittoria della coalizione di centrosinistra in Puglia viene un po’ offuscata dal dato che ha visto 6 pugliesi su 10 snobbare i seggi elettorali. Di astensionismo si discute ormai da anni, ma la disaffezione al voto continua a crescere in maniera inversamente proporzionale alle passerelle di politici in tv. Sicuramente molte delle teorie proposte sono condivisibili. Si parla di sfiducia del cittadino nei confronti della politica, di scarso ruolo dei partiti e di politiche analoghe da parte di tutti gli schieramenti, anche perché il primato assoluto ormai ce l’ha la finanza. Si parla di disaffezione alla democrazia, di eccessivo ricorso alle urne, che lascia comunque tutti i problemi irrisolti. C’è chi chiama in causa il Covid, chi la litigiosità dei partiti, chi il fatto che i candidati vengano quasi sempre calati dall’alto e che siano poco conosciuti all’elettorato. E va forse detto che indire elezioni alla fine di novembre non era certo un modo di favorire la “passeggiata elettorale”. Neppure a favore dell’affluenza era la scelta di negare tariffe vantaggiose per i fuorisede, studenti soprattutto, come è sembra avvenuto nei decenni passati. E questo vale comunque per tutta l’Italia.

Ma sicuramente non si ha sufficientemente chiaro che lo snobbare le urne è soprattutto un voto di protesta. Contro il peggioramento complessivo della qualità della vita, l’impossibilità dei cittadini di incidere sui cambiamenti, le retribuzioni da fame che desertificano le nostre città. E forse, più di ogni altra cosa: una sanità che si va privatizzando e che priva almeno 6 milioni di cittadini delle cura. Lo speciale di Report sulla sanità, quella pugliese in particolare, e ancor più in dettaglio quella tarantina, ha dimostrato come il servizio sanitario nazionale sia stato di fatto smantellato. Il regine dell’intramoenia si è rivelato una scelta deleteria da tutti i punti di vista, ma l’evasione fiscale ha fatto il resto, privando lo Stato delle risorse indispensabili. Poi abbiamo appreso che il direttore della Asl di Taranto, con una lettera ufficiale inviata ai sanitari, li ha sollecitati a sbolognare i pazienti al pronto soccorso, già al collasso, invece di chiedere visite diagnostiche urgenti!

Ma allora, ci chiediamo: come si può ridare dignità al voto e quindi anche agli eletti? È un’impresa impossibile? No. Per invertire la tendenza le possibilità ci sono. Un effetto sicuro lo avrebbe ridurre gli stipendi dei politici. E ancora di più: sospendere la contribuzione ai fini pensionistici da lavoro, per chi ne è esonerato e riceve i contributi pensionistici da Parlamento o Regione. Perché una doppia contribuzione? Questo accrescerebbe enormemente il loro ascendente e il rispetto degli elettori. Crollerebbe, di converso, il numero di coloro che fanno politica solo per sistemarsi. Qualcuno spiegò che gli stipendi dei politici furono raddoppiati in modo da evitare tentazioni corruttive. Ma sembra che l’effetto sia stato opposto.

E poi ci sono i risultati elettorali. In Puglia, come previsto, vince largamente Decaro, grazie anche al consenso personale di cui aveva già avuto conferma, oltre che al Comune anche all’Europarlamento, con oltre 500.000 preferenze. Da segnalare, inoltre, che Decaro ha preso molti voti in più dell’insieme delle sue liste. Il che vuol dire che la gente sa riconoscere un politico che fa bene il suo mestiere anche se non passa in tempo in tv. Ci auguriamo che faccia voltare pagine alla Puglia e anche al centrosinistra, che sono da troppo tempo segnati dalla presenza di Emiliano, così come a lungo lo è stata Taranto, il cui personalismo e tante decisioni, sia politiche che amministrative hanno creato imbarazza anche in vista di queste elezioni.

Il primo impegno che Decaro ha assunto pubblicamente nelle prime interviste rilasciate, è quello di ridurre realmente le liste d’attesa, in modo da ridare alla nostra regione la dignità che merita anche per le ottime strutture sanitarie di cui dispone. E ci auguriamo che questo valga soprattutto per Taranto, la cui sanità, come la stessa Regione ha riconosciuto, è il fanalino di coda nonostante le singolari emergenze che l’affliggono.

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Tracce

Putin detta e Trump scribacchia

Zelensky parla agli ucraini/Foto da TV
24 Nov 2025

di Emanuele Carrieri

L’operazione “Re Mida”, lo scandalo di corruzione che ha rivelato una rete di tangenti e di appalti pilotati nell’azienda di Stato che gestisce le centrali nucleari attive in Ucraina e che ha spinto due ministri alle dimissioni e uno stretto assistente di Zelensky a una partenza precipitosa per l’estero, ha reso evidente una realtà che – secondo quanto raccontato dalle rassegne stampa degli ultimi giorni – molti, nel Paese e altrove, conoscevano bene e da tempo. Nulla di nuovo sotto il sole forse, ma le dimensioni politiche della vicenda e la situazione estremamente precaria sul piano militare nel conflitto con la Russia hanno avuto un notevole effetto anche sulle opinioni pubbliche dei paesi europei. Tutto ciò ha costretto i governi ad affrettarsi a rimostrare il proprio sostegno alla Ucraina e, con questo, a risostenere, ancora una volta, Zelensky. Macron è andato pure più avanti e ha sottoscritto una lettera di intenti che impegna gli ucraini ad acquistare cento Dassault Rafale, gli aerei da caccia e da combattimento di fabbricazione francese, in dieci anni, oltre ad acquistare radar e armi di produzione francese, ma fino a questo momento nulla è filtrato circa l’aspetto economico di tali forniture di armamenti. Tuttavia quella delle leadership dei paesi europei appare essere una decisione scontata e inevitabile. D’altro canto, non è possibile far mancare il supporto, proprio nel momento in cui l’apparato ucraino ondeggia pericolosamente. E come non ricordare che, allo stesso modo, fra l’estate e l’autunno del 1991, le cancellerie europee cercavano in qualunque modo di spalleggiare Michail Gorbaciov, pur rendendosi conto che le sue basi di potere erano da tempo irrimediabilmente compromesse. Proprio come l’Unione Sovietica di quell’epoca, le roccaforti della resistenza ucraina alla aggressione russa manifestano cedimenti strutturali molto poco tranquillizzanti. Il reclutamento di uomini avviene con sempre aumentanti complessità, incrementate dalla decisione del governo di consentire a giovani di età compresa fra i diciotto e i ventidue anni di poter andarsene all’estero. Continui, inarrestabili bombardamenti russi su infrastrutture e installazioni energetiche, come centrali, gasdotti, condutture, reti di trasporto e distribuzione, espongono una parte di popolazione sempre più grande alle inclemenze della stagione fredda, proprio quando si è saputo che considerevoli risorse finanziarie destinate a riparare gli impianti danneggiati, andavano a finire nelle tasche di politici, di burocrati o di oligarchi corrotti. Nelle zone dei combattimenti, le nebbie autunnali che privano della vista i sensori dei droni non fanno altro che favorire le incursioni delle forze armate russe che penetrano più in profondità nel territorio nemico. In sintesi, il più che carente ricambio nelle forze armate impegnate nella linea di fuoco, le condizioni sfavorevoli riguardanti gli armamenti, oltre a una immensa fragilità economica e finanziaria e al malcontento interno, rendono la situazione per Zelensky sempre più delicata. “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” asserì Tito Livio, grande storico romano. Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. Dall’altra parte del mondo – ormai è un altro mondo – il Senato e la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti fanno a gara per chiedere con più forza garanzie di trasparenza nell’uso dei fondi americani e la promulgazione di riforme anticorruzione per continuare a fornire aiuti finanziari. Il tempo per certi versi dà l’impressione di dare ragione a Putin, che però non può vantare, per il momento, affermazioni decisive sul terreno, ma con nuove conquiste di città e villaggi nel Donbass e gli scandali a Kiev vede più vicino, forse, l’epilogo, la soluzione finale. In mancanza di uno schieramento compatto, di una posizione decisa, di una opinione strategica, di un orientamento mirato, di una condotta esplicita e logica da parte di tutti gli stati d’Europa – Ue e non, Nato e non – Trump ha rilanciato, ancora una volta, il ruolo degli States con un nuovo piano di pace, in ventotto punti, tuttora in elaborazione. E, ancora una volta, è il risultato di una riservata e segreta intesa fra Stati Uniti e Russia. O meglio, pare scritto proprio sotto dettatura di Putin. Le concessioni richieste a Zelensky riguarderebbero con precedenza la regione del Donbass da regalare a Mosca e inoltre la riduzione delle forze armate dell’Ucraina in cambio di incerte e vaghe garanzie che dovrebbero coinvolgere europei e americani. L’elemento politico che emerge da un tentativo di mediazione in divenire, e ancora non riconosciuto formalmente dal Cremlino, è la conferma della intenzione di escludere tutti gli stati d’Europa – Ue e non, Nato e non – e la stessa Ucraina, che nelle dichiarazioni di queste ore, suonano, al momento, impotenti nel reclamare un ruolo nel negoziato. Forse, per trovare una soluzione diplomatica al conflitto, occorre qualche strategia più energica, più forte e più decisa. Forse, bisognerebbe passare a un vero e proprio impiego dei capitali e dei patrimoni russi congelati dopo il 24 febbraio del 2022. Forse è il caso di prendere in seria considerazione la frase di Zelensky rivolta agli ucraini nel discorso alla nazione: “Sacrificare la nostra dignità o rischiare di perdere un partner.”. Quel partner che la sua dignità l’ha già smarrita il 6 gennaio del 2021, il giorno dell’attacco al Campidoglio, la sede ufficiale del Congresso degli Stati Uniti d’America. E non potrebbero restituirgliela nemmeno un miliardo di preferenze. Forse, questo è il momento giusto che gli stati d’Europa – Ue e non, Nato e non – si domandino a chi e a che cosa giova il loro continuare in quel sostanziale immobilismo diplomatico, in quella inefficienza politica. E che i politici europei capiscano che un esito infelice per l’Ucraina sarebbe un macigno sulle coscienze dei popoli europei. Come è già la Striscia di Gaza.

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Sport

Volley A2, La Cascina domina Cantù e si rimette in carreggiata

ph G. Leva
24 Nov 2025

di Paolo Arrivo

Non poteva essere uno scontro salvezza. Perché dopo appena cinque giornate la classifica è bugiarda: la Cascina ha incontrato la Campi Reale Cantù dopo aver mostrato piccoli segnali di crescita, al netto della sconfitta inflitta dalla capolista Brescia. Attraverso il cambio dell’allenatore (via Gianluca Graziosi per Pino Lorizio) la società ha cercato di dare una scossa al roster ionico. Così, con l’obiettivo di risalire la china, la Prisma ha ospitato al Palafiom il fanalino di coda della serie A2 maschile. E la vittoria è arrivata. Nel migliore dei modi: un rotondo 3-0 (25-15, 25-19, 25-19) che ridona al gruppo serenità e convinzione nei propri mezzi. Sugli scudi Ibrahim Lawani, eletto MVP dell’incontro, da segnalare le ottime prove di Nicola Cianciotta e di Oleg Antonov – l’italo russo è sempre determinante.

Il match Taranto-Cantù

Ionici avanti nella prima metà del set (12-7) con il timeout chiamato da Alessio Zingoni che non produce l’effetto sperato: Taranto macina punti sotto i colpi di Antonov e Lawani, e chiude senza problemi sul 25-15 il parziale grazie a un ace di Ryu Yamamoto. Nel secondo set c’è la reazione di Cantù sin dalle battute iniziali (5-7), e stavolta è coach Lorizio a chiedere la sospensione. Sul 9-12 è Antonov  a dare la sveglia pareggiando 12-12. Un paio di errori consentono agli ospiti di riportarsi avanti 12-14, poi il nuovo break ionico vale l’aggancio e il sorpasso (15-14). L’allungo nel finale con l’ace fortunato di Antonov che viene aiutato dal nastro. È buono stavolta l’approccio dei padroni di casa nel terzo parziale (5-2). La Prisma è avanti anche a metà set e sul 12-8 coach Zingoni chiama timeout. Taranto cresce a muro e in difesa, il pubblico si scalda. Cantù non si dà per vinto. Lawani si becca due muri che consentono alla formazione lombarda di rifarsi sotto 17-15. Gli ionici però sono intenzionati a conquistare l’intera posta in palio, e riprendono a giocare il loro volley concreto e brillante. A chiudere i giochi è sempre capitan Antonov.

Il campionato

La Prisma può continuare a sfruttare il fattore campo: domenica prossima trenta novembre ospiterà al Palafiom la Emma Villas Codyeco Lupi Siena. Poi ci sarà il turno infrasettimanale (mercoledì 3 dicembre, in casa del Lagonegro) e altre cinque giornate per concludere il girone d’andata all’inizio del nuovo anno. Il cammino è ancora lungo, pertanto, e margini di miglioramento questo gruppo ne ha tanti, per essere protagonista nella serie A2 Credem Banca. L’auspicio è che possa mantenere la continuità dimostrata nell’ultima gara. E la lucidità per spuntarla nei momenti chiave. “Da adesso dovrebbe partire il nostro campionato”, ha detto Pino Lorizio nel post gara invitando i suoi uomini a lasciare alle loro spalle ogni negatività. Perché l’aspetto mentale conta tantissimo in questo sport di squadra. Il prossimo step è alzare l’asticella, perché si possano affrontare al meglio le sfide più importanti, e dare soddisfazioni a una tifoseria che si era abituata a palcoscenici più grandi.

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Angelus

La domenica del Papa – Rinnovare lo slancio della Chiesa verso la piena unità

ph Vatican media-Sir
24 Nov 2025

di Fabio Zavattaro

“Immensa tristezza”: così papa Leone XIV esprime il suo dolore, “forte”, per i rapimenti di sacerdoti, fedeli e studenti avvenuti in Nigeria e Camerun; “soprattutto per i tanti ragazzi e ragazze sequestrati e per le loro famiglie angosciate”.

È ancora sul sagrato della basilica di San Pietro, il Papa, ha appena concluso la celebrazione eucaristica nella giornata dedicata al Giubileo dei Cori e delle Corali e a loro ricorda le parole di sant’Agostino: “il canto è proprio di chi ama: colui che canta esprime l’amore, ma anche il dolore, la tenerezza e il desiderio che albergano nel suo cuore e, nello stesso tempo, ama colui a cui rivolge il suo canto”.

È sul sagrato di San Pietro, dunque, e rivolge il suo pensiero a quanto accaduto in terra africana: circa 300 bambini e ragazzi insieme a 12 insegnati rapiti, dopo che in precedenza erano state sequestrate 25 ragazze portate via con la forza dalla scuola che frequentavano in Nigeria. Decine di chiese date alle fiamme e sacerdoti e fedeli uccisi, circa 200, in Camerun dove la violenza dei miliziani e terroristi islamici ha provocato migliaia di morti e più di 2 milioni di sfollati. È un “accorato appello” quello del vescovo di Roma che chiede l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi e esorta “le autorità competenti a prendere decisioni adeguate e tempestive per assicurarne il rilascio. Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle, e perché sempre e ovunque le chiese e le scuole restino luoghi di sicurezza e di speranza”.

Parole nella domenica in cui la liturgia ricorda la festa di Cristo Signore dell’universo “sovrano mite ed umile – afferma Leone XIV – colui che è principio e fine di tutte le cose. Il suo potere è l’amore, il suo trono è la Croce e, per mezzo della Croce, il suo Regno si irradia sul mondo”. Il Papa prega perché “ogni giovane scopra la bellezza e la gioia di seguire Lui, il Signore, e di dedicarsi al suo Regno di amore, di giustizia e di pace”.

È l’ultima domenica dell’anno liturgico, la prossima sarà la prima di Avvento, e le letture ci fanno riflettere sulla regalità di Cristo che si manifesta diversamente dalle nostre categorie e chiede a noi di capire che è lui il centro della storia, delle nostre piccole storie e di quella più grande che comprende l’intera umanità. Il paradosso è nel fatto che cogliamo questa sua sovranità nel volto sofferente e umiliato della morte sulla croce.

Nell’imminenza del suoi primo viaggio internazionale in Turchia e Libano – inizierà tra quattro giorni, il prossimo 27 novembre – il Papa annuncia la pubblicazione della sua lettera apostolica In unitate fidei che fa memoria dei 1.700 anni del Concilio di Nicea, il primo ecumenico. Nel testo il Papa chiede “a tutta la chiesa” di rinnovare il suo slancio verso la piena unità, pur nel rispetto delle legittime diversità; di “camminare insieme per raggiungere l’unità e la riconciliazione, lasciandosi alle spalle controversie teologiche hanno perso la loro ragion d’essere per acquisire un pensiero comune”.

Cosa avvenne a Nicea? Più di duecento vescovi, provenienti per la più parte da Oriente, si ritrovarono in questa località su invito dell’imperatore Costantino, per affrontare un tema teologico centrale per la fede cristiana: la natura di Gesù Cristo e il suo rapporto con il Padre. Il Credo di Nicea inizia proprio “professando la fede in Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra”. Oggi però Dio e la questione di Dio, scrive Leone XIV nella Lettera apostolica, non ha più “quasi più significato nella vita. Il Concilio Vaticano II ha rimarcato che i cristiani sono almeno in parte responsabili di questa situazione, perché non testimoniano la vera fede e nascondono il vero volto di Dio con stili di vita e azioni lontane dal Vangelo”.

Il Papa scrive ancora che “si sono combattute guerre, si è ucciso, perseguitato e discriminato in nome di Dio. Invece di annunciare un Dio misericordioso, si è parlato di un Dio vendicatore che incute terrore e punisce. Il Credo di Nicea ci invita allora a un esame di coscienza. Che cosa significa Dio per me e come testimonio la fede in Lui?”

Per il vescovo di Roma non si tratta di tornare indietro a prima delle divisioni, né “un riconoscimento reciproco dell’attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali. Il ristabilimento dell’unità tra i cristiani non ci rende più poveri, anzi, ci arricchisce”.

Quello che ci unisce “è molto più di quello che ci divide”, afferma ancora Leone, e “in un mondo diviso e lacerato da molti conflitti, l’unica Comunità cristiana universale può essere segno di pace e strumento di riconciliazione contribuendo in modo decisivo a un impegno mondiale per la pace”.

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Eventi in diocesi

Sabato 22, concerto di musica sacra in Concattedrale

21 Nov 2025

Sabato 22 novembre, nella chiesa inferiore della Concattedrale, alle ore 19.30 ad ingresso libero, si terrà un concerto di musica sacra del coro Harmonici concentus, diretto dal m° Palmo Liuzzi. La serata tarantina, ospitata dal parroco mons. Ciro Marcello Alabrese, vedrà come protagonista questo coro di voci femminili fondato nel 1997, che ha finalmente ripreso le proprie attività dopo la forzata chiusura per la pandemia. il programma del concerto verterà sull’esecuzione di alcuni brani ‘a cappella’ e di altri con l’accompagnamento organistico affidato al m° Simone Perrini. Per l’occasione verrà dato spazio anche alla produzione corale contemporanea, con l’esecuzione di brani di Carlotta Ferrari, Fausto Fenice e dello stesso Palmo Liuzzi.

L’evento rientra in un progetto di rete che coinvolge tutta la coralità italiana, con il cartellone allestito in occasione del 7° festival nazionale ‘Voci per santa Cecilia’. Questo festival in onore della santa protettrice della musica è quindi un grande progetto artistico che da sette anni è allestito dalla Federazione nazionale delle associazioni regionali corali, in collaborazione con le associazioni corali regionali (tra le quali l’associazione regionale dei cori pugliesi) e con il ministero della cultura e la Regione Puglia. Nell’edizione di quest’anno sono in programma circa 60 eventi distribuiti in tutte le regioni dal 20 al 23 novembre.

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Sovvenire

Nelle nostre vite, ogni giorno: i volti della ‘Chiesa in uscita’

La nuova campagna della Cei racconta la presenza quotidiana di una Chiesa che accompagna, sostiene e condivide la vita delle persone

21 Nov 2025

Che importanza dai a chi fa sentire gli anziani meno soli? A chi aiuta i ragazzi a prepararsi al futuro?A chi ti aiuta a pregare? Sono alcune delle domande al centro della nuova campagna istituzionale della Conferenza episcopale italiana: un racconto corale che mostra come la Chiesa abiti le storie di ogni giorno, con gesti di vicinanza, mani che si tendono, parole che consolano, segni che trasformano la fatica in speranza.

La campagna, dal claim incisivo Chiesa cattolica. Nelle nostre vite, ogni giornointende mostrare i mille volti della ‘Chiesa in uscita’, una comunità che si fa prossima ai più fragili e accompagna famiglie, giovani e anziani con azioni concrete. Dai percorsi formativi rivolti ai ragazzi,  per imparare a usare intelligenza artificiale e nuove tecnologie,  alle attività ricreative per gli anziani che spesso devono affrontare una vita in solitudine, dal sostegno alle persone lasciate sole, restituendo loro dignità e speranza, ai cammini di fede per aiutare ogni individuo a incontrare Dio nella vita quotidiana.

Nell’Italia di oggi, senza la presenza viva della Chiesa, con la sua rete di solidarietà, – spiega il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni  grazie all’impegno instancabile di migliaia di sacerdoti e volontari, mancherebbe un punto di riferimento essenziale. Attraverso questa campagna desideriamo rendere visibile quanto questa presenza sia concreta e incisiva nella quotidianità di tante persone”.

Ideata e prodotta da Casta Diva Group la campagna della Cei è on air dal 30 novembre fino al 31 dicembre 2025. Gli spot, da 15” e da 30”, raccontano una Chiesa vicina, ogni giorno,attraverso cinque esempi concreti: l’attenzione agli anziani, che diventa cura  per chi affronta la solitudine; l’impegno verso le nuove generazioni, che si traduce in percorsi formativi per l’utilizzo delle nuove tecnologie; il dono delle seconde possibilità, che si concretizza in una mano tesa a chi si sente escluso o emarginato; la forza della preghiera, che illumina il cammino di chi è in ricerca; la salvaguardia del creato, che passa anche dall’esplorazione scientifica per scoprire la bellezza nascosta nel mondo. Un invito a riconoscere nella vita di tutti i giorni il volto di una Chiesa che c’è, serve e ascolta, testimoniando la concretezza del Vangelo vissuto.

Non solo tv, ma anche radio, digital e carta stampata, con uscite pianificate su testate cattoliche e generaliste, pensate per invitare a riflettere sui valori dell’ascolto, della vicinanza e della fraternità. Perché “la Chiesa cattolica è casa, è famiglia, è comunità di fede. Per te, con te”.

 

Per maggiori informazioni:

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Diocesi

‘Here We Go’ per il nuovo complesso parrocchiale e oratoriale della San Giuseppe Moscati

21 Nov 2025

di Angelo Diofano
Torna ‘Here We Go’, il progetto promosso dalla cooperativa sociale 10 maggio, giunto alla sua seconda edizione. Nato per sostenere la costruzione del nuovo complesso parrocchiale e oratoriale di San Giuseppe Moscati nel quartiere Paolo VI, il percorso unisce sport, solidarietà e impegno comunitario, coinvolgendo cittadini, imprese, associazioni e istituzioni.
Accanto alla 10 maggio operano la cooperativa sociale onlus P.G. Melanie Klein e la Fondazione Taranto 25, che ne rafforzano l’impatto sociale e organizzativo. Al centro dell’iniziativa c’è lo sport, inteso come strumento educativo e aggregativo, capace di trasmettere valori quali rispetto, gioco di squadra, solidarietà e disciplina. Il centro oratoriale, guidato dal parroco don Marco Crispino, diventerà un punto di riferimento per il quartiere, offrendo ai giovani un luogo sicuro, formativo e ricco di opportunità.
Fondamentale per la riuscita del progetto è il coinvolgimento diretto della comunità e delle imprese: non sono infatti sufficienti i contributi economici, ma è necessario anche un supporto concreto durante le fasi organizzative e gli eventi, valorizzando il personale aziendale come risorsa umana e relazionale. Le donazioni da parte di aziende e privati potranno essere effettuate tramite l’iban ufficiale dell’iniziativa , con ricevuta fiscalmente valida secondo il Codice del Terzo settore.
Il progetto guarda al quartiere Paolo VI come a un territorio che merita attenzione e valorizzazione: una comunità che, attraverso la nascita del centro oratoriale, può ritrovare speranza, bellezza e nuove possibilità di crescita. Il sindaco, il presidente della Provincia, il presidente della Regione, la Curia arcivescovile e l’arcivescovo mons. Ciro Miniero hanno riconosciuto il valore educativo e sociale dell’iniziativa, concedendo il patrocinio morale e partecipando alla sua pianificazione.
La conferenza stampa di lancio, svoltasi mercoledì 19 novembre a palazzo di città, ha presentato obiettivi, finalità e partner del progetto, dando avvio alla campagna di raccolta fondi e segnando il primo momento pubblico di condivisione del percorso che accompagnerà la comunità nei prossimi mesi.
Il cuore dell’iniziativa sarà la Giornata oratoriale, in programma domenica 18 gennaio 2026 alla rotonda del lungomare, che per un giorno si trasformerà in un oratorio a cielo aperto con giochi, sport, musica, laboratori, animazione, testimonianze e momenti di preghiera. Un grande evento pensato per mostrare alla città il sogno del nuovo centro oratoriale, che potrà nascere solo grazie al sostegno di tutti.
“Here We Go” non è semplicemente una raccolta fondi, ma un percorso condiviso che unisce sport, educazione, fede e responsabilità sociale. Un progetto che guarda al futuro mettendo al centro i giovani e il loro diritto a crescere in una comunità forte, unita e inclusiva. Un invito, dunque, a camminare insieme per costruire un luogo capace di diventare casa, speranza e opportunità per tutta la città.

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Tracce

Voli di andata e senza ritorno

Foto Moshe Shai/Flash90/terrasanta.net
21 Nov 2025

di Emanuele Carrieri

Il primo a dare la notizia è stato il sito web del Corriere della Sera nel tardo pomeriggio di domenica scorsa: oltre centocinquanta palestinesi portati (o deportati?) in Sudafrica alcuni giorni prima. Ma il volo di una compagnia aerea rumena partito dall’aeroporto israeliano di Ramon – poco lontano da Eilat, cittadina turistica sul litorale settentrionale del mar Rosso – alla volta di Johannesburg, non sarebbe il primo. Riprendendo notizie diffuse dall’emittente Al Jazeera e dal quotidiano Haaretz, il Corriere della Sera afferma che il primo gruppo, composto da almeno cinquanta persone di Gaza, sarebbe uscito dalla Striscia il 27 maggio scorso. La sera del giorno precedente avrebbero ricevuto un messaggio WhatsApp con la indicazione del luogo dove presentarsi. Sarebbero dunque saliti a bordo di autobus per il valico di Kerem Shalom. Dopo vari controlli di sicurezza israeliani, il convoglio sarebbe partito verso l’aeroporto di Ramon, dove gli sfollati sarebbero saliti su un aereo charter rumeno con scalo a Budapest, che avrebbe proseguito in seguito per Indonesia e Malesia. Diaspore, queste, che sarebbero avvenute in “stretto coordinamento” fra una organizzazione, non meglio identificata, chiamata Al-Majd Europe e le forze armate di Israele. Organizzazione umanitaria fondata nel 2010 in Germania, specializzata nel fornire aiuti e supporto a comunità musulmane in zone di conflitto. Questo si legge sul sito di Al-Majd Europe, nel quale appare un link per le donazioni che va da 50 a 1.500 dollari, ovvero “il costo del viaggio di una persona”. Nello scorso inverno, sui social, sarebbe apparso un avviso pubblicitario, “Evacuazione umanitaria da Gaza”: sono stati raccolti dati di un numero esiguo di palestinesi che in seguito hanno ricevuto messaggi da numeri telefonici israeliani che confermavano il viaggio. Se tutto questo sarebbe avvenuto di nascosto e senza far trapelare niente, cosa è accaduto? E perché viene fuori solamente adesso? È semplice: il diavolo è ingegnoso nel creare situazioni maligne, ma non è mai in grado di nasconderle, perché sono destinate a essere rivelate. Il caso è esploso in Sudafrica, quando un aereo charter è arrivato a Johannesburg con centocinquantatré “passeggeri” palestinesi. Stavolta il diavolo si è dato la zappa sui piedi: il 29 dicembre 2023, il Sudafrica ha presentato una denuncia alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia contro Israele per “genocidio” a Gaza. Lo Stato africano, che ha sofferto il regime di apartheid dal 1948 al 1991, ha una lunga storia di solidarietà con la Palestina, di cui appoggia il diritto all’autodeterminazione. Ma già il 21 novembre 2023, aveva sospeso le relazioni diplomatiche con Israele per protesta contro gli attacchi nella Striscia di Gaza, definiti “atti di genocidio”. Ovvio che le autorità sudafricane hanno subito rilevato la mancanza di documenti validi, l’assenza di visti d’uscita, certificazioni carenti e procedure anomale. I passeggeri sono stati trattenuti sulla pista per ore e il governo ha emesso un comunicato ufficiale nel quale spiegava l’esigenza di una indagine. Il presidente Ramaphosa ha parlato pubblicamente di un “arrivo misterioso, non coordinato e facilitato da attori esterni”, affermando che quelle persone erano state buttate fuori da Gaza in circostanze poco chiare. Una parte dei passeggeri è stata accolta per ragioni umanitarie, mentre gli altri sono ripartiti verso Canada, Australia e Malaysia. E in più, una nota dell’Ambasciata palestinese in Sudafrica ha attestato che la partenza dell’ultimo gruppo è stata gestita da un’organizzazione non registrata e deviante che “ha sfruttato le tragiche condizioni umanitarie della nostra gente a Gaza, ha ingannato le famiglie e raccolto denaro da loro”. La domanda clou è semplice e al tempo stesso molto seria: chi beneficia davvero di questa operazione? E perché congegnare un sistema di evacuazioni parallelo, costoso, privo di monitoraggio internazionale, con voli che transitano per aeroporti militari e atterrano in paesi all’oscuro delle operazioni? Perché spostare la popolazione civile lontano dalla Striscia senza coordinamento ufficiale con l’Organizzazione delle Nazioni Unite o con l’Agenzia per il soccorso dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente oppure con altri organismi internazionali riconosciuti? E queste operazioni possono inquadrarsi in una strategia più vasta di svuotamento demografico della Striscia di Gaza, una ipotesi di cui è alfiere l’ultradestra israeliana? Non ci sono prove incastranti, ma il complesso di indizi, deposizioni, foto, riscontri e documenti alimenta i sospetti. Rimane un fatto: i corridoi umanitari sono più che necessari e devono essere garantiti in ogni conflitto, ma non sono espedienti di ingegneria demografica o escamotage al fine di risolvere con la diaspora quel che non si vuole affrontare con la diplomazia. La priorità non può essere salvare qualche centinaio di persone mentre la intera questione nazionale palestinese va a finire fra le smemoratezze. Senza un obiettivo politico, manifesto e particolareggiato – lo Stato, i diritti, la protezione internazionale – ogni evacuazione rischia di diventare una rinuncia complessiva. È evidente che queste evacuazioni non sono azioni umanitarie e non seguono le logiche dei corridoi protetti: sono il risultato di un sistema che ha deciso di non aprire corridoi legali e interamente sorvegliati, sotto il controllo internazionale. Ogni uscita da Gaza è presentata come una facilitazione, un’agevolazione, un privilegio invece che come l’esercizio di un diritto intoccabile e inviolabile: sfuggire a quella mattanza. Così sono stati consentiti movimenti non tracciati, privi di coordinamento istituzionale, nei quali i civili diventano passeggeri di un meccanismo che sfugge al controllo pubblico. È una strategia che, dietro le apparenze della salvezza, rischia di causare una nuova forma di dislocazione invisibile, una diaspora “mai dichiarata” che si muove lungo rotte fuori da ogni controllo e ogni garanzia internazionale.

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Sport

Sinner-Alcaraz, con i due fuoriclasse della racchetta non ci si annoia

21 Nov 2025

di Paolo Arrivo

La vittoria della solidità sulla fantasia. Quella di un essere umano che, rimanendo tale, non sbaglia quasi un colpo. Chiamatela come vi pare: la partita che ha contrapposto Jannik Sinner a Carlos Alcaraz, la finale delle Atp Finals di Torino, è stata l’ennesima perla che questi due fuoriclasse ci hanno fatto in dono. L’ultimo atto di una stagione che per entrambi è stata straordinaria. Anche Carlos, infatti, ha potuto festeggiare. Forse se Jannik non avesse perso tre mesi di gare, a causa della vicenda Clostebol, sarebbe rimasto stabilmente il numero uno nella classifica del ranking. Ma poco importa. Contano i successi, i trionfi che l’altoatesino ha collezionato anche nel 2025. Soprattutto, più della conquista delle Atp Finals (e degli oltre cinque milioni di dollari che ha intascato), conta il successo sul suo grande rivale, che resta avanti nel confronto diretto (10-6).

Sinner–Alcaraz, il testa a testa nel 2025

I due si erano incontrati quest’anno altre tre volte. Tre finali: Roland Garros, Wimbledon, US Open. La prima è stata vinta da Alcaraz. Una partita epica, durata cinque ore e mezza, la finale più lunga nella storia del torneo: lo spagnolo l’ha vinta in rimonta dopo aver perso i primi due set, e dopo aver salvato, nel quarto, 3 match point. Quel ricordo ci fa sostenere che il Grande Slam è un mondo a parte rispetto agli altri tornei. Perché giocato al meglio dei 5 set: cambia la fisiologia della partita, cambiano le dinamiche tattiche. E la tenuta mentale diventa l’elemento spartiacque all’interno dell’incontro. L’altra grande finale che ricordiamo è Wimbledon. Stavolta a spuntarla è stato Sinner, capace di vincere in quattro set dopo aver perso il primo. Ovvero di aggiudicarsi per la prima volta il titolo di Wimbledon interrompendo l’imbattibilità di Alcaraz nelle finali Slam. Carlos si è poi preso la rivincita agli US Open cedendo al suo avversario solamente il secondo set, e riprendendosi con quel successo la posizione numero 1. Allora Jannik mancò di quella continuità che è da sempre la sua prerogativa.

Presente e futuro

Per quanto abbiamo visto e goduto sinora è facile immaginare che la sfida si rinnoverà l’anno prossimo. E chissà per quante altre stagioni ancora. Prima che i due saranno inesorabilmente sconfitti dall’avversario più temibile. Lo stesso che ha già sconfitto Rafa Nadal e, non ancora del tutto, Novak Djokovic. Parliamo del tempo. Del declino della forza fisica, che è l’elemento preponderante nel tennis moderno. Sinner e Alcaraz non sono solo quello. Loro, che per fortuna non sono infallibili al servizio, ci hanno regalato scambi intensi, decisi dai migliori colpi in uso dal repertorio. I due si stimano e si studiano. Ciascuno impara dall’altro per superare i propri limiti, e per offrire il miglior tennis al pubblico. Questi fenomeni continueranno a vivere sotto i riflettori. A monopolizzare la scena, come hanno fatto nei decenni scorsi Nadal e Djokovic. Dietro di loro il vuoto.

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Lavoro

Ex Ilva: occupate fabbrica e strade Emiliano: “Complotto contro Taranto”

21 Nov 2025

di Silvano Trevisani

Sbrogliare la matasse Ilva è compito arduo. Già prima dell’intesa sul piano di decarbonizzazione dell’estate scorsa avevamo espresso riserve, conoscendo le pieghe di una situazione troppo complicata per risolversi nei corridoi di Palazzo Chigi. Ma il governo sta mostrando, sulla vertenza, un comportamento sconcertante. Prova ne sia l’ultima iniziativa assunta dal ministro per le Imprese Urso che, alla luce dell’occupazione delle fabbriche di Genova e Novi Ligure, ha convocato un incontro per le sole sedi ex Ilva del Nord. Con evidente scopo di dividere il fronte, forse su sollecitazione di politici settentrionali. Iniziativa che è stata immediatamente bollata dalla segreterie nazionali dei sindacati che hanno scritto al ministro: “A seguito della convocazione esclusivamente riguardante i siti del Nord, le organizzazioni sindacali ritengono un elemento divisivo del gruppo dividere gli incontri che fino ad oggi hanno avuto una regia a Palazzo Chigi. Chiediamo pertanto che il tavolo venga convocato alla presenza di tutte le istituzioni locali e regionali per tutto quanto il gruppo”. E avvertono che “la mobilitazione, in assenza di tale convocazione, proseguirà ad oltranza”.

Intanto, dopo Genova, anche Taranto è scesa in piazza. Dopo le assemblee di ieri mattina è partita l’occupazione dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto da parte di lavoratori diretti e dell’appalto e sindacati, con presidi a oltranza e blocchi stradali. Gridando “vergogna, vergogna” gli operai hanno accusato governo e commissari, chiedendo la revoca del piano presentato nei giorni scorsi e garanzie certe su decarbonizzazione, futuro produttivo e occupazionale.

La mobilitazione è legata allo sciopero di 24 ore proclamato dopo l’incontro di Roma, ma le sigle non escludono che la protesta possa proseguire oltre la singola giornata di ieri, vista la tensione crescente nello stabilimento. La statale Appia è stata bloccata all’altezza del siderurgico, con disagi alla circolazione e lunghe code in entrambi i sensi di marcia. Il presidio rimane attivo mentre i lavoratori annunciano ulteriori iniziative se non arriveranno segnali dal governo.

E al presidio hanno partecipato, in mattinata, anche il sindaco Piero Bitetti e il governatore Michele Emiliano. Bitetti si è detto pronto a partecipare al presidio a oltranza, se non dovessero arrivare le risposte attese. “Taranto è una città resiliente” ha detto, ricordando come l’intesa firmata lo scorso 18 giugno tra amministrazione e sindacati, avesse individuato per tempo le criticità dell’attuale strategia del governo. “Temiamo che si sia giocato un bluff politico per spostare responsabilità altrove”, ha osservato, sottolineando come le competenze sul destino del polo siderurgico siano chiare e non possano essere scaricate sugli enti locali.

Di fronte alla gravità del momento, il sindaco ha scritto direttamente alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, invitandola a venire a Taranto o, in alternativa, dichiarandosi pronto a raggiungerla a Roma “in qualunque momento”. Una richiesta dettata dalla necessità di ottenere “chiarezza, certezze e verità” sulla prospettiva industriale del sito.

Bitetti ha richiamato le responsabilità dell’esecutivo, ricordando gli investimenti annunciati per una transizione verso una produzione decarbonizzata e l’interesse strategico dell’acciaio di Stato. “Abbiamo sempre chiesto un percorso serio e progressivo, nel rispetto di salute, ambiente e lavoro”, ha rimarcato, parlando di narrazioni che “offendono l’intelligenza” della città e dei lavoratori.

Ancora più duro è stato Emiliano, secondo il quale ci sono “strane alleanze” per evitare che vengano realizzati i dri per la produzione di preridotto a Taranto. “Perché con dri e forni elettrici Taranto diventerebbe il monopolista dell’acciaio di qualità in Italia e in Europa e questo a molti non va giù. Ci sono delle strane alleanze per bloccarne la costruzione”. E promette battaglia su una questione sulla quale “il governo mente”.

Si attendono, da parte del governo, iniziative chiarificatrici, ma certo il tempo sprecato nel tentativo di sbolognare la patata bollente a eventuali, ipotetici acquirenti, magari ricavandoci anche un gettito per l’acquisto, del tutto immaginario, pesa maledettamente così come pesano gravemente gli errori commessi nelle gestioni commissariali, nella vendita bluff a Mittal, nei nuovi bandi inconcludenti, nella ‘svendita’ delle quote europee di emissioni inquinanti per una cifra ridicola di ‘soli’ 250 milioni, nel pianificare un processo di decarbonizzazione senza saper bene chi lo avrebbe attuato, nello sprecare energie a discutere di navi rigassificatrici con anni di anticipo, al solo scopo di scaricare un’altra patata bollente su enti (locali) che non hanno specifica competenza. Tempo sprecato in maniera umiliante anche nel propagandare un altro bluff: la decisione di non aumentare la cassa integrazione ma di utilizzare parzialmente corsi di formazione a rotazione per 1.500 operai, in modo da addestrarli sui nuovi processi produttivi che, per ora, non ci sono e chissà se e quando ci saranno. Un po’ come formare levatrici per bambini che potrebbero nascere tra 4 o 5 anni, se i genitori saranno intenzionati a metterli al mondo!

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Assemblea Cei

Card. Zuppi: “Mai più guerra! Mettere al bando le armi e scegliere la pace”

21 Nov 2025

“Noi, pastori della Chiesa italiana, riuniti nella città di san Francesco, uomo di pace, auspichiamo che all’umanità siano risparmiati ulteriori lutti e tragedie e sia evitata la spaventosa ipotesi di una catastrofe dalle conseguenze incalcolabili”: comincia così l’appello per la pace dei vescovi italiani durante i vespri e la preghiera per la pace presieduti dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nella chiesa inferiore della basilica di San Francesco ad Assisi, a conclusione della terza giornata dell’81ª Assemblea generale.
In attesa di papa Leone XIV, che li ha incontrati nella basilica di Santa Maria degli Angeli a conclusione dei lavori, dopo essersi recato in visita privata sulla tomba di San Francesco, nello stesso luogo gli oltre 200 vescovi si rivolgono “a quanti hanno in mano le sorti dei popoli”, sull’esempio del Santo di Assisi.

“Non gli uni contro gli altri, non più, non mai!”: nell’appello risuonano le parole pronunciate sessant’anni fa da San Paolo VI, quando parlando all’Onu ricordava che il fine di questa “nobile istituzione” è quello di agire “contro la guerra e per la pace”.
Perché si concretizzi il sogno della pace, “ieri come oggi, c’è bisogno di una conversione vera”, il richiamo: “È quanto oggi, sulla tomba del Santo, chiediamo umilmente a tutti e in primo luogo a noi stessi, vescovi delle Chiese in Italia”, la preghiera corale: “Con voce accorata, in nome del principe della pace, supplichiamo quanti governano i popoli, perché – messe al bando le armi, a cominciare dalle testate atomiche – impieghino ogni loro sforzo a servizio della pace e i mezzi a loro disposizione per combattere la fame che è nel mondo. Allora, sì, il Dio della pace sarà noi”.

“La Chiesa è una madre e non sarà mai neutrale, perché sceglierà sempre la pace – le parole del card. Zuppi nella sua meditazione -. Non pregherà per la vittoria, ma per la pace, che è l’unica vittoria. Questo grido è quello delle vittime delle guerre del passato che ci consegnano la memoria della loro sofferenza perché non sia più così. Dobbiamo essere doppiamente consapevoli – ha proseguito il cardinale – per il nostro presente e per il nostro passato prossimo. Molti di voi sono figli di questa generazione. Davanti a questi inferni non possiamo dire che non lo sapevamo. Non vogliamo che la pace sia una tregua. Per la pace bisogna combattere la logica della forza con le armi dell’amore, le uniche capaci di sconfiggere il demone e i demoni che si impadroniscono del mondo e dei cuori delle persone”, l’indicazione di rotta. Il cardinale ha poi citato il presidente Mattarella, e le sue parole pronunciate “con severa consapevolezza parlando al popolo tedesco”: “Quanti morti occorreranno ancora, prima che si cessi di guardare alla guerra come strumento per risolvere le controversie tra gli Stati, che se ne faccia uso per l’arbitrio di voler dominare altri popoli?”. “Il cristiano è artigiano di pace – ha spiegato Zuppi – perché pacifico e pacificatore, perché non può dire pazzo a suo fratello, perché ha messo la spada nel fodero, perché vince ogni seme di inimicizia”.

“Non vuole essere maquillage interno, ma sempre per la missione: vogliamo guardare il mondo intorno, le ricerche, i desideri, le gioie e le speranze degli uomini e delle donne”. Così il presidente della Cei ha sintetizzato lo spirito dell’assemblea di Assisi, durante la conferenza stampa con i giornalisti. Al centro dei lavori, il tema della sinodalità e della collegialità, a partire dal Documento di sintesi del Cammino sinodale, approvato il 25 ottobre e sul quale i presuli si sono confrontati in questi giorni per individuarne le “priorità”, da consegnare all’assemblea di maggio per delineare il cammino futuro. “Siamo consapevoli delle difficoltà che viviamo, ma le viviamo con molta collegialità”, il bilancio di Zuppi: “è stato un dibattito ricco, con tante diversità e sfumature, ma con una consapevolezza e determinazione per me consolante. Bisogna trovare come collegialità e sinodalità vanno insieme, ma direi che sono in buona salute tutti e due”. Tra le possibili priorità, il presidente della Cei ha elencato “la chiarezza di metodo, la costruzione della comunità in una Chiesa che cambia e si trasforma, il rapporto col territorio anche in tessuto sociale molto più isolato, dove c’è tanto individualismo, tanta sofferenza e patologie.
Ci preoccupa soprattutto l’autonomia differenziata sul suicidio assistito”, il grido d’allarme in risposta alle domande dei giornalisti sulla morte delle gemelle Kessler . “Il dibattito in corso non è su un diritto, ma sulla depenalizzazione, sono cose molto diverse”, ha precisato riguardo al finora mancato pronunciamento della Corte costituzionale sul suicidio assistito: “L’insistenza sulle cure palliative, che non hanno trovato minimamente attuazione, è una preoccupazione che la Chiesa ha. Le cure palliative devono essere garantite a tutti in modo efficace e uniforme, in tutte le regioni: è un modo concreto per alleviare le sofferenze e assicurare dignità fino alla fine”. No, quindi, “alle polarizzazioni o al gioco al ribasso: non si tratta di accanimento, ma di non smarrire umanità”.

“Se c’è una sofferenza, in particolare sull’omoaffettività, dobbiamo studiare il modo, costituire un gruppo di lavoro per dare linee guida che aiutino a mettere assieme le varie preoccupazioni, spero senza malevolenza – l’annuncio riguardo alla questione delle coppie omosessuali.
I vescovi attendono che l’equilibrio, il dialogo, il rispetto, qualcosa di più del fair play istituzionale siano sempre garantiti, tanto più in un momento come questo”, l’auspicio dopo i recenti attacchi al presidente Mattarella. “Tutti quanti dobbiamo fare un grande sforzo per uscire da qualunque polarizzazione, per dare risposte e certezze, per un dialogo tra le istituzioni che sia all’altezza del momento”, l’appello del presidente della Cei.

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