Udienza generale

Leone XIV: “Ricordate i bambini dell’Ucraina e di Gaza”

ph Vatican media-Sir
11 Set 2025

“Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità”: ne è convinto Leone XIV, che ha cominciato l’udienza di oggi ringraziando la folla di fedeli che si è data appuntamento in piazza San Pietro, nonostante la pioggia battente sulla Capitale: “Grazie della vostra presenza, è una bella testimonianza”.

“Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere”, ha detto il Papa nella catechesi, dedicata alla morte di Gesù. Il Vangelo, invece, “conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna”: “Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole”. Durante i saluti ai fedeli francesi, Leone ha citato i due nuovi santi, Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, da lui canonizzati domenica scorsa in questa stessa piazza, e ha chiesto ai fedeli polacchi di ricordare “nelle vostre preghiere e nei vostri progetti umanitari anche i bambini dell’Ucraina, di Gaza e di altre regioni del mondo colpite dalla guerra”.

“Sulla croce, Gesù non muore in silenzio”, ha osservato il pontefice: “Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: ‘Gesù, dando un forte grido, spirò’”. “Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta”, ha spiegato: “Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna”. “Il grido di Gesù è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’”, ha ricordato Leone XIV: “Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso”. “Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo”, ha puntualizzato il Papa, secondo il quale “il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace.

In quel momento, il cielo si oscura e il velo del tempio si squarcia. È come se il creato stesso partecipasse a quel dolore, e insieme rivelasse qualcosa di nuovo: Dio non abita più dietro un velo, il suo volto è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore”. “Il centurione, un pagano, lo capisce”, ha osservato il Pontefice: “Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: ‘Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!’. È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore. A volte, ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce”.

Nel gridare, c’è anche “una speranza che non si rassegna”, ha assicurato il Papa. “Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio”, ha spiegato Leone XIV: “Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto”. “Gridare diventa allora un gesto spirituale”, ha commentato Leone:

“Non è solo il primo atto della nostra nascita – quando veniamo al mondo piangendo –: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire”. Il grido, infatti, è “una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile”.

“Nel viaggio della vita, ci sono momenti in cui trattenere tutto dentro può consumarci lentamente”, l’analisi del Papa. “Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre”, ha spiegato: “Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. ”Impariamo anche questo dal Signore Gesù: impariamo il grido della speranza quando giunge l’ora della prova estrema”, l’esortazione finale: “Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore. Se il nostro grido sarà vero, potrà essere la soglia di una nuova luce, di una nuova nascita. Come per Gesù: quando tutto sembrava finito, in realtà la salvezza stava per iniziare. Se manifestata con la fiducia e la libertà dei figli di Dio, la voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto”.

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