Meglio soli che male accompagnati
Il titolo, “National Security Strategy 2025”, è senz’altro altisonante ma il contenuto è agghiacciante, raggelante. È il documento con cui Trump, scarca, senza cortesie, l’Unione europea come alleato storico e strategico e pronostica la disgregazione del continente. È in discussione la essenzialità stessa della nostra Europa, come punto di riferimento accreditato e riconosciuto delle democrazie liberali e come terra natale della civiltà umana che, all’interno del processo di unificazione in atto, ha preso nuovo nutrimento ed è un riferimento ancora adesso. Questo documento, che è un inno alle autocrazie, accomuna, non a caso, la nostra Unione europea agli organismi internazionali che hanno costituito, nel passato, e costituiscono ancora, l’unico momento di confronto multilaterale per rintracciare sintesi avanzate sui problemi sia dei rapporti geo politici fra gli stati che sui rapporti socio-economici. Adesso, dopo gli insulti di Trump – sfruttatori, profittatori, scroccatori, parassiti – arrivano perfino anche il “Quarto Reich” di Musk. Al palazzinaro giunto per una congiura di eventi alla Casa Bianca e a tutti i suoi cortigiani, si è immediatamente allineato Putin, per la felicità dei tanti, troppi italiani di maggioranze e di opposizioni (plurali usati non a caso essendo i due concetti molto liquidi, anzi gassosi) che familiarizzano con tutti e due. Questa aggressività delle invettive, degli insulti, delle offese allo scopo di isolare l’Unione europea dal resto del mondo, è la dimostrazione attestata dell’importanza del modello europeo. Mario Monti in un articolo apparso sul Corriere della Sera l’altra domenica ha scritto: “Le istituzioni europee sono rimaste l’unico luogo al mondo dove Trump non può contrattare mischiando l’interesse pubblico e quello personale: suo, dei suoi famigliari, dei soci immobiliari, degli oligarchi di Big Tech o della finanza, come, invece, è orgoglioso di riuscire a fare, innanzitutto nelle oligarchie.”. Per questo i vari Elon Musk, Sundar Pichai, Jeff Bezos, Tim Cook, Mark Zuckerberg, Shou Zi Chew, preferirebbero avere a che fare con ventisette autocrati, e particolarmente Musk si impegna già ora a finanziarne la crescita, piuttosto che con un ordine di democrazia liberale costruito in ottanta anni di assenza di conflitti, dopo aver provato le aberrazioni del nazifascismo. È la civiltà che Trump vorrebbe cancellare. Adesso, alla luce di questa nuova flatulenza psichica del momentaneo inquilino della White House, tutta l’Europa – Ue e non, Nato e non – potrebbe davvero essere la padrona del proprio destino. Ma a condizione che abbia la forza di mettere in atto un colpo di reni, di attuare il cosiddetto sprint in avanti. A patto che abbia il coraggio e la capacità di dare il via a un processo di rigenerazione dei propri organismi e di fare luce con uno sguardo nuovo su ciò che le evoluzioni geopolitiche di questa fase storica hanno prodotto. L’obiettivo è, chiaramente, quello di avviarsi verso la costruzione della propria indipendenza strategica, verso un’autonomia politica, economica, commerciale e militare. Gli avvenimenti di queste ultime settimane hanno, alla prova dei fatti, rimosso le ultime apparenze rimaste e le carte ora sono sul tavolo, davanti agli occhi di tutti. Sia Trump che Putin, in misure e con accenti differenti, criticano e osteggiano l’Europa. Il presidente degli Stati Uniti parla del declino dell’Ue e prevede la possibilità della sua cancellazione fra vent’anni. Il russo considera l’Ue responsabile del fallimento dei negoziati di pace sull’Ucraina. I pericoli che l’avventura europea abbia dei cedimenti strutturali sono in aumento se non si interviene con immediatezza, ma non certo nella direzione raccomandata da Trump. L’Unione europea è sempre più sola nella difesa dei principi e valori che, in passato, venivano definiti occidentali, ma che ora e sempre più sembrano rimanere solamente europei. Il momento dal quale partire è una presa d’atto delle trasformazioni, impreviste e imprevedibili, della situazione geopolitica internazionale. È indispensabile dialogare con gli Stati Uniti all’interno di una relazione basata su parità, su uguaglianza, su equivalenza e sull’assenza di differenze di livello e di status, ma, a questo punto, sono limitate le speranze che un dialogo possa realizzarsi davvero, almeno per ora, perché la Casa Bianca di Trump ha dimostrato di non avere interesse a coltivare le vecchie amicizie e le antiche alleanze. Ma è, prima di tutto e al di sopra di tutto, necessario che l’Unione europea faccia lo sforzo di divenire un’unica, grande potenza economica e commerciale in grado di tenere testa alla concorrenza dei grandi attori globali come gli Stati Uniti, la Cina e l’India. E anche il voto all’unanimità all’interno del Consiglio va eliminato per passare con regolarità al voto a maggioranza qualificata. Vanno adoperate le cooperazioni rafforzate, previste dai trattati europei, grazie alle quali gruppi di paesi avviano comuni progetti; vanno riprodotti i Volenterosi per allargare la cooperazione ai paesi europei non membri dell’Ue (si fa già con il Regno Unito). Se l’Europa è capace di sbloccare i vari punti, potrà affrontare le sfide che ha davanti, a cominciare dalle nuove risorse energetiche, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, le terre rare, le nuove tecnologie, i flussi migratori del futuro. E, di conseguenza, l’Europa dovrà essere più risoluta e coraggiosa nel difendere le proprie idee e posizioni. Con il conflitto in Ucraina, la Nato è tornata a essere essenziale, ma Trump ha appena chiesto all’Europa di assumerne il comando entro il 2027. La rinuncia Usa è sotto gli occhi dell’Europa, che deve aprire gli occhi e guardare al corso della storia che ha davanti. E muoversi di conseguenza.
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