Fede & cultura

Da giovedì 23, Nel cuore dei tre giorni una trilogia teatrale a cura della Cattedrale di San Cataldo

Tre pièce teatrali e catechesi interattive sulla passione, morte e risurrezione del Signore con i giovani di Taranto vecchia; i testi e la regia di don Emanuele Ferro e la partecipazione straordinaria di Giovanni Guarino

23 Mar 2023

Nel cuore dei tre giorni è una trilogia di tre pièce teatrali e catechesi interattive sulla passione, morte e risurrezione del Signore a cura della basilica Cattedrale di San Cataldo, con i giovani di Taranto vecchia, i testi e la regia di don Emanuele Ferro e la partecipazione straordinaria di Giovanni Guarino. L’iniziativa rientra nella programmazione del Mysterium festival 2023

 

La Cena del Signore

andrà in scena giovedì 23 marzo, nella Cattedrale di san Cataldo con i seguenti orari

19.30:  Primo spettacolo

21.00:  Secondo spettacolo

Sentimenti, atmosfere, cornici, tradizioni e tentativi di ricostruzioni, negli affetti della fede, di quel momento in cui Gesù Cristo con un sacrificio incruento ed estremo diede ai suoi il suo Corpo e il suo Sangue.
Dono maturato nell’offerta totale al Padre e agli uomini e tramite la ferita del tradimento di Giuda.
Trenta giovani della città vecchia metteranno in scena la cena, coinvolgendo gli spettatori attraverso narrazioni, musiche, segni e sapori della Cena.
Ai partecipanti saranno offerte le azzime in ricordo della meditazione-rappresentazione.

La Passione Del Signore

andrà in scena mercoledì 29 marzo, nella Cattedrale di san Cataldo con i seguenti orari

19.30.  Primo spettacolo

21.00   Secondo spettacolo

 

Il quinto racconto della passione: La Sindone

I passaggi salienti della passione di Cristo impressi sulla reliquia più affascinante, venerata e controversa della Chiesa: la Sacra Sindone. Aiutati dalle immagini in retroproiezione su uno schermo di velo prenderanno formagli scherni a Gesù il Nazareno e il suo viaggio verso il calvario. Di tanto in tanto il velo si squarciarà per far spazio alla

visione delle ultime ore del Messia plasticamente riprodotti in scene statiche ed in movimento dai ragazzi di Taranto vecchia. Entrati nel dramma della morte violenta del Cristo, i giovani introdurranno alla “fondazione” della speranza fino ad ostendere il velo, traccia dell’assente ma non scomparso Cristo, il Risorto, che gli spettatori potranno accarezzare.

La pesca miracolosa. È il signore!

andrà in scena sabato 15 aprile alle ore 19 sulla banchina di piazzale Democrate

L’epilogo del Vangelo di San Giovanni del capitolo 21. Le rive del Mar Piccolo prestate all’ambientazione del Lago di Tiberiade.   Il Risorto si manifesta ai pochi apostoli che tornano tristemente a pescare. Sulla spiaggia il Maestro è disposto a ricominciare l’avventura manifestando la sua presenza con un segno inconfondibile, la pesca miracolosa. Poi un fuoco di brace, la passeggiata con il primo degli apostoli e il perdono a Pietro. Il racconto si conclude con un gesto di comunione, la colazione, frutto del “miracolo”, a tutti gli spettatori.

 

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Giornata mondiale

Carenza d’acqua, Oxfam: “Nel Corno d’Africa una persona su cinque colpita da siccità”

foto Sir
23 Mar 2023

In Africa orientale una persona su 5 (33,5 milioni di persone) sta rimanendo letteralmente senz’acqua pulita. Se, stando alle previsioni, l’assenza di piogge si protrarrà fino a maggio per il sesto anno di fila, si tratterà della più grave e lunga siccità degli ultimi 40 anni.

L’allarme di Oxfam

È l’allarme lanciato da Oxfam – al lavoro per fronteggiare l’emergenza nell’area – in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra oggi. In un contesto globale in cui ancora oggi una persona su 4 non ha accesso a fonti d’acqua pulita per bere o lavarsi, spesso per mancanza di infrastrutture idriche, mentre metà della popolazione mondiale – 3,6 miliardi di persone – non può contare su servizi igienico sanitari adeguati.

Il prezzo dell’acqua è alle stelle

Nelle zone più colpite dalla siccità nel sud dell’Etiopia, nel nord del Kenya e in Somalia, il prezzo dell’acqua è schizzato alle stelle, con un aumento del 400% da gennaio 2021 – denuncia l’ong –. I primi a farne le spese sono ben 22,7 milioni di persone che già soffrivano di malnutrizione acuta, e che adesso non hanno la possibilità di acquistare nemmeno l’acqua pulita necessaria per sopravvivere. Anche nella parte settentrionale del Kenya, il 95% delle fonti d’acqua in aree agricole e pastorali, come Marsabit e Turkana, si sono prosciugate, causando l’aumento dei prezzi. “In questo momento in Africa orientale le persone più affamate sono tragicamente anche le più assetate – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia –. Il risultato è che milioni di persone hanno perso tutto, dato che quel poco che avevano era rappresentato da piccoli allevamenti e coltivazioni. Negli ultimi 2 anni la siccità ha ucciso 13 milioni di capi di bestiame e bruciato migliaia di ettari di coltivazioni. Adesso la popolazione è costretta a comprare l’acqua da fornitori privati che ne aumentano continuamente il prezzo e 1.75 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case in cerca di acqua e cibo”.
Nella regione di Bai in Somalia, su un milione di persone, tre quarti soffrono la fame e di queste 76.000 sono sull’orlo della carestia, mentre il prezzo dell’acqua è raddoppiato: passando da 43,90 dollari per barile di 200 litri a gennaio 2021 a 98,33 dollari a ottobre 2022. Fattore che ha obbligato tantissime famiglie a vendere il poco che aveva e a migrare.

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Cinema

Sguardi del giornalismo d’inchiesta

foto Disney plus
23 Mar 2023

di Sergio Perugini

Il racconto del giornalismo di inchiesta nel cinema hollywoodiano costituisce un nutrito filone. Tra i capisaldi “Quarto potere” (1941) di e con Orson Welles e “Tutti gli uomini del presidente” (1976) di Alan J. Pakula con Dustin Hoffman e Robert Redford.

Il coraggio della verità

Nel corso degli anni Duemila, sono poi da menzionare “Good Night, and Good Luck” (2005) di George Clooney e “Truth” (2015) di James Vanderbilt con Cate Blanchett e sempre Redford. E ancora, hanno lasciato il segno “Il caso Spotlight” (2015) di Tom McCarthy con Rachel McAdams, Michael Keaton e Mark Ruffalo così come “The Post” di Steven Spielberg con gli immensi Meryl Streep e Tom Hanks. Le serie Tv a stelle e strisce non sono da meno: “The Newsroom” (2012-14, Hbo) del geniale Aaron Sorkin con Jeff Daniels, “The Morning Show” (2019-, Apple TV+) con le intense Jennifer Aniston e Reese Witherspoon e, infine, la pluripremiata “Succession” (2018-23) firmata Jesse Armstrong con Brian Cox, che esplora le commistioni pericolose tra news, potere e denaro.

Su Disney+ “Lo strangolatore di Boston”

Il 17 marzo, su Disney+ un nuovo tassello: il thriller “Lo strangolatore di Boston”, tratto da una storia vera è scritto e diretto da Matt Ruskin – tra i produttori Ridley Scott – con protagoniste Keira Knightley e Carrie Coon.

La tenacia di Loretta e Jean: Boston 1962, una serie di morti violente turba la città: 13 donne, tutte strangolate. A interessarsi al caso, quando nessuno pensava alla pista di un killer seriale, è la giornalista del “Record American” Loretta McLaughlin, brillante e acuta che fatica a farsi accettare in redazione e a trovare piena libertà in casa. A indagare con lei la “veterana” Jean Cole. Insieme cercano di far luce sui crimini, respingendo le facili soluzioni proposte da politica e forze dell’ordine…

Secondo Pros&Cons…

Una bella sorpresa “Lo strangolatore di Boston” sulla piattaforma Disney+, sezione Star. Un racconto di grande tensione, che si muove nei territori narrativi del thriller poliziesco e del murder mystery di stampo giornalistico. Nella cornice dell’America del tempo, resa splendidamente dalla messa in scena accurata, quasi a contrasto con una fotografia algida e velata sui toni freddi del blu, il racconto investigativo corre spedito con ritmo e tensione. Un film dalle sfumature macabre, che non esibisce mai la violenza, ma la fa filtrare “insidiosamente” in chiave hitchcockiana. A questo si aggiunge una suggestione interessante: non solo il tema del giornalismo di inchiesta, la testardaggine di reporter che non accettano facili verità, ma anche quello della donna nella società del tempo, chiamata a fronteggiare continue difficoltà e pregiudizi pur di essere considerata e ascoltata in un ambiente ancora molto maschile e “machista”. Keira Knightley (“The Imitation Game”, “Il concorso”) e Carrie Coon (“Ghostbusters: Legacy”, “The Gilded Age”) sagomano con grande fascino, intensità e carattere le due protagoniste. Magnifiche! Un giallo storico intricato e ben diretto, che trae forza soprattutto dallo spessore delle due giornaliste.

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Comece

Mons. Mariano Crociata è il nuovo presidente dei vescovi dell’Ue

“Europa torni ad essere una promessa di pace per tutti”, le prime parole del vescovo di Latina

foto Comece
23 Mar 2023

È mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina, il nuovo presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece). È stato eletto mercoledì 22 marzo dai vescovi delegati delle Conferenze episcopali dell’Ue, riuniti a Roma per l’Assemblea di primavera del 2023.

Le prime parole del neopresidente

Mons. Crociata, 70 anni, subentra alla presidenza del cardinale Jean-Claude Hollerich per il triennio 2023-2028. Al momento della sua elezione, il vescovo – si legge in una nota della Comece – ha espresso ai membri dell’Assemblea la sua gratitudine per la fiducia accordata. “Questo è un momento cruciale per l’Europa e per la Chiesa – ha detto –. Unità e solidarietà sono più che mai necessarie. Dovrebbero guidarci attraverso le numerose transizioni che le nostre società devono affrontare. Mi riferisco in particolare alla necessità di una ripresa giusta e sostenibile dalle conseguenze della pandemia di Covid-19, facendo in modo di non lasciare indietro nessuno, e rinnovando altresì la vocazione dell’Unione europea ad essere fonte di sviluppo e promessa di pace per il nostro amato continente e per il mondo”.
Il nuovo presidente è il delegato della Conferenza episcopale italiana nella Comece dal 2017. In questi ultimi cinque anni è stato primo vicepresidente della Comece.

Eletti anche quattro vice-presidenti

La nuova presidenza della Comece – foto Comece

La Comece fa sapere che l’Assemblea ha anche eletto quattro vicepresidenti, rispecchiando la diversità geografica e culturale della Chiesa nell’Unione europea. I vicepresidenti sono: mons. Antoine Hérouard (Francia), mons. Nuno Brás da Silva Martins (Portogallo), mons. Rimantas Norvila (Lituania), mons. Czeslaw Kozon (Conferenza episcopale nordica). Dopo l’elezione della nuova presidenza, l’Assemblea ha accolto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Insieme hanno discusso delle implicazioni umanitarie, geopolitiche e sociali della guerra in Ucraina e dei modi in cui la Chiesa cattolica può incoraggiare e contribuire al ruolo dell’Ue come attore di pace globale.
Giovedì 23 marzo, la nuova presidenza, insieme a tutti i vescovi delegati dell’Ue e ai membri del segretariato della Comece e ai loro familiari, saranno ricevuti da papa Francesco. “L’udienza – scrive la Comece – offrirà una occasione propizia per discutere con il santo padre di alcuni dei temi più cruciali per l’Europa, con particolare attenzione alla promozione della pace, alle politiche dell’Ue in materia di migrazione e asilo e alle elezioni del Parlamento europeo del 2024”.
Sempre giovedì, i vescovi avranno anche un incontro di dialogo con Alexandra Valkenburg, ambasciatrice Ue nella Santa sede e nel pomeriggio mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, parlerà ai vescovi. In serata visiteranno la Conferenza episcopale italiana e celebreranno la santa messa con il card. Matteo Zuppi. Infine, venerdì 24, l’Assemblea della Comece terrà un incontro di dialogo con Antonio Tajani, ministro degli Affari esteri, vicepresidente del Partito popolare europeo (Ppe) ed ex presidente del Parlamento europeo.

 

 

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Giornata mondiale

Carenza d’acqua, Bevan (Unicef): “In Nigeria in pericolo la vita di 78 milioni di bambini per le crisi idriche”

22 Mar 2023

“Mentre i leader mondiali e le organizzazioni del settore si riuniscono per la Conferenza Onu sull’acqua 2023, chiedo un’azione urgente per affrontare la crisi idrica in Nigeria. Secondo una nuova analisi dell’Unicef, 78 milioni di bambini in Nigeria sono i più esposti al rischio di una convergenza di tre minacce legate all’acqua: acqua, servizi igienici inadeguati, malattie correlate e rischi climatici”. Lo dichiara Jane Bevan, responsabile per l’acqua e i servizi igienici dell’Unicef Nigeria.
“In Nigeria – prosegue -, un terzo dei bambini non ha accesso nemmeno all’acqua di base a casa e due terzi non dispongono di servizi igienici di base. Anche l’igiene delle mani è limitata: tre quarti dei bambini non possono lavarsi le mani per mancanza di acqua e sapone a casa. Di conseguenza, la Nigeria è uno dei 10 Paesi con il maggior carico di decessi di bambini a causa di malattie dovute all’inadeguatezza dei servizi idrici e igienici, come le malattie diarroiche”.
La Nigeria è “anche al secondo posto su 163 Paesi a livello globale con il più alto rischio di esposizione alle minacce climatiche e ambientali. Anche i livelli delle acque sotterranee si stanno abbassando, tanto che alcune comunità sono costrette a scavare pozzi profondi il doppio rispetto a un decennio fa. Allo stesso tempo, le precipitazioni sono diventate più irregolari e intense, portando a inondazioni che contaminano le scarse riserve idriche”.
Bevan ritiene che “sia necessario incrementare rapidamente gli investimenti nel settore, anche attraverso i finanziamenti globali per il clima, rafforzare la resilienza climatica nel settore dell’acqua e dei servizi igienici e nelle comunità, migliorare l’efficacia e la trasparenza dei sistemi, il coordinamento e le capacità di fornire servizi idrici e igienici e attuare il Quadro di accelerazione globale Sdg6 di Un-Water”.
“Se continuiamo al ritmo attuale, ci vorranno 16 anni per raggiungere l’accesso all’acqua sicura per tutti in Nigeria. Non possiamo aspettare così a lungo e il momento di muoversi rapidamente è adesso. Investire in servizi idrici e igienici resistenti al clima non significa solo proteggere la salute dei bambini oggi, ma anche garantire un futuro sostenibile per le generazioni a venire”, conclude la responsabile per l’acqua e i servizi igienici dell’Unicef Nigeria.

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Ricordo

Don Grimaldi nel ricordo di don Peppe Diana: “Il suo coraggio a combattere il male nasceva dall’essere prete e dalla sua fede”

foto Siciliani-Gennari/Sir
22 Mar 2023

“Io e don Peppe eravamo amici, ai tempi del seminario. Tante volte ci siamo scambiate idee pastorali. Dopo essere stati ordinati sacerdoti, lui è diventato parroco a Casal di Principe, sua città natale. È sempre stato un giovane sensibile ai problemi sociali. Porto nel cuore il ricordo di un giovane schietto, coraggioso, impegnato a fasciare le ferite degli uomini e nel recupero dei giovani. Ha guidato nelle vie del bene tanti ragazzi, gli scout. Aveva in lui una grande carica umana e spirituale, cosa che gli ha permesso di sfidare una mentalità di criminalità che vigeva a Casal di Principe”. Sono le parole di don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, ricordando don Peppe Diana, ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994, mentre si accingeva a celebrare la messa nella chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, di cui era parroco. Oggi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è a Casal di Principe per onorare la memoria di don Peppe Diana. “Ancora oggi – evidenzia don Grimaldi – la figura di don Diana ci interpella: interpella i giovani di oggi e tutti noi, affinché possiamo essere strumenti di legalità e di denuncia del male, seguendo il suo esempio. Don Peppe non ha fatto altro che denunciare una situazione che altri non avevano il coraggio di dire. Ha rischiato molto per questo suo coraggio, per aver denunciato il male, i compromessi che c’erano nel suo territorio. Oggi la visita di Mattarella rende onore alla sua figura, al suo essere un ‘testimone di giustizia’. La visita del presidente della Repubblica è una spinta per tutto il territorio a combattere sempre più per la legalità e affinché anche la Chiesa valorizzi ancora di più la figura di don Peppe, come sacerdote e come uomo di fede e di giustizia, anche in vista di un possibile processo di beatificazione. Don Diana ha combattuto con coraggio l’illegalità, cosa che la Chiesa ci chiede di fare continuamente”. L’ispettore generale dei cappellani precisa: “Il coraggio di don Peppe e la sua idea forte di combattere il male scaturiscono dal suo essere prete, dal suo cammino di fede, dalla sua formazione cristiana”. Per don Grimaldi, “la visita di Mattarella ai nostri territori è un messaggio forte: vuol dire che lo Stato alza la sua voce e lancia un messaggio forte contro queste organizzazioni malavitose, che non possono avere tra le loro mani la bellezza di un territorio, che è stato impoverito dalla camorra”.

 

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Sport

Vincenzo Di Pinto è la pallavolo: difficile digerire la sua partenza dal capoluogo ionico

Il Mago di Turi (a destra) con Andrea Anastasi nell'ultimo match di campionato al PalaMazzola - foto G. Leva
22 Mar 2023

di Paolo Arrivo

I tarantini lo conoscono come un parente stretto. O un amico che rivedi dopo tanto tempo: dagli anni in cui la massima espressione della pallavolo in riva allo Jonio si chiamava “Magna Grecia”, e il Palafiom era il campo di gioco. Quando c’erano giocatori come Marco Martinelli o Martin Stoev – il primo, ex centrale della nazionale azzurra, ha fatto parte della cosiddetta generazione di fenomeni. Quando non c’era il video-check, gli strumenti della tecnologia, e vigeva ancora il cambio palla nel regolamento di gioco, in uno sport che fortunatamente è cambiato poco. Lo chiamavano e lo chiamano tutt’ora il Mago di Turi, Vincenzo Di Pinto, per la sua capacità di inventare strategie utili a compiere miracoli veri e propri. L’ultimo è la salvezza, non affatto scontata, raggiunta dalla Gioiella Prisma Taranto all’ultima giornata della stagione in corso.

Vincenzo Di Pinto, il ritratto dell’uomo

Genuinità e combattività sono i tratti dominanti della sua personalità nota. Un professionista che vive di pallavolo. Che pensa “in pallavolo”, prima di trasferire le sue idee, gli schemi ai suoi atleti, italiani o stranieri – fa anche un po’ sorridere il suo inglese. Altra caratteristica umana è la gentilezza di chi sa dare attenzione a ogni persona. Anche solo con lo sguardo, con una stretta di mano, con poche parole. Se la scelta del rinnovamento alla guida tecnica appare legittima, e di allenatori validi ce ne sono molti (a partire da Vincenzo Mastrangelo, il candidato principale alla sua successione), i tarantini rimpiangeranno Vincenzo Di Pinto. E già ora gli stanno dimostrando sentimenti di stima e di riconoscenza. Di affetto sincero. Va ricordato che la battaglia più importante del tecnico nato a Turi non è stata combattuta su un campo di gioco, ma sul ring dell’esistenza, quando ha fatto l’esperienza della malattia. Lui che ha vinto un tumore sa bene quali sono i valori della vita che più contano.

La Superlega come un premio

Il sogno di Vincenzo Di Pinto è sempre stato vincere qualcosa di importante con una squadra del Meridione. Se non ci è riuscito sinora, va riconosciuto che la sola presenza dell’unica squadra del Sud in Superlega, considerata come il campionato più difficile del mondo, rappresenta un motivo d’orgoglio. Nel 2021 il coach ha riportato Taranto nell’Olimpo del volley. Tanta strada fatta dal 1980, quando cominciò la sua carriera da allenatore: tra le tappe più importanti della sua professione, l’adesione al progetto Lube, la guida della nazionale spagnola. E naturalmente la scelta di fare ritorno in Puglia per costruire una grande squadra nel capoluogo ionico. Nella stagione 2011/2012 ha vinto la Coppa Italia di serie A2 alla guida della New Mater Volley, portando la stessa formazione alla promozione in A1. Due anni prima si era aggiudicato la Challenge Cup con il Perugia. Alla stessa competizione europea può mirare ora la stessa Gioiella Prisma, impegnata a partire da domani, giovedì ventitré marzo, nei playoff quinto posto. Sarà l’ultimo impegno per il Mago di Turi. Che merita l’abbraccio di tutta la Taranto sportiva.

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Giornata mondiale

“Liberi di scegliere se migrare o restare” è il tema della prossima Giornata mondiale del migrante

22 Mar 2023

“Liberi di scegliere se migrare o restare”. Questo il tema della 109ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 24 settembre, “con l’intenzione di promuovere una rinnovata riflessione su un diritto non ancora codificato a livello internazionale: il diritto a non dover emigrare, ossia – in altre parole – il diritto a poter rimanere nella propria terra”. È quanto si legge in una nota del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale, che in vista della citata giornata avvierà una campagna di comunicazione finalizzata a favorire una comprensione approfondita del tema del Messaggio attraverso sussidi multimediali, materiale informativo e riflessioni teologiche. “La natura forzata di molti flussi migratori attuali obbliga ad una considerazione attenta delle cause delle migrazioni contemporanee”, si legge ancora nel comunicato: “Il diritto a rimanere è precedente, più profondo e più ampio del diritto ad emigrare. Esso include la possibilità di essere partecipi del bene comune, il diritto a vivere in dignità e l’accesso allo sviluppo sostenibile, tutti diritti che dovrebbero essere effettivamente garantiti nelle nazioni d’origine attraverso un esercizio reale di corresponsabilità da parte della comunità internazionale”.

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Emergenze sociali

La riforma fiscale del governo Meloni, ma progressività non è proporzionalità

foto d'archivio Sir
22 Mar 2023

di Stefano De Martis

Per una valutazione approfondita della riforma fiscale tratteggiata dal governo con il disegno di legge-delega varato dal Consiglio dei ministri bisognerà innanzitutto attendere di conoscere quale testo sarà effettivamente approvato dal Parlamento. Poi la parola tornerà all’esecutivo che dovrà emanare i decreti legislativi di attuazione secondo i tempi e i criteri della delega ricevuta dalle Camere. Un percorso complesso di cui bisogna tener conto anche perché almeno in partenza la delega appare formulata in termini piuttosto larghi e quindi le varianti in sede di attuazione non sono preventivabili in maniera puntuale. Tutto da chiarire, per esempio, il modo in cui si finanzierà l’annunciata riduzione della pressione fiscale senza incidere sui servizi, a cominciare dalla sanità. Resta il fatto che il sistema fiscale non è riducibile ai suoi aspetti tecnici, che pure hanno una specifica rilevanza, ma è un elemento cardine della democrazia ed è strettamente connesso con il patto di solidarietà tra i cittadini su cui si fonda uno Stato. Nella nostra Costituzione l’art.53 afferma infatti che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Progressività non è proporzionalità. Vuol dire che la quota di prelievo aumenta con l’aumentare della ricchezza. L’intervento alla Costituente del dc Salvatore Scoca, a cui molto si deve dell’art.53, appare ancora di straordinaria attualità. “La massima parte del gettito dell’imposta diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e ad aliquota costante”, affermò Scoca in assemblea il 23 maggio 1947. Aliquota costante: oggi si sarebbe detto tassa piatta, flat tax. Scoca aggiunse: “Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo”. Scoca aveva in mente il superamento del sistema previsto dallo Statuto Albertino e da allora la Repubblica ha obiettivamente fatto molti passi avanti nella direzione della progressività. Eppure sono ormai anni che si è innescato un processo inverso. Tributo per tributo, dagli affitti alle rendite finanziarie, alla flat tax per gli autonomi, è andata crescendo la quota di gettito sottratta al vincolo della progressività. Giuridicamente ciò è stato possibile perché il vincolo riguarda l’assetto complessivo del sistema, non ogni singolo tributo, come ha avuto modo di chiarire la Corte costituzionale. Ma intanto sono le fasce della popolazione con i redditi più bassi a essere penalizzate, mentre il Governo dichiara come obiettivo di legislatura l’introduzione della flat tax per tutti. E proprio quando la lotta all’evasione fiscale cominciava a dare qualche risultato strutturale (l’evasione stimata è scesa sotto la soglia dei 100 miliardi) si prefigura un allentamento delle maglie. Certo, bisognerà vedere in concreto quale sarà l’approdo della riforma, ma anche i messaggi che si lanciano hanno la loro importanza.

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Guerra in Ucraina

Il passato che ritorna: la Polonia in armi nel nuovo assetto europeo

La volontà di regolare i conti con Mosca si unisce al desiderio di riscattare aspirazioni geopolitiche che vengono dal passato

Periferia di Mykolaiv - foto Caritas Spes
22 Mar 2023

di Giuseppe Casale *

L’ambasciatore polacco in Francia ha dichiarato che se l’Ucraina non riuscirà a spuntarla contro la Russia per il suo Paese sarà inevitabile entrare in guerra. Più che una minaccia, una conferma della postura avanguardista assunta da Varsavia nel conflitto. L’esternazione giunge quando Varsavia, con Bratislava, rompe gli indugi occidentali e dispone l’invio dei primi caccia: Mig-29 di produzione sovietica già noti ai piloti ucraini. La mossa è plurivalente: aumenta i meriti atlantici della Polonia, aggira l’esigenza di un lungo addestramento e permette di svuotare il vecchio arsenale, conformemente a un esorbitante piano di riarmo che porterà Varsavia a superare il 4% del pil in spese militari, specialmente in commesse siglate con Washington e Seul. Con simile primato in Europa, la Polonia mira ad affrancarsi dall’industria bellica tedesca, investendo inoltre in acquisizioni tecnologiche volte a produrre sistemi d’arma omologhi a quelli Usa, imitati anche con l’introduzione di una guardia nazionale formata da volontari e riservisti di pronta mobilitazione.
Il militarismo polacco non si giustifica propriamente con una disinteressata disposizione alla causa di Kiev: in Polonia, nazione di profonda memoria storica, si conserva il ricordo della guerra per la Galizia e sopravvivono le recriminazioni per la pulizia etnica perpetrata sulla minoranza polacca dalle bande dell’Upa del collaborazionista Bandera, denunciandone la riabilitazione a eroe nazionale. Più che il filoucrainismo pesa l’antirussismo di vecchia data, che oggi spinge Varsavia a parlare di smembramento della Federazione russa. D’altronde, né revanchismo né il timore rispetto all’antico pericolo russo bastano da soli a spiegare l’atteggiamento di un Paese comunque assicurato dall’ombrello Nato di dissuasione nucleare. La russofobia si fonde con l’occasione per la Polonia di realizzare antichi disegni, intercettando la cesura delle relazioni eurorusse usando la patente di alfiere oltranzista dell’euroatlantismo e lo sponsor statunitense, per sostituirsi alla leadership continentale franco-tedesca.
La volontà di regolare i conti con Mosca si unisce al desiderio di riscattare aspirazioni geopolitiche che vengono dal passato. La storia ci soccorre di nuovo nella comprensione del presente, riaffiorando nei comunicati del governo polacco, che rievocano espressamente la Confederazione polacco-lituana a motivo del sostegno all’Ucraina. Sorta dall’unione tra il Regno di Polonia e il Granducato di Lituania, dal 1569 al 1795, estesa dal Baltico al Mar Nero, essa diede forma a uno dei più vasti Stati europei. La sua fine, dovuta alla spartizione tra russi, prussiani e asburgici, segnò la scomparsa di Polonia e Lituania dalle carte politiche. L’idea di una ricostituzione, ispirata dal principe Czartoryski, animò la mitografia del panslavismo polacco del XIX secolo, per poi emergere nuovamente nel 1919, quando Pilsudski, leader della neoindipendente Polonia, iniziò a perorare il progetto Prometeo correlato all’agenda Intemarium: da un lato provocare la disintegrazione dell’Impero sovietico (considerato comunque russo), dall’altro creare una confederazione con perno polacco, che nella versione più ampia avrebbe compreso Ucraina, Cecoslovacchia, Ungheria, Scandinavia, Paesi baltici, Romania, Bulgaria, Jugoslavia e Grecia: dal Mar Nero all’Adriatico,  dal Baltico all’Egeo. Il disegno, facilmente rigettato dalle potenze europee, fallì anche per la polonizzazione temuta dai Paesi candidati e per il contrasto interno mosso da chi paventava l’inquinamento dell’autoctonia polacca. Rilanciata dal ministro Neck, pupillo di Pilsudski, e ancora dal governo in esilio di Sikorski durante la Seconda Guerra mondiale, il piano non ha mai cessato di ispirare i sensi rivalsa del nazionalismo polacco.
Ai nostri giorni l’eredità viene raccolta dalla Three Seas Initiative (3Si), detta anche Trimarium, forum di 12 Stati (Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria) coprente circa 1/3 del territorio e un 1/7 del pil Ue, lanciata nel 2015 dal presidente polacco Duda. Costituitasi come binario di integrazione infraeuropea, comprende un nutrito dossier di progetti di cooperazione nei campi dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, dotata di un apposito fondo di investimenti cofinanziato dagli Usa. Eppure l’ipotesi di affiancare al Trimarium un partenariato militare assimilabile a una “piccola Nato” centrorientale individua un’ottica egemonica locale che integra il riarmo polacco, oggi ostacolata dell’influenza russa nei Balcani e dalla presenza militare di Mosca nel Mar Nero nel Baltico. Eppure la guerra in Ucraina sta già producendo effetti, ammorbidendo le resistenze al 3Si di quanti paventano risvolti divisivi in seno all’Ue e vincendo le timidezze dei partner che più temono la subalternità a Varsavia. Il summit di Riga di giugno scorso ha procurato l’inclusione di Kiev nel 3Si, preparata dall’invito rivolto a maggio da Duda al parlamento ucraino, suggellando le interlocuzioni avviate da Zelensky nel 2019 all’indomani della sua elezione. Il passato torna a farsi presente, aggiungendo un ennesimo fattore sfidante per il futuro europeo, già così radicalmente rivoluzionato.

  • Pontificia università lateranense

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Giornata mondiale

Carenza d’acqua: “Finanziamenti insufficienti per i programmi delle Nazioni Unite”

Sahel - foto Unhcr
22 Mar 2023

Nel 2022 è stato soddisfatto meno del 30% degli appelli umanitari per i programmi legati all’acqua e ai servizi sanitari e igienci (Wash – Water Sanitation and Hygiene). Per finanziare completamente gli appelli, attraverso il sistema umanitario delle Nazioni Unite, sarebbero necessari altri 2,6 miliardi di dollari. È l’allarme lanciato da Azione contro la Fame alla vigilia della Giornata mondiale dell’acqua, che ricorre oggi mercoledì 22 marzo, in un rapporto che analizza il divario tra bisogni e finanziamenti relativi ai programmi umanitari per l’acqua, i servizi sanitari e l’igiene, in 41 Paesi del mondo (Funding the World’s Water Funding Crisis: How Donors Are Missing the Mark). “Due miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile gestita in modo sicuro e 4,2 miliardi non dispongono di servizi igienici adeguati. Si tratta di diritti umani fondamentali per ridurre la fame e promuovere la salute, che sono i requisiti fondamentali per lo sviluppo individuale e la crescita economica delle comunità – dichiara Simone Garroni, direttore di Azione contro la Fame in Italia -. Sappiamo come superare le sfide idriche che affrontiamo ogni giorno, ma abbiamo bisogno di fondi adeguati per farlo – conclude Simone Garroni –. Con i nostri team sul campo, tocchiamo con mano l’impatto trasformativo che i programmi per l’acqua e i servizi igienico-sanitari possono avere nella lotta contro la fame. Investendo in queste attività, possiamo ridurre la fame, promuovere la salute e l’equità di genere e mitigare gli impatti del cambiamento climatico”.

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Europa

In Francia è legge la riforma delle pensioni, Vignon: “La rivolta delle piazze è il grido della folla invisibile e inascoltata”

foto Ansa/Sir
22 Mar 2023

di Maria Chiara Biagioni

“Una questione che stiamo seguendo con grande preoccupazione”. Sono le prime parole che pronuncia al telefono Jérôme Vignon, già presidente delle Settimane sociali di Francia (Ssf) e consigliere di Jacques Delors quando era presidente alla Commissione europea. La tensione in Francia è altissima. Non solo a Parigi ma anche in altre città, come Nantes e Rennes, si sono viste scene di vera guerriglia urbana nelle proteste contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron (che porta l’età pensionabile da 62 a 64 anni) e la decisione del governo di scavalcare il Parlamento ponendo la fiducia. A Nantes (nel Nordovest del Paese), circa 6.000 persone sono scese in piazza e in alcuni punti hanno eretto barricate dando alle fiamme cassonetti ed altri oggetti. A Rennes (nel Nord) un migliaio di persone sono rimaste bloccate in un centro commerciale dopo che una manifestazione studentesca ha tentato di fare irruzione nel complesso. A Parigi, circa 4.000 persone hanno manifestato a Place de l’Italie. Nonostante gli appelli alla calma della CGT, il sindacato che ha chiamato alle manifestazioni quotidiane in tutte le città, i dimostranti hanno dato vita a scontri con la polizia. Alla fine, si sono contati 76 fermi, secondo la prefettura.

Jérôme Vignon – foto Sir

Vignon, ma cosa sta succedendo?
Quello che si nasconde dietro la rabbia delle piazze è un sentimento persistente di disagio e la constatazione di non essere sufficientemente ascoltati. Chi manifesta è una parte importante della popolazione francese, in particolare la classe media più svantaggiata. Non i francesi più poveri ma quelli con redditi inferiori alla media. Sono spesso irregolari e precari. Queste persone continuano ad inviare messaggi molto chiari che erano quelli dei gilet jaunes nel 2019. La piazza sta dicendo che le loro difficoltà non sono riconosciute e che le grandi decisioni di politiche internazionale ed economiche non vanno nella direzione della giustizia sociale e di una equa ridistribuzione delle ricchezze. Si tratta di un problema persistente e di insoddisfazione sociale che è determinato dal punto di vista psicologica da una mancanza di riconoscimento e visibilità e da un punto di vista più pratico dalla concreta difficoltà di andare avanti. Sono fenomeni che si manifestano oggi nell’opposizione alla riforma delle pensioni.

Ma la riforma era necessaria?
È assolutamente necessaria, alla luce anche della situazione internazionale e dell’evoluzione delle finanze pubbliche francesi che da almeno 4 o 5 anni stanno degradando mettendo in pericolo la competizione e le risorse necessarie per investire in un contesto che sta diventando sempre più feroce. Si tratta pertanto di una situazione abbastanza tragica, perché – e lo dico come economista ed ex consigliere del presidente Delors per le questioni macroeconomiche -, la riforma non solo è necessaria ma urgente. Arriva purtroppo in un momento delicato e si applica ad una fascia di popolazione che già da molto tempo sta manifestando disagio. Economicamente quindi questa riforma è giustificata ma socialmente va a colpire proprio le persone che non dovevano essere colpite.

Come uscirne?
Tutti gli occhi in questo momento sono puntati sul Presidente della Repubblica perché nel sistema costituzionale francese è lui che detiene le chiavi di una situazione che lui stesso ha voluto creare. Dipende quindi da lui. Se fossi al suo posto, ridarei priorità al dialogo sociale, dando cioè avvio ad altre riforme di carattere sociale: garantire il benessere sul lavoro per i senior over 60 anni dando i mezzi necessari per poter consentire l’allungamento dell’età lavorativa; dare un miglior accesso alla formazione professionale per gli over 50; lavorare seriamente sulla precarietà soprattutto nei settori che la prevedono maggiormente come i servizi alla persona e la ristorazione; infine sostenere la partecipazione dei salariati alla governance delle aziende.

Perché su questo tema che richiama la giustizia sociale, l’episcopato francese ha preferito mantenere un profilo basso, evitando dichiarazioni pubbliche?
Anche per le presidenziali, i vescovi hanno preferito non prendere posizione né per Macron né per Le Pen. È triste dirlo ma bisogna considerare che la Conferenza episcopale di Francia sta vivendo un momento di profonda fragilità a causa della questione degli abusi. Penso però che ci sia anche la paura che esprimendosi in maniera troppo critica rispetto alla riforma, si rischia di indebolire ulteriormente il governo. È la destra e soprattutto l’estrema destra a trarre grandissimo vantaggio da questa situazione. Se ci fossero elezioni oggi, la Le Pen potrebbe vincere. Posso quindi comprendere perché alcuni vescovi non vogliono prestarsi a questo gioco.

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