‘Cara Palestina…’: questa sera, il ‘no’ degli artisti tarantini alla guerra in Terra santa
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Iniziano lunedì 26 in concattedrale (ore 19) gli appuntamenti della 52.ma edizione della Settimana della Fede, consueto appuntamento quaresimale, che avrà per tema “Per una Chiesa sinodale”.
Il primo incontro verterà sulla “Speranza” e sarà tenuto da don Eugenio Nembrini, sacerdote di Bergamo impegnato nell’accompagnamento spirituale dell’associazione dei ”Quadratini & Carità” una fraternità che è arrivata a contare circa 1.200 malati che si radunano ogni giorno per seguire la celebrazione della messa online, per raccontarsi a cuore aperto e pregare per i casi più gravi.
Nel corso della serata eseguirà alcuni canti la corale del Sacro Cuore, diretta da Mariassunta Senapo con Nicola Cardellicchio quale organista.
L’idea della Settimana della Fede fu dell’allora arcivescovo mons. Guglielmo Motolese che nel ’71 volle dar vita in Quaresima a una sorta di sosta dello spirito ai fini di una riflessione comunitaria sui tanti spunti di rinnovamento scaturiti dal Concilio. Questo, per meglio incidere sulla trasformazione in corso della società tarantina soprattutto per l’espansione del centro siderurgico. La prima edizione si svolse con relatori di alto livello come l’allora arcivescovo di Genova Giuseppe Siri, il cardinale statunitense Joseph John Wright (prefetto della Congregazione del clero), il biblista mons. Salvatore Garofalo, quasi presenza fissa negli anni successivi, e padre Mariano, il frate cappuccino, famoso conduttore televisivo, il cui saluto ai telespettatori (“Pace e bene a tutti”) entrò nell’immaginario collettivo.


C’è sconfitta e sconfitta. Anche col medesimo risultato: se quella inflitta dal Cisterna era stata pesante, per la prestazione offerta dalla squadra, il ko col Civitanova risultava essere immeritato, nell’ultima partita giocata in casa. Perché la Gioiella Prisma Taranto ha battagliato. Dopo il primo set giocato alla grande, sotto la spinta dei tifosi che cantavano “Difendiamo la serie A”, gli uomini di coach Travica hanno mantenuto alta l’intensità per l’intera durata della gara. La fortuna poi non ha sorriso ai padroni di casa nel quarto parziale. E a festeggiare è stata la Lube, che ha conquistato l’intera posta in palio. A Modena si era riusciti ad agguantare un punto prezioso.
Nella trasferta di Piacenza ci si poteva aspettare un’altra prova generosa, condita da una onorevole sconfitta. E invece no: gli ionici sono tornati “gioielli” e si sono aggiudicati la gara portata al tie break. Hanno sconfitto un’autentica corazzata. Sorpresa che ha consentito di mettere ulteriore distanza con il fanalino di coda Catania. Ovvero di conquistare la salvezza in Superlega Credem Banca. La sfida di domenica prossima, allora, contro l’Allianz Milano, ha il sapore della festa: la società chiama a raccolta la tifoseria rinnovando l’iniziativa sul biglietto al PalaMazzola: tagliando intero a 10 euro e ingresso gratuito per i bambini fino a sei anni accompagnati da un adulto pagante.
L’avversario è molto forte e ha nel mirino i playoff. Nella scorsa giornata gli uomini allenati da Roberto Piazza si sono sbarazzati di Verona con un secco 3-0. Una reazione veemente, dopo un mese complicato: il gruppo ha risposto a quanto gli aveva chiesto lo stesso tecnico Piazza, centrando un successo che lo rilancia. Così, certamente ben motivato, Milano verrà in riva allo Jonio per conquistare l’intera posta in palio. All’andata si impose per 3-2: fu un quinto set disastroso per Taranto (3-15), collocato in un periodaccio, tanto che si parlava di maledizione del tie break, poi sfatata. Per battere l’Allianz bisognerà replicare la prestazione offerta a Piacenza. E magari quel primo set giocato contro la Lube, quando gli ionici riuscirono a fare la differenza proprio al servizio, dove peccavano, e a muro.
Raggiunta la salvezza, gli stimoli non mancano alla Gioiella Prisma che vorrà onorare le ultime due partite della stagione regolare. Soprattutto l’ultima da giocare in casa. Vorrà reggere il confronto con Milano, per dimostrare di essere una squadra che vale più del penultimo posto in graduatoria, davanti al già retrocesso Catania. Taranto ha già dimostrato di avere nel roster elementi interessanti. Si pensi al cubano Josè Miguel Gutierrez, che risulta essere il secondo miglior schiacciatore nelle classifiche di rendimento della Lega Pallavolo Serie A; o a Giovanni Gargiulo, giovane che ha catturato l’interesse di Fefè de Giorgi, tecnico pugliese della nazionale italiana. Al netto del risultato, nella sfida con l’Allianz, l’auspicio è di assistere a una bella partita di volley, degna della categoria conservata.


Domenica 25, a Talsano, alle ore 19.30 nella chiesa della Madonna del Rosario (guidata da don Armando Imparato), avrà luogo il “Concerto di Quaresima” con il coro della parrocchia di Sant’Antonio da Padova, di Taranto (Giuliana Carenza, direttore e Francesco Buccolieri, organista).


“Siamo continuamente sotto pressione, non sappiamo quale sarà il nostro futuro. La sensazione è quella che si può morire da un momento all’altro senza che ce ne rendiamo conto”. A parlare, dalle vicinanze di Rafah, al confine tra Gaza e l’Egitto, è Karim (nome di fantasia, ndr), infermiere in una delle poche strutture sanitarie ancora operative nella Striscia, per questo in prima linea nell’assistere la popolazione civile sfollata spinta ancora più a Sud dall’esercito israeliano. Il sistema sanitario gazawo è praticamente crollato: al Sud gli ospedali Nasser Medical Complex e al Amal non riescono ad assicurare nemmeno le cure essenziali alle centinaia di pazienti rimasti al loro interno dove hanno trovato rifugio anche migliaia di sfollati in fuga dalle bombe. Il Nasser è stato occupato dai militari israeliani che hanno arrestato un centinaio di persone ritenute terroristi di Hamas, tra loro circa 70 sarebbero operatori sanitari del complesso medico che è stato trasformato in caserma. L’Ospedale europeo lavora al 30% della sua capacità. Fonti interne del nosocomio, costruito nel 1989 dall’Unrwa con fondi europei, confermano: “sentiamo combattere nelle vicinanze, non abbiamo medicine, farmaci, ricambi per apparecchiature, le scorte sono praticamente finite. Gli operatori sanitari rischiano ogni giorno la vita per raggiungere l’ospedale e lavorare. Molti medici e infermieri temono, inoltre, che l’avanzata dei carri armati israeliani possa isolare l’ospedale dal resto del sud di Gaza, e di conseguenza impedire loro di rientrare dalle loro famiglie. Per questo l’organico del nosocomio è diminuito”.
“La gente continua a morire”. Il racconto di Karim è chiaro, lucido, ma non per questo privo di dolore per ciò che vede e ciò che vive, lui sposato e padre di famiglia. La casa ridotta a un cumulo di macerie. Oggi abita con la famiglia in una tenda acquistata per 600 dollari. È felice, dice, perché così può spostarsi ogni volta in zone meno a rischio. “A Rafah – racconta Karim – oltre 1,3 milioni di persone vive ammassata dentro tendopoli di fortuna, praticamente senza acqua e servizi degni di questo nome, con poco cibo, esposta al freddo, soprattutto di notte quando le temperature si abbassano di molto. La gente vaga a piedi nelle strade, i più fortunati sopra dei carretti trainati da asini”, mezzo di trasporto molto usato a Gaza. “Durante il giorno si sentono le esplosioni di bombe che cadono spesso vicino alle tende e nei pressi dei mercati dove la gente si affolla per cercare del cibo. A ogni boato sentiamo tremare le case che sono rimaste ancora in piedi”. Poi una pausa di silenzio e riprende: “Non voglio pensare a cosa accadrà se ci sarà un attacco di terra israeliano a Rafah. Non sappiamo più dove andare, dove correre o fuggire per stare al riparo. Non sappiamo dove mettere al sicuro i nostri figli. Qui la gente continua a morire. A Gaza l’unica preoccupazione è sopravvivere”. Il bilancio delle vittime palestinesi, secondo il Ministero della Salute di Hamas, è di oltre 29mila morti e di 69.170 feriti.
Ancora un veto all’Onu. Karim non ha nemmeno più la forza di imprecare contro la comunità internazionale inefficace nella sua azione diplomatica e umanitaria, incapace di fermare la guerra. Ieri sera la risoluzione araba, che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza, del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stata bocciata per il veto Usa. Mentre il Programma alimentare mondiale dell’Onu (Wfp/Pam) ha annunciato la sospensione delle consegne di aiuti alimentari vitali nel nord di Gaza, fino a quando le condizioni nell’enclave palestinese non consentiranno distribuzioni sicure, il rapporto “Nutrition Vulnerability and Situation Analysis – Gaza”, riferisce che il 95% delle famiglie gazawe limita i pasti e le porzioni, e il 64% delle famiglie consuma un solo pasto al giorno. Oltre il 95% delle famiglie limita la quantità di cibo degli adulti per garantire che i bambini piccoli abbiano cibo da mangiare.
Aiuti insufficienti. “Nella mia zona – prosegue Karim – ci sono delle scuole che ospitano sfollati dal nord. Dai bagni fuoriescono liquami che si riversano nelle strade o almeno in quello che rimane di queste, ormai piene di buche e crateri. Si cammina tra fango e sporcizia. Molte persone, a causa di questa situazione, lamentano gastroenteriti, altri si ammalano di polmonite e febbre a causa dell’esposizione al freddo. I più esposti sono i bambini, i più piccoli non hanno nemmeno il latte”. La vita delle famiglie sfollate è impossibile: “gli aiuti umanitari non sono sufficienti e le strade sono affollate di persone che cercano di comprare cibo, verdura, frutta, latte in mercati improvvisati. Ma i prezzi sono altissimi – denuncia Karim -. È impossibile acquistare, per esempio, dello zucchero o del caffè. Un chilogrammo di zucchero può arrivare a costare fino a 20 euro. Per prenderlo le famiglie si dividono la spesa. Un chilo di caffè può arrivare a costare l’equivalente di 100 euro. Nessuno può permetterselo”. Accade così che chi si è spostato al Sud ora voglia rientrare al Nord, da dove è venuto e dove abitava nella speranza di ritrovare la propria casa in piedi o quasi. “Ma i soldati israeliani impediscono ogni spostamento. Dal Nord stanno arrivando notizie che chi è rimasto lì mangia cibo per animali”.
“Oggi a Gaza gli animali vivono meglio degli uomini – conclude Karim -. Quando finirà tutto questo? E soprattutto, come finirà? Oggi siamo vivi, ma qui si rischia di morire ogni minuto che passa”.


Prosegue la serie di vicende che animano da tempo lo stabilimento dell’ex Ilva di Taranto, ultima solo in ordine cronologico è la nomina da parte del ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, di Giancarlo Quaranta come commissario straordinario per amministrare Acciaierie di Italia spa. Un nuovo intervento che se per alcuni è visto come segno di speranza, per altri sembra invece una sorta di accanimento terapeutico giustificato solo dal bisogno di evitare responsabilità. “Non c’è nessun cambiamento dal punto di vista economico. Non c’è nessun afflusso di risorse. Si registra quello che noi avevamo previsto, cioè una sorta di paralisi dell’azienda che, in teoria, dovrebbe essere risanata attraverso il commissario per essere poi affidata a privati, quindi un periodo transitorio. Però risanata non si capisce con che cosa, perché ha un debito di 3 miliardi e 100 milioni, non ha prospettive di mercato, ha 8000 lavoratori impiegati su soli 2 altoforni funzionanti dei 5 che una volta erano quelli dell’Ilva, ed ultimamente lavorano solamente su un solo altoforno.
Hanno una situazione, dal punto di vista produttivo, che è estremamente problematica, per cui per quanto il nuovo commissario abbia delle competenze nel campo siderurgico, non riuscirà a rianimare un’acciaieria che è in coma profondo, tenuta in vita solamente attraverso l’aiuto dello Stato ma dal punto di vista del mercato sono assolutamente ai margini”: queste le parole di Alessandro Marescotti, docente tarantino e presidente di PeaceLink, associazione di volontariato che si occupa di diversi temi tra i quali anche di difesa dell’ambiente e della legalità che, come da loro ribadito in più riprese, interessa la vicenda dello stabilimento siderurgico pugliese, soprattutto dopo quanto deciso dalla magistratura che ne ha stabilito la chiusura, non per un sentimento antindustriale ma per l’impatto negativo che lo stesso ha sulla salute. “Ci sono delle perizie che lo hanno dimostrato in passato e ci sono tutte le valutazioni di danno sanitario, tutte non una esclusa, che hanno un valore predittivo e che sono lì ad attestare che anche per il futuro, l’impatto sulla salute non risulta accettabile. Quando parliamo di impatto accettabile parliamo di una soglia che è definita in un decesso in più ogni 10mila abitanti per un arco di vita 70 anni. Quando si supera questo valore l’epidemiologia dice che l’impatto sanitario non è più accettabile”. Ormai da anni l’associazione PeaceLink si è fatta portavoce delle questioni ambientali legate all’ex Ilva di Taranto, pubblicando tutti i documenti sul loro sito e presentando anche un piano di riconversione nel 2014, arricchito nel tempo grazie al contributo di altre associazioni, che però non ha mai trovato i fondi europei per la realizzazione, aprendo ad un ragionamento più ampio.
“Ci dicono da sempre che i soldi per la transizione ecologica non ci sono. Invece no, i soldi ci sono e sono tanti, vengono spesi male, per una prospettiva di riarmo e di scontro tra blocchi geopolitici”, è il commento di Marescotti che cita il pensiero di papa Francesco in merito alla questione, ribadendo l’ingiusto trattamento che si sta applicando alla vicenda dell’acciaieria tarantina alla quale, a differenza di una qualsiasi altra attività economica, è stato permesso di restare aperta ed in produzione, seppur senza i requisiti indispensabili. “Stanno privilegiando un’attività economica che in tutti questi anni ha, diciamo, bypassato quelle che sono le norme che valgono per tutti, in violazione all’articolo 3 della Costituzione”, le parole del presidente di PeaceLink che non accetta l’accusa di essere anti industriale solo perché chiede giustizia ed equità di trattamento, mai sanata in tutti questi anni trascorsi “la cosa grave è che negli ultimi anni, invece di diminuire l’inquinamento da benzene cancerogeno è aumentato. È tutto documentato con i dati”. Una situazione che, tornando indietro nel tempo, sembrerebbe essere già stata scritta a partire dalla realizzazione a 200 metri dal centro urbano, pur essendo il più grande stabilimento siderurgico in Europa, cresciuto ancor di più nel tempo con il carico produttivo portato a Taranto da Genova. “La decarbonizzazione comporta un taglio del 70% della forza lavoro – le parole di Marescotti che giustificherebbero lo stagnare nelle decisioni relative alla riconversione dell’impianto dell’ex Ilva, tutto quanto fatto a Taranto fino ad ora è stato fatto puntando su una monocultura, seppur qualunque saggia scelta dovrebbe portare ad una diversificazione. Io credo che l’Ilva non riuscirà a sostenere l’impatto con i mercato”.


L’associazione “Don Tonino per amore” di Mottola, ha invitato don Mimino Damasi a dare una testimonianza sul servizio reso negli anni trascorsi in Guatemala durante il santo rosario meditato. L’appuntamento è per venerdì 23 febbraio, ore 20.15, in chiesa madre.
Don Mimino, attualmente parroco alla Madonna del Rosario di Grottaglie, ha operato nella nazione centroamericana per quattro anni, tolto il periodo della pandemia. Il territorio in cui egli ha servito Dio attraverso gli uomini (d’etnia Chorti, discendenti dagli antichi Maya) è vasto: attorno al capoluogo, Jocotan, sono sparse ben 110 comunità rurali da visitare, per complessivi 75mila abitanti. Talvolta i villaggi sono raggiungibili solo attraverso sentieri scoscesi difficilmente percorribili se non con mezzi idonei e, con le piogge, spesso costretti all’isolamento.
Sin dal principio il sacerdote tarantino è stato colpito dalla particolarità della sua terra di missione, tra emozionanti paesaggi di montagna, panorami mozzafiato e inimmaginabili bellezze naturalistiche, fra tanta povertà ma altrettanta laboriosità e voglia di vivere, con serenità e nella gratitudine a Dio di ciò che quotidianamente dona, confidando in Lui senza riserve.
In quell’angolo di Guatemala don Mimino ha riscontrato l’accoglienza calorosa e la generosità degli abitanti che, nelle avversità, non si fanno cogliere del vittimismo e sono subito pronti a rimboccarsi le maniche.
“Fra le emergenze maggiori, quella abitativa, dove spesso le famiglie trovano riparo in povere capanne i cui tetti devono fare i conti con i tornado che distruggono tutto ciò che incontrano – spiega il sacerdote – Ma ancor più grave è la situazione sanitaria, con le cure tutte a pagamento,dove a patirne di più sono soprattutto i bambini e le donne in procinto di partorire, fra le quali la mortalità è alquanto elevata. Ecco perché, con l’aiuto di benefattori, ho avviato l’esperienza de ‘La cuna de Sant’Anna’, cioè “La culla di Sant’Anna’, una sorta di ambulatorio itinerante per i villaggi, il cui funzionamento è affidato a un medico e a un infermiere”.
Dal punto di vista ecclesiale, don Mimino Damasi evidenzia il ruolo preponderante del laicato che sopperisce, fin dove è possibile e nelle rigorosa distribuzione dei compiti, alla mancanza di sacerdoti: in ogni villaggio, infatti sono presenti i delegati della Parola (che guidano le celebrazioni, domenicali e non), i ministri della comunione (che visitano anche gli ammalati) e i catechisti, cui è affidata la formazione della comunità. A tutto questo corrispondono comunità vivaci,disciplinate, stimolati alla solidarietà, piene di giovani e che ben rispondono alle provocazioni del Vangelo.
“Cosa mi porterò da questa esperienza? Sicuramente questo modello di Chiesa non di massa ma che va verso le persone, desiderose di arricchirsi della Parola di Dio” – conclude il sacerdote.


“Quest’anno l’approssimarsi della Settimana Santa sarà vissuto da noi confratelli nell’approfondimento del messaggio di Quaresima dell’arcivescovo, riflettendo in particolare sul passaggio in cui egli evidenzia che non può esserci vero amore senza un viaggio, quello che in effetti noi confratelli compiamo dalla notte delle Ceneri (con la processione notturna della Forora) fino alla Domenica di Pasqua, andando incontro a Cristo Risorto”: così dice il priore della confraternita dell’Addolorata, Giancarlo Roberti, il quale evidenzia l’importanza che rivestono in questo cammino quaresimale le Via Crucis domenicali in San Domenico, ognuna delle quali viene conclusa da alcuni momenti significativi che si vivono nella cappella dell’Addolorata, con la benedizione personale del padre spirituale. “Nella prima e nella seconda di Quaresima ognuno può portare all’altare rispettivamente un lumino acceso e una rosa; nella terza i fedeli potranno intingere l’immagine mariana loro distribuita nell’olio di nardo; nella quarta, infine, saranno donati fazzolettini con impressa l’effige mariana – spiega Roberti, il quale ricorda inoltre lo svolgimento nella quinta domenica di Quaresima della Via Crucis lungo via Duomo, dalla chiesa di Sant’Agostino fino a San Domenico, con il Crocifisso portato a spalla dai confratelli”.
Da segnalare anche le Via Crucis alla Cittadella della Carità (1 marzo, alle ore 15.30) e quella alla casa circondariale assieme all’arciconfraternita del Carmine (l’11 marzo, alle ore 14.30).)
L’avvenimento più di spicco in programma nei prossimi giorni sarà la venuta del reliquiario della Madonna delle lacrime, proveniente da Siracusa. “L’arrivo – dice – è previsto nella serata di venerdì 8 marzo al Castello aragonese da dove, accompagnato da confratelli e consorelle in abito di rito, sarà portato processionalmente in San Domenico, dopo breve sosta in cattedrale. L’esposizione durerà fino a domenica 10, con numerosi incontri di preghiera, anche notturni animati da parrocchie, movimenti, associazioni ecclesiali e dalle confraternite mariane della diocesi”.
Non mancheranno le iniziative culturali, oltre al tradizionale concerto della fanfara della Marina militare in San Domenico (18 marzo, ore 19). Nei giorni 13, 14, 15 marzo avrà luogo in chiesa la seconda edizione della mostra-concorso di fotografie intitolata “La lunga notte della Madre”, con l’esposizione di simboli del pellegrinaggio dell’Addolorata (previste anche le visite delle scuole). Nelle stesse giornate, ma al castello aragonese, si terrà la mostra fotografica “50 anni tra fede e musica” dedicata ai concerti del Lunedì di Passione, organizzata in collaborazione con l’associazione Vittorio Manente (l’indimenticato direttore della gloriosa Banda centrale della Marina militare).
Particolarmente attesa sarà la funzione della cosiddetta festa piccola confraternale, nel Venerdì di Passione: la Preghiera dei Sette Dolori.
Infine, la notte del Giovedì Santo, tutti sul pendio per l’inizio del mesto pellegrinaggio dell’Addolorata.


La perfetta costruzione drammaturgica della commedia scespiriana ripropone un meccanismo classico della commedia dell’arte fondato sugli equivoci tra innamorati. Di qui la scelta registica di coniugare le tecniche della commedia con le maschere di Aliano e Stefano Perocco da Meduna, ma con un ritmo e una padronanza del movimento assolutamente contemporaneo e divertente, dentro una componente fantastica, elemento caratterizzante di quest’opera. E nel mescolare teatro di maschera, farsa, prosa e musica la commedia assume dei toni gipsy-blues ponendo al centro l’attore, nel suo rapporto col pubblico e con se stesso, in un crescendo di ritmo che porta la compagnia a svelarsi per quella che è: un gruppo di attori che crede nei sogni.

“Lizzano nella stampa-Nuovo Dialogo 1964-2020” è il titolo della collana di libri dedicati a Lizzano, di cui è autore Giuseppe Marino, che verrà presentata giovedì 22 febbraio alle ore 19 nella chiesa di San Nicola. L’opera, composta da tre volumi intitolati ‘Storia della parrocchia San Nicola’, ‘Storia della parrocchia San Pasquale, ‘Tradizioni e Cultura’.
Oltre all’autore, interverranno Lucia Palombella, sindaco di Lizzano; don Giuseppe Costantino Zito, parroco della chiesa madre San Nicola, don Pompilio Pati, parroco alla San Pasquale; Oronzo Corigliano, curatore del Museo civico della Paleontologia e dell’Uomo di Lizzano; mons. Alessandro Greco, vicario generale dell’arcidiocesi. L’incontro sarà moderato da Chiara Caniglia, assessore alla cultura del Comune di Lizzano.
Si parlerà della storia delle due parrocchie presenti sul territorio e delle tradizioni di Lizzano quali la Calata dei magi, le Tavole di San Giuseppe e la Passione di Cristo.


La parrocchia Santa Famiglia di Martina Franca accoglie le reliquie del beato Pino Puglisi, da giovedì 22 a sabato 24 febbraio. La peregrinatio di don Puglisi, vittima di mafia e testimone ardente della lotta contro l’omertà a favore della legalità, ricorre nel trentunesimo anno della sua morte e vedrà la partecipazione del cardinale mons. Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo.
Il programma della parrocchia prevede l’arrivo e l’accoglienza delle reliquie giovedì 22 febbraio alle 17; a seguire la celebrazione della messa solenne (ore 18:30) e la via crucis della Legalità (ore 19:30). Giovedì 23 febbraio, alle 9:30 il magistrato Giovanni Caroli terrà un incontro in parrocchia con gli studenti e le studentesse delle scuole superiori della città, durante il quale si dialogherà di legalità, prevenzione e importanza delle istituzioni. Oltre 600 studenti del liceo Tito Livio, dell’Iiss Ettore Majorana e dell’Iiss Leonardo Da Vinci, prenderanno parte all’iniziativa.
Nel pomeriggio, il sindaco Gianfranco Palmisano e monsignor Pasquale Morelli, parroco della Santa Famiglia nonché vicario foraneo di Martina Franca, accoglieranno il cardinal Romeo nel Palazzo ducale (ore 17). A seguire, mons. Romeo si sposterà in parrocchia per la celebrazione della santa messa.
Le reliquie di don Puglisi lasceranno la comunità parrocchiale sabato 24 febbraio.
L’iniziativa si colloca nell’ambito degli eventi in occasione dell’Anno sinodale, è organizzata con il supporto dell’Associazione nazionale delle Città del SS Crocifisso, della quale monsignor Morelli è assistente ecclesiastico.
Don Pino Puglisi nasce nella Brancaccio di Palermo il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 ed è ordinato sacerdote il 2 luglio 1960. Nel 1961 è nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. Nel 1967 cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi. Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città. Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo – segnato da una sanguinosa faida – dove rimane fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. In questi anni segue anche le battaglie sociali di un’altra zona della periferia orientale della città, lo «Scaricatore». Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Nel 1983 è responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano. Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole. A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipe Notre Dame. Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. Questa sua attività pastorale come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie ha costituito un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui sono state intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia. A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo. Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi, presbitero della Chiesa Palermitana. Padre Pino Puglisi viene proclamato Beato il 25 maggio 2013 a Palermo.


“Il nuovo umanesimo europeo di Francesco” è stato il tema trattato martedì 20 febbraio
L’ufficio diocesano Cultura ha proposto il terzo incontro del corso di formazione intitolato: “L’umanesimo europeo per la fraternità dei popoli”.

L’appuntamento, che ha sviluppato il tema “Il nuovo umanesimo europeo di Francesco”, si è svolto martedì 20 febbraio nella parrocchia S. Roberto Bellarmino. Gli incontri sono curati da don Antonio Rubino, vicario episcopale per la Cultura, e sono guidati dal prof. Lino Prenna, docente universitario.
Il prof. Prenna ha esordito introducendo il discorso di papa Francesco al Parlamento europeo, tenuto il 25 novembre 2014, a Strasburgo. Il professore ha così sintetizzato: “Il papa ricorda che all’origine dell’Unione europea vi era un progetto ambizioso: i padri fondatori hanno concepito l’Europa centrata sull’uomo, le sue radici sono nella centralità dell’uomo, non inteso come cittadino né come soggetto economico, ma come persona dotata di «dignità trascendente»”.
Il relatore ha spiegato, in primo luogo, il significato del termine “dignità”: “La parola dignità è strettamente connessa con il contesto di ripresa sociale del secondo dopoguerra in cui è cresciuta la rivendicazione dei diritti umani e si è affermata l’irripetibilità della singola persona umana. Ogni persona umana è un unicum irripetibile, di singolare natura. La dignità nasce dal fatto che non ci sono copie tra le persone, tutti sono degli originali irripetibili. Ciò che non facciamo noi non lo farà più nessuno. Quindi la dignità è legata al fatto che la persona è unica e irripetibile”. A questo, il prof. Prenna ha aggiunto che la dignità umana porta alla consapevolezza di essere titolari di diritti, i quali preesistono allo Stato perché sono nella persona stessa: “Nelle democrazie, lo Stato è successivo ai diritti e si costituisce in funzione della persona; il primo atto che compie (lo Stato) è riconoscere la dignità della persona umana e il fatto che ciascuno è titolare di diritti totali”.
Passando, in secondo luogo, alla parola “trascendenza”, il prof. Prenna ha aggiunto: “Il termine trascendenza fa appello alla natura spirituale dell’uomo e alla coscienza che permette di distinguere il bene dal male. La trascendenza richiama il fatto che l’uomo non è un assoluto ma un essere relazionale. Ma perché trascendenza vuol dire che l’uomo è un essere relazionale? La tradizione del personalismo afferma che la persona è principio di relazione. Tutto il contrario indica il termine individuo, dal latino individuus e indivisum, cioè non separabile, divisibile, condivisibile: l’individuo è principio di esclusione”. Riprendendo il commento del papa rispetto all’affresco “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio, il relatore ha riportato l’interpretazione del pontefice: “Platone ha il dito verso l’alto e verso il cielo; Aristotele ha la mano protesa verso il basso e verso la terra. Il papa dice che il cielo è l’apertura trascendente dell’umanesimo, che si apre a Dio, e che la terra è l’aspetto immanente dell’umanesimo, la sua concretezza pratica, che si riferisce all’uomo”.
Entrando nel vivo dell’argomento, il prof. Prenna si è dedicato al discorso di papa Francesco per il conferimento del premio Carlo Magno. È in questo discorso che il pontefice parla del “nuovo umanesimo europeo”. Si è spiegato che “Il papa fa un accorato appello all’Europa stanca e invecchiata, perché ritrovi le sue origini e si riconosca nell’umanesimo che ha qualificato la sua storia, e chiede di aggiornare l’idea di Europa, dando vita a un nuovo umanesimo basato su tre capacità: integrare, dialogare e generare”.
Rispetto alla capacità di integrare, “Il papa ricorda che l’Europa ha una identità plurale e multiculturale, frutto della combinazione di culture diverse; al cristianesimo si deve riconoscere il ruolo di mediatore tra tali culture: la grecitas, la latinitas e la germanitas. L’Europa deve riscoprire la capacità di integrare tutti quei nuovi popoli che bussano alle sue porte. Il criterio per fare ciò è la solidarietà. Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia”. Altrettanto importante è la capacità di dialogare: “L’importanza del dialogo va ripetuta con costanza, senza mai stancarsi, perché ci permette di riconoscere l’altro. Il papa dice di armare la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro”. Infine, in riferimento alla capacità di generare: “Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. Ecco che allora il papa afferma: Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia». Da qui l’importanza di umanizzare la democrazia”.
Il prossimo incontro del corso di formazione tratterà il tema: “Amicizia sociale e fraternità universale”. L’appuntamento è per il 14 marzo, con inizio alle ore 18 e ingresso da via San Roberto Bellarmino.
Per qualunque informazione si rimanda al sito dell’ufficio di pastorale della Cultura: http://cultura.diocesi.taranto.it/

